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Autore: Sapphire_    28/08/2016    1 recensioni
Nella New York del ventunesimo secolo, Ophelia Winston è una diciannovenne con una vita piuttosto comune, con gli alti e bassi come tutti. Almeno fino a quando tre tizi dall'aria sospetta non la rapiscono (o salvano, a detta loro) e la portano alla sede di una delle due principali fazioni dei cosiddetti Malus Sanguis. E Ophelia si rende conto che avrebbe dovuto riconsiderare la sua visione di quotidianità.
Dal testo:
«Guardala: già dalla faccia si capisce che è fastidiosa. E poi mi spiegate perché sono stato io quello a doverla recuperare? L'idiota mi ha pure morso!» continuò lamentoso quel Nicky, Domi, o come cavolo si chiamava, iniziando a sventolare la mano ferita su cui spiccavano rossastri dei segni di denti.
«Tu mi stavi quasi impedendo di respirare» intervenne furente Ophelia.
Genere: Generale, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buongiorno a tutti!
Dopo praticamente un mese di assenza ho finalmente pronto il settimo capitolo.
Sarò sincera: non ho scritto nulla per tutto questo tempo, l'ispirazione mi è venuta solo in questi ultimi giorni in cui sono riuscita a creare il nuovo capitolo, anche se la parte centrale del testo l'ho riscritta più di una volta perché non mi piaceva – e non che ora mi convinca tanto, ma ho trattato un “argomento” che non sono solita trattare quindi non so ancora bene come dispiegare la cosa (sì sono vaga, ma lo faccio apposta per non spoilerare nulla). Data questa indecisione da parte mia mi piacerebbe che qualcuno esprimesse il proprio parere su questo capitolo, perché non so esattamente dove devo migliorare anche se so che ce n'è bisogno! Ringrazio anticipatamente chiunque venga incontro alla mia richiesta!
Comunque in questa storia si entra un po' più nel vivo della storia
Un abbraccio,

~Sapphire_






~Dirty Blood




Capitolo sette

Quel tè faceva schifo.
Ophelia storse la bocca assaggiandolo, per poi poggiare la tazza sul tavolo e allontanarla di poco da sé; allungò una mano sui biscotti dall'aspetto invitante e ne assaggiò uno. Anche quello faceva schifo.
A onor del vero, né il tè né i biscotti erano disgustosi, semplicemente Ophelia aveva una nausea tale che ogni cosa che mangiava le risultava indigesta, costringendola a mangiare a forza perlomeno per non morire di fame.
Guardò il suo triste pranzo – mangiare qualcosa di più pesante non le sembrava il caso, dato che continuava a vomitare – e sospirò nel silenzio della cucina dei Sangster.
Era stata lasciata sola quel giorno, non sapeva cosa i tre fratelli avessero da fare di così importante ma qualsiasi cosa fosse li aveva costretti a mollarla lì da sola, cosa rara dato che c'era sempre qualcuno assieme a lei; non sapeva se fosse per evitare che fuggisse o altro, comunque sia la controllavano sempre.
In ogni caso, lei non sarebbe fuggita: dove sarebbe andata? A chi avrebbe chiesto aiuto? Chi le avrebbe creduto?
Non c'era risposta a quelle domande, la sua unica possibilità era di stare lì; inoltre era talmente dolorante e stanca che non credeva che fosse stata in grado di andare lontano. Gli altri la trattavano bene, non aveva molti motivi per voler fuggire, anche se la situazione continuava a essere assurda all'inverosimile.
Sentì un crampo alla pancia e fece una smorfia: le sembrava di stare meglio quel giorno, ma ogni momento era buono per una fitta improvvisa che le faceva storcere la bocca.
Si stropicciò chi occhi e si strinse di più nella felpa che le era stata prestata – una morbida, calda e blu elettrico, che a quanto pare apparteneva a Claire anche se la stupiva che la ragazza possedesse un indumento del genere – poi si costrinse a prendere qualche sorso di tè e sbocconcellare il biscotto.
Il silenzio era assoluto in casa, d'altronde c'era solo lei, perciò il boato che arrivò all'improvviso la fece quasi urlare.
Si alzò di scatto, sentendo ulteriore fracasso e dei passi nel corridoio; si guardò intorno spaventata, non sapendo che fare.
Oddio. Oddio. Cazzo. Che sta succedendo?, pensò in preda alla paura.
I passi continuavano insieme a porte che si aprivano bruscamente e parole urlate che però non riuscì a capire. Fece appena in tempo a lanciarsi dietro una poltrona che dava le spalle alla finestra prima che la porta si aprì con uno schiocco secco facendola sussultare. Si portò una mano alla bocca, costringendosi a non fare un fiato.
Le parve che il cuore le stesse per uscire fuori dal petto e si rannicchiò pregando di non essere vista.

«È qui»
Gli occhi le si appannarono di lacrime sentendo quella voce maschile invadere la stanza. Era terrorizzata.
Non poté fare nulla però: rimase semplicemente immobile e in silenzio, ma subito dopo la poltrona venne scaraventata lontano lasciandola scoperta.
Di fronte a lei un uomo e una donna la guardavano con soddisfazione; in quei pochi secondi riuscì a stamparsi in testa il loro aspetto: l'uomo era alto all'inverosimile, raggiungeva di sicuro i due metri, e i lineamenti duri erano incorniciati da folti capelli castani e occhi altrettanto scuri. La donna invece era sottile come un giunco, con lunghi capelli ramati e occhi scuri.
«Sembra terrorizzata» disse con un sorriso la donna. L'altro non le rispose, continuando a fissare Ophelia.
La bionda tentò di allontanarsi, inutilmente in quella situazione, ma una fitta al petto la bloccò sul posto; un gemito strozzato le uscì dalla bocca mentre il dolore si diffondeva fino ad arrivare alla testa, lasciandola senza fiato.
Chiuse gli occhi dalla sofferenza ma come li riaprì tutto sembrò diverso e riguardando i due tizi lanciò un urlo.
Le figure di poco prima non c'erano più: al loro posto vi era un essere ugualmente grande e grosso ma con la pelle a striature marroni, i capelli che parevano dei rovi e un paio di occhi grigio pietra, privi di pupilla; affianco a lui, una donna dalla pelle venata di nero, i capelli in fiamme e gli occhi altrettanto infuocati.
«Oddio...» riuscì a mormorare Ophelia, sentendo il suo corpo, la sua mente, tutto in lei crollare.
Le due figure sorrisero inquietanti, e così facendo la donna mise in mostra dei denti aguzzi.
«Pare che ci veda» disse sempre la donna, spostandosi i capelli con una mano e provocando scintille.
Ophelia non seppe neanche come fece, neanche da dove trovò la forza: si alzò e cercò di aggirarli per scappare.
Ovviamente la cosa non poteva funzionare, poiché fu subito presa dalla donna per il braccio e ciò la costrinse a fermarsi bruscamente, facendola cadere. Lì dove era stata afferrata sentì la pelle bruciare come su dei carboni ardenti e un disgustoso odore di carne bruciata si diffuse nell'aria.
Ophelia urlò.
«Andiamo, non voglio fare tardi» disse poi l'uomo, avvicinandosi alla bionda e strappandola via alla donna. Non che fosse molto meglio, ma almeno il suo braccio smise di venir bruciato.
Ormai Ophelia non capiva più nulla: venne presa in braccio dal tizio e non tentò neanche di divincolarsi, l'adrenalina del momento prima già scomparsa del tutto e solo la confusione, il dolore e la stanchezza la accompagnavano.
Non protestò, non si mosse tra le braccia di quell'uomo che la sollevava senza sforzo alcuno, trasportandola per il corridoio mentre l'altra li seguiva.
Con la testa ciondolante, Ophelia riusciva a vedere la donna dietro di lei che le faceva le smorfie come una bambina. Mentre sbatteva le palpebre, l'aspetto normale che aveva visto all'inizio si sovrapponeva alla nuova figura, come se fosse stata sotto l'effetto di qualche droga.
Si rese conto di essere fuori a causa dell'aria fredda che le punse il viso come mille aghi, dandole sollievo al braccio a cui era stata afferrata.
La sua mente si stava ormai spegnendo, Ophelia sapeva che non poteva fare nulla in quella situazione e se si fosse ribellata ulteriormente sarebbe probabilmente morta. Ma, anche volendo, non aveva più forze.
Credeva di stare andando incontro a morte certa e nella sua testa annebbiata c'era solo un vago interrogativo:
perché io?
La domanda però era molto probabilmente destinata a rimanere priva di risposta, anche perché Ophelia percepì un improvviso cambiamento della situazione.
L'uomo – o l'essere, o quello che era – si fermò di scatto, iniziando a stringerla con maggiore fermezza mentre si voltava verso la donna.
«Attenta!» sibilò l'uomo.
«Lo so» sentì la donna rispondere.
Un secondo dopo la bionda venne scaraventata a terra, sul cemento duro, e la spalla su cui cadde dovette sopportare tutto il peso del corpo.
Ophelia gridò ancora.
Tentò poi di sollevarsi, cercando di capire cosa stesse succedendo: l'uomo che la reggeva si trovava a un paio di metri di distanza da lei, un braccio squarciato da cui usciva un vischioso liquido grigio. Tentava di alzarsi con la gamba che zoppicava, mentre più avanti la donna era circondata dalle fiamme.
Poco più in là e con le mani da cui spuntavano fili luminosi stava un ragazzo.
La cosa assurda che Ophelia notò era che, in tutto quel casino, la gente in strada non notava nulla e continuava a camminare indisturbata.
Si rannicchiò spaventata, non sapendo che fare e sentendo le lacrime bagnarle le guance.
«Non mi sembra gentile da parte vostra portare via in quel modo una ragazza, non credete?» disse il ragazzo che, Ophelia notò solo in quel momento, aveva gli occhi bianchi.
La donna non rispose: semplicemente alzò un braccio in direzione del ragazzo e le fiamme si spostarono con lei, diramandosi come in un incendio.
Il fuoco esplose in quel breve spazio, avvolgendo non solo lo sconosciuto ma anche lo sguardo di Ophelia che si ritrovò a guardare ipnotizzata le fiamme scarlatte da cui scaturivano scintille. La bionda però non notò, a differenza della donna, i fili luminosi che si innalzavano sull'incendio di fronte alla casa, leggeri come l'aria mentre si allungavano come tentacoli sull'essere.
Ophelia riuscì a spostare finalmente gli occhi dal fuoco notando come la donna si fosse allontanata di scatto ma, subito dopo, vide il suo braccio piegarsi in un movimento innaturale e uno schiocco secco risuonò.
La donna ringhiò di dolore e sollevò l'altro braccio per aumentare le fiamme: cosa inutile dato che anche l'altro si spezzò con un altro secco rumore, mentre i tentacoli luminosi le controllavano il corpo come una marionetta.
Quegli stessi fili accorsero da lei, legandosi alle sue gambe, al suo petto, alle sue braccia, e la fecero alzare; Ophelia si sentì come se qualcuno la stesse tirando per gli arti, costringendola a camminare: non poteva divincolarsi, perciò si ritrovò vicino allo sconosciuto che con l'altra mano cercava di tenere a bada le fiamme.
«Stai dietro di me» le disse secco, poi spostò lo sguardo verso i due tizi che non sembravano voler gettare la spugna e scappare – forse forti della loro maggioranza numerica.
In ogni caso la bionda non se lo fece ripetere due volte: dati gli occhi era abbastanza sicura che quel tizio fosse un amico di Claire e dei gemelli, inoltre l'aveva allontanata dalle grinfie di quei mostri ed era già un punto a suo favore. Se le avesse fatto cessare quel dolore insopportabile al braccio l'avrebbe sposato in quell'esatto momento, per com'era in quella situazione.
Da quella postazione riusciva a vedere poco e niente: notava solo il ragazzo muovere le dita come un marionettista e i fili luminosi con lui. Le fiamme, anche se diminuite, ostruivano comunque in parte la vista – almeno per Ophelia – e alla ragazza sembrava che il ragazzo si muovesse alla cieca.
All'improvviso notò una cosa.
«Le fiamme ci stanno circondando!» strillò spaventata.
Il ragazzo le lanciò uno sguardo.
«Lo so» disse solo con una smorfia.
Un vago gesto del ragazzo e i fili scomparvero dalle sue dita mentre in qualche modo cercava di domare le fiamme: queste però non scomparivano mai del tutto, si allontanavano e si riavvicinavano continuamente, in una continua lotta tra lo sconosciuto e la donna che Ophelia intravedeva tra le fiamme.
Una violenta fiammata si avvicinò alla bionda e il ragazzo riuscì ad afferrarla per miracolo prima che il fuoco potesse raggiungerla.
«Merda» biascicò lo sconosciuto, mentre Ophelia, incapace di fare o dire altro, si stringeva a lui terrorizzata.
«Cosa facciamo?» domandò poi con la voce rotta dai singhiozzi che si facevano strada in lei.
«La domanda di riserva?» replicò sarcastico lui.
Ophelia spostò lo sguardo dalle fiamme che li circondavano per guardare il ragazzo: i capelli castano scuro, illuminati dalle fiamme, rilucevano di riflessi rossastri e la pelle scura era bollente al tatto sempre a causa del fuoco.
«Non hai idee?» insistette, non sapendo cos'altro dire.
Il ragazzo non le rispose poiché una sfera spuntò dalle fiamme tentando di colpirli: riuscì appena ad alzare una mano per bloccarla anche se Ophelia non sapeva esattamente come; semplicemente, la sfera sembrò incontrare un muro invisibile per poi venire rispedita indietro tra il fuoco.
«Non so quanto riuscirò a resistere con questi due» disse improvvisamente il giovane, mantenendo comunque gli occhi puntati alla situazione attorno a lui e muovendo le mani in un vano tentativo di domare il fuoco, cosa che risultava sempre più difficile ad ogni secondo che passava.
Ophelia tremò.
«E quindi?» balbettò.
Il ragazzo fece un profondo respiro.
«Quindi scappiamo. Spero che tu sia forte di stomaco» rispose lanciandole un vago sorriso.
Ophelia sbiancò.

E ora che vuole fare?, pensò spaventata.
Non ci fu altro tempo per ulteriori riflessioni: il ragazzo l'afferrò a sé, stringendola tra le braccia, la bionda si ritrovò con il viso affondato tra il giubbotto nero dello sconosciuto.
Lo sentì bisbigliare qualcosa mentre le fiamme, ormai abbandonate al loro destino, erano libere di avvicinarsi a loro e di divorarli vivi.
Non ci fu però il tempo: appena prima che il fuoco potesse avvolgerli del tutto Ophelia si sentì tirare via violentemente per le gambe, e poi tutto divenne nero.


Un botto assordante e Sargas si alzò di scatto dalla scrivania, gli occhi che in un secondo diventavano bianchi.
Nel suo ufficio – o meglio, quello del padre – nella sede della Fazione Bianca caddero in mezzo al pavimento due figure aggrovigliate, provocando un sonoro tonfo e dei gemiti doloranti.
«Ma che diavolo...» borbottò tra sé, prima di capire a chi appartenessero le due figure.
«Beal, che cazzo sta succedendo?» tuonò irritato, lasciando perdere i fogli che fino a poco prima si apprestava a leggere e avvicinandosi al giovane e a Ophelia, che rimaneva sdraiata sul pavimento con gli occhi semiaperti e l'aria sconvolta; con un'occhiata più attenta notò il braccio destro, nel quale la felpa era stata praticamente sciolta, dove spiccava nella pelle chiara l'impronta di una mano formata dalla carne bruciata.
«Due bastardi Deviati la stavano rapendo» biascicò Beal, mettendosi seduto e tenendosi la testa tra le mani. Sembrava fosse in procinto di vomitare.
«Ti sei
strappato?» domandò, anche se sapeva già la risposta: dalla sua faccia disgustata e l'aria devastata di Ophelia – anche se di sicuro non solo per quello – sembrava proprio che si fossero appena strappati.
«A te che sembra?» disse sarcastico il ragazzo.
Sargas fece una smorfia.

Ci mancava solo questa, pensò guardando la bionda e ignorando bellamente il suo sottoposto.
«Ce la fai ad alzarti?» domandò a Beal, facendo tornare i proprio occhi normali dopo essersi reso conto che non c'era alcun pericolo.
L'altro gli lanciò un'occhiata scettica, poi si alzò e si tolse il giubbotto nero bruciacchiato in più punti.
Sargas nel frattempo sbuffò guardando la bionda.
Com'è che quella ragazza gli stava portando un sacco di casini? Era già in una situazione di merda a causa del padre, delle morti nella Fazione Bianca e del tentativo di collaborazione con quella Nera. Sembrava una mina vagante portatagli solo per creargli ulteriori problemi.
Nonostante questo però la guardò e vide com'era distrutta; notò gli occhi chiusi anche se era cosciente – la vedeva respirare affannosamente e tremare, e in qualsiasi caso non avrebbe ingannato lui – e dalle ciglia scappavano delle lacrime che lasciavano una scia pulita nel viso annerito da quella che sembrava cenere.
Notò di sfuggita Beal che si buttava sulla poltrona con uno sbuffo esausto e a quel movimento la ragazza socchiuse gli occhi per guardarsi intorno; incrociandosi con Sargas serrò di scatto le palpebre, come spaventata o in imbarazzo.
Il ragazzo sospirò.
«Chiama Claire e falla venire qui» disse poi in direzione di Beal.
Nel frattempo si inginocchiò al lato di Ophelia e passò un braccio sotto le gambe e sulle spalle, per poi prenderla in braccio e adagiarla con delicatezza sul divanetto posizionato all'angolo della stanza.
«È fuori con Max e Nick. Li hai mandati tu, non ricordi?» fece Beal, mentre gli occhi passavano dal bianco perlaceo a un più normale nocciola chiaro.
Sargas alzò gli occhi al cielo.

Ha ragione.
«Allora chiama Louise e falla venire qui subito» ordinò perentorio in direzione del ragazzo; notò distratto l'altro lanciargli uno sguardo scocciato, ma non si lamentò e dopo essersi alzato uscì dall'ufficio.
«Ti fa molto male?» disse con voce bassa.
Vide gli occhi di Ophelia tremare, ma poi la ragazza si decise ad aprirli e li puntò sui suoi. Si ritrovò a fissare un paio di occhi verdi dalla tonalità particolarmente scura in quel momento, arrossati dalle lacrime e con una confusione e paura tali che Sargas si trovò a disagio.
«Perché mi sta succedendo tutto questo?» sussurrò.

Perché ci sta succedendo tutto questo?”
Sargas si costrinse a eliminare quel ricordo dalla testa, cercando di focalizzarsi solo e soltanto sulla ragazza che lo guardava con quell'aria così sperduta.
«Non lo so» sussurrò a sua volta.
In qualche modo aveva paura di spaventarla ancora di più di quanto già non fosse.
Vide quegli occhi verdi ricoprirsi di un velo di lacrime.
«Non so perché mio padre mi ha mandato a cercarti» continuò, cercando di darle un qualche tipo di risposta, anche se non le stava comunque dicendo nulla.
Voleva mantenersi freddo come faceva di solito, ma a vederla così terrorizzata non riusciva ad essere gelido come suo solito. Non poteva.
«Non so neanche perché hanno tentato di rapirti oggi, non ce lo aspettavamo» continuò fissandola.
Una lacrima sfuggì alla ragazza che spostò velocemente lo sguardo, vergognandosi della propria reazione.
In un altro frangente Sargas avrebbe guardato con sufficienza coloro che reagivano in quel modo, ma a farlo ora si sarebbe sentito un bastardo.
«Io non capisco. Sono stanca di tutto questo, non capisco cosa mi stia succedendo, perché fa così tanto male... Vorrei solo che tutto ritornasse com'era prima» sussurrò la bionda, deglutendo rumorosamente.
«Non si può» rispose Sargas implacabile.
Non voleva essere uno stronzo, ma quella era la verità: non poteva rispedirla indietro come se nulla fosse successo, soprattutto ora che sapevano fosse in pericolo; se non fosse rimasta con loro non sarebbe durata un giorno.
«Perché?»
«Perché moriresti. Non so chi e per quale motivo, ma qualcuno ti vuole. E pare pronto a farti del male per averti»
Ophelia sospirò esausta.
«E quando potrò avere qualche risposta?» chiese a bassa voce.
«Non so neanche questo. Ci sono anche altre cose a cui pensare, ma farò il possibile per farti avere delle risposte» disse.
D'altro canto, le risposte le voleva anche a lui, anche a costo di far tornare il padre da ovunque fosse.
Allungò una mano e gliela mise sulla fronte: era bollente.
«Ora riposa, hai bisogno di recuperare energie. Ci occuperemo noi di te» mormorò.
Ophelia annuì e basta, lasciando andare la testa all'indietro e chiudendo gli occhi.
Sargas si alzò.

Devo fare qualcosa.



«Circe, hai notato i suoi occhi?»
La donna dai capelli in fiamme alzò lo sguardo verso il proprio compagno, osservandolo mentre curava il suo squarcio al braccio.
Il suo viso era una maschera di ghiaccio.
«
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