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Autore: Neera Everdeen    15/08/2016    0 recensioni
Mondo, tra un centinaio di anni:
Quando Kathleen sente la serratura ermetica della stanza chiudersi ermeticamente come accade nelle situazioni d’emergenza, sa già che sta per succedere qualcosa di terribile, ma non può immaginare cosa potrebbe accadere davvero. A comando di altri suoi coetanei dovranno andare Fuori, un luogo che per loro è Tabù.
Tra trappole, ambienti sconosciuti e strane indicazioni, riusciranno a sopravvivere?
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non so come chiamarlo, se seconda natura, istinto oppure abitudine, ma il semplice scattare della serratura mi fa aprire gli occhi di scatto.
Subito dopo le persiane si aprono di colpo, facendo entrare così la luce del sole nella mia stanza. Fuori si sentono dei rumori. Delle urla, dei pianti e un suono, simile al click della serratura, che non so identificare. Mi arrivano indistinti, come se attutiti da una vasca piena d’acqua. Poi mi ricordo che tutte le finestre delle stanze hanno un doppio vetro.
Mi avvicino alla finestra.
Tutti i nostri Professori sono schierati in tre file da dodici, con le espressioni più disparate. Due uomini, alti e vestiti di nero, stanno loro davanti con una strana arma in mano. Non sono come quelle che vediamo nei libri di Armeria in biblioteca. Un terzo uomo, anche questo vestito di nero e con un passamontagna invece che una cappa da boia, sta urlando loro qualcosa. Non sento, non riesco a sentire. Poi capisco che le urla e i pianti non arrivano dal basso, ma ai miei lati. I miei compagni stanno urlando e battendo le mani contro i vetri, ma non riusciranno a romperli. Mi viene in mente, vedendo quei volti, una lezione di Medicazione in cui dovevamo vedere una specie di filmino molto vecchio. Facevano vedere un uomo pugnalato che doveva essere medicato immediatamente, ma la moglie non voleva lasciarlo. Urlava, piangeva ed intralciava il salvatore dell’uomo che amava. All’epoca dissi che era stupida, ma ora non posso fare altro che capirla. Quando stai per perdere la tua unica e ferma certezza è impossibile non crollare. Resto ferma, muta, a toccarmi le labbra con le mani tremanti. Capisco quello che sta accadere prima ancora che gli uomini puntino le loro armi contro i professori. Mi lancio contro la finestra battendo i pungi contro i vetri, ma vedo dei lampi di luce uscire dalle loro armi, macchie di sangue che cominciano a coprire come fiori le camicie o le giacche dei professori e delle professoresse, i loro corpi cadere a terra come vuoti gusci di larva. Le lacrime escono prima che possa fermarle come ho sempre fatto per tutti questi anni.
- No! No no no no!- urlo continuando a battere i pugni contro ai vetri- Non uccideteli! No!-
Sono tutti a terra. Tutti. Se non sono morti periranno tra poco.
- No..- sussurro, lasciando scivolare le mani contro alla superficie fredda delle finestre. I polpastrelli, caldi, lasciano un’impronta di vapore bianco contro al vetro freddo. Le urla arrivano da ogni parte, strazianti.
Striscio contro al muro, lasciandomi scivolare a terra. La mia stanza è di medie dimensioni, con un letto, un bagno, un comodino ed una piccola scrivania con una sedia di legno.
Chiudo gli occhi ed appoggio la testa alla parete, cercando di rilassare i muscoli e di non pensare.
Non ho idea di quanto tempo sia passato, ma alzo di scatto la testa quando la porta si apre come per miracolo. Mi alzo barcollando a causa della posizione prolungata per troppe ore consecutive. Sapevo di dovermi muovere, che se fossero arrivati non avrei potuto difendermi, ma non mi importava. Ora me ne pento. Faccio qualche passo barcollante fino alla porta, appoggiandomi contro gli stipiti. Guardo a destra e a sinistra per accertarmi che non ci sia nessuno. Mi avvio verso la porta di Sofia, la mia unica e vera amica.
- Sofia!- esclamo sottovoce. Lei si alza dal letto e corre verso di me, il bel viso trasfigurato da una smorfia sconvolta.
- Hai visto cos’hanno fatto quei bastardi? Dobbiamo prenderli e..- attacca, cominciando a scaldarsi. La conosco abbastanza bene per sapere che andrebbe a cercarli seduta stante e disarmata, anche se nel combattimento corpo a corpo è decisamente la migliore di tutte le ragazze dell’Accademia.
- Stammi a sentire.- le sussurro prendendola per le spalle- Prendi un gruppo e andate a controllare l’armeria. Prendete i vostri zaini ed il mio, io vado nell’ufficio del preside.-
Annuisce con un gesto secco della testa e si allontana. La guardo allontanarsi nel corridoio e svoltare per salire al piano maschile a reclutare Kevin e i suoi amici più fidati, per poi reclutare forse qualche altra ragazza del suo genere. Comincio a scendere di corsa le scale, saltando qualche gradino per guadagnare tempo. Arrivo al piano terra, dove tutto è deserto. Il silenzio è talmente denso che smetto automaticamente di respirare per paura che il solo suono del mio fiato riesca a dire agli assalitori della mia presenza. Mi avvicino a passo felpato nella presidenza. Vuota. Nulla che possa far capire che c’è qualcosa che non va, a parte il mucchio di morti che c’è in cortile.
Mi lancio verso il microfono, accendendolo.
- Mantenete la calma, andate in Armeria e prendete i vostri zaini e delle provviste. Riempite le bottiglie di acqua dai bagni. Dopo andate in cortile nella zona Sud Est della Gabbia. Mantenete l’ordine, non è un’esercitazione. Andate da Kathleen,Sofia o chi con noi. Ripeto: non è un’esercitazione, ma mantenete ordine.-
Quando finisco di recapitare il messaggio sento un suono strano, come di aria che viene risucchiata, e la stanza viene oscurata da qualcosa che impedisce alla luce di entrare. Mi lancio alla finestra e faccio appena in tempo a veder volare via una specie di oggetto triangolare prima che scoppi il caos. Ragazzi e ragazze che si precipitano in Armeria a recuperare gli zaini nei propri Scompartimenti, chi piange, si batte i pugni sul petto o che si rannicchia in un angolo. Tiro su una ragazza piagnucolante e la strattono verso le scale.
- Prendi lo zaino, presto!-
Scendo le scale come una furia pronta a raccattare il mio zaino e filarmela. Vedo Sofia dirmi qualcosa e sbracciarsi nella mia direzione. Prendo lo zaino nero e mi dirigo verso di lei. Il caos è tale che riesco a capire le sue parole solo quando le sono molto vicino.
- Dobbiamo prenderli!- esclama con una scintilla preoccupata nello sguardo.
- Prendere chi?- le chiedo, temendo di essermi dimenticata qualcuno dei nostri.
- I bambini.- mi risponde con un’espressione strana.
I “bambini” ci sono stati mostrati il giorno del nostro sedicesimo compleanno, come se fosse un regalo. Ricordo ancora la voce del preside annunciare che, poiché tutti noi compivamo sedici anni, avremmo avuto l’onore di conoscere la generazione più piccola. Erano bellissimi, tutti emozionati e imbarazzati nel vedere altri esseri umani oltre a loro. Uno di loro mi rimase particolarmente impresso. Capelli castano ramato come i miei, il viso puntellato di lentiggini come il mio, gli occhi forse un po’ più grigi dei miei ma molto simili. Quando il preside si è accorto del mio interessamento verso quel bambino mi ha trascinato via per farmi vedere un altro bambino dai capelli neri e gli occhi verdastri. Non erano molti, forse sei o sette, non ricordo. Di certo meno della generazione “Grande”, formata da diciassettenni.
Resto ferma a fissare Sofia per un secondo. Sul viso gli occhi sembrano quasi brillare di un verde chiaro e acceso, mentre le sopracciglia sono aggrottate per far capire la determinazione nel voler salvare anche quelle bestiole. Annuisco e mi giro verso Kevin e Liam per dare loro conferma.
- Prendeteli e portateli dove siamo noi. Tornate indenni e con i ragazzini.- abbaio, girandomi e tirando fuori i coltelli.
Sbaglio strada e mi trovo davanti ad una marea di sangue e cadaveri. Cerco di non vomitare, ma mi ritrovo comunque carponi cercando di respirare, cercando di ignorare la puzza di sangue che mi arriva al naso come una zaffata purulenta.
- Kathleen..- il sussurro mi arriva alle orecchie appena flebile. Mi avvicino, imponendomi di respirare con la bocca per attutire l’odore metallico del sangue.
- Professor Bones!- esclamo lanciandomi verso l’omone muscoloso e dalla barba talmente scura da sembrare quasi nera.
- Non c’è più tempo.. scappate. Scavalcate le siepi e andate Fuori. Utilizzate i Ponti.  Abbiamo commesso un errore, ma non ne pagherete voi le conseguenze.- mi sussurra con una voce talmente flebile e sottile da obbligarmi a piegarmi verso le sue labbra per sentire tutto.
- Lei è vivo la.. la mendicheremo e riusciremo a farlo tornare attivo come prima ,signore. Deve solo alzarsi e provare a seguirmi.- lo prego, sentendo che la voce si sta incrinando. So che nemmeno uno dei nostri professori di Medicazione potrebbe aiutarlo. Anche se è in grado di parlare non riuscirà mai a sopravvivere a lungo.
- Non c’è tempo. Devi prendere il comando dei ragazzi Kathleen, so che puoi farlo.- mi sussurra, mentre vedo la sua bocca riempirsi di sangue. Un rivolo gli cade lungo la bocca.
- Non se ne vada, la prego..- sussurro con la voce spezzata. Gli prendo la mano, grande almeno tre volte la mia, e la stringo. Ecco come muore uno dei Professori più brillanti dell’Accademia.
Rientro  e riesco a ritrovare la strada, salendo sul palco che c’è nel giardino. È vecchio, scrostato, ma abbastanza buono per tenere a bada una mandria di duecento ragazzi della mia età.
- State calmi!- urlo , cercando di farmi sentire da quella folla di sclerotici.
- TACETE, MALEDIZIONE!- urlo di nuovo, con più forza. Si girano tutti verso di me.
- Come vi ho detto, questa non è un’esercitazione. Dobbiamo andare Fuori.- dico loro indicando la barriera di siepi alte almeno una decina di metri. Percorrono tutto il perimetro dell’accademia , impedendoci di guardare quello che dovrebbe essere il mondo esterno.
- Bravo genio. E ora come credi che usciremo da qui, volando?- mi chiede isterica una ragazza dai capelli color grano. Credo si chiami Ramona.
La folla le dà corda, cominciando così tutti a parlottare tra loro e creando ancora più casino.
Vengono tutti interrotti da un ragazzo tutto gomiti e ginocchia, con una zazzera di capelli neri sulla testa.
- Ci sono delle scale di legno in uno sgabuzzino, potremmo andarle a prendere e riuscire a scavalcare la siepe.-
- Sopra le siepi sono stati costruiti dei ponti. – spiego alla folla – andate a prendere le scale.-
Dieci si mobilitano, tra cui il ragazzo che ci ha aiutato.
- Hey, tu!- lo chiamo , prima che scenda dal palco con un balzo. I suoi occhi neri incontrano i miei occhi verde-grigiastro.
- Come ti chiami?- gli chiedo ancora.
- Spencer.-
- Grazie, Spencer.-
Alza le spalle con modestia.
- Basta che riusciamo ad uscire da qui.- mi risponde prima di correre verso l’Accademia. Poco dopo vedo anche Sofia e gli altri del suo gruppo con dei bambini spaventati.
Si avvicina e ne osservo il copro basso , ma tonico e scattante, e i capelli castani raccolti in una coda di cavallo.
- Sono tutti?- chiedo, mentre lei mi risponde con un brusco cenno del capo.
- Sette ragazzini. Quattro maschi e tre femmine.-
- Alcuni sono andati a prendere delle scale e..-
Faccio appena in tempo a finire la frase che loro l’hanno già posizionata contro la siepe, facendo salire uno per volta mentre io resto in coda con il mio gruppo. Metto lo zaino in spalla e un coltello in mano, mentre cerco un modo per issare l’altro alla gonna dell’uniforme. Faccio salire anche Sofia , dandole il tempo di distanziarsi da me.
Riesco a dare un ultimo sguardo all’Accademia prima che questa esploda.
   
 
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