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Autore: Norgor    28/08/2016    1 recensioni
« Pare sia lecito considerare sintomo di una buona educazione, nonché prova sufficiente di una raffinata estrazione sociale, l'indossare un corsetto nella maniera più diligentemente consona e con l'eleganza più perentoriamente accettabile. »
Verona, 1819. L'irrefrenabile desiderio di ribellione nei confronti di una società dalle radici inique; quella cinica arroganza frutto di un'erudizione ambiziosa vissuta come un appiglio indispensabile per non precipitare nell'oblio; l'avversità nei confronti di un mondo scomodo e opprimente che sembra fare di tutto per apparire inospitale. Tutti questi tratti confluiscono nella figura di Doralice Guerra, una tredicenne dalla mentalità talmente inusuale da risultare distorta, dall'atteggiamento talmente anticonformista da apparire non solo indecoroso, ma addirittura malavitoso in quella nobiltà ottocentesca basata sull'etichetta. Doralice deve imparare a crescere in un ambiente che non fa per lei, divenire usa ad abitudini che disprezza categoricamente e moderare il suo pensiero all'ipocrisia da cui è circondata. Altrimenti, con l'andare del tempo, le conseguenze del suo libertinaggio potrebbero condurla su un sentiero fin troppo pericoloso e corroderla ad un livello talmente intimo da spingerla a decisioni estreme ed indelebili.
Genere: Introspettivo, Storico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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II

 

               In quello che anche il più cinico fra i gentiluomini si sarebbe permesso di definire come un perfetto giovedì di aprile, i raggi irrequieti di un sole in via di tramonto adoravano posarsi sulle primule, fiorenti figure danzanti nel candore primaverile, e riflettersi come un manto dorato finanche sugli angoli più cupi e adombrati della villa. 
               
Doralice, intorpidita all’interno di una vestaglia che, elegante per modello ma sciupata per sfizio, le ricopriva smisuratamente le caviglie, trascorreva il pomeriggio esattamente come aveva trascorso i precedenti, con una fierezza tale da suscitare profonda vergogna anche nel più limpido fra gli animi e nella più genuina fra le indoli. Il suo sguardo, velato d’un’irritazione soffusa ma marcata quanto occorre per catturare l’attenzione, indugiava incredulo sull’ultima pagina del libro che aveva in mano; la gamba sinistra, dura e tremante, si agitava convulsamente sulla poltrona impreziosita di seta su cui lei era adagiata, oramai da qualche ora, a fianco dell’enorme biblioteca famigliare. 
               
« Qualcosa non va, signorina? » domandò la domestica, il volto confuso illuminato dai bagliori del meriggiare. Entrando nella stanza, Adele si era premurata di strascicare con vigore le suole consunte sul pavimento istoriato, quanto mai reticente nel cogliere la padroncina di sorpresa. Le sue braccia erano cariche di un vassoio in argento madreperla, e faticavano con ardita smania nel trasportare l’illustre servizio da tè della famiglia che, secondo Doralice, era ciò che di più caro Clotilde potesse mai ostentare: ancora più dei suoi stessi figli. 
               
« Sono adirata, Adele! » sbottò con voce incrinata. « Anzi, di più: sono fuori di me! Quale mancanza di carattere e stoltezza d’esecuzione! » Dunque, con un gemito di collera repressa, gettò il tomo contro la parete e incrociò le braccia al petto.
               
Adele non batté ciglio. « Devo dedurre che il nostro letterato umanista abbia fallito nel suo intento? » 
               
« Assolutamente! » fu la scocciata risposta. « Oh, Adele! Ti auguro di non dedicare mai un briciolo della tua anima ad un libro, mai e poi mai, se poi sopraggiungono tali conseguenze! » 
               
Adele posò il servizio da tè sul tavolo con una maniacalità talmente accentuata da lasciar trapelare quanto monotona dovesse essere la sua occupazione. « Le mie faccende sono un impiego così sfiancante che, anche volendo, dubito potrei trovare del tempo per dedicarmi ad un romanzo nella mia più vivida interezza ». 
               
Doralice serrò i pugni nel tentativo di placare la burrascosa tormenta emotiva di cui era vittima. « Questo, tuttavia, non ti permette di sfoggiare tale imperturbabile indifferenza di fronte a chi ora è corroso dal dolore e dal supplizio! »
               
« Spiacente, ma negli ultimi tempi il mio senso di compassione si è leggermente deteriorato » rispose Adele scoccandole un’occhiata di vivo rimprovero. « E posso assicurarti che mostrare un pietoso compatimento di fronte ad una maleducazione tanto vorace non è affar semplice ».
               
« Le tue conclusioni sono assai vaghe e precipitose, se ti fanno passare per irrispettosa la mia mera disperazione! » Doralice era sull’orlo delle lacrime; le sue dita, pallide e soavi al tatto, era ora in preda ad un tremore irreprensibile. « Di pagina in pagina, mi sono stupita nel percepire il mio cuore alleggerirsi, la mia lucidità ottenebrarsi davanti alla consapevolezza del tempo sprecato, delle energie disperse nella lettura di una tale aberrazione dell’io! Perché di questo si tratta: della negazione più assoluta dell’essere in quanto tale, della più intensa opposizione alla libertà di pensiero dell’uomo! »
               
Adele, sul viso una maschera di contrarietà ostinata, raccolse da terra il libro e lo ripose sullo scaffale più vicino. 
               
« A differenza tua, credo che Goethe abbia dimostrato una vispa maestria nel dipingere un personaggio che riassuma tanto perfettamente realismo e tragedia ».
               
« Ciononostante » ribatté Dora sollevandosi dalla poltrona, « il fascino di un personaggio è destinato a decadere, se la morale di cui si fa portavoce è corrotta e degradante ».
               
« Non sono convinta di essere d’accordo » insistette Adele, palesando una risolutezza tanto sincera nelle proprie opinioni da smuovere la fermezza della padroncina. « Personalmente, reputo la figura del giovane Werther di inequivocabile fascino; superiore per ideologie e conoscenze, esperto d’arte ed imbevuto di cultura, ma allo stesso tempo succube di un amore totalizzante ed impotente di fronte alle avversità sociali: ha un che ti poetico, dopotutto ».
               
« Quanto vorrei poter concordare con te! » esclamò Doralice, vittima dello sconforto. « Questo romanzo è stato un’esperienza terribile per me. Ho riscontrato un’intimità disonorevole con il protagonista, una tale empatia che ad un certo punto, cara Adele, sono stata convinta che la mia anima fosse divenuta la sua, e i suoi turbamenti fossero entrati completamente in me. L’amore verso Lotte era una maledizione, e l’ho vissuta come un morbo  indefesso, un veleno che mi ha logorato nel profondo dei moti dell’animo. La mia unica ragion d’essere s’era concretizzata nell’incoronazione di un’amore tanto prezioso non per un futile motivo come il sentimento, ma per la possibilità di combattere il regime opprimente e ingiusto di una società inetta e limitante! Le mie giornate avevano un senso solo quando trovavano la compagnia del giovane Werther; le mie consapevolezze si nutrivano di una tale sicurezza nel ribellarsi all’autorità, di una tale ostinatezza nel disprezzare le convenzioni e i manierismi! Oh, Adele, credo di non essermi mai ritrovata così tanto in qualcuno! »
               
Adele ascoltava con doverosa attenzione; indi per cui, a causa della sua accuratezza nel percepire anche i più fervidi dettagli, non poté trattenersi dal notare quel velo di folle angoscia che iniziava a permeare lo sguardo acceso della sua signorina, la quale, agitata e a tratti inviperita, continuava ad imporsi con focosa esuberanza. 
               
« Puoi quindi ben immaginare, credo, cosa abbia provato nel leggere il finale! Mi sentivo come se si fosse creato un’enorme vuoto dentro di me, e ne fossero germogliate delusione e collera. L’eroica figura dell’uomo in cui avevo rivisto tutta me stessa, in cui avevo riposto il mio spirito; quale incontenibile sofferenza nell’assistere all’ignobile scelta di togliersi la vita con un colpo di pistola. Un colpo di pistola, Adele! Una rassegnazione, una debolezza, una vergogna! Una tacita sottomissione alle regole della società, una manifestazione egoistica di arrendevolezza nei confronti di norme tanto fallaci ed infide! Mi sento tradita, Adele, umiliata ed ingannata! »
               
Doralice scoppiò in un pianto improvviso, un teatro di singhiozzi sommessi che destabilizzarono quell’impassibilità per cui la governante era per lo più conosciuta. Adele si esibì in un’espressione attonita e sconcertata nel notare che mai, prima di allora, la sua padroncina aveva consentito uno svago tanto energico ai suoi subbugli emotivi. Indugiando sul suo corpo, esile e soffocato dalla vestaglia ingombrante, riuscì a notare l’irrigidimento innaturale della sua postura, il gonfiore velato delle sue vene, l’inequivocabile furore della sua espressione.
               
« Suvvia, rilassatevi un frangente! » esclamò dopo qualche attimo; l’incertezza sul da farsi, qualità assai rara da assegnarle, era tuttavia ciò che più trapelava dalla sua voce in quella situazione. « Adesso sedetevi e prendere un po’ di tè. Vedrete quanto starete meglio ».
               
Doralice strabuzzò gli occhi e le indirizzò un cipiglio di sdegno. « Quanta facilità nell’approfittarsi dell’ipocrisia umana per tentare di lenire un dolore che non puoi comprendere! » replicò. « Tu sei esattamente come il Werther, Adele! Ti crogioli in una realtà finta, illusoria, manchevole. Ti accontenti di una vita di meccanicismi e di apparenza. La società ti opprime il suo giogo, e ciò ti è d’agio e passatempo! L’abitudine e la tradizione sanno essere persuasori assai ingannevoli, nonché altrettanto validi ostacoli nell’esercizio del raziocinio e della giustizia ».
               
« Se il mio tè non è di vostro gradimento, vi basta dirlo! » avvampò la governante, infastidita dalla sua noncuranza ma al contempo in balia delle sue elucubrazioni. 
               
« Al contrario, mia cara, il tè è l’unica magra consolazione della tua snervante maniacalità. Persino nel rivolgerti a me, non riesci a reprimere un “voi” di irritante e immotivata cortesia, un “voi” che non è altro che un velo, una maschera di perbenismo a celare, a nascondere la nostra conoscenza che oramai va avanti da parecchi anni. Non lo trovi disgustosamente ironico, Adele? Dover trattare con superiorità persone che, a mio modesto parere, ti sono inferiori nel più piccolo tratto, nella più lieve qualità ».
               
« Fascinosamente ironica, ma fastidiosamente saccente è l’impertinenza che state mostrando nel rivolgermi a me! » le rispose alzando la voce, una punta di incredulità ed isterismo ad impreziosirne il tono. Le tempie le pulsavano incredibilmente, in quell’aria alterata e scomposta. « Questi libri vi stanno avvelenando la mente, ecco la verità! Altrimenti mai vi sognereste di sfoggiare un tale atteggiamento! »
               
« La mia mente è limpida come l’acqua della fonte più prolifica! » Doralice, scostandosi dalla poltrona su cui era rannicchiata, si erse in tutta la sua gelida fermezza. « Disgraziatamente, è il tuo buonsenso ad essere offuscato dalla vita in società, è la tua ragione a soffrire dei peccati scaturiti dal contatto umano, da quella pestilenza collettiva che è la necessità dell’uomo di interagire, di imbruttire la sua intima perfezione. Il Werther era consapevole di ciò, tuttavia ha scelto di non opporvisi! »
               
« Il Werther è un personaggio frutto di fantasia! » la interruppe Adele, livida e prosciugata da una tale caparbietà. « Si muove in un mondo che non è quello in cui viviamo noi, e le conseguenze delle sue azioni non devono riflettersi sulla nostra realtà ».
               
« Invero! Egli è chiaramente una figura ideologica, l’incarnazione di tutte quelle convinzioni che mi hanno permesso di accostarmi a lui in maniera tanto personale. Tuttavia, ha l’aria di essere un esperimento fallito, una prova assai palese che anche i letterati più anticonformisti non sono in grado di scalfire l’ipocrisia sociale ». Sul suo volto vi era adesso un’ombra di tormentata rassegnazione, di velata delusione. « Non sai quanto sarei felice, Adele, se tu potessi comprendere quello che dico! »
               
Adele era raggelata, completamente presa alla sprovvista da un cambiamento d’umore tanto repentino quanto inaspettato. La padroncina che, fino a qualche secondo prima, aveva reso evidente il lato peggiore di sé, era ora incline ad una scura tristezza d’animo; il viso pallido, precedentemente sede d’un’ira disinibita, adesso veniva invece colorato di un rossore non di vergogna, ma di esausta consapevolezza. 
               
Doralice, lo sguardo perso e carico di terrore, riprese quindi a parlare lentamente. 
               
« Quel libro si è preso fin troppo di me... riesco a sentire che mi manca qualcosa, che quella perfezione d’essere ha subito una brusca violazione. Non sono sicura che sarebbe di mio apprezzamento mettermi davanti a uno specchio e scorgere cosa si cela dall’altra parte, in questo momento. Mi sento decurtata, avvilita, sporca ».
               
Adele si sforzò di non mostrare il minimo compatimento. « Sei certa che questa innegabile combinazione di sfortune non sia dovuta al tuo pessimo comportamento? »
               
Doralice era ferrea. « Reputo di mia predilezione ostentare un’indole più cruda e diretta, purché sia estranea a falsità di qualsiasi genere. Non è l’esteriorità di cui ho timore, ma ciò che possa deteriorarsi dentro di me. Sono parte delle poche persone, Adele, che reputano l’essere assai più prezioso ed affascinante dell’apparire ». 
               
A quel punto Adele, senza trovare nient’altro da controbattere, decise che era giunta l’ora di versarsi del tè, e in seguito convenne che non era il caso di aspettare il permesso della signorina per servirlo anche a lei. Doralice, dal canto suo, rimase immobile per una buona manciata di minuti, assorta nella sua totalità in ragionamenti intricati e meticolosi, alla ricerca di risposte secche e risolutrici. Nel suo animo albergava ora un fastidio alquanto irritante, come se un uccello, pronto a spiccare il volo, fosse stato improvvisamente strappato della sua ala migliore, e fosse stato messo a nudo della propria indisposizione.
               
Tale atmosfera quasi accogliente di quiete incontaminata, tuttavia, non era destinata a perdurare a lungo. Ad un tratto, infatti, il viso di Doralice si accese di un’energica trepidazione, e le sue membra furono percorse da brividi di istintiva attività. Quindi si alzò, la sicurezza che trapelava da ogni suo nuovo gesto; la sua mano era ferma, la sua indole maniacale, nel momento in cui afferrò il romanzo di Goethe e prese a strapparne le pagine, una ad una, con una placida serenità dipinta in volto ed un’intensa soddisfazione a contornarle il sorriso. Adele la osservò ad occhi spalancati, incerta, in primo luogo, se intervenire o rimanere solamente un’ansiosa spettatrice. Un nitido squarciare invase l’aria, mentre la pila di carta sminuzzata di fianco a lei cresceva, con il passare dei minuti, fino a raggrupparsi in un mucchio denso e pericolante. I movimenti di Dora erano meccanici, netti e consapevoli; una notevole maestria irradiava da essi, ferma e a tratti presuntuosa.
               
La governante, sconvolta da una tale prassi d’atteggiamento, stabilì dunque di interrompere l’atmosfera raccapricciante che si era creata avanzando domande generiche, le quali potessero in qualche modo distrarre la padroncina e convincerla a desistere da tale operosità.
               
« I preparativi per l’imminente partenza sono già stati ultimati? » 
               
Doralice, senza distogliere lo sguardo vacuo dal romanzo deturpato, percepì un brivido lungo la schiena e un battito irregolare nel petto. 
               
« Reputo alquanto inusuale questa tua domanda, dal momento che solitamente tu sei già a conoscenza di qualsiasi dettaglio riguardante un certo argomento, prima ancora che io ne scopra l’insieme generale ». La sua voce era piatta, atona; l’attenzione verso la domestica, incupita e confusa, era quasi inesistente. 
               
Adele, tuttavia, si aspettava una risposta del genere. « Da quel che so, vostra madre è impaziente, e si è subito premurata di organizzare il viaggio più sicuro che si possa pianificare ». Doralice non palesò il minimo interesse al riguardo, ma c’era un qualcosa, nell’improvviso corrugamento del suo viso, che spinse la governante a continuare imperterrita. « Vostro padre è un uomo di mondo, e come tale non ama infinocchiarsi con simili faccende. Vostra sorella, però, è talmente irrequieta da creare abbastanza trambusto per tutta la famiglia ».
               
« Eleonora ha la fastidiosa capacità di peggiorare persino le più orribili fra le giornate » concordò Doralice distrattamente. Poi aggiunse: « Hai novità sulla salute di Federico? Sono dell’idea che l’aria aperta non sia sufficiente per rinvigorirlo del tutto ». 
               
« Il medico assicura che le sue ossa si stanno irrobustendo, ma personalmente sono abbastanza scettica ».
               
Doralice si apprestò a strappare gli ultimi fogli rimasti. « Adele cara, se c’è un’unica cosa in questa vita su cui non possiamo essere scettici, tale è la scienza ».
               
La domestica sbuffò lievemente nel tentativo di nascondere la propria contrarietà. Dora, nel frattempo, terminò il proprio lavoro con febbrile soddisfazione e rimase ad osservare i frammenti accartocciati dispersi sul tavolo. 
               
« Non hai idea, Adele, di quanto la mia anima sia rimasta impregnata dell’inchiostro di queste pagine; di quanto percepisca questi come brandelli di me stessa. Minuscoli, impercettibili brandelli. Eppure, ognuno di loro conosce una parte di me che è oscura a tutti gli altri. Detestabile, non trovi? Essi mi contengono, ma all’infuori di me. Dimmi, secondo te potrei mai permettere una cosa del genere? »
               
Il tono di voce era tetro, ricco d’un’ira che pareva rivolta per la gran parte contro se stessa. L’espressione era a tratti arcigna, subdola; lo sguardo, fisso e intenso, era attraversato da un lampo lugubre di realizzazione e la vestaglia, sgualcita e in uno stato alquanto malconcio, era elettrizzata dal tremolio dei suoi arti.
               
In preda ad un’indecisione momentanea, Adele infine optò di socchiudere gli occhi e portarsi la tazza di tè alle labbra, decisamente bisognosa di una rinfrescata addolcente. Le sue dita tremolarono febbrilmente nel sorseggiare la bevanda, e le sue sopracciglia si arcuarono notevolmente nel momento in cui Doralice, alzatasi di getto, si diresse a passi decisi fuori dalla stanza, senza proferir parola alcuna. 
               
Al suo ritorno, in uno strascicare rintronante di tessuto, ella era orgogliosa di poter manifestare una gioia indomabile, una calorosa compiacenza che, adesso più che mai, riuscì a dare conforto ad un’Adele vittima di vane preoccupazioni. Un senso di sollievo le pervase le membra, alla vista della padroncina ritornata finalmente in sé. 
               
« Oh, Dora mia, il vostro sorriso rimane la migliore fra le gratificazioni di spirito! » esclamò portandosi le mani al cuore. « Sono felice che abbiate ritrovato pace con voi stessa! »
               
Doralice, beandosi di tali attenzioni, si fermò davanti all’ammasso di carta da lei creato e si frugò nella tasca interna, fino a che non ne emerse un’acciarino dal manico in madreperla, sfarzosamente intagliato e finemente decorato. I suoi occhi si illuminarono di un’allegria serafica; le sue gote, rosse per l’eccitazione, vibrarono in estasi.
               
Adele si rabbuiò. La sua espressione divenne così incline al terrore, così prossima alla disperazione più estrema, da dipingere il suo viso di un pallore spettrale. L’intera realtà le parve fermarsi, intrappolarla in una coltre di rigida immobilità. Non fece in tempo a comprendere la gravità di ciò che stava accadendo, che una lingua di fuoco, malefica e vorace, scaturì dall’estremità della piastra, investendo con violenza il tavolo fra cui le due si trovavano. 
               
La governante si esibì in un urlo spaventoso, agghiacciante. 
               
« Ma siete uscita di senno? » fece balzando in piedi. I pezzi di carta, leggeri e benevoli nella loro insignificanza, si incenerirono al contatto con le fiamme, mentre un fumo acre e denso si levò in aria in una spirale vorticosa. Doralice, impassibilmente sicura di sé, si percepì sempre più libera e sollevata col divampare dell’incendio.
               
Adele, riacquisendo la sua frenesia innata, afferrò quindi il cuscino sulla poltrona vicina e tentò inutilmente di soffocare la pira. « Al fuoco! Al fuoco! » gridò poi, aprendo le porte che davano sul salone e sul patio. 
               
Dopo qualche secondo, un tramestio movimentato si fece largo fra i corridoi limitrofi, e la figura di Rolando, scombussolata all’interno della giacca ingrigita che soleva indossare la sera, proruppe in un chiassoso boato. « Ma cosa diamine è successo? » tuonò in cerca di spiegazioni. Osservando la portata delle fiamme, si volse poi verso la governante: « Presto, Adele, al pozzo! »
               
Doralice parve rinvenire dalla leggerezza paradisiaca che l’avvolgeva. 
               
« Non vi sfiori neanche il pensiero! » strillò con vivida ostinazione. « Il fuoco è purificatore: agisce con molta più efficacia di una confessione sulle nostre anime peccaminose! » 
               
« Voi siete pazza! » ribadì la domestica, terrorizzata e tremante, prima di lasciare la stanza. « Vi consiglio vivamente, signor Guerra, di tenere d’occhio cosa legge vostra figlia d’ora in poi, se non volete finire carbonizzato! »
               
Rolando era livido; sul suo collo, tozzo e robusto, una vena pulsava visibilmente, mentre le sue braccia erano preda a convulsioni irreprensibili. Doralice, notando l’austerità dei suoi modi e la gravità del suo sguardo, non riuscì a trattenere una risata liberatoria. 
               
« Caro padre, ma guardatevi! Impettito nel vostro ruolo di patriarca, corroso nella vostra mentalità chiusa e retrograda! Voi non siete altro che un veleno, vi dico ». Doralice era rinsavita. Sebbene l’aria stesse divenendo assai irrespirabile con l’accrescere dell’esalazione, ella era pronta a scommettere che i suoi polmoni non avessero mai funzionato meglio. Si sentiva alleviata, svincolata da un peso considerevole, quasi svuotata. « Voi siete tutto ciò di cui la natura debba provar vergogna; ogni vostro gesto è ipocrita, ogni parola frutto di simulazione ».
               
« Potrei sapere la motivazione di tutte queste urla? » 
               
Clotilde, non appena mise piede nella biblioteca, fu quasi vittima di un mancamento che costrinse il marito a trasportarla lontano nell’immediato. Adele, affaticata dal viaggio e carica di secchi pieni d’acqua, si fece strada dal patio con crescente premura. Dopo un minuto abbondante, anche l’ultima lingua infuocata fu domata in un crepitio fastidioso, e tutto ciò che rimase del romanzo e del tavolo su cui esso era stato spezzettato, si concretizzò in un accumulo di cenere nera come l’inchiostro
               
Adele, adirata ed avvampata per la fatica, si volse quindi verso la padroncina che si crogiolava in un sorriso a trentadue denti. Le sue labbra tremavano ancora. « Siete di una mostruosità inaudita! Credo di non aver mai conosciuto qualcuno più deviato di voi! »
               
Doralice non si scompose minimamente; invero, colse in quell’accusa anche una vena di profonda ilarità. « La mia è una devianza di conforto, in un mondo in cui la rettitudine è ciò che di peggiore si possa seguire ».
               
Detto ciò, ella uscì dalla stanza saltellando. 

   
 
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