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Autore: Ceccaaa    24/08/2016    0 recensioni
~DALL'ULTIMO CAPITOLO~
E poi quella parola, che aveva cominciato ad odiare. Corpuscontroller. Aveva un suono aspro sulla sua lingua e un profilo oscuro nella sua mente. Era l’insieme di amicizia e terrore. Una paura troppo terribile per essere vera, ma che esisteva senza il minimo dubbio. E poi, come colpita da un attimo di lucidità, un colpo al cuore: casa mia. Sono andati a casa mia. Lo sapevano. Sapevano chi era.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Dursley, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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La mia più grande paura

Jo corse fuori dall’aula, schizzando veloce tra gli studenti. Si scontrò con Lucy, che gli urlò contro, ma lui aveva altro per la testa. “Lucy, hai visto un elfo domestico, per caso?” chiese riprendendo fiato. “No, ti pare?” rispose lei scocciata. “E va beh. Ci si vede Lucyfera!” lei gli urlò dietro, mentre lui tornava verso l’aula dove Jake era rimasto solo. “So io dove trovare quell’elfo, amico.”
Si avviarono verso le cucine, usando la Mappa. “Ecco, ora devi solo fare il solletico alla pera.” La grande pera del dipinto d’accesso rise un poco e si trasfigurò in una maniglia verde. Sicuro, il biondo spinse la tela, che li lasciò passare. La cucina era enorme, quasi quanto la Sala Grande che si trovava qualche piano più su. Dei tavoli perfettamente corrispondenti ai cinque presenti in quella Sala erano disposti nello stesso modo e gli elfi si stavano affannando per preparare la cena. I due ragazzi scesero il piccolo gradino che divideva la porta dalla stanza e cercarono con lo sguardo la testa pelosa e pimpante di Kreacher.
Lo trovarono quasi all’istante: il piccolo elfo se ne stava su uno sgabello, accerchiato da una quindicina di altri elfi, evidentemente in pausa. Raccontava una storia appassionante sulla II Guerra Magica: “Fu in quel momento che Kreacher sentì un gran fracasso provenire dalla Sala Grande. Quindi, volendo rendere fiero il suo buon padrone, gridò agli altri elfi ‘Per il mio povero padron Regulus e per il grande Harry Potter. Per l’elfo Dobby: salviamo la nostra scuola!’ e allora tutti i suoi prodi compari elfi lo seguirono contro i Mangiamorte e il loro padrone!” finì di raccontare e tutti applaudirono e ruggirono orgogliosi. Un’elfa scoppiò in lacrime e altri due le portarono del tè caldo. “Cara Winkie, non piangere. Il nobile Dobby è morto con onore.” La rassicurarono in molti.
Facendosi spazio tra tutte quelle testoline che saltavano pimpanti di qua e di là, Jo e Jake arrivarono fino al piccolo gruppo che si esaltava attorno a Kreacher. “Signorino Jo! Kreacher non si aspettava di rivederti tanto presto.” Esclamò l’elfo venendogli incontro. “A cosa deve questa visita?” chiese. “Ho bisogno di parlarti. Del tuo padrone. Come si chiama?” chiese il ragazzo diretto. “Ma tu lo conosci! Lo conoscono tutti: è il grande Harry Potter, il padrone di Kreacher. Come l’elfo Dobby fece prima di lui, anche questo vecchio elfo lo serve degnamente, e sfido chi direbbe che non è così!” Jo annuì. “Era tutto ciò che mi serviva, grazie Kreacher.” Si voltò e salutò con un sorriso, tornando da Jake che lo aspettava vicino ad un tavolo pieno di dolci. “Dai Jake, è ora di tornare a studiare: pausa finita!” e ringraziando innumerevoli volte i piccoli elfi della cucina, uscirono e si diressero nei sotterranei.
 
Jo si svegliò di colpo, l’immagine della morte impressa nella testa, stufo di quel solito sogno. Ma era inutile che provasse ad addormentarsi con pensieri felici per la testa. Anzi: ultimamente aveva paura di addormentarsi, costretto a rivivere in modo sempre più reale il sogno dell’omicidio di Mila e Claire.
Sentiva la febbre pulsare nella testa, un caldo asfissiante circondarlo e dei brividi dovuti sia alla febbre che alla paura. Moriva di sonno, ma il Cavaliere lo stava distruggendo. Non dormiva, e questo causava mancanza di attenzione e febbre quasi costante.
Agitato, tormentandosi nel sudore caldo estrasse la mano dal baldacchino e afferrò il foglio di pergamena ingiallito dal tempo che era appoggiato sul comodino. “Lumos” la bacchetta s’illumino e lui pronunciò: “Giuro solennemente di non avere buone intenzioni.” La Mappa del Malandrino si animò e mostrò ogni piano di Hogwarts, ogni suo abitante e ogni animale. Cercò velocemente nel corridoio del terzo piano, poi setaccio a lungo la Foresta Proibita, ma niente. Nessun “Cavaliere Misterioso” o “Knife” nei paraggi. I passaggi segreti erano sigillati, ma li controllò comunque, senza alcun successo. Si rassegnò, per il momento. Tempo un quarto d’ora e si sarebbe svegliato nuovamente, avrebbe avuto nuovamente la febbre e ancora avrebbe controllato la Mappa.
Si addormentò di malumore.
 
Leòn venne svegliato da degli strani mugolii. Aprì la tenda, infilò le ciabatte e rabbrividì per il freddo notturno dei dormitori di Serpeverde. Si avviò verso la cuccia di Lloyd, ma era vuota. Si voltò verso il letto di Jo. I mugolii provenivano da lì. Si avvicinò velocemente e aprì le tende per controllare che Jo stesse bene. “Calmo, Lloyd. Ora chiamo Lumacorno. Ha la febbre a quaranta, dev’essere una brutta serata…” il cagnolino era la fonte dei mugolii, mentre cercava di svegliare il padrone leccandogli tutta la faccia preoccupato. Il Serpeverde sapeva che Jo si svegliava spesso la notte, e non era mai successo che non si svegliasse per più di venti minuti. “Finnigan! Keller! Morf!” gridò ripetutamente i nomi di tutti i ragazzi di Serpeverde, finché un assonnato Alexander Ivan entrò nella stanza quadrata stropicciandosi gli occhi. “Zabini, sono le quattro del mattino…” “Jo: ha la febbre, bisogna chiamare qualcuno.” In quel momento Jo, nel sonno, ebbe un conato, rigurgitando la cena. “Ti prego, vai a chiamare qualcuno, chiunque, Lumacorno…” Alexander, rendendosi conto della serietà della situazione, uscì dal sotterraneo, alla ricerca del primo Prefetto di guardia. Tornò mezz’ora dopo, seguito da Lily Potter, che era forse l’unica a poterli aiutare in quel momento. “Lily, Jo sta male. Ha la febbre e vomita nel sonno.” Lily evocò una barella più veloce che poteva, poi posò Jo su di essa, avvolgendolo in un batuffolo di coperte per non fargli avere colpi di freddo. “Veloci, all’infermeria. Leòn, aiutami. Ivan e tutti gli altri – indicò la folla che si era radunata nella camera – tornate a letto, non c’è niente di spettacolare in uno che vomita, sapete?” estrasse una Pasticca Vomitosa e la divise in due, costringendo Jo a ingurgitare la metà curativa. Leòn ringrazio Alexander per il suo aiuto, e in cuor suo ringraziò che avesse trovato proprio Lily.
Dopo aver depositato Jo, Leòn tornò a letto ammonito da Lily: voleva restare la notte con l’amico, ma la ragazza promise che ci avrebbe pensato lei.
Lily guardò il cugino nella penombra dell’infermeria. Il suo viso pulito era pallido più del solito. Una piccola stoffa bagnata era stata posata da Madama Chips sulla fronte del ragazzino, e le coperte erano state tirate fin sopra le spalle.
La ragazza si asciugò la fronte e sospirò. Si era preoccupata davvero, questa volta. Aveva visto il viso pallido del cugino, le coperte sporche di vomito e aveva sentito un caldo pesante e insostenibile. Era riuscita a mantenere il sangue freddo per organizzarsi, ma ora il petto si alzava e abbassava velocemente, mentre stringeva la mano scottante di Jo. Il piccolo Serpeverde giaceva immobile, il respiro lento e aritmico, la bocca semiaperta e il fiato pesante. La Pasticca aveva fatto effetto e lui aveva smesso di vomitare, e la febbre stava calando lentamente.
Eppure il suo non era ancora un sonno senza sogni.
 
Il Serpeverde si svegliò, per la prima volta da settimane aprendo semplicemente le palpebre. La luce del freddo sole di gennaio riempiva l’infermeria. Uno sgabello vuoto era accanto al suo letto e un biglietto era sul comodino, accanto a un bicchier d’acqua.
 
Caro Jo,
sono stata con te tutta la notte. Sono andata a lezione ma torno per pranzo. Un bacio,
Lily
 
Jo guardò l’orologio: mancavano due ore al pranzo. Non capiva bene come, ma quella notte non si era svegliato di nuovo, come aveva previsto. Eppure qualcosa doveva essere successo, perché era arrivato dalle segrete fino al quarto piano senza muovere un passo, e Lily gli aveva lasciato un biglietto dicendo che non aveva lasciato l’infermeria tutta la notte. Lily? Lily Luna Potter era rimasta a vegliare su di lui per una notte? Questo fatto lo lasciava perplesso. Doveva essere successo qualcosa di incredibile, se Lily non l’aveva lasciato un secondo.
Restò a fissare il soffitto, facendo pensieri su pensieri su come fosse finito in infermeria. “Madama Chips! Potrei avere uno spazzolino, per favore?” chiese attraverso la stanza. La vecchia infermiera era l’unico membro dello staff insegnanti a dormire ancora in ufficio, quindi doveva essere presente. Infatti la porta dall’altra parte dello stanzone si aprì e la donna si avvicinò al letto di Jo con un gran sorriso. “Mi fa piacere che ti sia svegliato, signor Dursley. Ho praticamente dovuto minacciare la signorina Potter per mandarla a lezione, questa mattina: voleva rimanere fino al tuo risveglio.”
Jo sorrise sereno a quella notizia, e chiese di nuovo uno spazzolino. “Ecco, il dentifricio è nel bagno. Manderò un elfo a prenderti dei vestiti.” Assicurò Madama Chips. Jo si alzò e si diresse nel piccolo bagno, poi si vestì e si ridistese sul letto, che nel frattempo era stato rifatto. All’una e mezza, la campanella del pranzo risuonò in tutta la scuola e Lily arrivò dieci minuti dopo seguita da una gran folla di amici e parenti. “Jo! Stai bene? Insomma, hai il mal di testa, nausea, febbre, male alle dita, infarti…?” “Molly, sto bene, non preoccuparti. Piuttosto dovreste raccontarmi cosa è successo, perché sapete: mi sono svegliato ‘stamattina in infermeria e non so come ci sono arrivato.” Jo cercò di staccarsi Molly, ma pareva alquanto impossibile.
“Prima devo sapere una cosa: che sogni hai fatto ieri notte?” chiese Claire sedendosi sul bordo del letto, mentre Molly si sdraiava accanto al cugino. “I soliti.” Rispose semplicemente il ragazzo, mentre lei aggrottava la fronte. “Jo, ‘stanotte Ivan è venuto a chiamarmi mentre facevo la guardia. Avevi la febbre alta e conati di vomito.” Ecco cosa era successo.
Era interessante come tutto fosse così degenerato, soprattutto perché dopo che si era riaddormentato, non aveva sognato la prigione di Bantdracal. No: era qualcosa di molto più profondo.
So voltò verso Mila. Lo guardava preoccupata, gli occhi argentati erano leggermente spaventati. Un certo disagio lo investì. Mila era l’unica persona che avrebbe voluto vedere in quel momento, ma non era possibile, lo sapeva.
Guardò Lily. “Perché sei rimasta con me tutta la notte?” chiese. Lei inarcò un sopracciglio: “Che domande fai? Hai avuto un attacco d’influenza. Che dovevo fare, lasciarti a vomitare nel tuo letto?” Jo la guardò poco convinto: “Non ti ho chiesto perché mi hai portato in infermeria. Potevi finire il turno e tornartene a letto, invece sei rimasta fino alle nove. Perché?” nessuno fiatava. Era ben chiaro a tutti il difficile rapporto tra i due cugini, l’avevano dimostrato: Lily era molto severa nei confronti di Jo, forse iperprotettiva.
“Ne parliamo più tardi. Ora sono in ritardo per… un gruppo di studio.” Hugo la guardò uscire e le urlò dietro: “Un gruppo di studio? A chi vuoi darla a bere?” e la rincorse salutando velocemente. Molly si mise una mano sulla bocca cercando di soffocare una risatina. “La piccola Lily sta crescendo. Vorrei sapere cosa ne direbbe lo zio Harry.” E tutti risero. “A proposito: quel Davies. Ti va dietro da due settimane, non è ora di dargli una possibilità?” chiese a sua sorella, che inarco il sopracciglio e gonfiò il petto rispondendo: “Ti pare che mi metto a uscire con quello là? È solo un irresponsabile.” Lucy era stata la sorpresa più grande, per Jo, quando era entrata chiacchierando amabilmente con Claire dietro a tutti. “Vedremo.”
Mila e Claire si rotolavano dalle risate, mentre Leòn cercava di trattenerle a fatica.
Jo esibiva un sorriso divertito e Molly stava decisamente prendendo in giro Lucy al suo fianco. “E va bene, questo l’hai voluto tu!” Lucy – contro ogni aspettativa di Jo – prese a fare il solletico alla sorella, che si agitò implorando pietà. “Ba-basta! Smettila, è-insopportabile! Ti-ti pre-ego!”
“Signorina Weasley! Non tollero questo baccano. Tuo cugino ha bisogno di riposare, ora. Tutti fuori.” L’infermiera salvò Molly dal solletico. Lucy si ricompose nella sua figura seria, anche se il viso era un po’ meno duro del solito. Jo salutò i suoi amici e rimase solo. Guardò l’orologio: le due meno venti. I suoi cugini e amici avevano saltato il pranzo pur di venirlo a trovare. Sospirò e si mise a sedere e si appoggiò ai cuscini. “Signor Dursley, ecco il tuo pranzo.” Madama Chips attraversò la stanza con un grande vassoio pieno di cibo. “Grazie mille, Madama Chips.” Il ragazzo si accorse che stava morendo di fame: dopotutto aveva rigurgitato la cena. Si avventò sul cibo e si riempì la pancia. “Ora prendi questa.” L’infermiera gli passò un dolcetto. Ma non uno qualunque: una Pasticca Vomitosa. “Vuole farmi vomitare tutto?” chiese Jo sorpreso. “No: mangia la parte sana, me l’ha consigliato la signorina Potter.”
Jo passò un pomeriggio tranquillo, fissando il soffitto. Pensava al sogno di quella notte. Era un sogno poco tranquillo, poco piacevole, e raccoglieva una delle sue più grandi paure. Non era il primo e non sarebbe stato l’ultimo che avrebbe avuto, e lo sapeva.
 
Jo si trovava di nuovo in mezzo agli elfi, in cucina. Cercava Kreacher, ma era troppo basso e non lo vedeva. Non riconosceva nessuno degli elfi che aveva incontrato solo poche ore prima, ma soprattutto si accorgeva che il vestiario era cambiato. Se prima tutti gli elfi portavano una comoda tuta da ginnastica con lo stemma di Hogwarts, ora lo stesso stemma era posizionato su un sudicio straccio.
“Jo cerca Kreacher. Dov’è Kreacher?” chiedeva, e tutti lo guardavano confusi. “Jo va a cercare Kreacher.” Ma non toccò neanche il retro della tela che gli elfi lo trascinarono indietro. “Jo non può andare, lui non può. Non può uscire, deve andare un altro elfo.” E Jo prese a rimpicciolire, sempre più piccolo. Il drappo che indossava era sempre più grande e alla fine lui scomparve in uno sbuffo di fumo.
 
Umiliato, si sentiva umiliato e non ne sapeva il motivo.
“A cosa pensi?” Jo si guardò intorno: nei suoi pensieri non si era accorto della ragazza che si era avvicinata al letto.
“Io… a niente. Un sogno. Ma tu come hai fatto a liberarti di Leòn?” Mila aggrottò la fronte. “Non cambiare argomento. Che sogno?” “Niente, una cosa stupida. Davvero: non c’è da preoccuparsi.” Il ragazzo si mise a sedere. Si sentiva terribilmente nella situazione di un malato dell’ospedale che non vedeva i suoi amici da mesi. “E rientra nei soliti come hai detto a Claire?” quella ragazza era sempre, in modo inquietante, attenta ai dettagli. Una Serpeverde incredibile. “In un certo senso. Leòn è in punizione?” chiese ancora. “Sì, non ha ancora imparato l’Incantesimo di Disarmo. Mi racconti questo sogno?” “Sono abbastanza fatti miei.” “Il Cavaliere riguarda anche me…” “Non è sul Cavaliere.” “OK. Allora è ancora più interessante.” “Mila, ti ho mai detto che trovo i tuoi capelli decisamente profumati.” “Non provarci, Dursley.” “Non ti parlerò del mio sogno.” “Bene, tanto non ero qui per parlare dei tuoi sogni.” La ragazza si mise comoda sullo sgabello con l’aria di chi sta per iniziare un discorso difficile. “Di cosa vuoi parlare?” il Serpeverde la scrutò attento. Si stava preparando al peggio. “Dobbiamo rompere.” Mila chiuse gli occhi in un’espressione di puro dolore misto a sollievo. Non vedeva la bocca di Jo inesorabilmente spalancata, o i suoi occhi il cui verde sembrava più scuro del solito, eppure pieno di comprensione.
Quando lei riaprì gli occhi, Jo stava bevendo un bicchiere pieno fino all’orlo. La ragazza si sentiva piena di colpa, e non riusciva a guardarlo negli occhi. Eppure lui capiva, anche se continuava a bere senza respirare.
“Va bene. Eh, io… me l’aspettavo.” L’acqua della caraffa era finita, quindi il ragazzo non aveva più una scusa per non parlare, o per evitare gli occhi di Mila, che si erano improvvisamente agganciati ai suoi. Ma soprattutto, erano improvvisamente sollevati.
“Quindi.” Disse una voce. “Io sono solo un pagliaccio che cerca di conquistare una ragazza occupata.” I due si voltarono, le bocche secche, verso un Leòn decisamente infuriato. “Leòn… noi…” ma il ragazzo stava già correndo verso le segrete.
Quella sera Jo tornò nella Sala Comune, dove la sua assenza era stata evidentemente sentita. I ragazzi lo assalivano cercando di farsi aiutare in tutte le materie possibili. “Scusate, non sono in vena di studiare.” E tornò oltre il muro lasciando i suoi compagni tra l’offeso e il sorpreso.
Si diresse verso la biblioteca, dove Claire si era rifugiata, in fuga da Norton. “Hey.” Si sedette al solito tavolino appartato in uno degli angoli più scuri della biblioteca. “Jo! Non è che…” “Sì, lo finisco, passa.” Afferrò il tema di Claire, ma qualcuno chiese: “Clary, mi dici perché non mi hai detto che venivi qui? Potevamo studiare insieme!” eccolo, l’unico che poteva minargli il morale più di quanto già non lo fosse. Al Norton. “Beh, io e Jo dovevamo ripassare Incantesimi, quindi ci siamo incontrati qui.” Spiegò lei.
“Fa niente Claire, devo andare. A camminare.” “Cadi nel lago.” “Ma sì, magari l’acqua fredda mi aiuterebbe a capire come salvare Claire da un idiota come te.” I due ragazzi avevano sviluppato un odio l’uno per l’altro e non perdevano occasione per scambiarsi frecciatine maligne, anche se Jo era decisamente più bravo a rispondere.
“Ti pare, con questo freddo a camminare.” Al si voltò verso Claire e la sua espressione si addolcì. “Per fortuna tu sei una Corvonero e non fai certe cretinate.” La ragazza inarcò un sopracciglio e rispose tagliente: “In realtà penso che un po’ d’aria fresca mi aiuterebbe a studiare. Ci vediamo dopo, Al.” E seguì l’amico fuori dalla biblioteca.
Lo raggiunse che fissava il lago, quasi desiderando che la piovra lo tirasse dentro e lo facesse sparire per sempre.
Gli mise una mano sulla spalla. “Sai, forse Norton ha ragione: merito di cadere nel lago e morire annegato.” Lei sospirò. “Jo, qualunque cosa sia successo nella vostra Sala Comune, sono sicura che si risolverà.” Lui si sedette e cominciò a piangere. Sempre così emotivo, quel ragazzo.
“Jo…” “No! È tutta colpa mia, è sempre colpa mia e ora Leòn non mi parla più. SONO SOLO UN IDIOTA!” Claire si morse il labbro. “Tu e Mila avete rotto.” La verità lo trafisse come una lama troppo affilata. “Leòn… lui sa tutto. Ci ha sentito che parlavamo.”
“Sai, pensavo che la mia più grande paura fosse quella di sentirmi piccolo e insignificante, ma la verità è che non voglio rimanere solo.”
Claire gli abbracciò le spalle da dietro. “Non sei nessuno dei due, fidati.” Gli soffiò una voce all’orecchio. Non era Claire, era Lily.
   
 
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