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Autore: Rinalamisteriosa    24/08/2016    1 recensioni
Asami si spostò una ciocca dietro l’orecchio e casualmente alzò lo sguardo, accorgendosi finalmente della sua presenza.
Sora si tolse il cappello da baseball bianco e nero e se lo appoggiò al petto, prima di rivolgerle un sorriso scanzonato e salutarla, senza alzare la voce, altrimenti sapeva che la cugina lo avrebbe immediatamente fulminato con lo sguardo, visto il rispetto che provava per le biblioteche.
Accennò un inchino.
«Ciao, Asami-chan. Sono felice di vederti. Piaciuta la visita a sorpresa?» mormorò, facendosi più vicino.
La ragazza chiuse il libro e si sporse leggermente a sinistra per appoggiarlo sul tavolino, tra il mappamondo e la lampada.

[Future-fic | Spoiler per chi conosce solo l'anime | Presenza di due OC | Implicite Usui/Misaki, Shintani/Suzuna]
{Ha partecipato al contest "I fiori colorano il mondo (seconda edizione)" indetto da Ayumu Okazaki sul forum di EFP}
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Misaki Ayuzawa, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Era il luogo che la quindicenne preferiva in assoluto, il suo rifugio segreto, un’ampia stanza in cui distendere i nervi e trovare le risposte che cercava.

Le bastava entrare in una biblioteca qualunque per sentirsi come a casa, per tenere i pensieri fuori dalla porta ed essere se stessa – Asami e basta.

Veniva sempre accolta da un silenzio innaturale e profondo, mentre a piccoli e moderati passi varcava la soglia di un altro mondo, pensando a quali mirabolanti avventure avrebbero vissuto i personaggi prescelti del giorno, a quanti viaggi lei avrebbe intrapreso senza spostarsi di un millimetro dalla poltrona, a quali curiosità aspettavano soltanto di essere svelate da una mente tanto aperta, rispettosa e sagace.

Col naso all’insù, la ragazza spostava con impazienza e soggezione lo sguardo tra gli alti e resistenti scaffali di legno, perfettamente ordinati lungo le pareti, oppure allineati intorno all’area interessata. Tappeti persiani rendevano ancor più leggera la sua camminata, ne attutivano il suono, finché non si fermava per scorrere i titoli sulle copertine colorate. Vetrate rettangolari permettevano alla luce del giorno di illuminare l’ambiente e di rischiarare la lettura. Tavoli di legno pregiato con i gambi arcuati stavano lì per chi avesse necessità di leggere e nel contempo di prendere appunti, di ripassare con la matita i punti fondamentali su un occasionale block notes. Sopra la superficie levigata di questi tavoli, vi erano eleganti lampade da accendere per chi soleva fermarsi fino a sera. In alto, lampadari di cristallo impreziosivano con la loro presenza il soffitto, risultando gradevoli alla vista.

Se era fortunata, in alcune biblioteche poteva ammirare bei quadri raffiguranti nature morte, o vecchi ritratti di Lord che erano passati di lì per il suo stesso motivo, per il diletto e il piacere di perdersi fra le parole dei manoscritti, di estraniarsi dal mondo esterno e – perché no? – di fare paragoni con la realtà. In fondo, quella di guardare oltre le apparenze era l’attività preferita dei lettori più coinvolti, o dei veri scrittori.

Solo qualche volta, Asami chiedeva l’aiuto e il consiglio della bibliotecaria, che poteva servirsi delle apposite scale per salire dai volumi situati più in alto.

Il più delle volte, ella sapeva bene quale libro leggere, si presentava preparata dopo un’attenta ricerca effettuata su internet. Allora lo stringeva al petto con cura, come se si trattasse di un piccolo tesoro da custodire gelosamente.

Perciò, che fosse per studio o per diletto, lei non saltava quasi mai il suo appuntamento quotidiano con la lettura.

 

 

Si chiedeva se un giorno non ci avrebbe pure lavorato, dentro a una biblioteca o a una libreria. Effettivamente sarebbe il lavoro perfetto per Asami, anche se le chiedessero di spostare mucchi di libri polverosi e di riordinarli scrupolosamente in ordine alfabetico, si accontenterebbe di fare ciò senza una smorfia o una lamentela.

Forse, per via delle sue origini anglo-giapponesi, meritava di meglio, ma a quindici anni non le importava minimamente, era ancora troppo presto per sapere cosa esattamente le riservasse il futuro. Anche perché, a causa dei numerosi impegni di lavoro, gli instancabili genitori erano stati costretti a iscriverla in un collegio inglese.

Per dieci anni dal giorno della sua nascita, lei era vissuta serenamente a casa dei nonni materni, in Giappone. Fu a causa di ricorrenti episodi di bullismo di cui era stata vittima, mentre frequentava la scuola elementare, che si decise che questo trasferimento non poteva più essere rimandato. E da parte sua, non lo percepì come un distacco ingiusto e forzato, anzi si abituò presto al nuovo ambiente e all’istruzione che le impartivano.

La biblioteca del collegio era molto bella e spaziosa, con le sue tinte blu, mogano e argento.

Tuttavia la sua preferita, quella in cui si trovava al momento, era la biblioteca di Hyde Street, vicino alla Cattedrale antica e alla piazza centrale della città nel Sud dell’Inghilterra. Era colorata, poco frequentata e piacevole, e coincideva con la sua descrizione ideale.

La bibliotecaria, Miss Falloway, era una vecchia zitella molto gentile e cordiale, sempre disponibile ad aiutarla e a prestarle i libri, in modo che continuasse a leggerli tranquillamente anche nella propria camera del dormitorio, prima di addormentarsi.

Dopo aver mostrato il permesso di uscita firmato dal direttore del collegio, Asami non ebbe problemi a guardarsi intorno, senza fretta. Quel giorno scelse tre libri e prese posto su una poltrona dallo schienale bordato di rosso, con accanto un tavolino basso su cui erano poggiati un piccolo mappamondo e una lampada a forma di fiore.

Incominciò a leggere.

 

 

Proprio quando stava voltando la sesta pagina per passare alla settima, sentì il cellulare vibrare nella tasca interna della giacca leggera che indossava. Avrebbe potuto ignorare la chiamata, ma non sapeva se era importante oppure no, magari la cercavano proprio al collegio.

Dopo qualche secondo di esitazione, lo prese di scatto e accettò, sussurrando un «pronto» piuttosto apatico, annoiato.

A rispondere fu la voce irritante di suo cugino Sora, che volle sapere a tutti i costi dove fosse.

Dopo aver sollevato gli occhi nocciola verso l’alto, rispose con un’altra domanda.

«Perché vuoi saperlo?».

«Non rovinare tutto, Asami-chan! Dimmelo senza fare storie», sentì replicare in tono lamentoso.

Venne sfiorata per un attimo dal pensiero di mentire a riguardo, magari quello che provava dentro era solo un presentimento, Sora non poteva trovarsi nelle vicinanze, lui era in Giappone… o no?

E comunque come diavolo aveva fatto ad arrivare fin lì, in una città sperduta nel Sud dell’Inghilterra, per farle chissà quale sorpresa, se aveva una paura assurda degli aerei – o meglio, delle altezze in generale?

Lo informò in tono secco riguardo alla biblioteca vicino alla piazza centrale, in Hyde Street, e riattaccò.

L’ultima volta che si erano visti, durante le passate vacanze natalizie in Giappone, suo cugino, patito di baseball, l’aveva costretta ad uscire per accompagnarlo ad assistere all’ultima partita dell’anno della sua squadra preferita.

Il suo primo sbaglio fu di aver accettato di uscire senza chiedergli la destinazione, il secondo di aver indossato il suo cardigan di lana preferito sopra un vestitino bianco che le arrivata poco sopra le ginocchia.

In mezzo al chiasso infernale e a un gruppetto di chiassosi teppisti seduti in tribuna, proprio nei posti dietro i loro, si era accorta con disgusto che quelli cercavano ogni scusa per alzarle la gonna e per biascicarle frasi sconce alle orecchie. Che orrore!

E mentre sentiva l’istinto omicida scalpitare, quell’idiota di suo cugino era troppo concentrato sulle azioni dei battitori per fare qualcosa, per aiutarla.

La goccia che fece traboccare il vaso cadde quando si toccò i capelli biondi, ritrovandoseli appiccicosi e unti di una strana salsa per hot dog.

Finì che dovette trascinare il ragazzo di peso fino ai bagni, prima della conclusione del match, per poi marciare indignata e fumante di rabbia fuori dallo stadio e dritta a casa, dove si era giustamente sfogata con la nonna e con zia Suzuna, imprecando e lagnandosi perché per lei le cose non andavano mai come nei suoi adorati libri.

Riprese con la rilassante e stimolante lettura, poiché a suo parere era meglio quello che ripensare a certi pomeriggi spiacevoli, appoggiandosi allo schienale di morbido velluto rosso dietro la schiena.

 

 

*

 

 

Sora non tardò ad arrivare.

In tutti quei mesi trascorsi senza vederla né sentirla, l’idea che la cugina fosse ancora arrabbiata con lui lo aveva tormentato a tal punto da spingerlo a partire.

Non aveva preso l’aereo poiché ne aveva una paura folle, però la settimana prima sua madre, partecipando a un’estrazione a scopo benefico, aveva vinto due biglietti su una nave da crociera che, guarda caso, sarebbe passata proprio dall’Inghilterra.

Colse l’occasione al volo, accompagnato da una persona che ad Asami avrebbe fatto sicuramente piacere rivedere.

Entrò da solo in biblioteca.

Sperava che con una sorpresa doppia l’avrebbe subito perdonato.

Fece intendere con un cenno alla bibliotecaria che non voleva essere annunciato e raggiunse la cugina, non sorprendendosi di trovarla placidamente intenta a leggere. Assorta e con un lieve sorriso sul volto grazioso, contornato dai capelli chiari che scendevano in morbide ciocche ondulate lungo le spalle esili. Con le ciglia sottili, il nasino delicato, la linea degli occhi e il loro colore, i lineamenti e il fisico snello e slanciato, assomigliava più alla madre – bastava guardare le foto da ragazza di zia Misaki, per capirlo.

La divisa del collegio, con un motivo a scacchi rossi e blu, le calzava a pennello, la giacca leggera e aperta sul davanti le ricadeva morbidamente addosso.

Asami si spostò una ciocca dietro l’orecchio e casualmente alzò lo sguardo, accorgendosi finalmente della sua presenza.

Sora si tolse il cappello da baseball bianco e nero e se lo appoggiò al petto, prima di rivolgerle un sorriso scanzonato e salutarla, senza alzare la voce, altrimenti sapeva che la cugina lo avrebbe immediatamente fulminato con lo sguardo, visto il rispetto che provava per le biblioteche.

Accennò un inchino.

«Ciao, Asami-chan. Sono felice di vederti. Piaciuta la visita a sorpresa?» mormorò, facendosi più vicino.

La ragazza chiuse il libro e si sporse leggermente a sinistra per appoggiarlo sul tavolino, tra il mappamondo e la lampada.

Osservò con occhio critico i bruni capelli disordinatissimi del cugino. In effetti imitò lo stesso sguardo di disapprovazione che avrebbe potuto lanciare anche a suo zio Shintani.

Questo non significava che non volesse bene a entrambi, però. Proprio perché voleva bene a tutta la sua famiglia, ella approfittava di ogni periodo di vacanza per pregare i suoi genitori di portarla via dal collegio. Negli ultimi quattro anni era stato così, d’altronde.

«Sì, anche se avrei preferito trascorrere il pomeriggio a leggere un buon libro».

«Chiusa in questo luogo pieno di polvere e tarme? Stai scherzando, vero?! Fuori non sta nemmeno piovendo!» protestò lui.

La constatazione l’aveva fatta scattare in piedi come una molla e con un’espressione di ammonimento gli era quasi piombata addosso, con l’unico scopo di tappargli la bocca.

«Avrei dovuto aspettarmi che uno superficiale come te, Sora-kun, non ne comprendesse l’importanza», sibilò, convinta.

«Oh, certo, perché adesso l’aria viziata e stantia di un luogo così lugubre è più importante dell’aria aperta, dei giardini in fiore e delle bellezze della città. Ma smettila!» sbottò con un leggero sarcasmo.

«Smettila tu!» gli pestò volontariamente un piede.

«Finché non apri gli occhi, io non la finisco», ribatté, ancora più testardo di lei, sopportando stoicamente il dolore.

Si fronteggiarono con sguardi implacabili e decisi, almeno finché uno dei due non avesse ceduto.

Asami si poneva in difesa delle biblioteche e dei libri, l’altro in difesa dei propri princìpi: come si faceva a vivere in quel modo?

Sapeva che la cugina aveva avuto a suo tempo dei problemi a socializzare e a difendersi da bullette invidiose, ma questo non significava che dovesse passare la sua intera esistenza a nascondersi e a fuggire.

Accidenti, era la ragazza più bella che conosceva, addirittura la trovava più affascinante della sua attuale girlfriend, per usare un termine specifico.

Aveva dei genitori a dir poco fantastici, ok che erano quasi sempre impegnati con il lavoro, ma nonostante questo non avevano messo il benessere della loro unica e preziosa figlia in secondo piano. E a questo proposito lui conosceva cose che lei ignorava.

Dunque, Asami doveva assolutamente smetterla di pensare che nascondendosi le paure e i problemi sarebbero scomparsi come per magia, inghiottiti da uno dei suoi libri.

Occorreva che fosse sincera con se stessa e con gli altri.

A questo punto, chi meglio di un parente affezionato poteva aiutarla, consigliarla, darle una scrollata?

Cosa che fece, anche a costo di guadagnarsi uno schiaffo e il suo disprezzo. Rischio era il suo secondo nome. Qualsiasi reazione sarebbe stata meglio di niente.

La prese per le spalle e le diede un forte scossone, sotto l’occhiata d’un tratto allibita e confusa di lei.

«Sei forse impazzito?» domandò, mantenendo un tono di voce basso.

Si aspettava una risposta, subito, non di venire trascinata via, la mano stretta a quella del cugino.

«Aspetta! I libri…» squittì lei.

Al diavolo i libri!” pensò Sora.

L’anziana signora, capendo quello che voleva, dalla sua postazione al bancone li salutò con un sorriso che la diceva lunga – era malizia, quella?

«Sorry, Miss. See you soon!» ricambiò il saluto parlando in inglese.

Sempre più affranta, Asami si disse che la prossima volta sarebbe stata costretta a spiegarle che aveva frainteso, che quel ragazzo era in verità suo cugino, che aveva questo temperamento particolare e che, occasionalmente, si comportava da pazzo irragionevole e villano.

Non si sarebbe mai innamorata di uno come Sora, questo era poco, ma sicuro.

Forse nelle vene di entrambi scorreva in parte lo stesso sangue, però i loro caratteri erano incompatibili fin dall’infanzia.

Gli voleva bene come a un fratello e la cosa finiva lì.

«Posso sapere cortesemente dove mi stai portando?» s’informò. «Guarda che questa non è la strada che porta al collegio, devi andare dalla parte opposta», ci tenne a precisare, esasperata dal fatto di essere scortata senza uno straccio di spiegazione, manco fosse un cane al guinzaglio.

Dato che lui si ostinava a non risponderle, a fare voto di silenzio, Asami cercò di calmarsi.

E ci riuscì. In fondo era brava a riprendere il pieno controllo di sé, proseguendo in una stradina lastricata mostrò la solita aria apatica e incurante.

Sora si voltò appena. Nemmeno questo atteggiamento scostante della cugina, il suo mascherarsi per evitare di manifestare apertamente le proprie emozioni salvo casi eccezionali, l’avrebbe aiutata a uscire dall’isolamento autoimposto.

In tutti quegli anni, non l’aveva vista piangere mai, neanche una volta. Tratteneva persino il dolore e le lacrime.

Un giorno sarebbe sicuramente scoppiata come una bomba.

Giurò a se stesso di arrendersi, se la vera sorpresa non avesse suscitato in lei alcun cambiamento di espressione. Pensò che si sarebbe accontentato di vedere una puntina di commozione nel suo sguardo.

Rimettendosi il cappellino con la visiera a celare in parte la tensione che provava, Sora pronunciò un discorso abbastanza sentito e chiaro, che scaturiva dal profondo, dettato da un affetto incondizionato per lei.

«Guarda che non ti sto proibendo di leggere. Puoi farlo, Asami-chan. Solo, non pensare che una realtà fittizia sia l’unica a farti stare bene. E poi non sarai mai sola: ci sono io. E anche…» lasciò volontariamente la frase in sospeso.

Asami non apprezzò il fatto che si fosse fermato all’improvviso, non solo con quella frase, ma anche con il corpo. Poco ci mancava e avrebbe urtato il viso contro la sua schiena.

Che svantaggio essere più bassa di lui di poco più di una spanna!

Spostandosi lievemente verso destra e guardando pochi metri più avanti, però, la ragazza comprese il motivo del suo comportamento bizzarro.

Seduta sul marmo bianco della fontana, una bella donna in abiti formali stava battendo le mani, compiaciuta.

«Sono riuscita ad ascoltare. Quest’inaspettata perla di saggezza mi rende orgogliosa di avere Sora come nipote!» esclamò rivolta a entrambi, alzandosi in piedi e trasportando un trolley da viaggio con la mano. Avvicinandosi con lo stesso sorriso smagliante che usava per incantare le persone durante le sue missioni diplomatiche, Misaki continuò: «Ovviamente puoi contare su di me, anche se come madre sono un disastro, lo ammetto».

Stavolta si era riferita unicamente a lei. Asami evitò il suo sguardo, ma non fu abbastanza veloce per mancare di notare il velato senso di colpa nei suoi occhi così simili ai propri.

«No, non è vero, è colpa mia», mormorò. «Sei venuta fin qui per rimproverarmi di non essere abbastanza forte, vero? Di non avere il temperamento tuo e di papà? Siete delusi da me. Scommetto che avreste preferito un figlio come Sora».

Per fortuna, suo cugino si era fatto da parte, un po’ per lasciarle parlare da sole, un po’ per scattare foto alla grande piazza con il suo smartphone.

Misaki sospirò.

«Asami-chan, dimmi… Da quanto tempo stai covando un tale risentimento verso te stessa? Non senti quanto male ti stai facendo?» proferì. Non con un tono di ammonimento, né di biasimo, né di accusa. Forse l’aveva ferita.

«Ho sbagliato a dirlo. Scusami. Dimentica tutto», si difese, facendo per tornare indietro, per scappare un’altra volta, per non affrontare di petto la situazione.

Sentì il trolley che veniva nuovamente riposto a terra e le braccia di Misaki le impedirono di muoversi, stringendola in un abbraccio che voleva essere rassicurante.

«Se fosse come dici, non sarei qui, a preoccuparmi per te. Sei come un libro aperto per i tuoi genitori. Anche quando non vuoi parlare, noi ti capiamo. E c’è un’intera biblioteca da scoprire dentro di te, ma per molti è chiusa a chiave. Sei tu a volere così. Pensi di non essere forte, ma arriverà il momento in cui anche tu saprai tirare fuori le unghie e farti valere. Su questo sono assolutamente sicura. Ho fiducia in te, tesoro».

Se l’intenzione di suo cugino e di sua madre era quella di commuoverla, ci stavano riuscendo. Forse.

Era molto grata a sua madre per quelle parole amorevoli e su un punto aveva ragione: desiderava tirar fuori le unghie, farsi valere, e in quanto al momento, Asami non dubitava che un giorno sarebbe arrivato. Tuttavia, si rese conto, prima aveva bisogno di un confronto diretto, di una lunga chiacchierata con la donna, che la lasciò per invitarla a seguirla. Allora le mostrò con entusiasmo una limousine nera parcheggiata lì vicino.

«Bene. Così ti mostrerò la mia camera in collegio», suggerì Asami con un lieve sorriso. Là nessuno le avrebbe disturbate, nemmeno Mary, la discreta compagna di stanza che le era stata assegnata.

Strizzando l’occhio, Misaki ebbe un’altra proposta più interessante da farle: «E se invece andassimo a Londra per un’improvvisata a tuo padre?».

«Cosa?!» trasecolò la più piccola. «Mamma, non posso, ho il coprifuoco! Londra è distante, non tornerò mai in tempo!» le fece presente, sostenendosi con il palo di un lampione per non cadere.

«Lascia fare a me. E se dovessero chiamarti, risponderò io. I tuoi insegnanti riconoscono la mia voce», la tranquillizzò.

«Sora, forza, andiamo!» strillò, richiamando il nipote.

Quanto si vede che è abituata a viaggiare!” si disse sua figlia, le braccia incrociate al petto dopo essersi ripresa dallo shock.

Sapeva che sarebbe stato inutile contestare sua madre una volta che aveva preso una decisione. Era più cocciuta di lei e Sora messi insieme, più orgogliosa e assennata. Lottava per ottenere ciò che voleva.

Asami l’amava anche per questo, mentre le ritornarono alla mente le sue parole “sei come un libro aperto, c’è un’intera biblioteca da scoprire dentro di te” ad accompagnarla in un nuovo viaggio verso casa, verso i suoi modelli di riferimento, verso le sue colonne portanti.

Perché la sua meta era dove si trovavano gli amati genitori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

___

Note: Rileggendo la fine del manga, ho pensato di dilettarmi a scrivere una future-fic incentrata su una possibile figlia della coppia principale.

Mi è piaciuto immensamente usare il prompt biblioteca e adattarlo alla protagonista. Era perfetto per il messaggio che volevo trasmettere, una sorta di incoraggiamento a non chiudersi troppo in se stessi.

Non tratto spesso OC, credo sempre di fare un casino, però devo ammettere che in questo caso era per una buona causa, dai xD

Ho lasciato il finale aperto nel caso in cui decidessi di scrivere un seguito.

Che ne pensate?

Questo è un link per Asami. Questa ragazza somiglia molto a quella che penso io ^^

http://s9.favim.com/orig/131107/anime-girl-blonde-hair-cute-dream-Favim.com-1041900.jpg

Per Sora invece non ho trovato nulla, mi spiace =( comunque ricorda il padre da giovane.

Riguardo alle età, i cugini sono coetanei, mentre per Misaki ho contato 42 anni.

Spero vi piaccia e grazie a chiunque abbia letto fin qui ^^

Alla prossima!

 

Rina

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