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Autore: Amarilla    28/04/2009    6 recensioni
Scendere o non scendere nel mondo degli umani? La decisione di Rem e l'imprevedibile conseguenza. Una one-shot dal PdV di Rem. Ho cercato di essere il più fedele possibile alla storia canonica. Ho operato solo due interventi che vanno in via diversa o nuova rispetto alla trama originale. Quanto ho scritto è frutto della mia personale visione del personaggio di Rem e ovviamente non vuole "pestare" i piedi a nessun'altra interpretazione di un pg così complesso. Attenzione però! contiene SPOILERS importanti per chi non ha letto tutta l'opera di Death Note.
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rem
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Gelus già in vita era così gracile, così apparentemente indifeso, sempre deriso, mai considerato alla pari degli altri alti e immortali Signori della Morte. Vederlo ora ridotto a quello che aveva innanzi ai suoi piedi, bizzarra sabbia, forse ruggine, inasprì la crescente tristezza e il senso di impotenza della bianca shinigami. Era inaccettabile. Nonostante i suoi consigli, lo aveva visto spendere tutto il tempo nella cieca ossessione che lo divorava; nonostante il suo monito, alla fine il piccolo dio si era consumato in un sacrificio che non avrebbe conosciuto alcuna ricompensa, ma solo il silenzio. Avrebbero riso di questo gli altri shinigami? Avrebbero condannato il suo gesto come un ridicolo atto di stupidità? Probabile. Come era possibile del resto anche solo pensare che un essere immortale rinunci al suo tempo eterno per il battito di pochi anni di una minuta, debole, inutile creatura umana? Eppure questo Gelus aveva fatto. E Rem non riusciva a darsene pace, rimproverandosi di non aver fatto abbastanza per il fragile amico. Ora di lui rimaneva solo un freddo quaderno. Per un pò lo rimase ad osservare; le sembrava sacrìlego anche solo toccarlo. Ma qualcuno doveva farlo. Le regole erano chiare e, anche in un momento in cui i suoi pensieri camminavano grigi e senza ragione, nere e asettiche continuavano a frugare nella sua mente: “Dopo essere spirato, un dio della morte scompare, ma non il suo quaderno. Esso passerà di proprietà al prossimo dio della morte che lo toccherà, ma il buon senso vorrebbe che lo si cedesse al grande capo degli dei della morte.” Tutto quello che era tenuta a fare era perciò prendere il quaderno e portarlo al suo Re. E lo avrebbe anche fatto. Ma esso era l’unico ricordo che le restava di un caro amico e per questo decise di tenerlo per sè. “La prima volta che infrango una regola...” Fu un pensiero che accantonò subito, per la preoccupazione che le risvegliava.

E passarono così ore, giorni, mesi, senza alcun valore. Si accorse in breve tempo che Gelus era l’unico tra gli shinigami con cui davvero aveva mai sentito un barlume di fraternità. Gli altri erano scontrosi o menefreghisti, irrimediabilmente egocentrici e spesso prepotenti. La compagnia del piccolo shinigami era simile ad acqua in tanta assenza, in così inutile vagare. Per questo, senza intenzione, ma spinta dal ricordo, spesso tornava nel luogo in cui Gelus aveva perso la vita, e come lui osservava il mondo degli umani. Quello che veramente la tormentava era che nessuno oltre a lei era stato testimone dell’atto del fratello, la sua massima incoscienza, che pure nascondeva una luce che la attirava, come una falena nella notte. Neppure la ragazza per cui aveva dato la sua vita immortale lo avrebbe saputo. Questo era ingiusto. Così ingiusto. Almeno lei doveva sapere. Doveva conoscere a chi doveva quei giorni, a chi doveva il poter vedere ancora il sole. L’idea però di scendere nel mondo degli umani spaventava persino la bianca shinigami, pur così di antico e forte lignaggio: era un universo sporco di meschinità e tradimento, di ambizione e malattia. E così passavano i giorni ma lei non si decideva a una risoluzione. E rimaneva lì, a osservare dall’alto quel mondo sconosciuto, attraverso gli occhi dell’umana amata da Gelus: una certa Misa Amane, questo era il suo nome.

Mentre trascorreva il tempo nell’attesa di una decisione che non arrivava mai, Rem conobbe che Misa era una modella, che tutti la chiamavano Misa-Misa, che era molto apprezzata e considerata bella dagli altri esseri umani, che il suo modo di vestire era considerato dagli umani alla moda e riscuoteva successo soprattutto fra gli umani di sesso maschile, e che le umane di sesso femminile la invidiavano per la sua bellezza. E tante altre futilità tipiche di quel mondo alieno. Ma la vide anche piangere nascosta dalle amiche in una pausa pranzo tra un servizio fotografico e l’altro, fremere di rabbia di fronte a una ingiallita pagina di giornale, abbracciare bizzarri peluches nel silenzio della sua camera. Anche lei era sola. Il ricordo della morte dei genitori la tormentava, uccisi nella notte da un criminale privo di pietà, un uomo ancora libero, rilasciato dalla giustizia degli uomini, ma colpevole, colpevole, colpevole, Misa ripeteva negli incubi, gli occhi chiusi in una visione di sangue, dolore, ingiustizia. Rem provò pena per lei. Pur nella brevità della loro vita, gli umani, o meglio alcuni tra di essi, erano condannati a sopportare sofferenze troppo grandi per la loro fragilità mortale. “Se il dio della morte decide di usare il quaderno per uccidere il potenziale assassino di un umano che ha in simpatia, la vita dell’umano sarà prolungata, ma il dio della morte morirà”. No. Non correva nessun pericolo a scrivere il nome di quel ladro nel suo quaderno.

Così fece e Tamura Yoichi morì, tra le urla degli avventori del bar in cui stava bevendo un drink, abbarbicato a una colonna, colto e ucciso da spasmi di dolore. Rem non provò né gioia né tristezza. Ma riteneva che forse aveva fatto una cosa giusta, e che magari in questo modo Misa non avrebbe pianto più. Il giorno dopo su una pagina di un giornale fresco di edizione campeggiava la foto di Yoichi: “La strana morte di Tamura Yoichi, coinvolto in passato nell’inchiesta sulla strage della famiglia Amane. Giudicato colpevole da Kira?”. Sorpresa che la sua fine improvvisa avesse causato tanto clamore e chiedendosi chi fosse questo Kira a cui il giornale attribuiva l’uccisione di Yoichi, Rem aspettava ora di vedere quale sarebbe stata la reazione di Misa. La ragazza non sorrideva. Ma sembrò come se una qualche ombra si fosse dissipata dalla sua fronte. Rem si convinse che aveva fatto bene. E questo era il segnale che era giusto ciò che aveva intenzione di fare, scendere nel mondo di Misa, per donarle il quaderno di Gelus, con cui la ragazza avrebbe potuto proteggersi da altre ingiustizie. E poi anche per conoscerla, pensò con un filo d’attenzione. Per stare al suo fianco, guidarla. Rem sapeva che non avrebbe mai commesso lo stesso errore di Gelus. Considerò questa come un’ulteriore fase della sua immortale vita, un’esperienza che valeva la pena di essere affrontata. Un piacere. No. Un dovere. Rifiutò il pensiero che tutto questo fosse solo un suo capriccio. Gelus avrebbe sicuramente voluto che Rem lo facesse. E così fece.

Il primo incontro fu, come era facile prevedere, un disastro: Misa le lanciò addosso ogni oggetto che aveva a portata di mano urlando di paura. Poi le cose migliorarono rapidamente, una volta che la ragazza si rese conto che l’imponente shinigami non aveva intenzione di farle del male. Passò il tempo, giorno dopo giorno, e Rem aveva la sensazione che Misa la percepisse come uno dei suoi bizzarri pupazzi, animatosi per salvarla dalla solitudine. Era con lei in ogni momento della sua giornata. Quando partiva da casa per andare al lavoro, sotto la luce dei fotografi, tra le passerelle degli artisti, ma anche al supermercato, ai corsi serali, la notte quando Misa riposava. Rem imparava tanto della vita degli umani, mille volte di più di quanto avesse avuto modo di sfiorare solo guardando dalla terra della morte. E imparò tanto dell’umana Misa, il modo buffo in cui inclinava la testa, l’indecisione con cui sceglieva i suoi vestiti, quella fotografia appoggiata al comodino della cameretta, la sua fissazione per la linea, i saluti cordiali della gente che lei rendeva felice solo con un sorriso, incubi che ancora non volevano conoscere il significato di “passato”.

Tutto questo sarebbe potuto andare avanti in armonia, ma i passi di Misa e dello studente Light Yagami si incrociarono per un oscuro scherzo del destino. Quando Rem aveva ucciso Tamura Yoichi non si era data premura di raccontare la cosa a Misa: lei, rifacendosi ai giornali, aveva attribuito come tutti la responsabilità di quella morte a Kira, il giustiziere, il dio del nuovo mondo. Che senso avrebbe avuto rivelarle la verità? Oltretutto, quell’azione era stata frutto ancora una volta di uno stratagemma per aggirare le rigide regole del mondo degli shinigami. Rem non si sentiva del tutto pulita dell’atto compiuto. Si era lasciata trascinare. Non era da lei. Per cui, aveva dato poco peso alla cosa. Con il tempo però Misa si era rivelata una sostenitrice accanita del misterioso quanto letale giustiziere: ogni giorno i giornali riportavano notizie di nuove uccisioni, per mano di Kira, il nome di Kira troneggiava su tutte le edizioni dei maggiori telegiornali. La certezza della pena. Chi sbaglia, pagherà. Queste massime dovevano suonare consolanti per chi come la ragazza aveva subìto nel passato una qualche grave ingiustizia e Misa le assimilava con voracità, orecchie attente alla TV e ai progressi di Kira. Quando Rem capì che Misa avrebbe fatto di tutto per rintracciare il salvatore suo e del mondo, era troppo tardi. Di fronte agli occhi freddi e calcolatori di Light in quella camera divisa tra due shinigami e due umani al tramonto di una non più tiepida sera d’autunno, sentì che una invisibile e letale ragnatela ormai era stata lanciata. La ragazza era, fuor di ogni logica, pazza di lui . .

E poi accadde quel giorno, quando Rem e Misa camminavano insieme lungo il viale alberato che portava dalla casa di Light alla fermata dell’autobus. Un uccellino catturò l’attenzione della ragazza. Era caduto da uno dei rami dove aveva il nido, morto. Misa si chinò su di lui, e pianse. Rem fissò a lungo la ragazza, il suo unico occhio proteso verso di lei. Poi disse lentamente: “Per voi che abitate la terra, la vita è una cosa così breve . . proprio per questo a maggior ragione vi è preziosa. Sono preoccupata per te. Ti sei affidata ciecamente all’umano di nome Light che ti sta usando. Certe volte ho addirittura l’impressione che arriveresti anche a dare la tua vita per lui, se necessario. Perché, Misa?” La ragazza per un attimo si dimostrò sorpresa dalle parole della shinigami. Poi il suo volto si colorò di un largo sorriso: “Ma che domanda stupida Rem mi fai . . e dire che sei una ragazza anche tu. Ma perché lo amo, no?”

* * *

Rem rese il suo essere inconsistente come nebbia per passare al di là del muro: di fronte a lei la solitudine di quella stanza vuota, a pochi metri di distanza dalla sala in cui L stava raggiungendo la sua ultima prova per incastrare Misa Amane e consegnarla alla giustizia: la falsa regola dei 13 giorni, quella dannata regola che, da motivo di salvezza, ora per opera delle perverse manovre di Light, avrebbe condannato Misa a morte. Scrisse con cura l’ultimo nome del suo quaderno di shinigami: L Lawliet. Poi chiuse gli occhi, incurante dei rumori di allarme che provenivano dall’intero edificio. Mentre vedeva il proprio corpo estinguersi in polvere, si chiese infine perché si era spinta a così tanto. E risolse che, se gli umani chiamavano “amore” l’emozione che li spingeva talvolta a sacrificare la propria vita per il bene di un altro, allora lei amava Misa. Persa in quest’ultimo ragionamento, senza più dolore cadde e si dissolse.

  
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