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Autore: icapeidoro    16/08/2016    0 recensioni
Questa è la storia di Elisabetta, detta anche Elisa, prima bambina spontanea, poi adolescente ribelle e donna determinata. Questa è la storia di venti anni di cambiamenti, della ricchezza e della sua ostentazione, di tentativi di raggiungere la luna, del rock e del cantautorato, di moti e ribellioni, di bombe nelle piazze e delle pistole nei jeans. Nella Roma degli anni Sessanta e Settanta, Elisabetta affronterà tra sogni, ostacoli e conquiste il gravoso impegno della crescita, accompagnata da quella che sembra essere l’unica costante della sua vita: il rapporto di identificazione e appartenenza con il più caro degli amici, Mattia.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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PROLOGO
 
Era una sera di fine estate, una sera che sembrava esser nata per dare a sua volta vita a una fuga. Il crepuscolo si rifletteva sull’acqua nelle sue sfumature ma a sua volta era nascosto da una massiccia dose di nubi che preannunciano una tempesta. In lontananza sul Mar Tirreno si vedevano perfino dei lampi rischiarare le nuvole più remote e oscure. Elisabetta e Mattia sapevano che sarebbe stato meglio correre ai ripari e precipitarsi al chiuso, ma erano troppo lontani da casa di quest’ultima per tornare indietro. Erano appena vestiti: Mattia indossava dei semplici pantaloncini e maglietta di cotone, Elisa invece era coperta di un vestito velato violaceo a maniche lunghe che lasciava intravedere il costume chiaro. A spiccare sul candore delle gambe di Elisa era il rosso vivo del sangue che colava da entrambe le ginocchia, che lei tentava di tamponare con le mani in modo affrettato, coprendo le stesse di quello che sembrava essere l’unica tinta viva, tra il grigiore crepuscolare, i capelli castani al vento e il velo color melanzana che la facevano apparire più che umana una strega. Seppur da due piccole abrasioni, il sangue arrivava alle caviglie ed Elisa tentava in malo modo di tamponare con le maniche sottili dell’abito. Allora persino le unghie di quelle piccole mani erano sporche di sangue.
Era tutta colpa di Mattia, continuava ad accusarlo mentalmente. Era lui che aveva voluto fare la solita passeggiata da Sperlonga prima verso la villa di Tiberio, continuando per la via Flacca, affinché arrivassero alla scogliera di Torre Capovento. Per raggiungere la Torre in cima alla Rocca erano usciti dalla Flacca e si erano scesi verso scogliera, ma Elisabetta, incapace, era caduta su ambo le ginocchia, subito aiutata da Mattia. Allora erano seduti in cima alla scogliera, con il sangue tra le mani e il vento tra i capelli. Mattia porse una sigaretta all’amica, mentre la sua era già tra le labbra. Lei la rifiutò borbottando, lamentandosi delle ginocchia sbucciate.
- Non è mai capitato che tu cadessi scalando una scogliera. Si vede che non ci andiamo più tanto come una volta. – il volto spigoloso del ragazzo era delineato dal ghigno di chi sapeva che la sua amica fosse una forza della natura, ma anche oscurato da un velo di nostalgia di quando erano appena fanciulli e vagavano all’esplorazione di posti sempre nuovi. Conoscevano bene quelle scogliere, ma era la terza volta che giungevano a Torre Capovento, a cui prima avevano evitato di giungere per sicurezza o perché troppo pavidi e inesperti. Quando avevano dodici anni scomparivano per ore per camminare attorno a quelle scogliere, per giocare e sbucciarsi le ginocchia senza troppi drammi. Elisabetta e Mattia pensavano di non esser più dei bambini, avevano rispettivamente diciassette e diciotto anni e pensavano di essere degli adulti di mondo, un uomo e una donna di città.
Era facile pensarlo, allora. Era facile interpretare il ruolo di chi potesse salvare il mondo.
Era facile per Elisabetta in quel momento, per quanto amasse Mattia, per quanto affetto potesse provare per lui, pensare che Roma e i suoi amici avessero bisogno di lei mentre lei era con le ginocchia sbucciate su quella scogliera sola con il suo amico di infanzia, nella loro solitudine. Sapeva che anche Mattia aveva gli stessi pensieri, era diventato un ragazzo di città e quella pacifica scogliera per lui ormai era insofferenza tanto per la lontananza quanto per la vicinanza a momenti biliosi del passato, ma era abbastanza certa che Mattia le volesse così tanto bene da non farglielo pesare.
Mattia era seduto di fronte a lei, con i ricci scuri che a causa del vento si erano spostati davanti agli occhi, e fumava in silenzio, alle sue spalle a qualche metro la Torre Capovento. Era stata ristrutturata una quindicina di anni prima, era costruita in pietra su un basamento cilindrico e aveva una lunga e stretta scalinata posta su un contrafforte che dava accesso a una porta chiusa. Il corpo cilindrico culminava con un parapetto circolare sostenuto da piccoli archi e mensole. Probabilmente non era mai stata vicina a quella torre, non abbastanza da saggiarne l’altezza. Quando era una bambina e vedeva la torre quando passeggiava con la mamma sulla sabbia, essa le pareva talmente lucente da sembrarle fatata. Allora invece, tra le nuvole bluastre che avanzavano velocemente, il crepuscolo che ormai dava spazio alla notte, il vento che le provocava la pelle d’oca, da una parte la inquietava, dall’altro la affascinava.
E più faceva buio, più ogni dettaglio di ogni pietra che costituiva la torre si dissolveva nelle tenebre, più lei stessa si sentiva una creatura della notte, e col passare degli attimi dimenticava Roma, i suoi genitori, gli amici, tutti.
Se fosse scoppiata la tempesta non avrebbero fatto in tempo a spostarsi. Avevano camminato per cinque chilometri, erano ormai lontani da Sperlonga quanto da Gaeta, e lei non avrebbe potuto nemmeno avvertire i suoi genitori perché il telefono più vicino era in un bar di un lido a Sperlonga, lontano almeno due chilometri e mezzo, e probabilmente era chiuso. Era passata in qualche momento dal pensare che lei potesse salvare chiunque in quella caotica metropoli al pensare che sulla rocca di Torre Capovento nessuno avrebbe potuto salvare lei e il suo amico, e questa cosa non le spiaceva.
Provava piacere nell’allontanarsi dalla famiglia, d’altronde non era la prima volta e presto ci sarebbe stato un allontanamento definitivo.
Fu la voce di Mattia a riportarla alla realtà. Quasi non lo vedeva più in viso, ma riusciva ad immaginare il suo sorriso familiare. Poi, la fiamma usata per alimentare ancora una volta il suo vizio gli illuminò gli occhi neri tesi a fissare la luce. Si avvicino a lui, gli strappò il pacchetto di sigarette e l’accendino dalle mani e progredì verso la scalinata della torre. La percorse senza nemmeno troppa cautela e si sedette su un gradino che era a metà di essa. Si accese la sigaretta e sorrise all’amico che si fermò a guardarla per qualche secondo, poi lentamente procedette verso di lei.
- Chiedere no? Come al solito devi sempre fare di testa tua. –
- Ti lamenti come una femminuccia. Pari peggio di mia sorella. – gli disse ridendo.
- Io, una femminuccia? Sei tu quella che è cascata. Eh, se non ti avessi preso io… -
- Mi sarei rialzata comunque. – gli lanciò uno sguardo provocatorio.
Allora lui balzò in piedi e corse in cima alle scale. Quando tentò di aprire la porta della torre si sentì un tuono fortissimo, al che Mattia si mise a ridere e urlò dalla vetta delle scale – Conviene riparaci. –
Una goccia le precipitò sul viso come se fosse una lacrima. Poi divennero due, tre, poi ne perse il conto. In pochi secondi stava piovendo a dirotto e con la sigaretta spenta tra le dita la ragazza si mosse dal suo amico che tentava di scassinare la porta. Nessuno dei due aveva un orologio ma pensava che fossero le otto di sera. Avrebbero dovuto ripararsi almeno fino all’alba, finché non avessero ripreso il percorso verso casa di Elisabetta.
Elisabetta scosse la testa e rise, Mattia era assurdo: bagnato come un pulcino sotto la pioggia, con un fil di ferro tra le mani che aveva cacciato dalla tasca dei pantaloncini perché nonostante tutto era straordinariamente equipaggiato, accovacciato accanto alla porta di una torre antichissima, sorrideva e canticchiava Fiori rosa, fiori di pesco di Lucio Battisti. Non era un suo sostenitore, eppure quando l’anno precedente il cantautore aveva pubblicato quel singolo Mattia non aveva fatto altro che canticchiarla, e ogni tanto la recuperava, anche in situazioni scomode come quelle. Era quello che faceva tanto ridere Elisabetta, la sua capacità di trovarsi in situazioni assurde e continuare a viverci nel suo modo inappropriato di fare le cose. D’altronde era per quello che erano amici, erano entrambi un po’ folli.
Alla fine la porta si aprì e lo scenario di quella stanza d’affaccio non era affatto accomodante per le ragnatele e la polvere, ma per quella notte poteva andare bene.
- Ci terremo illuminati con le cicche. – osservò Elisabetta accovacciandosi a terra. Osservò le sue ginocchia: il sua non si era ancora coagulato la pioggia lo aveva lavato via dalle gambe e dalle mani. Mattia si sedette di fronte a lei, contando le sue preziose sigarette. – Sarà l’intrattenimento il problema. – continuò lei
- Vuoi l’intrattenimento? Bene. Lo sai, qui tu vieni solo per le vacanze, ma io ho conosciuto un sacco di gente del luogo. Mi hanno raccontato tante storie strane su queste torri, particolarmente su Capovento… -
- Pensi che io creda a queste storielle? – rise con apparenza scettica.
- Beh, se non ci credi allora lascia che le racconti solo come storie. –
Fuori si sentiva solo il rumore della pioggia e a stento vedeva Mattia, che aveva chiaramente l’intenzione di spaventarla. E no, lei era una ragazza coraggiosa, era una donna di mondo, una rivoluzionaria che non aveva paura di nulla, eppure… Era talmente buio, c’erano solo lampi, ed erano in quella torre per un atto di vandalismo, c’era quella parte di lei, quella bambina che credeva che Capovento fosse una torre incantata, che non voleva ascoltare quelle storie. Ma non l’avrebbe mai dato a vedere, nonostante avesse la sensazione che Mattia lo sapesse.
- Forse non è il caso. – fece vagamente, evitando il suo sguardo.
- Hai paura? – quella canaglia assunse un tono sorpreso tanto da irritarle la piccola Elisabetta.
- Assolutamente no. –
E allora scoppiò un tuono che rimbombò così forte nella torre che sembrava un terremoto. Elisa balzò.
- Hai paura! – questa volta lo disse bonariamente.
- Ti dico di no. Avanti, racconta questa patetica storia. –
Mattia per quel che lei poté vedere sorrise. Poi, in nient’altro che il rumore del temporale, la luce intermittente dei lampi, nel tetro spazio di quella torre dalla porta scassinata, fuori dall’orario, fuori dal luogo e fuori dal tempo, cominciò quella maledetta storia.
   
 
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