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Autore: determamfidd    19/08/2016    0 recensioni
Bofur e Gimrís non hanno iniziato nel più elegante dei modi, in materia di corteggiamenti.
Una slice-of-life, che parla di una coppia di Nani nervosi, delle loro famiglie e di quanto esilarante e tremendamente imbarazzante possa essere innamorarsi.
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bofur, Bombur, Gimli, Gloin, Nuovo personaggio
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Le Appendici di Sansukh'
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Si svolge dopo il capitolo 7 di Sansûkh.

«Zio Bofur?» Barís batté le palpebre «Il mio zio Bofur?»

«Shhh, sì, tuo zio Bofur» sibilò Gimrís, e poi sistemò un'altra spilla sul corpetto dell'abito nuovo della cantante «Non può essere tanto sorprendente, no?»

«Suppongo di no» disse Barís, chinando la testa «Ma non ci avrei mai pensato. Ecco, lui è sempre stato solo l'allegro Zio Bofur per me.»

«Sì, ma lui è l'allegro Zio Bofur per te» disse Gimrís, e poi fece girare la sua amica sul posto, facendo un passo indietro per ammirare la combinazione dell'abito e dei capelli castani cespugliosi e del viso tondo e allegro. Gimrís era una brava sarta, ma lo detestava e lo trovava noioso. Il fatto che stesse aiutando Barís diceva molto della loro lunga amicizia. «Non vuol dire che sia tutto ciò che è. Mh. Ti dona molto questo colore.»

«Mai avrei pensato» ripeté Barís, e scosse la testa. Aveva recentemente ricevuto un piercing sul labbro per la sua maestria nel cantare, e se lo torturò coi denti mentre osservava la sua amica. «È molto più vecchio di noi.»

«Non mi importa» disse Gimrís, testarda come ogni altro membro della sua famiglia, i capelli rosso acceso gonfi «Non mi importa, potrebbe essere vecchio come la Montagna e non me ne importerebbe nulla.»

Barís sorrise. «Bene, non c'è problema. Scusami – sono solo sorpresa, non volevo essere scortese, Gim. Avete iniziato il corteggiamento?»

Gimrís esitò, e poi si prese la testa fra le mani e gemette. «No.»

«Meglio che iniziate» disse Barís, e si mosse con rigidezza, il corpo dritto per evitare le spille infilate ovunque nel suo nuovo abito di corte. Si sentiva come una statua ambulante mentre barcollava verso la sua amica per darle una pacca sulla spalla.

«Fra tre notti» disse Gimrís, il suono soffocato dalle sue mani «La prima cena di corteggiamento.»

«Buona fortuna, allora» Barís guardò il proprio abito «Ora, potresti aiutarmi a uscire da questa cosa?»


«Duuuunque»

Bofur giocherellò col suo cappello, quasi strozzando l'oggetto fra le sue mani. «Gimrís, ciao» disse.

Poi gemette. «No. Nooooo. Non funzionerà mai. Eh... Gimrís, è meraviglioso rivederti! Ecco, lascia che ti prenda il NO, riprova... Ciao, Gimrís! Bofur figlio di Bomfur, al tuo – NO, per carità di Mahal, sa chi sei. Rilassati, vecchio scemo.»

Si schiarì la gola e torturò un po' di più il suo cappello. Poi si mise un sorriso molto nervoso sul volto e disse: «Ciao, Gimrís. Serata meravigliosa, vero? Che dici se ti prendo il mantello e possiamo fare un disastro sin da subito, eh? Perché non farlo suonare come se intendessi farla spogliare ancora prima di finire di dirci ciao?»

Bofur si fissò allo specchio, e poi abbassò la testa, seppellendo il volto nel suo cappello.

«Devi calmarti» disse una voce alla porta, e Bofur alzò lo sguardo per vedere Bombur appoggiato al suo bastone, che gli sorrideva felicemente.

«Oh, sparisci, piantala di ridere di me» si lagnò Bofur, e si tirò le trecce e incontrò nuovamente il proprio sguardo allo specchio «Sei sposato da cent'anni, non ti ricorderai nemmeno come ci si sente a fare la corte: quanto sia tutto snervante. E poi, tu hai saltato metà dei passi.»

Bombur fece spallucce. «Aye. Abbiamo risparmiato tempo.»

Bofur agitò una mano al proprio riflesso. «E fra noi due tu ti sei preso la bellezza. Cosa posso offrire io a una dama come lei? Sono troppo vecchio per lei!»

«Sarà lei a giudicarlo, direi» disse Bombur, e zoppicò avanti per raccogliere il cappello di Bofur e togliergli la polvere «E non mi sembra sia interessata a nessun altro. Non andrei a fare troppe discussioni, fossi in te – potresti convincerla.»

Bofur si fissò tetramente mentre Bombur gli rimetteva il cappello in testa e spazzolava un'ultima volta la tesa. Era vestito nei suoi abiti migliori – e di questi tempi, il meglio che poteva permettersi era molto bello. Però, non erano comunque splendidi come quelli, ad esempio, di Balin. Bofur non pensava che avrebbe mai superato un certo panico interiore ogni volta che spendeva più di un paio di monete per dei vestiti, per il naso di Telphor. La povertà era un'abitudine difficile da perdere, anche per uno dei Nani più ricchi di Erebor.

Quindi era vestito in una giacchetta (che si era obbligato a comprare) rossa e marrone, abbottonata su una camicia a collo alto grigia con delle belle decorazioni verdi sui polsini, e pantaloni marrone scuro. Gli stivali erano opera di Alrís, ed avevano un ammirabile decorazione in pelle in alto ed erano coperti di lana di capra attorno ai polpacci. Gli piacevano molto, anche se non erano lussuosi come alcuni che aveva visto nei mercati di Dale.

Non era sicuro per la sciarpa. L'inverno era vicino, ma la sua sciarpa era consumata e stava sbiadendo. Troppo tardi per uscire a comprarne una nuova.

E poi c'era il suo cappello.

«Sembro un idiota di mezz'età in questi vestiti» disse tristemente.

«Stai benissimo» gli rispose gentilmente suo fratello minore, e diede una pacca sulla spalla di Bofur «Vai.»

«Ho del grigio nei baffi ormai» disse Bofur «Pensi potrei nasconderlo mettendoci su del lucido per stivali?»

«Lucido per stivali nella tua barba!» Bombur alzò la voce al di sopra di un sussurro per la sorpresa «E lasciarla con lucido per stivali attorno alla bocca?»

La mente di Bofur divenne confusa. «Eh...?

«Non metterti lucido per stivali in nessuna parte della tua faccia, nadad» disse Bombur, e schioccò la lingua un paio di volte e poi si leccò le dita e arrotolò i baffi di Bofur finché non furono abbastanza acuminati da poter cavare un occhio a qualcuno. «Ecco. Sembri una miniera di diamanti, sì. E il grigio è bello, è distinto.»

«Lei è bellissima. È così intelligente. Non ha nemmeno cento anni» disse Bofur, e si strofinò gli occhi «Non posso farlo, non posso farlo.»

«Va bene allora» lo tranquillizzò Bofur, spingendo dolcemente Bofur verso la porta «Come hai detto tu, non puoi farlo. Fammi un sorriso, eh?»

Bofur sorrise.

Bombur sembrava un po' preoccupato quando diede un pacca sulla spalla di Bofur. «Ecco, almeno non hai niente fra i denti.»


«Dov'è!»

Crash.

«Durin mi salvi, dov'è il mio pettine d'oro!»

«Gimrís, calmati!»

«Calmarmi?» sibilò, e si voltò verso Gimli il quale alzò le mani con tutta la cautela di cui era capace.

«Volevo solo dire, è là sotto il tuo libro» disse «Ne vedo il bordo.»

«Oh» Lei spostò il libro aperto sul suo comodino (“Malanni della Gola e del Naso, di Óin figlio di Gróin) e lì effettivamente era il suo piccolo pettine d'oro «Oh, grazie a Mahal.»

«Ringrazia me, piuttosto» Gimli rise, e fece un passo avanti e alzò l'enorme pesante corda che erano i capelli di Gimrís. Le ricadevano fin oltre le ginocchia, rossi come il fuoco, era una massa pesante e riccia quasi impossibile da domare anche se era l'invidia di tutta Erebor. «Vuoi una mano?»

«Non saresti capace di farmi i capelli nemmeno con un coltello alla gola» disse lei, e si tirò indietro i capelli «Sai a malapena quale parte della spazzola si usa.»

«Sei esilarante. Posso spazzolarteli se tu li sistemi» disse Gimli, alzando la testa.

Gimrís guardò il caos che il suo panico aveva causato. La sua stanza era un disastro, e così era lei. Metà del suo tavolo era per terra, e i suoi capelli erano ancora legati in una treccia da lavoro. Aveva indosso solo una sottoveste, e il suo abito era ancora sul letto pronto per essere indossato. Non si era nemmeno messa i suoi orecchini o il gioiello al naso!

Si sedette pesantemente su uno sgabello, e l'aria improvvisamente era molto sottile e difficile da respirare. «Non sono pronta!» ansimò.

«Gimrís» disse Gimli cautamente «Ecco, non posso fare molti danni se mi limito a spazzolare mentre tu ti metti gli anelli, eh?»

«Gimli, testa grassa, non mi hai sentito? Sarò in ritardo, sarò tanto in ritardo, oh, cosa penserà di me!» riuscì a dire lei, e la sua voce suonava alta e acuta alla sue orecchie.

«Penserà, e a ragione, che sei la Nana più irritante e fastidiosa che abbia mai camminato nelle sale di Erebor» disse Gimli con totale solennità, e si abbassò, ridendo di cuore mentre lei lo fulminava e cercava di colpirlo «Ora sta ferma, namadith, o finirò con lo strapparti i capelli piuttosto che pettinarteli.»

«Non sapevo tu sapessi usare una spazzola» rispose lei automaticamente, più che altro per abitudine che per vera irritazione. Comunque, Gimli era stranamente indifferente ai suoi capelli per un Nano, un fatto che era stato una miniera di materiale per una sorella minore con la lingua tagliente.

Lui sbuffò ora, e iniziò a slegare i lunghi nastri che le tenevano legati i capelli, prima di passare la spazzola solo sulle punte, salendo mano a mano lungo la gran massa di capelli. Stava usando la lunga spazzola che era l'unica cosa che riuscisse a passare fra i ricci di lei, e ogni tanto la intingeva in un bicchiere d'acqua per impedire che i suoi capelli divenissero crespi. «Mettiti gli anelli» disse distrattamente. Gimrís era ancora confusa, e l'avrebbe usato come scusa per fare come le disse: mettendosi sulle orecchie i suoi orecchini preferiti e decorandosi il naso con un gioiello blu acceso.

«Va bene, vuoi una treccia a quattro ciocche?» disse Gimli infine, e Gimrís alzò lo sguardo dagli anelli sulle sue dita. I suoi capelli erano completamente slegati, e la circondavano come una nuvola. Gimli li aveva anche oliati da metà in giù, e scintillavano lucidi e luminosi come sangue.

«Lascia stare» si udì dire, e le sopracciglia di Gimli si alzarono.

«Farai molta fatica a rimetterli sotto controllo» la avvisò.

«Allora... allora intrecciamo solo la parte superiore» disse lei, e alzò le mani «Voglio indossare il mio pettine d'oro... oh, dov'è ora...»

«Vicino al tuo gomito» disse Gimli, e si allontanò per lasciarla lavorare.

Lei lottò con i suoi capelli per un momento, e poi le mani di Gimli si poggiarono sulle sue. Quelle di lei erano lucide per le bruciature in certi punti per il lavoro col vetro, ma quelle di lui erano dure come granito per l'addestramento e il minare. «Li stai annodando» disse lui, la voce stranamente dolce «Ecco. Potrà non piacermi farlo a me, ma so come si fa.»

Lei incrociò i suoi occhi nello specchio dell'armadio, e lui le sorrise incoraggiante. «Va bene» disse lei, e suonava giovane e nervosa. Gimli le raccolse di nuovo i capelli e si mise al lavoro. Quando li ebbe sistemati tutti dietro la sua nuca lei esclamò: «Cosa ne pensi?»

Lui aggrottò le sopracciglia, e la guardò. «Di cosa?»

«Di...» lei agitò una mano vagamente. Gimli sembrò comprendere il messaggio però, e chinò la testa, ghignando.

«Penso sia grandioso»

Lei batté le palpebre. Cosa, nessuna presa in giro? «Davvero?»

«Aye» Gimli le legò un'ultima piccola treccia davanti all'orecchio, prima di prendere il pettine d'oro e sistemarlo con cautela fra la ricca chioma rossa dei capelli di lei. Era fermato sopra a un nodo di trecce che la aveva fatto dietro la nuca, il quale poi ricadeva in una lunga coda di ricci slegati lungo il collo. «Davvero.»

«Oh» lei si guardò per un momento o due, e poi deglutì «E se non gli piaccio?»

«Gimrís» disse lui seriamente, e le mise le mani sulle spalle «Gli piaci già.»

Lei odiava quanto sciocca suonasse quando chiese, ancora: «Davvero?»

Gimli alzò un sopracciglio. «No, sono tutte menzogne. Ha dei piani per una cena con un'altra Nana. È una intelligente, furba, bellissima, irritante vetraia e apprendista guaritrice di nome Gimrís.»

Lei lo colpì con la spazzola.


«Dovrei portarla da Bofur, pensi?»

«Glóin»

«Solo per assicurarmi che stia bene, sai. Non mi metterei in mezzo. Solo per assicurarmi che stia bene»

«Glóin»

«Me ne andrei subito!»

«Glóin»

«E già che sono lì, potrei prendere l'opportunità di dire una parolina all'orecchio di Bofur. Solo noi vecchi amici, aye?»

«Glóin»

«Solo una parolina amichevole. Fra amici. Perché siamo tutti amici, eh?»

Mizim si massaggiò la base del naso. «Glóin.»

«Non lo minaccerei! Solo un piccolo – ricordo. Trattarla bene, quel genere di cose. Non farò vergognare nostra figlia di me! Per chi mi prendi!»

«Glóin!»

«Ma è meglio che la tratti come una regina. È tutto quello che dico. Solo per assicurarmi che lo sappia»

«GLÓIN!»

Glóin alzò lo sguardo dalla pipa nella quale stava borbottando. «Gioiello?»

Mizim sospirò e si tirò la barba pallida, alzando gli occhi al cielo. «Mahal ci salvi dall'idiozia della Linea di Durin. Tu rimani qui, vecchio orso. Gimrís è in carico della propria vita, e Bofur è già abbastanza nervoso così.»

Glóin borbottò qualcosa nella vasta barba per un momento, gli occhi ribelli.

«Glóin!»

«Aye, gioiello della mia vita» disse lui infine, e le sue spalle si abbassarono.

«Così, amore» disse lei, e gli diede un bacio sulla testa.

«Sono pronta»

Gimrís era sulla porta, ed era – beh, agli occhi imparziali di Glóin, era la ragazza più bella che mai avesse respirato. Gimli le era alle spalle, capelli spettinati e grosso e ghignante.

Il cuore gli si strinse, come sempre succedeva quando li guardava. Robusti e forti e intelligenti, i suoi bambini.

«Oh, tesoro» disse Mizim commossa, e andò da Gimrís e le baciò la guancia, prima di lisciarle i folti ricci rossi sulle guance «Oh, la mia bambina...»

«Smettila. Per favore» disse Gimrís, a disagio, e diede una gomitata allo stomaco di Gimli, che fermò la sua risata improvvisamente «Spera di non dover mai fare nulla del genere, nadad.»

«Sei meravigliosa» disse Mizim, e si asciugò gli occhi cercando di non farsi notare «Divertiti, tesoro mio.»

«Vuoi che ti accompagni?» disse Glóin, alzando il mento. Gimrís parve terrorizzata. «Bene, suppongo sia un no. Solo. Solo... divertiti» si schiarì la gola e aggiunse: «dì a Bofur che dico ciao. Diglielo. Ciao Bofur, ho detto. Da Glóin figlio di Gróin. Specificamente.»

Poi abbassò la testa e strinse le labbra attorno alla sua pipa, fumando come una fornace imbronciata. Mizim trattenne un sospiro.

«Divertiti, cervello da troll» disse Gimli, e le tirò i capelli.

Gimrís sembrava a corto di parole, ma l'insulto familiare la fece sobbalzare e tornare se stessa. «Ci vediamo, faccia da goblin» disse istintivamente, e corse alla porta «Non aspettatemi alzati!»

«Cosa intendi con-» fu l'ultima cosa che udì suo padre dire, prima che Mizim chiudesse la porta.


«Ciao, Gimrís» disse Bofur, e cercò di sorridere. Gli sembrava più una smorfia, e si sgridò mentalmente. «Benvenuta.»

«Bofur» disse lei, e il suo volto divenne rosso e rosso e oh, i suoi baffi erano tutti pettinati e lei voleva attorcigliarli attorno al proprio dito «Eh.»

«Oh! Oh, entra, e siediti. Posso prenderti la... ahhhh. Beh. Non hai una giacca o un mantello, ecco, è una cosa in meno dalla lista» disse Bofur, e sapeva che stava balbettando. SMETTILA, ENORME IDIOTA, STAI PER FARE UNA FIGURA ORRENDA si urlò nella testa, ma non sembrava riuscire a smettere. «Siediti, siediti – oh, l'ho già detto. Bom ci sta facendo la cena, uscirà dalla cucina fra un momento, posso prenderti qualcosa intanto? Vuoi qualcosa da bere?»

Oh, lui è... è nervoso quanto me pensò Gimrís meravigliata, ed entrò nella casa in una sorta di silenzio imbarazzato. La stanza in cui si trovò era calda e piacevole e piena di cose. C'erano dipinti sui muri in schemi Vastifasci, e un vecchio piccone da minatore era sopra il camino. Un dipinto meravigliosamente dettagliato di un Nano era al posto d'onore sopra al tavolo: un tipo robusto con capelli bianchi e neri e un classico naso Vastifascio e uno sguardo stranamente fisso.

Sembrava una stanza che era stata ripulita in fretta dal suo abituale caos, piuttosto che una stanza che era normalmente in ordine. Tutto era un po' troppo pulito perché fosse il suo stato naturale.

«Papà dice ciao» disse lei, in mancanza di altro. IDIOTA! tuonò il suo cervello. Non potevi dire qualcosa delle stanze? Sono piacevoli! Lui è piacevole!

Lui è troppo piacevole, è per questo che non hai nulla da dire sussurrò il suo cervello, rispondendosi da solo. Lei decise di non pensare più del tutto. Evidentemente non era utile.

Bofur parve incerto. «Uh. Sedia? Bicchiere?» disse ancora, e si stava torturando il labbro inferiore. Aveva i denti storti, notò Gimrís, ed erano adorabili.

«Eh» disse lei ancora, e si voleva picchiare in testa con uno stivale. Intelligente dici, fratello? Mi piacerebbe. «Qualcosa da bere non sarebbe male» disse infine, e gli sorrise. Il suo intero corpo sembrava energizzato, vivo alla presenza di lui.

Se solo la mia mente non si fosse bloccata il secondo che mi ha sorriso!

Bofur annuì rapidamente e quasi corse dalla stanza. «Bere, bere, bere, bere, bere...» borbottò, e le sue mani si scontrarono con i bicchieri e la caraffa che Bombur gli aveva lasciato. Aveva scelto un vino buono e insolito – nulla di terribilmente elegante, non come quelli che Balin e Óin amavano tanto – dall'ultimo vigneto di Dale. Bofur aveva fissato l'etichetta finché l'avrebbe potuta recitare a memoria.

La sua mano gli tremava mentre lo versava, e dovette appoggiare il palmo contro il mobile per fermarsi.

Lei era così bella. Così bella. E quei capelli...!

Gimrís si premette le mani sul volto in fiamme, cercando di raffreddarlo. Nulla da fare. Il suo cervello era ancora spettacolarmente inutile. Tutto quello che voleva fare era esclamare quanto stretta sembrava essere quella giacca; troppo nuova, e quindi non si muoveva con il corpo di Bofur e lo stringeva suggestivamente nei punti dove non era ancora morbida e larga. E quei baffi...! Si strofinò la fronte per un momento, e poi si lasciò cadere su una sedia.

Qualcosa si ruppe sotto di lei.

Lei si bloccò. Poi si alzò, muovendosi fluidamente come un ghiacciaio. Si girò con lento terrore per guardare al piccolo modellino in legno di balsa schiacciato, dipinto in colori accesi, che era stato innocentemente sulla sedia. «Oh no» disse lei piano, e raccolse la povera cosa. Le schegge schioccarono rompendosi.

C'era voluto un sacco di lavoro per fare quella cosuccia.

Forse poteva nasconderla sotto il tavolo? No. No. Non era degno di lei.

Lei fece una smorfia, e abbassò la testa. «Che inizio fantastico per la serata» si disse acidamente, e andò a cercare Bofur per scusarsi.

Bofur prese i due bicchieri e fece un respiro profondo. «Giusto. Giusto. Giustogiustogiustogiusto-» Ancora parlando, si volse con nuova determinazione verso la porta della sala da pranzo, e si scontrò con qualcuno. Il vino cadde ovunque.

«Ah!» esclamò il qualcuno, e qualcosa di duro e colorato volò in aria e colpì Bofur fra gli occhi.

Lui fece un “Guh!” cadendo indietro contro il muro. Il vino che era rimasto nei bicchieri gli volò direttamente in faccia.

Il mobiletto tremò, e lentamente – così lentamente, e con una sua certa grazia – cadde con un enorme crash!

Il suono di vetro tintinnante svanì, lasciando dietro una soffocante atmosfera di imbarazzo.

Bofur si levò il vino dalle ciglia per vedere Gimrís seduta sul pavimento, l'abito macchiato di rosso e bagnato e incollato a lei. Il vino le era finito nei capelli e sul volto, e le aveva attaccato le basette alle guance. Sembrava mortificata.

«Quello» disse Bofur confuso «aveva retrogusto di ribes nero e quercia e matita temperata, probabilmente. Dalla fattoria di un qualche tipo vicino a Dale, non mi ricordo il nome ma era un vino d'annata.»

Gimrís lo fissò per un momento, e poi esclamò: «di certo ha fatto un casino dannato.»

Bofur la fissò.

E poi lei iniziò a ridacchiare. «Scusa» ansimò, e si mise una mano sullo stomaco «Io... le tue trecce stanno cadendo, sembrano così tristi! Ho schiacciato il modello, è stato un incidente – mi dispiace molto, era sulla sedia e non ho guardato...»

«Aspetta, hai detto un casino dannato» la interruppe Bofur, un ghigno enorme sul volto.

Lei rise di più, gli occhi marroni luccicavano. «Sì.»

«Quindi, il mio povero piccolo drago giocattolo, stava distruggendo qualcosa?» Bofur iniziò a ridacchiare, e lei scosse la testa, il vino le correva lungo il collo mentre rideva.

«In verità è arrivato a una fine molto improvvisa e piatta» disse lei, e ghignò. Bofur rise fragorosamente.

«Che schiacciante batosta!»

«Non fu la testa che lo annientò!»

Bofur cadde indietro, tenendosi il capello. Gimrís si piegò sulle ginocchia e si tenne lo stomaco mentre ridevano e ridevano assieme.

Bofur si sedette infine, e si asciugò gli occhi. «Ah, siamo un disastro» disse, e scosse la testa. Non riusciva a levarsi il ghigno dalla faccia. Non aveva saputo che lei fosse divertente. Come aveva fatto a non saperlo?

«Potrebbe essere andata peggio» disse Gimrís, e scosse la testa «Oh, pinze e martelli, la mia pancia. Ebbene, siamo durati ben cinque minuti prima di fare un disastro. Dev'essere un qualche tipo di record.»

«La corte più breve di Erebor!» il ghigno di Bofur divenne un sorriso, e le si avvicinò «Canteranno canzoni su di noi, eh?»

«Cantano già canzoni su di te» disse lei, abbassando la testa, timida d'improvviso. Si rigirò le dita nei capelli fradici di vino. Lui gliele tirò via dolcemente.

«Cantano canzoni sulla Compagnia, aye. Branco di vecchi idioti idealistici che non eravamo altro» Le tracciò una cicatrice di una bruciatura sulla mano col pollice, e poi le strinse la mano fra le sue «Gimrís, tu sei ancora giovane, sei...»

Lei si lanciò in avanti e lo baciò.

Era piuttosto come essere colpiti con la bocca di qualcun altro. Lei strinse le labbra fra di loro come acciaio, e poi le premette contro quelle di lui, come sfidandolo a tirarsi indietro. Lui batté le palpebre per la sorpresa, prima di infilarle una mano fra i ricci setosi sulla guancia e aprire la bocca contro quella di lei.

Lei fece un suono sorpreso, e poi lo imitò.

Lui perse cognizione del tempo, seduto sul pavimento con vino in pozze attorno e vetri rotti lasciati in giro. Gimrís sembrava abbastanza contenta, però, e non faceva attenzione a nulla che non fosse lui.

Beh, quello gli andava più che bene.

«Sei un dolce vecchio sciocco se pensi che mi spaventerai» disse lei piano, e appoggiò la testa contro quella di lui. Così vicina, poteva vedere le screziature più chiare negli occhi di lui, come topazi, e le piccole rughe attorno alle sue labbra di milioni e milioni di sorrisi. «I tuoi draghi non mi spaventano, Bofur. Mi siedo su di loro e basta.»

Lui rise ancora, e la baciò e la baciò, e sapeva di essere felice, sapeva di essere totalmente perso, sapeva di aver trovato finalmente ciò che per tanto tempo aveva cercato. «Oh, sei un rubino, sei» mormorò «Il mio rubino.»

Bombur si fermò sulla porta, e poi cautamente e il più silenziosamente possibile, si allontanò.


«Gimrís – lacrime di Mahal!»

«Shhh!» sibilò lei, ed entrò dalla porta della cucina. La bocca di Gimli era spalancata in assoluta meraviglia notando lo stato in cui era lei. «Non svegliare amad e adad!»

«Cos'è successo?» disse Gimli, fissandola, gli occhi enormi. Lei sapeva di essere una visione tremenda: i suoi capelli erano un disastro, anche peggiori di quelli di lui, ed indossava solo una vecchia giacca di Bofur, le sue scarpe e i suoi gioielli. Il suo abito fradicio che odorava di vino era nelle sue braccia. Lui andò a strofinarle le spalle, cercando di scaldarla.

«Ha fatto cadere il vino, ecco tutto!» gli allontanò le mani «Sto bene, nadad, piantala! Mi sono divertita molto. Lo vedrò di nuovo da Nori domani. Sa suonare il flauto, lo sai? Mi porterò le mie scarpe da danza, gli mostrerò qualcuna delle nostre mosse migliori.»

«Non penso da Nori sia il posto adatto alla danza con l'ascia» disse Gimli debolmente, e poi le indicò la bocca «Sei, eh.»

La mano di lei si alzò, e lei arrossì quando sentì la debole irritazione attorno alle sue labbra. «Um.»

«Um» confermò Gimli «Allora?»

Lei sorrise e si sedette. «Ho rotto un drago, e c'era zuppa di gnocchi Vastifascia. Fatta da Bombur» disse, e poi sospirò beatamente e guardò nulla di particolare «E il vino era di Dale prima che ci finisse addosso. Lui canterà per me. Conosce un sacco di canzoni. Era molto povero una volta. Ha dei bei capelli. E canterà per me.»

«Ciò è... carino» disse Gimli, e non sembrava sapere cosa fare di una sorella felice e sognante al posto di una acida e sarcastica. «Forse dovresti farti un bagno prima di andare a letto, che dici? Puzzi.»

«Tu puzzi» rispose lei sognante.

«Andiamo, namad, ora della nanna» La fece alzare, e la guidò verso la stanza da bagno «Puoi dirmi di più domattina, eh? Non tutto, però» aggiunse lui rapidamente.

Lei rise. «Non tutto, no. Canterà per me, te l'ho detto?»

«Sì» disse lui, e sembrava essere divertito piuttosto che allarmato «Penso sarebbe piuttosto fastidioso, avere sempre qualcuno che ti canta.»

«Non se è la persona giusta a cantare» rispose lei, e gli piantò un dito nella pancia «Non se è la canzone giusta.»

«Mi fiderò della tua parola» disse lui, e la spinse nel bagno prima di scuotere la testa.

Onestamente, chi vuole sentire gorgoglii tutto il giorno? Tanto varrebbe fare la corte a un elfo, con quei gusti.

FINE

(Durante il loro matrimonio, Bofur mise un piede sull'abito di Gimrís e lo strappò.

Inoltre, un maialino corse per la sala nel bel mezzo dei voti, squittendo a gran voce. Tutti gli invitati cercarono di catturarlo, lanciandosi dietro alla piccola bestia veloce, rotolando sul pavimento nei loro abiti migliori.

Gimrís e Bofur risero tanto che riuscirono a malapena a finire le parole.)

   
 
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