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Autore: Phae    21/08/2016    5 recensioni
-Sherlock-
Il tuo nome tra le sue labbra è come una melodia, e pensi che potresti morire in questo preciso momento e la tua vita avrebbe avuto un senso, uno scopo, finire tra le sue labbra e lì morire, soffocare, che morte meravigliosa sarebbe.
Ma lui non ti uccide, ti salva ancora una volta. Lo sai che vuole provarci di nuovo, glielo leggi negli occhi, così come sai che la sua rabbia non si è esaurita ma lui è semplicemente troppo buono, troppo attento, troppo John per non capire.
Vede le tue gambe che tremano e la tua camicia troppo, infinitamente troppo larga per te, per l'ombra di te stesso che quei due anni lontano da lui e da Londra, dalla tua Londra, ti hanno ridotto ad essere.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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So che dovrei aggiornare le mie altre long, ma avevo questa storia in testa e ho voluto scriverla prima che mi scorresse via tra le dita.
Ambientata due anni dopo la Caduta, al ritorno di Sherlock. Come avrei tanto voluto che le cose andassero.
Il titolo è una citazione da una canzone dei Foo Fighters, Everlong.

Come al solito, non scrivo a scopo di lucro e i personaggi non appartengono a me ma a Conan Doyle e alla BBC. Solo cazzeggio in attesa della quarta stagione.
Un commento è sempre tanto apprezzato, ma un grazie anche a chi leggerà in silenzio. 
Qui la mia pagina Facebook. https://www.facebook.com/phaewriter/

Un bacio, 
Phae


 
Breathe out so I can breathe you in
 
And I wonder
When I sing along with you
If everything could ever feel this real forever
If anything could ever be this good again

Everlong, Foo Fighters

 
 

Senti un dolore acuto al cuore quando lo vedi, brucia sotto la pelle, ti infiamma e ti gela e hai paura, anche se non lo ammetteresti mai e mai l'hai fatto in tutta la tua vita, e fa male, ed è dannatamente bello. Questo già lo sapevi, ma lasci che il vederlo respirare sostituisca i ricordi che ti eri impresso in testa per ovviare alla sua lontananza.
Lo guardi senza pronunciare una sola parola, proprio a te che le parole non sono mai mancate, adesso non escono. Non arrivano.
Sai cosa dovresti dire.
Scusa, John, scusa. Non volevo, non lasciarmi, mi sei mancato, l'ho fatto per salvarti la vita.
Ma non lo fai, non lo dici, lasci che i suoi occhi blu ti raggiungano l'anima e che lo stomaco ti si contragga e sai che non l'hai mai amato tanto quanto in questo momento, e lasci che ti urli addosso il suo dolore e la sua rabbia ti corroda il viso come veleno perchè te lo meriti e perchè John Watson invece non si meritava niente di tutto questo e le lacrime cominciano a scorrerti dagli occhi senza che tu possa fermarle, e non sai se è proprio questo, invece, a fermare lui.


-Sherlock-
Il tuo nome tra le sue labbra è come una melodia, e pensi che potresti morire in questo preciso momento e la tua vita avrebbe avuto un senso, uno scopo, finire tra le sue labbra e lì morire, soffocare, che morte meravigliosa sarebbe.
Ma lui non ti uccide, ti salva ancora una volta. Lo sai che vuole provarci di nuovo, glielo leggi negli occhi, così come sai che la sua rabbia non si è esaurita ma lui è semplicemente troppo buono, troppo attento, troppo John per non capire.
Vede le tue gambe che tremano e la tua camicia troppo, infinitamente troppo larga per te, per l'ombra di te stesso che quei due anni lontano da lui e da Londra, dalla tua Londra, ti hanno ridotto ad essere.

-Due anni. Tu non lo sai cosa sono. Due anni-
Ma tu lo sai, invece. Due anni, trentadue giorni, diciassette ore e ventisei minuti. Come potresti non sapere.

Ti porta fuori, fuori da quel ristorante e da quella vita che è andata avanti senza di te e non riconosci, e non vuoi riconoscere, da quella donna dai capelli biondi troppo tinti che vi guarda senza capire e nemmeno tu capisci in fondo. Forse non vuoi, ti fa solo tanta paura dopo tutto.
John ti porta fuori e riesce a trascinare tutto il tuo peso senza nemmeno sfiorarti, tu quasi non lo vedi nemmeno il taxi nero che vi porta a casa. Casa.


Lui non vive più qui, senti un groppo in gola quando te ne rendi conto e vorresti piangere ancora, piangere come un bambino, piangere tutte le lacrime che tutti ti hanno sempre rubato e nascosto. Ma non lo fai. Fa troppo male.
Lui forse capisce, perchè ti rivolge uno sguardo di scusa mentre cammina tra la polvere, e ti fa sedere, ti sfiora i capelli troppo lunghi e gli zigomi troppo pronunciati e tu non puoi far altro che gemere a quel contatto, che è una vita che desideri e mai l'hai ammesso.


-Non lasciarmi-
Ti esce come un soffio e vorresti rimangiartela subito quell'aria che ti è uscita dalla bocca senza permesso, con arroganza. Lo dici mentre lui ti toglie la camicia e sfiora le tue mille cicatrici con estrema lentezza mentre ti vergogni del tuo corpo troppo magro, troppo pallido, delle tue ossa troppo sporgenti e del sangue che non sei mai riuscito a toglierti di dosso.
Non vuoi che se ne vada, non vuoi farlo scappare e hai paura.
Al dolore non ci pensi, hai male ovunque e stare seduto è una tortura, respirare è come avere mille aghi piantati nei polmoni ma tu non ci pensi. Tremi e aspetti.
Non lo guardi.


Una lacrima ti cade sulla pelle. È calda, ed è salata. E non è tua.
John piange, mentre ti sfiora le labbra con le dita e tu appoggi il capo al suo petto. Piange e tu non vuoi che soffra, è colpa tua, ancora, come sempre. Cerchi di coprirti, sei sempre stato un mostro e ti vergogni, ma lui te lo impedisce. Ti strappa l'anima e il respiro con un bacio lieve sull'angolo destro della tua bocca e scuote la testa.
Ti spoglia del tutto e ti medica con cura, regala un bacio ad ogni tuo dolore, divora i tuoi gemiti, li imprigiona tra le labbra e tu sei stanco, così infinitamente stanco.
Non dormi, hai paura di vederlo scomparire, di non trovarlo più lì a Baker Street ma in una casa ordinaria con una donna ordinaria coi capelli troppo tinti e gli occhi troppo freddi.


-Non me ne vado-
-Non lo farai?-
-Non lo farò-
John capisce, capisce come sempre. Si corica con te, tra le lenzuola pulite in una casa chiusa da troppo tempo, tra le tue cose coperte di polvere e l'impronta dei vostri passi sul tappeto. Ti circonda con le braccia e pensi che la tua pelle nuda contro i suoi vestiti è qualcosa di sbagliato. Lo fai spogliare e divori il suo corpo con lo sguardo, nascondi il viso nell'incavo della sua spalla e ascolti i il suo respiro e pensi che forse con lui che ti stringe potresti anche addormentarti. Potresti anche cacciare via i tuoi incubi.


Lui lo sa, ti bacia le palpebre, te le chiude con gentilezza. Dormi, ti sussurra. Ma ancora non vuoi.
Hai perso così tanto di lui.
Ti sei costruito il tuo personale e patetico patibolo e adesso non vuoi scendere.
Scendi, sembra dirti lui.
Fidati. Di me. Per favore.


Ma tu di lui ti fidi, ti fidi già, non ti sei mai abbandonato a nessun altro in vita tua ma a lui sì, perché così è giusto, è la cosa più giusta che tu abbia mai fatto.
E continua ad esserlo anche quando invece che dormire ti muovi, gli baci il corpo, scivoli come un serpente tra le sue braccia e ti imprimi nella mente l'odore della sua pelle, lo rinchiudi nella tua personale stanza del tuo palazzo mentale dove stanno tutte le cose preziose, tutte quelle che contano davvero. E c'è solo lui, in quella stanza. È così ovvio.
Ti chiedi se lui l'abbia mai saputo davvero. Glielo dici, e lui sorride.
Un nome di donna spunta sullo schermo del telefono e tu tremi, ma lui lo guarda e non risponde.
Lui ti ha scelto.


Ed è con un sospiro che nemmeno ti appartiene che gli chiedi di entrare dentro di te, piano, e poi di prenderti forte, di non preoccuparsi perchè non ti fa male più niente e anzi no, ti fa male tutto ma non è importante.
Nulla è mai stato importante, i casi, Mycroft, Lestrade, Molly, Moriarty, nessuno di loro lo è mai stato, è sempre stato giusto solo questo.


E quando finalmente vieni e pronunci il suo nome e firmi la tua condanna a morte annegando in quegli occhi chiari, allora il mondo comincia a sgretolarsi sotto alle tue dita e tu piangi, gridi, tremi.
John. John. John.
Ma lui non ti lascia, ti stringe, ti bacia mentre la nebbia dell'orgasmo ancora ti circonda e il suo respiro così vicino al tuo ti calma.
-Va tutto bene, Sherlock. Respira. Sei a casa, sono qui. Non ti lascio. Mai più. Respira.-


Sorridi, quasi.
E dopo poco ti addormenti.
Questa volta senza desiderare di non svegliarti.
   
 
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