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Autore: FRAMAR    27/08/2016    26 recensioni
Ero il suo principe, mi avrebbe portato in terre sconosciute, me lo aveva promesso. Ma ormai lo avevo perduto e questo mi ha spinto a cercare la felicità.
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Dedicata a tutti i ragazzi delle zone terremotate affinché possano trovare la loro felicità
Genere: Avventura, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Io sono la tua felicità


 
Sei tu il mio sogno lontano, Renato! Un sogno bellissimo. Ricordo come  se fosse ora la prima volta che ti vidi. Ero dovuto stare cinque giorni a letto con la febbre alta, ero stato molto male e quando mi ripresi, mia madre mi portò ben coperto nella mia poltrona e così vidi, con stupore, che c’era un nuovo ragazzo che giocava in cortile con altri che ben conoscevo. Eri tu Renato.

Mi sembrasti subito diverso dagli altri, più alto, più forte e più bello. Eri il più bello di tutti e il più bravo. Quando giocavi al pallone, io facevo il tifo per te e gridavo: “Forza Renato, forza!”.

Avevo sentito che ti chiamavano così, ma tu non mi ascoltavi, non mi vedevi nemmeno. Era troppo la distanza tra noi anche se eravamo vicini. Solo un giorno alzasti gli occhi verso di me e fu amore a prima vista. Mi sorridesti come se ci fossimo conosciuti da sempre.

Poi l’estate finì e ricominciarono le scuole. Venivate a portarmi i compito a casa perchè in quel periodo non potevo frequentare ancora la scuola. Un sabato la mia amica Laura mi disse: “Quest’altra settimana ti porterà la lezione quel ragazzo che è venuto ad abitare qui e si chiama Renato.

Io ti aspettai con ansia e volendo essere più bello mi feci tagliare i capelli. Tu mi guardasti un po’ dicendomi: “Buongiorno, principe”.
Io mi sentii davvero un principe. E tutte le volte che tornavi, mi sentivo importante con te vicino che mi parlavi dei tuoi sogni: “Mio padre vorrebbe che io facessi il funzionario di banca come lui ma a me non piace  proprio di stare in ufficio tutto il giorno, al chiuso. Io voglio fare l’esploratore, voglio scoprire nuove terre e tu sarai il primo a vederle, tu sarai il mio principe.

Mi riempivo gli occhi e la mente dei suoi sogni, di terre lontane e selvagge che nessuno, tranne noi, conosceva.

Ma quando l’estate stava per tornare, tuo padre fu trasferito nuovamente e tu te ne andasti.

Io ero lì sul balcone che ti guardavo e tu mi dicesti: “Addio, principe”.  E’ passato del tempo da allora. Quel povero ragazzo ammalato è diventato un giovane che nella vita ha conosciuto poca felicità, che non sa cosa  vuol dire avere degli amici, che è diventato acido e perché la solitudine è brutta. E tu perdonalo, questo sciocco ragazzo.  Credo ancora che tu un giorno o l’altro, scoprirai davvero un nuovo mondo, e allora, come nel sogno, verrai a prendermi per mostrarlo solo a me.

 
 
Mi chiamo Leo e sono un ragazzo felice, dicono gli altri: papà ha tanti soldi, mamma è una signora elegante e bella, dai nonni ricevo sempre favolosi regali a ogni festa e occasione. A tutto questo preferirei più compagnia perché i regali che tutti ammirano non servono a niente dal momento che vengono regolarmente riposti nelle scatole.

Non sono felice, non sono per niente felice per cui un giorno, dopo aver riflettuto a lungo, decido di andare a cercare questa felicità di cui ho sentito parlare e che non conosco.

Esco come al solito per andare a scuola e invece, con i soldi che ho tenuto da parte salgo prima su di  un tram poi sul treno che mi porta lontano.

Ho sempre desiderato viaggiare sul treno e adesso che finalmente ci sono sopra mi sento libero, leggero, ho la sensazione di volare, di sollevarmi da terra. Mi sento euforico.

Ci sono state perplessità e domande di gente curiosa, ma queste piccole grane erano state previste e alla fatidica domanda: “Ma dove vai tutto solo, non dovresti essere a scuola a studiare?”: Dopo avere atteggiato il viso a una espressione di dolore, rispondevo: “I miei genitori mi aspettano alla stazione per portarmi dai nonni che stanno male. Loro dicono che sono grande abbastanza per viaggiare anche da solo”.  Questo era servito a fare tacere la coscienza delle persone di buona volontà. Per tutte le altre che chiedevano e che io ritenevo di poca importanza, la risposta era stata molto più spiccia: “Occupatevi dei fatti vostri”.

Così dopo un viaggio che a me è sembrato lungo abbastanza da fare perdere le mie tracce, scendo e mi trovo in un posto nuovo, sconosciuto, tutto da scoprire e quindi pieno di promesse.

Sono in riva al mare quando vedo un pescatore che sta scaricando la sua giornata di pesca: ha l’aria soddisfatta e felice.
Lo fermo e senza pensare gli chiedo che cosa è per lui la felicità.

Il pescatore risponde: “Per me, è una giornata come questa, ricca di pesce. Tutto questo che vedi, lo venderò a un ristorante che me lo pagherà abbastanza bene. Ma tu sei piccolo, guarda, forse non puoi capire cosa dico, per te  la felicita magari è un giocattolo nuovo o trovare bravi amici. Io alla tua età…”.

Chissà che cosa ha da dire sulla mia età il pescatore, perché io non lo ascolto più. Tanto non serve. Ho sentito un mucchio di volte discorsi iniziali con le stesse parole ed erano solo un pretesto per parlare di guerra, morti, malattie.

Me ne vado poiché ormai si è fatto tardi e ho fame, penso di unirmi a un vagabondo o come lo chiamano i suoi di casa, un barbone, che è lì vicino al porto, sta riscaldandosi la minestra sopra un piccolo fuoco improvvisato.

“Posso sedermi con te?”, domando.

“Certo che puoi, se hai qualcosa da mangiare perché io troppo poco per darne anche a te”, risponde il vagabondo, “anzi se hai dei soldi vai a comprare qua vicino e poi facciamo a metà”.

“Certo che ho dei soldi. Adesso vado e torno”.

Così poco dopo facciamo cena ma per me non c’è pace.

Il vagabondo intuito che probabilmente ero scappato da casa, fa un mucchio di domande, vuole sapere un po’ troppo e pensa nel frattempo di sfruttare la situazione.

Rispondo senza pensare: la mia mente è lontana, assente con il problema che devo risolvere.

“Che cosa è la felicità, secondo te?”, domando.

“La felicità è un mucchio di soldi. Più grande è il mucchio , più grande è la felicità. Con i soldi compri tutto, hai tutto, persino gli amici. Credi a me, solo i soldi ti danno la felicità. Perché lo chiedi?”, risponde un po’ stupito il barbone.

“Come è possibile”, chiedo senza udire neppure la domanda, “come è possibile? I miei genitori hanno soldi, credo anche tanti, però non sono felici. Litigano sempre, non si parlano per dei giorni interi, credendo poi che io sia stupido da non capire, fanno a gara a chi di loro due mi fa il regalo più bello. No, non sono felici, quindi vedi che non è il denaro che fa la felicità”.

“Invece io ti dimostro che hai torto, che ho eccome ragione. Adesso vieni con me fino dai carabinieri così io riceverò sicuramente una ricompensa per averti ritrovato e consegnato e mi godrò i soldi. Tu sei scappato già da alcune ore da casa e i tuoi pur di averti saranno contenti di pagare anche una bella cifra”.

E mentre parla, con gesto repentino, mi afferra e mi trascina con sé.

Vistomi scoperto e non volendo ancora ritornare a casa, gioco il tutto per tutto. Mordo con forza la mano dell’uomo che mi tiene prigioniero e nello stesso istante gli sferro un calcio nei coglioni.

Per il dolore l’uomo mi lascia libero ed io veloce corro via facendo perdere le mie tracce.

Continuo a correre anche quando sono sicuro che non sono inseguito, fino alla periferia della città dove c’è un piccolo circo che  dà l’ultimo spettacolo.

Mi viene un’idea: perché non chiedere  il poter lavorare lì per un po’ di tempo? Avrei anche un posto per dormire e potrei viaggiare verso luoghi nuovi senza pericoli.

Non è tanto facile convincere il direttore del circo ma alla fine  mi assume come tuttofare perché la storia inventata lì per lì da me lo ha commosso e convinto e poi, una mano in più senza compenso fa sempre comodo.

L’indomani fra un lavoro e un altro, chiedo al pagliaccio Angelo: “Sei felice? Che cosa è per te la felicità?”.

Angelo non risponde subito, ma dopo mia insistenza è così pressante che si decide e sbotta: “La felicità è lavorare fino a essere così stanchi, da non avere più la forza di pensare”.

La risposta non mi soddisfa  e preso da fretta assurda, sento la necessità di chiedere ad altri per avere alla fine, una risposta. Il trapezista che dopo i suoi soliti esercizi da capogiro, si concede una piccola sosta, risponde: “La felicità è poter volare in alto, sempre più in alto, sentirti leggero, senza peso, fare ciò che gli altri pensano impossibile, trasformarti, diventare simile a un uccello che si libera nel cielo”.
“Però non posso fare diventare uccelli i miei genitori”, penso, “forse è meglio che  vada dalla vecchia indovina che ieri sera prediceva il futuro, assicurando che tutto si sarebbe avverato.”.

Vado sotto la tenda della vecchia, che di giorno non sembra poi per niente vecchia e neanche poi misteriosa.

Anche a le rivolgo la domanda che non mi dà pace.

L’indovina intuisce il mio tormento e ne prova tanta pena. Nella sua vita randagia ha visto molte miserie umane che le hanno dato una grande capacità di comprensione.

Rimane assorta un lungo momento a pensare con gli occhi bassi su di me, impaziente che la sollecita: “E allora che cosa è la felicità? Rispondi, non rimanere lì ferma e muta. Hai tanti anni più di me e devi averla per forza conosciuta questa felicità, devi aver visto qualcuno felice che mi possa dire come fa ad esserlo. Dimmi qualcosa, se vuoi dei soldi, io ti do tutto quello che ancora possiedo, poi lavorerò e te ne darò degli altri, ma devi, capisci, devi dirmi che cosa è la felicità e dove posso trovarla. Mi hanno detto fino adesso tante cose della felicità, ma nessuno mi ha convinto. Tu cosa dici? Parla!”.

“Se smetti di urlare tu, allora posso parlare io. Sono vecchia è vero, stanca anche e non posso gridare forte che mi stancherei troppo. Vuoi sapere che cosa è la felicità? Ma la felicità non esiste…”.

“Non è possibile, brutta vecchia, tu dici così solo per farmi arrabbiare”, sbottai.

“Lasciami dire e non interrompermi più. La felicità  non esiste. Non si vende, non si compra, non si vede. Però ognuno di noi la può costruire giorno per giorno, così come si costruisce una casa, mattone su mattone facendo attenzione di non voler fare troppo in fretta e soprattutto di non volere troppo”.

“E come faccio io a costruire la felicità per i miei genitori che non sono felici? Eppure il mio papà sa fare le case perché lavora in un cantiere e allora perché non è capace di fare altrettanto con la sua felicità?”, chiesi.

“Forse perché vuole costruire troppo in fretta e non vede niente di tutto quello che lo circonda. Devi tenere gli occhi ben aperti e anche le orecchie ben aperte se vuoi vedere e sentire perché se vivi con gli altri la tua felicità è la felicità degli altri. Vedi, è come una malattia infettiva tipo, non so, il morbillo, ecco, che si attacca a tutti quelli che ne vengono a contatto.  E adesso Leo, ritorna dai tuoi genitori e cerca di ripetere a loro tutto il nostro colloquio. La felicità, ricorda, è come il morbillo…”.

La vecchia indovina è stanca, non ha più voglia di parlare, non accetta i miei soldi dicendomi che mi sarebbero stati più utili per il viaggio di ritorno, a casa.

Esco dalla tenda e  sono sconcertato. Non so più cosa pensare. Forse è la stanchezza, chissà, o forse qualcos’altro.

Ho sentito dire che la felicità è una buona pesca, un grosso mucchio di denaro, un lavoro faticoso, essere senza peso e adesso per finire che è nientemeno che una malattia infettiva, tipo morbillo. Forse sono tutti matti quelli che mi hanno parlato insieme? Non sembra”.

E mentre riprendo il treno per fare ritorno a casa, penso che la felicità vuol dire essere un poco pazzi come la vecchia indovina.

E a questa conclusione piango e rido insieme e il desiderio di ritornare a casa, nel mio ambiente mi fa sentire forte che quasi mi viene voglia di scendere e spingere il treno. Non lo faccio  naturalmente, è assurdo, lo capisco come capisco che devo ancora crescere, maturare e forse, chissà, un giorno mi rimetterò di nuovo in viaggio alla ricerca della felicita e magari la troverò. Magari… ma cosa vedono i miei occhi? Ma è lui. Guardo meglio, si è lui, Renato.
“Che ci fai qui”, gli chiedo.

Mi sorride, “sto cercando te”, mi risponde, “sto cercando il mio principe”.

“Me?”.

“Si, so che stai cercando la felicità”.

“Ci ho rinunciato e sto ritornando a casa, ma sono contento di aver ritrovato te”.

“Si, perché sono io la tua felicità”.

E mentre lo bacio davanti a tutti, arrivo ad una conclusione: Felicità è vivere insieme alla persona che si ama.

E’ meglio un piatto di verdura dove c’è l’amore che un agnello ingrassato ma senza la gioia di vivere.

Siamo ancora giovani ma intanto stiamo insieme a lottare, e grazie al nostro amore ci aiuteremo, si due è meglio di uno, dove non arriva uno arriva l’altro, se uno cade l’altro lo rialza. Ho ritrovato Renato, sono il suo principe e non me lo farò più scappare e insieme scopriremo la vita e lui mi proteggerà.

Sì questo per me è la vera felicità.

   
 
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