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Autore: Norgor    21/08/2016    3 recensioni
« Pare sia lecito considerare sintomo di una buona educazione, nonché prova sufficiente di una raffinata estrazione sociale, l'indossare un corsetto nella maniera più diligentemente consona e con l'eleganza più perentoriamente accettabile. »
Verona, 1819. L'irrefrenabile desiderio di ribellione nei confronti di una società dalle radici inique; quella cinica arroganza frutto di un'erudizione ambiziosa vissuta come un appiglio indispensabile per non precipitare nell'oblio; l'avversità nei confronti di un mondo scomodo e opprimente che sembra fare di tutto per apparire inospitale. Tutti questi tratti confluiscono nella figura di Doralice Guerra, una tredicenne dalla mentalità talmente inusuale da risultare distorta, dall'atteggiamento talmente anticonformista da apparire non solo indecoroso, ma addirittura malavitoso in quella nobiltà ottocentesca basata sull'etichetta. Doralice deve imparare a crescere in un ambiente che non fa per lei, divenire usa ad abitudini che disprezza categoricamente e moderare il suo pensiero all'ipocrisia da cui è circondata. Altrimenti, con l'andare del tempo, le conseguenze del suo libertinaggio potrebbero condurla su un sentiero fin troppo pericoloso e corroderla ad un livello talmente intimo da spingerla a decisioni estreme ed indelebili.
Genere: Introspettivo, Storico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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L’ingannevole pace dei sensi.

 

 

I

 

            Pare sia lecito considerare sintomo di una buona educazione, nonché prova sufficiente di una raffinata estrazione sociale, l'indossare un corsetto nella maniera più diligentemente consona e con l'eleganza più perentoriamente accettabile. 
              
Ma al di sotto di quel verdugale avvilente, con le esili gambe tremanti come leggeri giunchi scossi dal vento, Doralice Guerra non poteva essere più in disaccordo; nondimeno, infatti, ai suoi occhi pareva molto più efficace, e decisamente più semplice, considerarlo un'ingegnosa macchina da tortura: un deliberato complotto, frutto di un tacito accordo planetario, in base a cui ad una donna non fosse permesso né di camminare né di respirare senza la costante rimembranza della propria inettitudine e la degradante consapevolezza della propria fragilità. 
             
« Il reale temperamento di una donna è specchio del suo garbo nel presentarsi e della sua classe nell’esprimersi » le ripeteva spesso la madre, le mascelle contratte in un’espressione di franco rammarico. Doralice in cuor suo non ne era molto convinta, e i costanti dolori fisici provocati dai vimini del guardinfante contribuivano spesso ad alimentare questa sua riluttanza. Possibile che le uniche virtù di una donna potessero manifestarsi esclusivamente nella sopportazione e nella sofferenza; che una donna fosse in grado di acquisire rilevanza solamente per il vestiario a lei adibito? Di fronte a queste domande, le proverbiali ammonizioni morali della madre venivano spesso offuscate dal pragmatismo e dalla concreta logica di mercato che aveva ereditato dal padre, dando vita ad un pensiero critico colmo tanto di buonsenso quanto di arroganza. E la dignità? Quell’impavida agevolezza che di norma all’uomo era già garantita, perché mai la donna era tenuta a faticare per ottenerla?
               
Cullandosi in tali ragionamenti artificiosi, durante una fresca mattinata di aprile, Doralice non si era resa conto dello scorrere del tempo e, nel momento in cui si rammentò che la sua assenza non sarebbe di certo passata inosservata, accarezzò il soffice manto erboso del suo giardino per un’ultima volta e diresse i suoi passi verso casa. Nell’attraversare l’infinito verde sconfinato che aveva dinnanzi a sé, sofficemente inebriata dalla frescura del vento primaverile, ella gioiva della sua sola compagnia. La solitudine, tanto aberrata da chiunque fosse ben disposto verso un intrattenimento sociale, era per lei fonte di riflessione e motivo d’ispirazione, e tutti i rapporti confidenziali da lei mai accuratamente analizzati, fondati su un fastidioso perbenismo ed un’amara ipocrisia, demolivano la spontaneità che rende invece quelli fra sconosciuti di gran lunga più interessanti. Al contrario di chiunque altro, Doralice considerava la solitudine un vero privilegio, l’opportunità di confessarsi nell’intimità più profonda e di mantenere una purezza che il contatto esterno avrebbe fatalmente imbruttito. L’interazione, dunque, non era altro che una rovinosa irruzione nell’equilibrata perfezione dell’essenza in quanto tale; una raffica di vento che, sebbene non sia in grado di smuovere una montagna, ha tuttavia buone possibilità di provocarne un cedimento franoso. 
               
Il frastuono di una convivialità organizzata invadeva l’aria con insistenza sempre più caparbia al suo approcciarsi verso l’ingresso, il fiato lievemente provato dall’ingombranza del suo abito. Sua sorella Eleonora, nota per l’incredibile bravura nell’infastidire le persone  e  l’altrettanta solerzia nel corromperne la volontà, non appena riconobbe il suono dei suoi passi, le si avvicinò con un portamento così altezzoso ed un’imperiosità così civettuola, da costringerla a soffocare un riso con un fazzoletto di seta. 
               
« Sai, cara sorella, devo proprio dirtelo » proferì con un sorriso carico di malizia. « Fino a che passeggerai come se avessi degli urgenti problemi di stomaco, non sono sicura che riuscirò a prenderti sul serio! »
          
« La serietà non è mai stata la tua qualità più accentuata » ribatté Eleonora arcuando le sopracciglia. « L’etichetta impone rigidi modelli di comportamento, e ti suggerirei di provare ad assecondarli, considerata la situazione delicata in cui ci troviamo ». 
              
« Non capisco come papà sia stato disposto a sopportare una tale fatica, solo per rivedere il proprio titolo nobiliare scritto davanti al suo nome sui documenti ufficiali1 » confessò Doralice, seguendo la sorella verso la rientranza nel giardino posteriore. « A volte rimango basita di fronte agli sforzi che le persone fanno solamente per incontrare l’approvazione o l’interesse degli altri ».
               
« Tu pensi troppo » constatò la sorella. « E sarebbe meglio che queste considerazioni oltraggiose le tenessi tutte per te. Il nostro povero padre! Dio solo sa quanto ha sacrificato per conservare onore al nostro nome. Il minimo che tu possa fare è dimostrare gratitudine e riconoscenza! ». 
                
« Non sono usa a ringraziare per ciò che non desidero » replicò testarda. « E non aspettarti che prenda il vizio di camminare in questo modo solo per accaparrarmi il favore di gente che non conosco ».
               
Il tramestio dei grilli ed il profumo delle primule si erano fatti sempre più intensi con il procedere verso il gazebo principale. Le due continuarono a dedicarsi ai battibecchi per una manciata di minuti, fino alla comparsa del resto della famiglia. Guardando di sottecchi la sorella, rigida dentro quel completo asfissiante, Doralice si sentiva terribilmente impotente nella costrizione ad amare qualcuno con cui tanto raramente concordava per ideologia o conciliava per decisioni. La sorella era l’ennesima testimonianza di quella manchevolezza d’identità che riscontrava nella sua famiglia. Più si guardava intorno, più si percepiva come un’isola giudiziosa in un mare di falsità superficiale. La sua quotidianità le risultava scomoda e forzata; l’insieme di buone maniere che gli altri amavano dispensare, forse alla ricerca di congratulazioni silenziose, le parevano immotivate e prive di senso. Sbagliava, forse, a ritenere che tali manifestazioni costruite potessero danneggiare qualsiasi limpida sincerità nel rapportarsi? 
                
Doralice fu costretta a concentrare la sua attenzione altrove per distrarsi da quei pensieri e, una volta che tutta la famiglia ebbe preso posto attorno al sontuoso tavolo da giardino, la colazione fu servita. Adele, la governante della villa2, aveva arricchito il desco con un abbellimento esteticamente apprezzabile, ma concretamente inutile: nessuno, infatti, sarebbe mai riuscito a svuotare ogni vassoio senza denunciare un malore intestinale. 
               
Doralice, suo malgrado, si ritrovò seduta di fronte la madre. Clotilde Pindemonte3 era nota in primo luogo per l’espressione di costante alterigia che riservava anche al più caro fra i suoi adulatori; e le gentilezze di cui si faceva vanto ogni qual volta fosse opportuno dimostrarle, non riuscivano tuttavia ad annebbiare la sua personalità tirchia ed austera. L’impassibile compostezza del suo busto e la rigidità maniacale del suo viso, impallidito dalla cipria, erano fonte di irritazione per la figlia; l’unico lato ad accomunare le due era quella risoluta ed orgogliosa punta di arroganza, che però si palesava in circostanze ben differenti. 
               « Vedo che hai ritenuto opportuno rendere nota la tua esistenza » la provocò con voce nasale, assumendo un cipiglio ancora più inflessibile. « Lo sai che non apprezzo le tue scampagnate solitarie. Vista la tua età e le tue strane idee, qualcuno potrebbe iniziare a pensare male di noi, se ti lasciamo libera di andare dove ti compiace senza opposizione alcuna ».
                
« Non sia mai che il buon nome dei Guerra venga intaccato dal pregiudizio villano e dalla stupidità del volgo » le fece eco Doralice, sospirando. 
            
« Piccola impertinente! » fu l’esclamazione che proruppe dalla bocca di Eleonora, lo sguardo infiammato per l’ira, le gote accese per l’imbarazzo di fronte a una simile deplorevolezza. « Come osi rivolgerti a tua madre in questo modo? »
            
« Il tacchino sembra ottimo, Adele! » esclamò d’improvviso il padre, costringendo Doralice a nascondere il brivido di piacere nel vedere la sorella maggiore in collera. « Le mie più vivide congratulazioni! »
             
Rolando Guerra, impettito nel suo abito da nobile decaduto quale era stato, per lo meno, fino a poco tempo prima, sedeva rilassatamente in fondo al tavolo, alla sua destra. La fronte sempre corrugata, impegnata in qualsivoglia ragionamento, era il primo dettaglio che si leggeva nella sua apparenza ferrea ma disinvolta, nel suo modo di fare gentile ma fin troppo sicuro. Sul suo volto era solita trovarsi un’aria di placida serenità, una maschera di cortesia che raramente lasciava il posto a rughe di preoccupazione o segni d’insicurezza. La sua barba odorava sempre di un lezzo di tabacco, che rendeva assai faticoso e snervante ogni tentativo di conversazione con lui; Doralice non lo vedeva di buon occhio per l’eccessiva assenza come padre e l’indecoroso vittimismo come uomo, ma appoggiava la costante testardaggine che dimostrava nel voler raggiungere i suoi obbiettivi, nonché l’altrettanto vivida bramosia nella convinzione di riuscire a mantenerli. 
                « La ringrazio, signore » rispose la governante con un inchino ossequioso, allontanandosi in uno svolazzare silenzioso di sottane. 
              
Doralice non poteva fare a meno di compiacersi dei metodi sempre cortesi e professionali di Adele, della sua tenace intraprendenza nello svolgere le mansioni di casa e specialmente del suo desiderio di cultura, da sempre per lei causa di fascino. In una famiglia in cui l’istruzione era di secondo piano rispetto all’immagine, Doralice era la sola ad apprezzare il valore di un libro stampato, e l’idea che una semplice domestica provinciale possedesse un livello di erudizione superiore a quello dei suoi familiari era quantomeno umiliante. 
              
Guardandosi attorno e notando l’indefesso sciupo emanato dalle persone accanto a sé, quell’anonimo e tedioso grigiore dovuto alla monotonia della sua vita, Doralice non si lasciò sfuggire l’occasione. 
                
« Quale briosa vivacità che possiede la nostra Adele! Nonostante l’onere ingente rappresentato da tutte quelle commissioni che voi le ordinate di fare, riesce comunque ad accaparrarsi del tempo da dedicare alla compagnia di un buon libro. Non è forse così, madre? »
              
Eleonora strabuzzò gli occhi. Clotilde, intenta fino a quel momento a servirsi del riso dal vassoio adiacente, ritrasse istintivamente la mano e fissò lo sguardo acceso sulla figlia. 
             
« Indubbiamente » ne convenne con rigidità dopo qualche attimo. « Non è un passatempo assai raro, fra la gente di rango inferiore, la lettura di romanzi che possano in qualche modo accostarli alla classe nobiliare. Ma come spesso sosteneva mio padre, non c’è niente di peggio di un buon libro per attrarre le persone, prive di qualsiasi importanza, nella convinzione di poterne mai avere ». 
           
« Per come la vedo io » ribatté Doralice, « non c’è niente di meglio di un buon libro per dare un senso ad una vita di agi e frivolezze o, nel caso contrario, per denotare l’insignificanza della classe nobiliare agli occhi anche del più inferiore dei ranghi ». 
            
« Gli insegnamenti tratti da un libro passano in secondo piano, se colui che intende assorbirli non possiede un’educazione di base ed una prassi adatta nel comportarsi » insistette la madre, alludendo alla sua costante ostinazione.
             
« Al contrario, credo che il sapere acquisito da un romanzo offra una gnoseologia ed una lucidità tali da mettere in discussione quella prassi stessa, e da evidenziare quanto un’educazione di questo genere sia tuttalpiù irriverente verso la natura umana ».
            
« Ma insomma, che cosa ti prende! » proruppe nuovamente Eleonora. « Da quel che si evince dal tuo atteggiamento, i libri sono utili solo nell’accrescere il tuo ego di altrettanta insolenza e arroganza!»
            
« Anch’io voglio leggere un libro, mamma! » s’intromise una vocina puerile proveniente dall’estrema sinistra del tavolo. 
           
Doralice volse lo sguardo, improvvisamente ricco di sincera compassione, verso il fratellino Federico, gli arti fin troppo deboli stiracchiati sulla tovaglia di pizzo. Il colorito smorto e pallido della sua pelle, in concomitanza con l’inusuale rigidità del corpo, davano l’idea di un pargolo cagionevole di salute e niente affatto abituato a restare fuori di casa per un lungo lasso di tempo. L’espressione di muta sofferenza che spesso gli adornava il volto contribuiva a diffondere un’aria di premurosa apprensione, mista ad un soffuso terrore, ogni qual volta si trovasse a compiere un gesto improvviso che, sebbene nell’ordinario, alla lunga avrebbe potuto essergli fatale.
            
« Tesoro, ti pregherei di non prestare ascolto a tali ingiuriose influenze » gli disse amorevolmente Eleonora, a cui evidentemente garbava assai prendere parola per screditare la sorella. « Abbiamo già un elemento marcio nella famiglia, non vorrai prendere anche tu un vizio tanto sconsiderato ». 
             
« A costo di contaminare questo paradiso di moralità e freschezza col mio marciume depravato » continuò imperterrita Doralice, un assiduo tremore che le iniziava a smuovere le braccia, « trovo che alla luce della sua carente condizione fisica e dei suoi minimali contatti con l’esterno, la lettura possa essere in assoluto uno svago molto più confortevole della tua civetteria irritante! »
            
Eleonora, livida di rabbia, si volse verso il padre per reclamare la sua attenzione; egli, risolutamente chino sul cibo in tavola, era quanto mai deciso a non voler intervenire nella discussione, e si limitò quindi a gettare a Doralice uno sguardo di profonda delusione, sufficiente a placarle qualunque proposito di rinvigorire il litigio. 
        
Demoralizzata dal comportamento inopportuno delle figlie, ma al contempo ansiosa di ravvivare la conversazione famigliare, Clotilde decise di approfittare del seguente attimo di pacifico silenzio per rivolgersi al marito, assumendo un ciglio di trepidante aspettativa. 
               
« Nuove riguardanti Sua Eminenza4? »
            
Doralice socchiuse gli occhi; un ghigno di acida repulsione dipinse il suo volto nel constatare l’ipocrisia arrampicatrice celata dietro quella domanda. Dal momento in cui la famiglia era stata insignita nuovamente della patente nobiliare, Doralice aveva avuto la delusione di notare come la madre fosse divenuta più che mai ansiosa e a tratti nevrastenica sull’argomento. Il mantenimento di un’eccelsa considerazione all’interno dell’elité aristocratica era ciò che di più pietoso potesse venirle a mente; consequenziale, quindi, come alla madre premesse particolarmente. 
             
« Nessuna » rispose il padre, stoico come oramai aveva imparato ad essere. « Metternich5, da conservatore quale è, non ama esporsi sul tornaconto di Sua Maestà ».
           
« E deve essere proprio un bel tornaconto, se ha consentito a reinserirci nell’alta società! » gioì Clotilde, portandosi la mano guantata alla punta del mento per soffocare una risatina soddisfatta. « Ve l’avevo detto che quel ricevimento sfarzoso a Vienna avrebbe risistemato le cose! »
           
« Personalmente non capisco tutto questo accanimento verso l’Austria! » aggiunse Eleonora, beandosi di quel coro ilare di leziosità. « Dopotutto, in quanto a uomini non mi par affatto inferiore alla Francia! »
            
« Tu cosa ne pensi, Dora? » intervenne Federico, osservandola con la massima serietà che la malattia, divoratrice, gli permettesse di ostentare. Doralice, che era rimasta incantata ad osservare il servizio da tavola, parve risvegliarsi da un sogno; l’aria impregnata dell’aroma floreale e del ronzare mellifluo delle api, fino a quel frangente leggera e carezzevole, le sembrava ora irrimediabilmente pesante, quasi nociva. 
            
« Io sono dell’idea che la mia opinione raramente potrebbe incontrare l’appoggio delle loro » gli rispose con giocosa gentilezza, « tuttavia, credo nella libertà d’espressione, e mi reputo abbastanza intelligente per palesare la mia ipotesi senza peccare d’irrequietezza ».
        
« L’intelligenza è una facoltà decisamente sopravvalutata, se porta con sé una tale svergognata presunzione » commentò Eleonora sottovoce, più desiderosa d’attenzione che dispensatrice di meschinità. 
            
« L’ignoranza invece è terribilmente sottovalutata, cara sorella » ribatté Doralice, « poiché non solo porta con sé un fervido oscurantismo, ma anche un contagio terribile! »
          
Le labbra della signora Guerra, nei pochi istanti che seguirono, assunsero una piega così tagliente che Doralice fu costretta ad abbassare lo sguardo verso il budino che aveva davanti. Le barriere che spesso riscontrava nell’esprimere il proprio parere su qualsiasi questione avesse una certa rilevanza non facevano che motivarla a complicare i suoi ragionamenti e particolareggiare le sue argomentazioni, costringendola ad aprirsi in un vero e proprio dibattito in cui poteva enunciare con orgoglio le proprie fruttuose convinzioni. L’opportunità di lasciar trapelare la propria conoscenza era una tentazione fin troppo esuberante per essere placata dal poco buonsenso di cui disponeva. 
         
« Se mi date la possibilità di essere schietta » riprese quindi, sollevando lo sguardo e mettendosi composta, « io non solo credo che gli accadimenti riguardanti Sua Maestà non debbano essere di vostro interesse, giacché è assai improbabile che egli si preoccupi dei vostri; ma sono anche convinta che simili adulazioni siano prettamente fuori luogo verso un uomo, cara madre, che fino a poco tempo fa eravate così fiera di disprezzare ».
          
« Molte cose sono cambiate da allora, Dora » intervenne pacificamente il padre, con quel calore che Doralice apprezzava particolarmente della sua voce. 
       
« Il Primo Ministro Metternich si è anzi proposto, piuttosto cordialmente, di riaccettarci a corte » aggiunse la madre, « in un tentativo, credo, di minimizzare i danni creati da quel farabutto francese il cui nome al momento mi sfugge ».
          
« Se ti riferisci a Napoleone » la interruppe Doralice, « lo reputo un personaggio decisamente più affascinante, e sono convinta che in quanto a strategia e tenacia sia stato un maestro in confronto a questa marionetta austriaca a cui siamo ora soggetti ».
          
« A lungi dal considerarlo il responsabile principale » ribatté Clotilde nell’aprire un ampio ventaglio perlaceo, « non sono tuttavia pronta a negare un suo diretto coinvolgimento nella caduta della nostra Serenissima6 ».
         
« Il Congresso a Vienna ci sta però offrendo un periodo di placida tranquillità, in cui avremo tutto il tempo per abituarci alla nuova nobiltà locale; ed è questo l’importante » aggiunse il padre. Poi si volse verso di lei, socchiudendo gli occhi in un’espressione di muta indulgenza. « Per quanto possa esserti di estrema difficoltà, Dora, non riesci a vederne il lato positivo? »
         
Doralice trasse un respiro profondo. « A che cosa alludi, di preciso? Alla nostra possibilità di trascorrere ogni giornata nello stesso tedio ripetitivo, ad ostentare una ricchezza che non ci siamo meritata ed una posizione che non abbiamo guadagnato? Certo, il lato positivo mi è ben chiaro. Ma il senso; è il senso a sfuggirmi ».
            
« Non tutto deve per forza avere un senso! » esclamò Eleonora, la quale era rimasta muta come un pesce fino a qualche attimo prima, prestando solo una vaga attenzione ad argomenti di natura a lei totalmente sconosciuta. « Devi imparare ad apprezzare il bello delle cose ».
            
« E tu a coglierne il significato » la rimbeccò la sorella. 
           
Doralice, estenuata dall’incomprensione famigliare che era ormai una compagnia quotidiana, si limitò a distendere le gambe ed inveire silenziosamente verso coloro che, in preda a non si sa quale istinto diabolico, avevano garantito quella del verdugale come una moda irrinunciabile. Di fianco a lei, suo fratello rantolava rumorosamente; dal fondo del giardino, un rumore frettoloso di passi concitati si sovrappose ben presto a quello vispo degli insetti. 
          
« Padrone, mi dispiace disturbarla durante la colazione » si scusò Adele, riprendendo fiato dopo l’affanno momentaneo. « E’ appena arrivata una missiva alquanto interessante; reca il sigillo dei Borbone di Napoli! ».
        
Clotilde trattenne il respiro, e il suo viso si tinse di una meraviglia ed una trepidazione tali da costringere Dora a distogliere lo sguardo da una tanto sfacciata manifestazione di gioia; lo sguardo di Rolando, invero, si illuminò febbrilmente nell’afferrare la busta con una frenesia a tratti disdicevole. Eleonora, infine, si sporse verso la lettera con un’espressione famelica. 
          
« Papà, leggi a voce alta! » lo pregò Federico con tutta l’enfasi che riuscisse a far trapelare. Rolando sembrò cogliere il suggerimento con più eccitazione del dovuto, e si assicurò d’impiegare un’intonazione abbastanza elevata da destare la curiosità di tutto il vicinato.
          
Doralice, per nulla contagiata dall’improvvisa esaltazione collettiva, decise tuttavia di prestare ascolto. Ma di riga in riga, di parola in parola, un profondo senso di delusione, inizialmente debole, si fece strada nei meandri del suo essere, inculcandole un disperato desiderio di alzarsi e correre via. Le sue membra si irrigidirono, e sul suo volto comparve una smorfia prima d’ira infastidita, poi di dolorosa consapevolezza ed infine di cupa rassegnazione. Col concludersi della lettera, il suo sguardo era ormai terrorizzato. 
       
« Quale onore! » fu l’immediato commento della madre. « Un ballo reale è senza dubbio l’occasione perfetta per rendere noto a tutti il ritorno della famiglia Guerra nei ranghi nobili! Nora, questa è la tua occasione d’oro per sfoggiare tutta la tua bellezza e trovare un buon partito. D’altronde, sei in età da marito oramai! »
        
« Oh, madre, non vedo l’ora! » disse Eleonora, il cuore che le batteva con una furia impazzata. « E poi ho sentito parlare benissimo di quella Reggia a Caserta. Non vedo l’ora di poterla ammirare di persona! »
        
« Un incontro con Ferdinando7! » esclamò il padre, completamente assorto nei suoi pensieri per prestare attenzione alle esclamazioni delle altre. « Avremo molto di che raccontarci, assolutamente! »
         
« Posso venire anche io, vero? » chiese Federico, implorante e curioso quanto solo i bambini della sua età possono esserlo.
        In tutto quel trambusto gioioso, in quel quadro di armonia famigliare intaccabile, nessuno dei presenti si era reso conto che Doralice, nel frattempo, era riuscita ad avere la meglio sui vimini del suo guardinfante e, con aria affranta e demoralizzata, si era allontanata correndo in cerca di un rifugio in quella solitudine che, più di ogni altra cosa, era in grado di farla sentire sempre a proprio agio.

 

 

 



1 La famiglia Guerra, in seguito alla caduta della Repubblica di Venezia (1797), si viene nuovamente insignita, da parte dell’impero austriaco, della patente di nobiltà con Sovrana Risoluzione il 28 giugno 1819. 
2 La villa in questione è storicamente appartenuta alla famiglia; si trova a Roverchiara, in provincia di Verona. 
3 I Pindemonte erano un’antica famiglia originaria di Verona. 
4 “Sua Eminenza” non è altri che Francesco I d’Austria, in carica imperiale dal 1804 fino al 1835.
5 Klemens Von Metternich, fidato consigliere imperiale, cancelliere di Stato dal 1821 al 1848. 
6 La Caduta di Venezia fu, effettivamente, quasi consequenziale alla firma del Trattato di Campoformio, il 17 ottobre 1797, ad opera di Napoleone stesso. 
7 Il riferimento è a Ferdinando I delle Due Sicilie, in carica ufficiale dal 1816 al 1825. I Borbone, in questo periodo, sfruttavano la Reggia casertiana come stabilimento occasionale. 

   
 
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