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Autore: charly    28/08/2016    0 recensioni
Zaron ha conquistato tutti i regni del continente di Zabad; finalmente anche Issa è caduta. Tuttavia per ottenere da Issa ciò che desidera, la spada non serve: dovrà sposarne la principessa. Pensava sarebbe stato semplice, non immaginava quanto complicata la sua coscienza gli avrebbe reso la cosa.
Deja è la principessa di Issa e con l’abdicazione del padre ne diviene la regina. Il matrimonio con Zaron è impossibile da rifiutare, visto che risparmierà il suo regno e la vita del suo amato genitore. Ma è una proposta difficile da accettare: il matrimonio con un uomo che non conosce, molto più vecchio di lei, che ha conquistato con la forza la sua casa, la riempie di terrore soprattutto perché lei ha solo dodici anni.
Si era sbagliato se aveva creduto che vederla lo avrebbe dissuaso, non aveva preso in considerazione la sua determinazione. […] Lui doveva sposarla, tutti i suoi sogni si basavano su questo.
Lei era impallidita, i suoi occhi si erano fatti grandi, enormi in quel viso non ancora maturo, e si erano spostati dalla spada alla corona e poi al suo viso inflessibile e infine erano scesi, seguendo l’armatura da guerra, soffermandosi sugli avambracci muscolosi e segnati dalle cicatrici.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il cuore di un drago'
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III. I TIMORI DI UN PADRE

 
 
Zaron era rientrato leggermente ammirato per come lei gli avesse rubato la parola, interrompendo bruscamente il suo discorso pubblico. Da quando era divenuto khan nessuno aveva mai osato fare una cosa del genere. Chiunque altro avrebbe dovuto affrontare serie conseguenze a seguito di un simile affronto, ma trattandosi della sua futura regina avrebbe lasciato passare. Se c’era qualcosa che Zaron ammirava in una donna era la forza di volontà, la tenacia con cui era in grado di difendere le sue opinioni. Erano queste caratteristiche che erano state ricercate e incoraggiate nelle sue concubine, scelte con cura non tanto per la loro bellezza quanto per i loro spiriti. Le sue concubine… aveva pensato a Perla vedendo entrare nella sala Deja in quell’abito tradizionale issiano che dava l’impressione che ci fossero curve dove in realtà non ce n’erano e che per un attimo l’aveva fatta sembrare più vecchia di quello che era. Ma era tutta un’illusione, il suo viso, privo di belletti e disadorno, rendeva perfettamente la sua giovane età e Zaron provò per l’ennesima volta quella fitta di delusione e amarezza per l’età della sua sposa. Dei, quello che lo aspettava quando quella sera si sarebbe ritirato, Perla di sicuro gli avrebbe dato dell’idiota, di nuovo.
Perla, una specie di nome d’arte ma, in tanti anni di amicizia prima e convivenza poi, lei non gli aveva mai voluto dire il suo vero nome, era la sua più vecchia concubina, in ogni senso. Si erano conosciuti quando Zaron aveva solo diciassette anni, era solo un capitano e non sapeva quale futuro lo aspettava. Era sempre stato orgoglioso e dai gusti difficili e, mentre i suoi compagni all’accademia militare frequentavano i bordelli con regolarità, lui aveva risparmiato con fatica l’ingente somma necessaria per permettersi la più costosa e ricercata cortigiana della capitale. Aveva deciso che per la sua prima volta si sarebbe concesso il meglio che c’era sul mercato e così aveva risparmiato per quasi due anni al solo scopo di comprarsi quattro ore del suo tempo.
Era stato nervoso ma era rimasto piacevolmente sorpreso dalla gentilezza e dalla comprensività di quella ragazza, solo diciannovenne avrebbe scoperto poi, che si era presentata semplicemente come Perla. Era bellissima, ovviamente, dai tratti tipicamente rakiani: carnagione ramata, perfetta, lineamenti simmetrici, occhi e capelli neri. Ciò che però l’aveva conquistato era stato il suo sorriso, accogliente e aperto. Quelle quattro ore gli avevano fatto scoprire un mondo nuovo e meraviglioso: non solo il sesso era stato straordinario, ma lei gli aveva pazientemente mostrato come dare piacere oltre che riceverlo e avevano chiacchierato e riso e allo scadere del suo tempo Zaron era già perdutamente innamorato. Sapeva di non potersi permettere nuovamente una spesa simile quindi aveva implorato la ragazza di permettergli almeno di scriverle. Lei era sembrata imbarazzata ma non aveva saputo dire di no a quel ragazzo di pochi mezzi che la guardava come fosse stata una dea. E così si erano scritti, all’inizio con lentezza e impaccio, poi sempre più spesso e infine, con gli avanzamenti di carriera di Zaron e i conseguenti aumenti di salario, avevano anche cominciato a vedersi più spesso e l’infatuazione che lui aveva provato per lei si era tramutata in una solida amicizia. Il sesso era ancora stupendo, ma quello che l’attirava di più era la possibilità di conversare direttamente con lei, che lo accoglieva sempre con un sorriso sincero. Quando poi era diventato inaspettatamente khan aveva licenziato l’harem del padre, pieno di ragazzine compiacenti e sottomesse, ed aveva fatto chiamare Perla per un colloquio privato. Non le aveva ordinato ma chiesto di diventare la sua prima concubina; ormai si conoscevano da più di dieci anni e lei, pur essendo ancora bellissima, era stata soppiantata da tempo da altre ragazze più giovani e fresche. Perla aveva sorriso sorniona, quel sorriso che tanti anni addietro gli aveva fatto perdere la testa e aveva voluto subito mettere in chiaro che solo perché adesso era khan non voleva dire che dovesse credere di poter possedere chiunque. Se accettava lo avrebbe fatto per una sua libera scelta, non perché costretta dalle circostanze, dato che negli anni aveva accumulato una discreta fortuna, e, sempre se avesse accettato, voleva fosse chiaro fin da subito che non avrebbe permesso che la si comandasse e che lei poteva andarsene come e quando voleva.
Lui aveva acconsentito alle sue richieste e Perla si era trasferita a Palazzo quel giorno stesso.
Le altre, Mira, Oscia, Tallia e Cara, erano venute in seguito. Gli avevano offerto donne di ogni tipo, etnia ed età e lui aveva lasciato che fosse proprio Perla a scremare le indesiderabili, si fidava del suo giudizio e comunque non le avrebbe mai messo al fianco donne che lei non avrebbe potuto sopportare.
Le sue concubine erano tutte rakiane e la più giovane, Cara, aveva venticinque anni. Erano belle, certo, e abili nello svolgimento delle loro funzioni, ma quello che interessava di più a Zaron era il loro carattere, il fatto che potesse intrattenersi a discutere con loro. Gli piaceva come Mira suonava il sitar* e come urlava di gioia quando le regalava degli spartiti nuovi. Oscia gli parlava di storia e i suoi appartamenti erano gremiti di libri e spesso lui si era ritrovato completamente perso, incapace di seguire il filo dei suoi ragionamenti dato che citava persone morte secoli prima e a lui totalmente sconosciute. Tallia era la sua anima oscura, quella con cui poteva essere aggressivo perché dava quanto riceveva, inoltre era la sua cassa di risonanza: quando non era in grado di schiarirsi la mente ne discuteva con lei e attraverso le loro epiche litigate riusciva focalizzare le idee e a vedere il problema da una diversa angolazione. Infine Cara, giovane, dolce Cara, era una spietata giocatrice di shah-mat** e apprezzava oltremodo i suoi manuali di strategia militare.
E adesso a loro si sarebbe aggiunta quella bambina issiana, così diversa nell’aspetto da quello che cercava solitamente in una donna. Ma almeno il carattere prometteva bene e sembrava essere intelligente. Per l’aspetto avrebbe dovuto accontentarsi e pazientare che crescesse: era una ragazzina graziosa, una volta adulta sarebbe stata di sicuro bella. Intanto doveva solo sperare che sopravvivesse al nido di serpenti velenosi che poteva essere la corte rakiana, che difficilmente avrebbe accettato quella bambina straniera come regina.
Non sapeva come Deja avrebbe reagito a Perla e alle sue altre ragazze, ma di certo non avrebbe tollerato che lei le insultasse o degradasse. Le sue concubine erano lì per restare, oltretutto lui non avrebbe potuto toccare sua moglie per anni, lei non poteva pretendere che mantenesse il celibato. D’altra parte era molto probabile che accogliesse con sollievo la notizia, grata che ci fossero altre a prendersi cura di lui.
La morale issiana era alquanto ambigua su quel punto. La prostituzione e i bordelli erano illegali, eppure nelle zone più degradate c’erano prostitute in ogni angolo. I matrimoni con i minori di quindici anni erano vietati, si era subito informato al riguardo una volta scoperta l’età di Deja, eppure quelle stesse prostitute, che non avrebbero dovuto esistere, erano loro stesse spesso giovanissime. Ci si aspettava che, una volta contratto un matrimonio, i coniugi rimanessero fedeli gli uni agli altri, eppure tra le possibili cause di scioglimento dei vincoli matrimoniali c’era il tradimento. Il divorzio, inserito recentemente nello statuto issiano, era qualcosa di inimmaginabile a Rakon. Un matrimonio era per sempre, fino alla morte del coniuge, eppure a Rakon i matrimoni erano ancora spesso combinati tra uomini adulti e ragazze giovani, anche se Zaron aveva cercato di dissuadere i suoi nobili da tale pratica, e ora proprio lui stava dando il cattivo esempio. A Issa invece un matrimonio, contratto ufficialmente per mutua scelta e in piena libertà, poteva essere sciolto con la stessa facilità con cui si scioglieva una società commerciale. Per Zaron era una contraddizione incomprensibile.
Ritornò al presente contemplando Aborn, il suo futuro suocero, che cercava di ottenere un’udienza privata con lui.
- Come desideri, Aborn. Ho del tempo da dedicarti.
L’uomo più anziano lo ringraziò e gli chiese di seguirlo, portandolo in un piccolo studio la cui porta era nascosta dietro un drappo. Le sue guardie ispezionarono la sala e poi li lasciarono soli. Zaron si sedette dietro la scrivania, al posto che era stato evidentemente di Aborn, lasciandogli così la scelta tra lo stare in piedi e sedersi dirimpetto a lui. Invece Aborn aprì un piccolo mobiletto vicino alla scrivania che conteneva dei bicchieri di cristallo e delle bottiglie e si versò un bicchiere di quello che pareva un potente liquore, dalla densità del liquido e da come gli occhi dell’uomo si fecero lucidi quando ne rovesciò l’intero contenuto in gola. Poi si versò un altro bicchiere e ne preparò uno anche per Zaron. Li portò alla scrivania e gli mise il suo davanti prima di lasciarsi cadere sulla sedia. Zaron sollevò stupito il sopracciglio: Aborn sembrava angosciato e nervoso e l’argomento di cui voleva parlargli doveva risultargli particolarmente difficile dato che aveva cercato coraggio nel liquore.
- Maestà, dobbiamo parlare…
Zaron si rilassò sulla sedia imbottita, prendendo in mano il bicchiere, ma senza avere nessuna intenzione di bere: non era uno sprovveduto.
- Ed è proprio quello che stiamo facendo Aborn. O mi hai portato qui per dividere con me la tua riserva di alcolici?
L’altro uomo abbassò lo sguardo, fissando dritto il proprio bicchiere.
- Riguarda mia figlia e il vostro matrimonio.
La voce di Zaron da giocosa si fece cupa.
- Spero non abbia cambiato idea, non dopo il discorso che ha fatto davanti a tutta la popolazione.
- No.
Rispose amaramente Aborn, un lato della bocca piegato in giù, come se stesse assaporando qualcosa dal gusto particolarmente vile.
- Mia figlia è decisa a mantenere la sua parte dell’accordo. Sono io che ho bisogno di… sono io che…
Il vecchio issiano sembrava far fatica a trovare le parole, poi bevve un sorso dal bicchiere e continuò.
- Cercate di capire, sire. Io sono suo padre, qualsiasi padre si preoccuperebbe. Voi siete un uomo fatto e mia figlia è così giovane. Ho bisogno, devo sapere che la tratterete bene, che non le farete del male, che le mostrerete rispetto nel letto coniugale. È così giovane, così piccola.
Il viso di Aborn si contrasse in un’espressione angosciata.
- Ho bisogno di sapere che vi mostrerete paziente. L’avete vista, non potete aspettare qualche anno per il matrimonio? Dov’è la fretta? Di sicuro non potrete trarre piacere da una ragazza così giovane! Forse potreste considerare un fidanzamento, uno che duri tre anni, lasciatele almeno raggiungere l’età minima. Passerà con voi il resto della sua vita, cosa sono tre anni d’attesa, per permetterle di crescere?
Zaron aveva composto il viso in una maschera impassibile quando si era reso conto dove Aborn voleva arrivare, quello che stava implicando. Davvero l’altro uomo pensava che lui avrebbe voluto portarsi a letto la sua sposa? Per chi lo aveva preso? Cercò di contenere la sua rabbia e di rispondere intanto alla sua richiesta meno oltraggiosa.
- Non ci sarà nessun lungo fidanzamento che possa incitare ribellioni o cambiamenti d’idea. Una volta che i documenti necessari saranno pronti e le formalità espletate, si terrà la cerimonia nuziale. Ne faremo una qui, secondo il rito issiano e poi io e la mia regina ci sposteremo a Halanda, dove ci uniremo secondo il rito rakiano; non voglio si avanzino sospetti di illegalità o illeceità. Mia moglie vivrà con me a Halanda per la maggior parte dell’anno, ma torneremo periodicamente qui a Issa, che è il seggio del suo trono.
A questo punto Zaron permise a un po’ del suo sdegno di trasparire dalla sua espressione.
- Riguardo al resto... per che razza di depravato mi prendi? Trovo offensive le tue insinuazioni. Io non brutalizzo le donne e di sicuro non mi accosto al letto delle bambine. Non ho intenzione di consumare il matrimonio finché Deja è ancora così giovane.
Aborn, che era sbiancato nell’apprendere che avrebbe portato la sua bambina a Rakon, udendo che Zaron non aveva intenzione di far del male alla figlia aveva chiuso gli occhi, afflosciandosi per il sollievo.
- Detto questo,
Continuò implacabile Zaron perché l’argomento, per quanto spiacevole fosse, andava affrontato.
- È molto probabile che si renda necessario mantenere una certa apparenza. Dovrà sembrare che io abbia consumato il matrimonio, altrimenti Rakon non accetterà mai Deja come regina. Dovremo avere una prima notte di nozze, durante la quale, in confidenza, ti posso dare la mia parola e giurare difronte a tutti gli dei, che non toccherò tua figlia. Poi lei potrà avere delle stanze tutte sue, anche se dovrà sembrare che passiamo delle notti insieme. Ma, ripeto, non succederà nulla. Non ho gusti perversi, anche se probabilmente verrò accusato di questo dalla tua gente. Non mi appresto a sposare tua figlia perché la trovo desiderabile, il mio è un mero calcolo politico.
Aborn cercò di ricomporsi.
- Perché Deja, perché noi? Ha conquistato tutti gli altri regni con brutalità, schiavizzando le popolazioni, sterminando le case regnanti. Avrebbe potuto fare lo stesso con Issa. E invece si è fermato e ha proposto un matrimonio che va a vantaggio nostro. Issa viene risparmiata, mantiene la sua dignità e la sua identità, anche se non la sua indipendenza. Se Deja vi darà un erede nel corso di poche generazioni i nostri due popoli saranno una cosa sola. Perché ha scelto noi?
Questo era stato il cruccio che aveva tormentato Aborn tutto il giorno, come una corrente sotterranea, sepolto dalla preoccupazione per la sorte della figlia. E ora che il suo nemico gli aveva offerto assicurazioni, anche se solo verbali, delle sue buone intenzioni, quella domanda era sgorgata spontanea.
Il volto dell’imperatore si era però fatto chiuso e inflessibile. Si alzò dalla sedia, abbandonando sulla scrivania il bicchiere intatto.
- Credo che questa conversazione si sia conclusa. Confido che informerai tu tua figlia che non ha nulla da temere da me, che non pretenderò che lei assolva ai suoi doveri coniugali già dalla prima notte. Sono sicuro che ne sarà estremamente sollevata. Desidero parlarle, riguardo alla sua futura sistemazione e a quello che mi aspetto da lei, il prima possibile. Vedi di organizzare un incontro. So che è giovane ma mi auguro che non ci saranno recriminazioni né inutili isterismi. Deja mi è parsa una ragazzina intelligente e decisa. Credo che non avremo problemi a capirci. Non ritengo ci sia altro di cui discutere.
E se ne andò lasciando Aborn da solo nel suo studio con due bicchieri, uno vuoto e uno pieno, e molto su cui riflettere. Aveva sudato freddo sin da quando la porta dello studio si era richiusa alle loro spalle e loro erano rimasti soli. Aveva trovato oltremodo difficile discutere con il sovrano rakiano dei propri timori riguardanti le sue intenzioni nei confronti della figlia. Difficile trovare le parole per implorare quell’uomo di non abusare della sua giovane sposa, una volta che il matrimonio fosse avvenuto e lui avesse avuto tutto il diritto di accedere al letto di Deja. Se lo era immaginato, quel soldato imponente e brutale, sopra il corpo minuto e impotente della sua bambina, si era immaginato le lacrime, le urla e la consapevolezza che era impossibile aiutarla lo aveva dilaniato. Era stato male, incapace di mangiare per tutto il giorno. La sua vita era stata una delle richieste della figlia per acconsentire a quell’unione e Aborn si era chiesto se davvero la sua vita valesse così tanto. Poi l’uomo di stato aveva preso il sopravvento: anche se lui fosse morto, Deja avrebbe sposato comunque Zaron per salvare la sua gente e la sua città. Ma il padre in lui aveva continuato a disperarsi, immaginando scenari via via più cupi. Quando Zaron aveva liquidato i suoi timori con ribrezzo, indignato per le sue supposizioni, Aborn non era riuscito a nascondere il suo sollievo. La pietra che gli aveva pesato sullo stomaco per ore era venuta via e lui aveva finalmente ripreso a respirare. E tuttavia… tuttavia Zaron non aveva detto quanto avrebbe aspettato, quale era secondo lui l’età giusta, quando avrebbe reputato la sua sposa pronta. Ma Aborn temeva che non sarebbe mai stata pronta. Come puoi imparare ad amare il tuo carceriere? Colui che ti ha privata della libertà di scelta, di rifiuto? Aborn aveva ripensato al proprio matrimonio, a quanto profondamente avesse amato la madre di Deja, Marida, a come si erano conosciuti da giovani.
Quando gli erano state presentate le fanciulle che i suoi genitori ritenevano adatte a lui, Marida gli era subito balzata agli occhi e dopo poche settimane di frequentazione, aveva deciso che sarebbe stata lei o nessun’altra. Erano stati così giovani allora, lui aveva avuto vent’anni e lei sedici e dopo cinque anni di fidanzamento si erano sposati e lui era stato l’uomo più felice sulla terra. L’aveva sempre amata e il suo cuore e i suoi occhi non avevano mai deviato da lei. L’unico dolore che avevano conosciuto era dovuto all’apparente incapacità di Marida di dargli dei figli. Per anni i suoi consiglieri gli avevano fatto pressioni, cercando di convincerlo a divorziare da lei e a risposarsi con una ragazza in grado di dare al regno l’erede di cui aveva bisogno, ma Aborn era stato inamovibile. Marida era tutta la sua vita, l’unica donna che avesse mai amato e la prospettiva di allontanarla e prendere un’altra moglie era non solo intollerabile ma addirittura ridicola. E poi era avvenuto il miracolo e a quarantasette anni Marida era rimasta incinta. La loro felicità era stata completa, tanto che avevano ignorato gli avvertimenti dei guaritori che ammonivano la regina, sconsigliandole di portare avanti quella gravidanza, perché troppo in là con gli anni. Deja era venuta al mondo e, poche ore dopo, la sua adorata Marida era spirata. Aborn aveva giurato alla sua piccola bambina che le avrebbe dato il doppio dell’amore, che l’avrebbe amata anche per la madre che non c’era più e poi aveva messo nella culla la lunga collana d’oro con il pendente in topazio blu che sua moglie aveva indossato per tutta la gravidanza, insistendo che così il loro bambino avrebbe amato il mare e il cielo e che, chissà, magari avrebbe ereditato gli occhi azzurri del padre. Per sua figlia aveva immaginato, sperato, in un’unione d’amore, come era stato tra lui e la madre. E invece le era toccato un freddo matrimonio politico, con un uomo molto più vecchio di lei, uno straniero che l’avrebbe portata via con sé, lontano dalla sua città, dai suoi amici e dalla sua famiglia. Quando c’è amore, tutto si può sopportare, ma non vi era amore in quell’unione. Deja non avrebbe mai conosciuto quella completezza, quella perfetta felicità, quell’estasi che deriva dallo stare con la persona amata. E questo riempiva Aborn d’angoscia e rimpianto. L’unica cosa che lo confortava era che Zaron si sarebbe astenuto, almeno per il momento, dal toccarla. Ma per quanto? A Halanda lui non avrebbe potuto aiutarla, non avrebbe potuto difenderla. Peggio ancora, una volta uniti in matrimonio Zaron avrebbe avuto la precedenza su di lui, per tutto quello che riguardava sua figlia. Zaron sarebbe stato quello presso cui sua figlia avrebbe dovuto cercare rifugio, quando era proprio lui quello da cui lei aveva bisogno di essere protetta.
Tormentato da quei cupi pensieri aveva bevuto il bicchiere che aveva preparato per Zaron e poi si era alzato per portare alla scrivania l’intera bottiglia. Finita quella si era trascinato al mobiletto e ne aveva aperta un’altra, trovando difficile coordinare i movimenti. Quando Deja era entrata nello studio, parecchie ore dopo, lui non aveva neanche consapevolezza di quanto tempo fosse passato.
Lei si era inginocchiata ai suoi piedi, poggiando il capo sulle sue ginocchia, la gonna ingombrante del vestito lilla allargata tutta intorno a lei. Aveva avuto paura per lei, vedendola in quell’abito, vedendo come esso la faceva apparire più grande di quello che era, scoprendo audacemente le spalle e accentuando i fianchi. In qualsiasi altra occasione vedere la sua bambina così cresciuta lo avrebbe commosso e inorgoglito, ma non in quella, non con Zaron in agguato che meditava chissà quali pensieri. Le sfiorò amorevolmente le trecce e la corona, sussurrando il suo nome e Deja alzò lo sguardo per incrociare i suoi occhi.
- Dalla presenza delle bottiglie vuote devo dedurre che l’incontro con Zaron non sia andato bene. Non avere timore di riferirmi alcunché, padre. Dimmi, senza indugio, quale sorte mi aspetta.
Gli occhi di Deja erano brillanti e risoluti anche se la sua voce tremava e Aborn fu commosso per come cercava di mascherare la sua paura.
- Ha detto che un fidanzamento è fuori questione, che il matrimonio avverrà il prima possibile e che ha intenzione di portarti via, a Halanda. Ma… ha anche detto che non ha intenzione di toccarti. Mi ha giurato che non consumerà il matrimonio finché non sarai cresciuta.
Deja scoppiò a piangere, nascondendo il viso contro le ginocchia del genitore. Non sapeva neanche lei per cosa piangeva, se per il sollievo di aver scampato il letto matrimoniale o per la disperazione alla prospettiva di dover abbandonare la sua casa.
- Mi porterà via e io non ti rivedrò più!
Il padre le appoggiò una mano ferma e sicura sulla spalla.
- No, lui ha detto che ti riporterà a Issa ogni tanto. D’altra parte tu sei la regina di Issa e devi essere presente nel tuo regno. Ha anche detto che, pur non consumando il matrimonio, dovrà dare l’impressione di averlo fatto, ha detto che dovrete passare delle notti insieme anche se mi ha promesso che ti rispetterà e non ti toccherà. Dovrai essere coraggiosa, bambina mia. E pregare con me che lui mantenga la parola data.
Le accarezzò la schiena, cercando di confortarla, mentre Deja piangeva e piangeva. La tensione lo abbandonò e la testa cominciò a ciondolare. Perse i sensi senza accorgersene e quando la figlia non riuscì a svegliarlo, chiamò delle guardie issiane che lo aiutassero a recarsi nelle sue stanze. Aborn non si destò fino al mattino seguente.

* Sitar: è uno strumento musicale a corda che ricorda un po' una chitarra. Non sono un'esperta..
** Shah-mat: è la parola da cui deriva "scacco matto". Qui mi sto ovviamente riferendo agli scacchi.
 
NOTA DELL’AUTRICE: Eccoci finalmente a metà strada! Spero che qualsiasi dubbio sul carattere di Zaron sia stato fugato! Alla prossima, e fatemi sapere, vi prego, se questa storia vi sta piacendo.
  
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