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Autore: Megara_Umbreon    23/08/2016    0 recensioni
Apri gli occhi.
Tre parole spuntate senza un vero motivo. Era difficile capire chi stesse parlando e pure con quale tono. Era una minaccia? Era disperazione? Un semplice comando? E per cosa? Come se non avessi già aperto— no, non erano aperti. Sembravano serrati in una morsa misteriosa di cui l'origine era sconosciuta. Ma poi capii una cosa: ero io che dicevo di aprire gli occhi. Ero io.
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Apri gli occhi.

Tre parole spuntate senza un vero motivo. Era difficile capire chi stesse parlando e pure con quale tono. Era una minaccia? Era disperazione? Un semplice comando? E per cosa? Come se non avessi già aperto— no, non erano aperti. Sembravano serrati in una morsa misteriosa di cui l'origine era sconosciuta. Ma poi capii una cosa: ero io che dicevo di aprire gli occhi. Ero io.

«Clarice, alzati! Farai tardi a scuola!»

Mia mamma, puntuale come la mia sveglia, che già stava squillando, facendo echeggiare quel suono per tutta la camera. Forse l'aveva sentito pure lei e allora mi sarei dovuta veramente alzare. Ma non lo volevo.

Era da tanto che non facevo un sogno, se si può definire tale, come in quello da cui ero riuscita da poco a liberarmi. La fronte, èeraancora decorata da piccole gocce di sudore. Dovevo parlarne con qualcuno? No, mi avrebbero preso per pazza. Mi avrebbero definita sicuramente nevrotica (come sempre), ossessionata (come sempre) e chissà che altro. Non avrei permesso di aumentare le sfilze di etichette con cui mi identificavano, così la scelta più saggia divenne quella di scendere giù per le scale e comportarmi come se nulla fosse accaduto. Ma potevo mentire di fronte a mia madre? La mia espressione mi avrebbe tradito, per restare fedele a lei?

Ti prego, corpo: rimani dalla mia parte, almeno per poco. Alla fine era un sogno. Solo uno strano sogno di cui faccio fatica a ricordare— quasi tutto. Ecco.

Rifaccio questo sogno da ormai tre mesi? Non è un problema da dover condividere con il mondo intero e nemmeno con mia mamma: perché far preoccupare inutilmente?

« Il cielo si muove e così pure la tua mente, a quanto sembra. »

Iniziò lei, ben sapendo che uno dei miei difetti (uno dei TANTI), era proprio la sintonia che avevo con il tempo. Essere meteoropatici, che fregatura.

Non sapendo bene cosa fare, o meglio, sapendo che Maria (mia madre), sarebbe riuscita ad estrapolare in almeno settantacinque modi, annuii.

« Prevedo la pioggia. Che gioia. Se continua così il week-end al mare salta. »

E a questo punto l'impulso di applaudire alla mia mente si fa sentire , visto che in questa situazione l'unica cosa in grado di fare era di portare il discorso su uno degli argomenti più sfruttati, il tempo. Che tragedia l'intelletto mattutino.

L'importante alla fine, è essere riuscita ad uscire dalla casa nutrendo pochi sospetti quanto dovevo, dato che Maria continuò ad osservarmi (male), ma evitando a voler scoprire il mio vero malessere. Magari un piccolo aiuto lo si deve al mio problema che ho con il tempo. In questo caso, grazie meteoropatia, di essermi stata utile (non capiterà mai più, ne sono certa).

Camminai per dimenticare il sogno, ancora non scordato e della vergogna del mio comportamento con mia madre. Dire una bugia a lei, non andava bene.

Il vento cominciò a sbuffare, lamentoso, scompigliando la mia capigliatura, l'unica a cui avevo dato una buona cura prima di uscire. Sì, spazzolare i capelli mi rilassa, soprattutto se sono lunghi.

Una sistemata la chioma e ritornata finalmente attenta alla strada, vidi qualcuno con uno strano abbigliamento. Sembrava un cosplay di— un cavaliere dello Zodiaco? Qualche imperatore romano? Sicuro non erano vestiti normali, come nemmeno il suo sguardo. Mi guardava costantemente e male, come se avessi dato in quel momento il calcio al suo gatto, cosa che avrei voluto assolutamente fare. Almeno ci sarebbe un motivo, per così tanto accanimento visivo.

« Ehi, ciao! » Alzai timidamente la mano, magari quella vista gli avrebbe impedito di continuare a guardarmi accigliato. Ma mi distrassi io. I suoi occhi, mi sembravano, a primo colpo chiari, mentre ora erano talmente scuri da sembrare neri. Strano, di solito non sbaglio sui dettagli dell'aspetto di una persona, essendo i primi che noto. Ma poi vidi che pure i con i capelli avevo fatto fiasco, visto che non avevo colto le punte verdi. Difficile non notare una capigliatura bicolore e invece io l'avevo ignorata. Possibile?

« Cancer. »

« Scusa? Non— temo di non aver capito. »

Ma poi lui distese le dita della mano e compresi l'errore che stavo facendo a stare ferma davanti a lui: tra le sue nocche scintillavano tre coltelli, simili a quelli che si vedono al circo e già presumevo che, per lui, ero un buon bersaglio da sfruttare per vedere se funzionavano a dovere.

« Ti ricordo che siamo in un luogo pubblico. Se urlo, sei fregato. »

« Non c'è nessuno in questo momento. Nessuno vede: tu urli, io ti uccido, le persone arrivano e io scappo. »

A quel punto fare dei passi indietro sembra il piano più ideale. Ma come posso voltargli le spalle, dandogli praticamente il permesso di piantarmi quelle lame nella schiena? E da quando si è sentito che l'essere umano fosse straordinariamente veloce a correre all'indietro? Mi aveva fregato e facilmente.

« Sembra un buon piano, ma non pensi che io possa fare qualcosa— oltre che morire? »

« In questa forma, non riuscirai a fare nulla di buono. »

Forma? Che cosa intendeva? No, non posso scoprirlo, non ora.

« Amici, cari amici! » Disse una figura che comparve da uno dei vicoli laterali.

Un bel ragazzo. Biondo, con i capelli che andavano in su, verso il cielo. Occhi verdi. Alto. Il ragazzo perfetto si presentava proprio quando stavo per morire. Ma quale tempismo.

« Tu, ragazzo uscito da una festa di Halloween mal gestita o novizio di sette sataniche, non è il caso di parlare così ad una ragazza, no? Almeno potresti spiegarla perché vuoi ucciderla, come fanno tutti i cattivi dei libri. Vuoi essere meno di un cattivo di origine cartacea? Perché sminuirsi così? »

« — Grazie per l'aiuto, me la stavo cavando da sola. »

« Sì, cercando di apprendere come correre all'indietro. »

« Come fai a— »

Ma non la frase rimase tronca perché quel biondo un po' particolare fece una cosa: mentre parlava, con la sua fluente dialettica, si era avvicinato, a passo felpato vicino al violento tipo per poi sferragli un pugno sul costato, con conseguente caduta dei coltelli.

« Scappa! »

Fu l'ultima cosa che mi disse quel biondo ragazzo dall'aria familiare.

   
 
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