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Autore: valemeo97    28/08/2016    0 recensioni
Due vite destinate a intrecciarsi secolo dopo secolo, legate da un passato oscuro segnato dalla brama di sangue e di potere.
Basterà l'amore tra due ragazze a cancellare gli oscuri meandri di un destino che sembra avere già in serbo per loro un finale già scritto?
Umano o mostro, scegli.
Essere, vuol dire essere la somma di tutto ciò che si è stati. L'uomo non comprende e non accetta l'immortalità se non a condizione di ricordare se stesso. Essere, per la creatura intelligente, è confrontare ciò che si è stati con ciò che si è.
- Victor Hugo.
Genere: Dark, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Non saprei dire con precisione quanto rimasi priva di coscienza, un paio d'ore o un paio di giorni. Ricordavo solo lo strano sogno che mi aveva tormentata durante il mio, si fa per dire, riposo. Il bosco, la sensazione di essere seguita e poi, come se non bastasse, persino la professoressa Dubois era stata oggetto della mia immaginazione. 
Nello stato di dormiveglia in cui mi trovavo, tentavo ora di mettere un po' d'ordine nei miei pensieri, in modo da tornare con la mente lucida all'ultimo ricordo di quando ero sveglia. La testa girava, in balia di un fastidioso ronzio che non accennava a lasciarmi in pace. 
Quel dolore. Ecco qual era l'ultima cosa che ricordavo. Quello era reale. 
Gli spasmi, le fitte lancinanti alla tempia e l'impossibilità di controllare il mio corpo. Ma se quello era reale allora anche il resto non poteva essere solamente frutto del mio subconscio...
Deglutii rumorosamente, schiudendo gli occhi. 
Uno sconfinato soffitto ad arco in mattoni svettava sopra di me, imponente, che lasciava presagire le effettive dimensioni della stanza in cui alloggiavo. 
"Finalmente ti sei svegliata". 
No, non era un sogno, avrei riconosciuto quella voce ovunque. Quel tono piatto, lineare e distaccato poteva appartenere solo a una persona.
Nathalie Dubois.
Mi misi a sedere, poggiandomi allo schienale di quello che sembrava essere un letto a dir poco reale, scrutando meglio l'ambiente circostante in modo da vedere con i miei occhi la presenza effettiva di quella donna.
Ed eccola lì, seduta in una posa del tutto naturale, con un libro poggiato sulle gambe, poco distante da me su un divanetto in pelle nera, adiacente a una vetrata che occupava quasi un'intera parete della stanza. Delle enormi tende in velluto rosso erano state saggiamente accostate in modo da impedire ai raggi del sole di filtrare all'interno, sebbene riuscivo a intravedere che ormai fosse sera inoltrata e che esse fossero superflue in quel tangente.
Il suo viso sembrava divertito. Non l'avevo mai vista sotto quella luce, così rilassata e serena. 
"Dove mi trovo?" chiesi non appena riuscii a sciogliere il fastidioso nodo alla gola, dettato probabilmente dallo straniamento e, soprattutto, dalla paura di essere finita in una pessima situazione. 
"Questa è una curiosità più che lecita, anche se ormai credevo ti fosse chiaro. Evidentemente è ancora troppo presto, o forse ti serve qualche incentivo... Vediamo di rimediare." Le sue parole non erano mai state tanto criptiche e lei lo notò dalla mia espressione al quanto smarrita. "Hai idea di come tu sia arrivata qui?" domandò pazientemente.
"No... l'ultima cosa che ricordo è di essere svenuta sul ciglio della strada di fronte al vialetto di casa mia."
"Tutto qui!?" incredula tamburellava con le unghie sul bracciolo del sofà. "Beh, in tal caso sarà opportuno un chiarimento da parte mia. Quello che mi hai appena raccontato è accaduto tre giorni fa." 
Tre giorni? Possibile che avessi avuto un vuoto di un lasso di tempo così vasto? I miei genitori, Maddy, Charlie... qualcuno mi starà cercando, conoscendo i miei avranno sicuramente avvertito tutte le forze dell'ordine impegnandole nella mia ricerca.
"Devo tornare a casa..." balbettai, cercando di mantenere un minimo di controllo, mascherando l'agitazione che a poco a poco sarebbe divagata a macchia d'olio.
"Mi dispiace ma questo non è possibile. Anche volessi scappare e, fidati, ti ritroverei prima che tu possa anche solo provare a mettere un piede fuori dalla porta, ti perderesti. Ora sei spaventata, lo leggo nei tuoi occhi, ma credimi se ti dico che sono l'unica in grado di poterti aiutare. Se ora tornassi a casa la situazione potrebbe sfuggirti di mano. Tutto ti sarà spiegato a tempo debito, non temere."
"Voglio delle spiegazioni ora. Come può pretendere che io mantenga la calma dal momento che lei mi ha rapita!"
"Innanzitutto, non sono io quella che ti ha rapita. C'era un uomo che ti stava seguendo da svariati giorni. E scommetto anche che tu sai di chi sto parlando".
L'individuo di fronte casa mia. 
Dal momento che non accennavo nessuna risposta, la professoressa continuò.
"Dopo che sei svenuta, sono intervenuta appena in tempo prima che ti portasse via con sé. Poi ti sei svegliata e hai iniziato a correre per il bosco che circonda il maniero finché non ti sei accasciata a terra. Ti ho trovata e portata dentro. Gli altri stanno ancora cercando quell'uomo, ma non siamo riusciti a vedere il suo volto anche se qualche sospetto lo abbiamo."
Gli altri? 
"Siamo?"
"Oh, conoscerai tutti a breve. Anzi perché non ti alzi e vieni con me in sala da pranzo, sarai affamata e, inoltre, sarà soddisfatto ogni tuo dubbio."
Detto ciò, ripose il libro sul divanetto e andò ad aspettarmi all'uscio.
Titubante, scostai il lenzuolo e la raggiunsi, incapace di proferire parola. Una cosa positiva c'era: avevo riacquistato la sensibilità del mio corpo.
Se la stanza in cui mi trovavo era maestosa, il resto del maniero era a dir poco immenso. L'intera struttura trasudava un'epoca passata con i suoi archi e i suoi arazzi che pendevano lungo svariate pareti massicce. 
Percorremmo una scalinata in marmo e ci addentrammo in quella che doveva essere la sala da pranzo. 
Una lunga tavolata occupava il centro della stanza. Rimasi a bocca aperta dalla quantità di cibo con cui era stata imbandita e dalla cura con cui erano stati disposti i piatti. 
"Serviti pure" annunciò Miss Dubois.
Senza pensarci troppo mi fiondai sul banchetto. Pollo, maiale, salmone e un'altra miriade di leccornie mi attendevano. Assaggiai quasi tutto, sorpresa dall'appetito furente che non credevo di avere. 
In silenzio anche la mia insegnante, o forse dovrei dire ex insegnante, prese posto accanto a me, limitandosi a versarsi un bicchiere di vino in un calice.
Quando fui completamente sazia, respirai profondamente e dissi: "Ho bisogno di risposte. Chi era quell'uomo che voleva rapirmi? E perché lei ha messo gli occhi su di me fin dal primo giorno in cui ha cominciato a insegnare? Quando ha fatto l'appello quella mattina lei sapeva esattamente chi fossi, ancora prima che io alzassi la mano sentendo pronunciare il mio nome... sbaglio?" Volevo apparire sicura di me, in modo da dimostrare la veridicità di quanto appena affermato, ma il mio tentativo risultò solamente goffo e disperato.
"Partiamo dalla seconda domanda. Non sbagli, io ero a conoscenza della tua identità ormai da tempo, anzi tu sei stata il motivo per cui mi hanno mandato in quello squallido liceo. Ma ti avverto. Quello che stai per apprendere supera di gran lungo quanto la tua mente umana possa comprendere." si portò la coppa alle labbra e ne bevve un piccolo sorso, poi proseguì. 
"Come penso tu abbia già constatato, non sono un'insegnante, benché senz'ombra di dubbio sappia più cose di tutti loro messi insieme. So anche che tu e Madison avete tentato invano di carpire qualche informazione su di me dal web."
"Solo un articolo del '71". La corressi.
Il suo sguardo si incupì, rivelando per la prima volta un lato quasi animalesco nelle sue iridi, facendomi sussultare sulla sedia.
"Una piccola mancanza." Non osai controbattere, terrorizzata dal suo atteggiamento furente, ma aspettai che si placasse e che proseguisse. 
"Da dove iniziare..." si domandò una volta ripreso il controllo.
"Perché cercava me?" chiesi, non riuscendo a trattenere lo sbigottimento.
"Smettila di darmi del lei, mi fai sentire a disagio" non immaginavo neanche lontanamente  che qualcuno potesse mettere a disagio proprio lei. Lei che sembrava uscita da chissà quale rivista di top model. 
"Devi sapere che quella che hai vissuto fino ad ora non è la tua vita. Tu sei destinata a qualcosa di molto più grande e io, beh, ho il compito di farti ricordare chi sei. Quei sogni, quel dolore che ti ha assillato erano solo i campanelli d'allarme. Dovrai affrontare prove molto più dure."
"Tu sei pazza..." bofonchiai. Mi stava riempiendo la testa di assurdità per giustificare un vero e proprio rapimento! Ecco, questo era. Un rapimento in piena regola.
"Quando i ricordi inizieranno a fluire, tutto ti sarà più chiaro. Credi nel sovrannaturale?"
"Certo che no" che domanda era? 
"Allora dimmi, come faccio a sapere che la sera in cui sei stata ricoverata hai avuto delle visioni?"
Questo me lo aveva già detto il giorno in cui era venuta a trovarmi inaspettatamente, non appena ero stata dimessa. Da allora non ero riuscita a darmi una risposta. Scossi il capo, incapace di spiaccicare una sillaba.
"Sembri un cucciolo smarrito" disse scoppiando poi in una risata cristallina. "Perdonami. Devi sapere che un tempo esisteva una donna incredibilmente bella, a cui il destino aveva riservato una sorte atroce. Ella viveva in Grecia."
"Non voglio che mi racconti favole, voglio la verità" esordii interrompendo la sua narrazione.
"Abbi pazienza e non interrompermi" disse irritata. "Dunque, lei e la sua famiglia risiedevano a Megara. Di umili origini, il padre commerciava in lungo e in largo per poter provvedere alla felicità dei suoi familiari e, soprattutto, per poter accontentare ogni desiderio della figlia tanto amata. La fanciulla, però, non era certo nota per la sua bontà d'animo, anzi era egoista e pretendeva per sé quanto di più regale potesse esistere. Il suo cuore era offuscato dalla avarizia e dalla lussuria più sfrenata, tanto che in più di un'occasione rischiò di mandare in rovina la propria famiglia, scialacquando i pochi soldi che possedevano in beni superflui. Iniziò così a intrattenersi con uomini potenti, allietando le loro notti. Fu proprio uno di questi, Kyros, che si invaghì di lei. La ricoprì di attenzioni degne di una regina, sperando così di poter far breccia in quella gelida corazza che abitualmente ella indossava in sua presenza. Saltuariamente lei respingeva le sue assidue proposte di trascorrere il resto della vita insieme e questo fece infuriare la madre di Kyros, che assisteva impotente alla rovina del figlio. Anthia, questo era il suo nome. Su una collinetta, Caria, svettava in tutta la sua maestosità il tempio di Dioniso, di cui Anthia era sacerdotessa. Quello che molti non sapevano era che la donna si dilettava anche in riti occulti, sacrifici umani e orge dionisiache, tutto rivolto ad accaparrarsi i favori del Dio. Una notte drogò la fanciulla, dopo che aveva consumato il suo rapporto con Kyros, e la rapì. Fu seviziata e violentata più volte da uomini e donne completamente in balia di allucinogeni, grazie ai quali tutte le inibizioni svanivano, proprio secondo usanza a Dioniso. Lei non fu l'unica vittima di quel terribile massacro, molti altri innocenti subirono gli stessi trattamenti. I suoi carnefici credevano di averla uccisa o che comunque le bestie avrebbe finito il lavoro al posto loro, non potevano certo immaginare che in quel lago di sangue lei avesse ancora le forze per rimanere aggrappata alla vita. Alle prime luci dell'alba un giovane discepolo dell'ordine comandato da Anthia trovò il suo corpo martoriato, sorpreso del fatto che avesse superato il rituale. Lui voleva porre fine alle sue sofferenze ma vide qualcosa nei suoi occhi che gli impedì di compiere quello che andava fatto. Si narra che egli, inesperto, ruppe l'equilibrio naturale delle cose salvando colei che ormai era destinata a perire; fece ricorso a quella che i Greci chiamano αρχέγονη μαγεία, la magia primordiale nata da Chaos in persona, oscura entità originaria a cui si riconduce la nascita del mondo. Quella fanciulla rinacque, rinvigorita di forza nuova. Ma non era più umana. L’ignaro benefattore creò il primo essere immortale.”
Miss Dubois interruppe il suo racconto, pensierosa. I suoi occhi, intenti poc’anzi a scrutarmi meticolosamente, ora danzavano tra me e l’uscio della stanza, come se stessero aspettando la comparsa di qualcuno. 
Immobile, riflettevo sulle ultime parole che avevo udito, incapace di trattenere lo sgomento e l’incredulità. No, non riuscivo a etichettare quella storia come veritiera, per me era un semplice mito, appartenente a chissà quale tradizione popolare. Una donna immortale, che sciocchezza. Certo, il suo destino era stato a dir poco macabro e ingiusto, questo non lo mettevo in discussione, e magari quella sorte era toccata a molti innocenti. Ricavarci sopra, però, una favoletta per spaventare i bambini era eccessivo.
Tra di noi era calato il silenzio, quando tutto a un tratto un giovane uomo fece il suo ingresso in sala. Emanava sicurezza, il suo passo fermo non lasciava trapelare alcun segno di sorpresa nel vedere un’estranea seduta a banchettare in casa.  Il suo aspetto era molto simile a quello di Nathalie, sotto svariati punti di vista sembravano appartenere alla stessa famiglia, tanto che ipotizzai subito che fossero fratelli. La stessa carnagione diafana, lo stesso portamento fiero e la stessa, ineguagliabile, bellezza. Solamente gli occhi si differenziavano. L’uomo infatti vantava due imperscrutabili iridi  nocciola.
“Sei già arrivata alla parte divertente.” Esordì con tono divertito. La sua voce era calda, profonda. 
“Ivan, tempismo impeccabile”. Sogghignò Nathalie. 

   
 
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