Era il
luogo che la quindicenne preferiva in assoluto, il suo rifugio segreto, un’ampia
stanza in cui distendere i nervi e trovare le risposte che cercava.
Le bastava entrare in una biblioteca qualunque per
sentirsi come a casa, per tenere i pensieri fuori dalla porta ed essere se
stessa – Asami e basta.
Veniva sempre accolta da un silenzio innaturale e
profondo, mentre a piccoli e moderati passi varcava la soglia di un altro mondo,
pensando a quali mirabolanti avventure avrebbero vissuto i personaggi prescelti
del giorno, a quanti viaggi lei avrebbe intrapreso senza spostarsi di un
millimetro dalla poltrona, a quali curiosità aspettavano soltanto di essere
svelate da una mente tanto aperta, rispettosa e sagace.
Col naso all’insù, la ragazza spostava con impazienza e
soggezione lo sguardo tra gli alti e resistenti scaffali di legno, perfettamente
ordinati lungo le pareti, oppure allineati intorno all’area interessata. Tappeti
persiani rendevano ancor più leggera la sua camminata, ne attutivano il suono,
finché non si fermava per scorrere i titoli sulle copertine colorate. Vetrate
rettangolari permettevano alla luce del giorno di illuminare l’ambiente e di
rischiarare la lettura. Tavoli di legno pregiato con i gambi arcuati stavano lì
per chi avesse necessità di leggere e nel contempo di prendere appunti, di
ripassare con la matita i punti fondamentali su un occasionale block notes. Sopra la superficie
levigata di questi tavoli, vi erano eleganti lampade da accendere per chi soleva
fermarsi fino a sera. In alto, lampadari di cristallo impreziosivano con la loro
presenza il soffitto, risultando gradevoli alla vista.
Se era fortunata, in alcune biblioteche poteva ammirare
bei quadri raffiguranti nature morte, o vecchi ritratti di Lord che erano
passati di lì per il suo stesso motivo, per il diletto e il piacere di perdersi
fra le parole dei manoscritti, di estraniarsi dal mondo esterno e – perché no? –
di fare paragoni con la realtà. In fondo, quella di guardare oltre le apparenze
era l’attività preferita dei lettori più coinvolti, o dei veri
scrittori.
Solo qualche volta, Asami chiedeva l’aiuto e il
consiglio della bibliotecaria, che poteva servirsi delle apposite scale per
salire dai volumi situati più in alto.
Il più delle volte, ella sapeva bene quale libro
leggere, si presentava preparata dopo un’attenta ricerca effettuata su internet.
Allora lo stringeva al petto con cura, come se si trattasse di un piccolo tesoro
da custodire gelosamente.
Perciò, che fosse per studio o per diletto, lei non
saltava quasi mai il suo appuntamento quotidiano con la
lettura.
Si chiedeva se un giorno non ci avrebbe pure lavorato,
dentro a una biblioteca o a una libreria. Effettivamente sarebbe il lavoro
perfetto per Asami, anche se le chiedessero di spostare mucchi di libri
polverosi e di riordinarli scrupolosamente in ordine alfabetico, si
accontenterebbe di fare ciò senza una smorfia o una
lamentela.
Forse, per via delle sue origini anglo-giapponesi,
meritava di meglio, ma a quindici anni non le importava minimamente, era ancora
troppo presto per sapere cosa esattamente le riservasse il futuro. Anche perché,
a causa dei numerosi impegni di lavoro, gli instancabili genitori erano stati
costretti a iscriverla in un collegio inglese.
Per dieci anni dal giorno della sua nascita, lei era
vissuta serenamente a casa dei nonni materni, in Giappone. Fu a causa di
ricorrenti episodi di bullismo di cui era stata vittima, mentre frequentava la
scuola elementare, che si decise che questo trasferimento non poteva più essere
rimandato. E da parte sua, non lo percepì come un distacco ingiusto e forzato,
anzi si abituò presto al nuovo ambiente e all’istruzione che le
impartivano.
La biblioteca del collegio era molto bella e spaziosa,
con le sue tinte blu, mogano e argento.
Tuttavia la sua preferita, quella in cui si trovava al
momento, era la biblioteca di Hyde Street, vicino alla Cattedrale antica e alla
piazza centrale della città nel Sud dell’Inghilterra. Era colorata, poco
frequentata e piacevole, e coincideva con la sua descrizione
ideale.
La bibliotecaria, Miss Falloway, era una vecchia zitella
molto gentile e cordiale, sempre disponibile ad aiutarla e a prestarle i libri,
in modo che continuasse a leggerli tranquillamente anche nella propria camera
del dormitorio, prima di addormentarsi.
Dopo aver mostrato il permesso di uscita firmato dal
direttore del collegio, Asami non ebbe problemi a guardarsi intorno, senza
fretta. Quel giorno scelse tre libri e prese posto su una poltrona dallo
schienale bordato di rosso, con accanto un tavolino basso su cui erano poggiati
un piccolo mappamondo e una lampada a forma di fiore.
Incominciò a leggere.
Proprio quando stava voltando la sesta pagina per
passare alla settima, sentì il cellulare vibrare nella tasca interna della
giacca leggera che indossava. Avrebbe potuto ignorare la chiamata, ma non sapeva se
era importante oppure no, magari la cercavano proprio al
collegio.
Dopo qualche secondo di esitazione, lo prese di scatto e
accettò, sussurrando un «pronto»
piuttosto apatico, annoiato.
A rispondere fu la voce irritante di suo cugino Sora,
che volle sapere a tutti i costi dove fosse.
Dopo aver sollevato gli occhi nocciola verso l’alto,
rispose con un’altra domanda.
«Perché vuoi saperlo?».
«Non rovinare tutto, Asami-chan! Dimmelo senza fare
storie», sentì replicare in tono lamentoso.
Venne sfiorata per un attimo dal pensiero di mentire a
riguardo, magari quello che provava dentro era solo un presentimento, Sora non
poteva trovarsi nelle vicinanze, lui era in Giappone… o no?
E comunque come diavolo aveva fatto ad arrivare fin lì,
in una città sperduta nel Sud dell’Inghilterra, per farle chissà quale sorpresa,
se aveva una paura assurda degli aerei – o meglio, delle altezze in
generale?
Lo informò in tono secco riguardo alla biblioteca vicino
alla piazza centrale, in Hyde Street, e riattaccò.
L’ultima volta che si erano visti, durante le passate
vacanze natalizie in Giappone, suo cugino, patito di baseball, l’aveva costretta
ad uscire per accompagnarlo ad assistere all’ultima partita dell’anno della sua
squadra preferita.
Il suo primo sbaglio fu di aver accettato di uscire
senza chiedergli la destinazione, il secondo di aver indossato il suo cardigan
di lana preferito sopra un vestitino bianco che le arrivata poco sopra le
ginocchia.
In mezzo al chiasso infernale e a un gruppetto di
chiassosi teppisti seduti in tribuna, proprio nei posti dietro i loro, si era
accorta con disgusto che quelli cercavano ogni scusa per alzarle la gonna e per
biascicarle frasi sconce alle orecchie. Che orrore!
E mentre sentiva l’istinto omicida scalpitare,
quell’idiota di suo cugino era troppo concentrato sulle azioni dei battitori per
fare qualcosa, per aiutarla.
La goccia che fece traboccare il vaso cadde quando si
toccò i capelli biondi, ritrovandoseli appiccicosi e unti di una strana salsa
per hot dog.
Finì che dovette trascinare il ragazzo di peso fino ai
bagni, prima della conclusione del match, per poi marciare indignata e fumante
di rabbia fuori dallo stadio e dritta a casa, dove si era giustamente sfogata
con la nonna e con zia Suzuna, imprecando e lagnandosi perché per lei le cose
non andavano mai come nei suoi adorati libri.
Riprese con la rilassante e stimolante lettura, poiché a
suo parere era meglio quello che ripensare a certi pomeriggi spiacevoli,
appoggiandosi allo schienale di morbido velluto rosso dietro la
schiena.
*
Sora non tardò ad arrivare.
In tutti quei mesi trascorsi senza vederla né sentirla,
l’idea che la cugina fosse ancora arrabbiata con lui lo aveva tormentato a tal
punto da spingerlo a partire.
Non aveva preso l’aereo poiché ne aveva una paura folle,
però la settimana prima sua madre, partecipando a un’estrazione a scopo
benefico, aveva vinto due biglietti su una nave da crociera che, guarda caso,
sarebbe passata proprio dall’Inghilterra.
Colse l’occasione al volo, accompagnato da una persona
che ad Asami avrebbe fatto sicuramente piacere rivedere.
Entrò da solo in biblioteca.
Sperava che con una sorpresa doppia l’avrebbe subito
perdonato.
Fece intendere con un cenno alla bibliotecaria che non
voleva essere annunciato e raggiunse la cugina, non sorprendendosi di trovarla
placidamente intenta a leggere. Assorta e con un lieve sorriso sul volto grazioso,
contornato dai capelli chiari che scendevano in morbide ciocche ondulate lungo
le spalle esili. Con le ciglia sottili, il nasino delicato, la linea
degli occhi e il loro colore, i lineamenti e il fisico snello e slanciato,
assomigliava più alla madre – bastava guardare le foto da ragazza di zia Misaki,
per capirlo.
La divisa del collegio, con un motivo a scacchi rossi e
blu, le calzava a pennello, la giacca leggera e aperta sul davanti le ricadeva
morbidamente addosso.
Asami si spostò una ciocca dietro l’orecchio e
casualmente alzò lo sguardo, accorgendosi finalmente della sua
presenza.
Sora si tolse il cappello da baseball bianco e nero e se
lo appoggiò al petto, prima di rivolgerle un sorriso scanzonato e salutarla,
senza alzare la voce, altrimenti sapeva che la cugina lo avrebbe immediatamente
fulminato con lo sguardo, visto il rispetto che provava per le
biblioteche.
Accennò un inchino.
«Ciao, Asami-chan. Sono felice di vederti. Piaciuta la
visita a sorpresa?» mormorò, facendosi più vicino.
La ragazza chiuse il libro e si sporse leggermente a
sinistra per appoggiarlo sul tavolino, tra il mappamondo e la
lampada.
Osservò con occhio critico i bruni capelli
disordinatissimi del cugino. In effetti imitò lo stesso sguardo di
disapprovazione che avrebbe potuto lanciare anche a suo zio
Shintani.
Questo non significava che non volesse bene a entrambi,
però. Proprio perché voleva bene a tutta la sua famiglia, ella
approfittava di ogni periodo di vacanza per pregare i suoi genitori di portarla
via dal collegio. Negli ultimi quattro anni era stato così,
d’altronde.
«Sì, anche se avrei preferito trascorrere il pomeriggio
a leggere un buon libro».
«Chiusa in questo luogo pieno di polvere e tarme? Stai
scherzando, vero?! Fuori non sta nemmeno piovendo!» protestò
lui.
La constatazione l’aveva fatta scattare in piedi come
una molla e con un’espressione di ammonimento gli era quasi piombata addosso,
con l’unico scopo di tappargli la bocca.
«Avrei dovuto aspettarmi che uno superficiale come te,
Sora-kun, non ne comprendesse l’importanza», sibilò,
convinta.
«Oh, certo, perché adesso l’aria viziata e stantia di un
luogo così lugubre è più importante dell’aria aperta, dei giardini in fiore e
delle bellezze della città. Ma smettila!» sbottò con un leggero
sarcasmo.
«Smettila tu!» gli pestò volontariamente un
piede.
«Finché non apri gli occhi, io non la finisco», ribatté,
ancora più testardo di lei, sopportando stoicamente il
dolore.
Si fronteggiarono con sguardi implacabili e decisi,
almeno finché uno dei due non avesse ceduto.
Asami si poneva in difesa delle biblioteche e dei libri,
l’altro in difesa dei propri princìpi: come si faceva a vivere in quel
modo?
Sapeva che la cugina aveva avuto a suo tempo dei
problemi a socializzare e a difendersi da bullette invidiose, ma questo non
significava che dovesse passare la sua intera esistenza a nascondersi e a
fuggire.
Accidenti, era la ragazza più bella che conosceva,
addirittura la trovava più affascinante della sua attuale girlfriend, per usare un termine
specifico.
Aveva dei genitori a dir poco fantastici, ok che erano
quasi sempre impegnati con il lavoro, ma nonostante questo non avevano messo il
benessere della loro unica e preziosa figlia in secondo piano. E a questo
proposito lui conosceva cose che lei ignorava.
Dunque, Asami doveva assolutamente smetterla di pensare
che nascondendosi le paure e i problemi sarebbero scomparsi come per magia,
inghiottiti da uno dei suoi libri.
Occorreva che fosse sincera con se stessa e con gli
altri.
A questo punto, chi meglio di un parente affezionato
poteva aiutarla, consigliarla, darle una scrollata?
Cosa che fece, anche a costo di guadagnarsi uno schiaffo
e il suo disprezzo. Rischio era il suo secondo nome. Qualsiasi reazione sarebbe
stata meglio di niente.
La prese per le spalle e le diede un forte scossone,
sotto l’occhiata d’un tratto allibita e confusa di lei.
«Sei forse impazzito?» domandò, mantenendo un tono di
voce basso.
Si aspettava una risposta, subito, non di venire
trascinata via, la mano stretta a quella del cugino.
«Aspetta! I libri…» squittì lei.
“Al diavolo i
libri!” pensò Sora.
L’anziana signora, capendo quello che voleva, dalla sua
postazione al bancone li salutò con un sorriso che la diceva lunga – era
malizia, quella?
«Sorry, Miss. See
you soon!» ricambiò il saluto parlando in inglese.
Sempre più affranta, Asami si disse che la prossima
volta sarebbe stata costretta a spiegarle che aveva frainteso, che quel ragazzo
era in verità suo cugino, che aveva questo temperamento particolare e che,
occasionalmente, si comportava da pazzo irragionevole e
villano.
Non si sarebbe mai innamorata di uno come Sora, questo
era poco, ma sicuro.
Forse nelle vene di entrambi scorreva in parte lo stesso
sangue, però i loro caratteri erano incompatibili fin
dall’infanzia.
Gli voleva bene come a un fratello e la cosa finiva
lì.
«Posso sapere cortesemente dove mi stai portando?»
s’informò. «Guarda che questa non è la strada che porta al collegio, devi andare
dalla parte opposta», ci tenne a precisare, esasperata dal fatto di essere
scortata senza uno straccio di spiegazione, manco fosse un cane al
guinzaglio.
Dato che lui si ostinava a non risponderle, a fare voto
di silenzio, Asami cercò di calmarsi.
E ci riuscì. In fondo era brava a riprendere il pieno
controllo di sé, proseguendo in una stradina lastricata mostrò la solita aria
apatica e incurante.
Sora si voltò appena. Nemmeno questo atteggiamento
scostante della cugina, il suo mascherarsi per evitare di manifestare
apertamente le proprie emozioni salvo casi eccezionali, l’avrebbe aiutata a
uscire dall’isolamento autoimposto.
In tutti quegli anni, non l’aveva vista piangere mai,
neanche una volta. Tratteneva persino il dolore e le
lacrime.
Un giorno sarebbe sicuramente scoppiata come una
bomba.
Giurò a se stesso di arrendersi, se la vera sorpresa non
avesse suscitato in lei alcun cambiamento di espressione. Pensò che si sarebbe
accontentato di vedere una puntina di commozione nel suo
sguardo.
Rimettendosi il cappellino con la visiera a celare in
parte la tensione che provava, Sora pronunciò un discorso abbastanza sentito e
chiaro, che scaturiva dal profondo, dettato da un affetto incondizionato per
lei.
«Guarda che non ti sto proibendo di leggere. Puoi farlo,
Asami-chan. Solo, non pensare che una realtà fittizia sia l’unica a farti stare
bene. E poi non sarai mai sola: ci sono io. E anche…» lasciò volontariamente la
frase in sospeso.
Asami non apprezzò il fatto che si fosse fermato
all’improvviso, non solo con quella frase, ma anche con il corpo. Poco ci
mancava e avrebbe urtato il viso contro la sua schiena.
Che svantaggio essere più bassa di lui di poco più di
una spanna!
Spostandosi lievemente verso destra e guardando pochi
metri più avanti, però, la ragazza comprese il motivo del suo comportamento
bizzarro.
Seduta sul marmo bianco della fontana, una bella donna
in abiti formali stava battendo le mani, compiaciuta.
«Sono riuscita ad ascoltare. Quest’inaspettata perla di
saggezza mi rende orgogliosa di avere Sora come nipote!» esclamò rivolta a
entrambi, alzandosi in piedi e trasportando un trolley da viaggio con la mano.
Avvicinandosi con lo stesso sorriso smagliante che usava per incantare le
persone durante le sue missioni diplomatiche, Misaki continuò: «Ovviamente puoi
contare su di me, anche se come madre sono un disastro, lo
ammetto».
Stavolta si era riferita unicamente a lei. Asami evitò
il suo sguardo, ma non fu abbastanza veloce per mancare di notare il velato
senso di colpa nei suoi occhi così simili ai propri.
«No, non è vero, è colpa mia», mormorò. «Sei venuta fin
qui per rimproverarmi di non essere abbastanza forte, vero? Di non avere il
temperamento tuo e di papà? Siete delusi da me. Scommetto che avreste preferito
un figlio come Sora».
Per fortuna, suo cugino si era fatto da parte, un po’
per lasciarle parlare da sole, un po’ per scattare foto alla grande piazza con
il suo smartphone.
Misaki sospirò.
«Asami-chan, dimmi… Da quanto tempo stai covando un tale
risentimento verso te stessa? Non senti quanto male ti stai facendo?» proferì.
Non con un tono di ammonimento, né di biasimo, né di accusa. Forse l’aveva
ferita.
«Ho sbagliato a dirlo. Scusami. Dimentica tutto», si
difese, facendo per tornare indietro, per scappare un’altra volta, per non
affrontare di petto la situazione.
Sentì il trolley che veniva nuovamente riposto a terra e
le braccia di Misaki le impedirono di muoversi, stringendola in un abbraccio che
voleva essere rassicurante.
«Se fosse come dici, non sarei qui, a preoccuparmi per
te. Sei come un libro aperto per i tuoi genitori. Anche quando non vuoi parlare,
noi ti capiamo. E c’è un’intera biblioteca da scoprire dentro di te, ma per
molti è chiusa a chiave. Sei tu a volere così. Pensi di non essere forte, ma
arriverà il momento in cui anche tu saprai tirare fuori le unghie e farti
valere. Su questo sono assolutamente sicura. Ho fiducia in te,
tesoro».
Se l’intenzione di suo cugino e di sua madre era quella
di commuoverla, ci stavano riuscendo. Forse.
Era molto grata a sua madre per quelle parole amorevoli
e su un punto aveva ragione: desiderava tirar fuori le unghie, farsi valere, e
in quanto al momento, Asami non dubitava che un giorno sarebbe arrivato.
Tuttavia, si rese conto, prima aveva bisogno di un confronto diretto, di una
lunga chiacchierata con la donna, che la lasciò per invitarla a seguirla. Allora
le mostrò con entusiasmo una limousine nera parcheggiata lì
vicino.
«Bene. Così ti mostrerò la mia camera in collegio»,
suggerì Asami con un lieve sorriso. Là nessuno le avrebbe disturbate, nemmeno
Mary, la discreta compagna di stanza che le era stata
assegnata.
Strizzando l’occhio, Misaki ebbe un’altra proposta più
interessante da farle: «E se invece andassimo a Londra per un’improvvisata a tuo
padre?».
«Cosa?!» trasecolò la più piccola. «Mamma, non posso, ho
il coprifuoco! Londra è distante, non tornerò mai in tempo!» le fece presente,
sostenendosi con il palo di un lampione per non cadere.
«Lascia fare a me. E se dovessero chiamarti, risponderò
io. I tuoi insegnanti riconoscono la mia voce», la
tranquillizzò.
«Sora, forza, andiamo!» strillò, richiamando il
nipote.
“Quanto si vede
che è abituata a viaggiare!” si disse sua figlia, le braccia incrociate al
petto dopo essersi ripresa dallo shock.
Sapeva che sarebbe stato inutile contestare sua madre
una volta che aveva preso una decisione. Era più cocciuta di lei e Sora messi
insieme, più orgogliosa e assennata. Lottava per ottenere ciò che
voleva.
Asami l’amava anche per questo, mentre le ritornarono
alla mente le sue parole “sei come un
libro aperto, c’è un’intera biblioteca da scoprire dentro di te” ad
accompagnarla in un nuovo viaggio verso casa, verso i suoi modelli di
riferimento, verso le sue colonne portanti.
Perché la sua meta era dove si trovavano gli amati
genitori.
___
Note:
Rileggendo la fine del manga, ho pensato di dilettarmi a scrivere una future-fic
incentrata su una possibile figlia della coppia
principale.
Mi è piaciuto immensamente usare il prompt biblioteca e adattarlo alla
protagonista. Era perfetto per il messaggio che volevo trasmettere, una sorta di
incoraggiamento a non chiudersi troppo in se stessi.
Non tratto spesso OC, credo sempre di fare un casino,
però devo ammettere che in questo caso era per una buona causa, dai
xD
Ho lasciato il finale aperto nel caso in cui decidessi
di scrivere un seguito.
Che ne pensate?
Questo è un link per Asami. Questa ragazza somiglia
molto a quella che penso io ^^
http://s9.favim.com/orig/131107/anime-girl-blonde-hair-cute-dream-Favim.com-1041900.jpg
Per Sora invece non ho trovato nulla, mi spiace =(
comunque ricorda il padre da giovane.
Riguardo alle età, i cugini sono coetanei, mentre per
Misaki ho contato 42 anni.
Spero vi piaccia e grazie a chiunque abbia letto fin qui
^^
Alla prossima!
Rina