Storie originali > Thriller
Segui la storia  |       
Autore: Dark Swan    29/08/2016    1 recensioni
Il rimbombo di uno sparo in un'aula vuota, un corpo fumante ancora a terra ed un biglietto. Questo è tutto ciò di cui la detective Alessandra dispone per indagare sulla morte del prof. Montecchi. L'aiuteranno nell'indagine il suo nuovo partner Manuel ed Elena, studentessa ed aspirante scrittrice, che si trovava a poche aule di distanza la mattina dell'omicidio. L'ultima corsa è molto più che un romanzo thriller, ma una splendida indagine dell'interiorità umana, l'analisi dolorosa, angosciante, malinconica ed autunnale dei sentimenti che scandiscono le nostre giornate, delle frasi che lacerano il cuore, delle storie sentimentali che possono sfociare in drammatiche inquietudini. Di quell'amore che, se negato, può diventare più freddo della morte.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il Professor Montecchi sedeva svogliatamente in un banco qualunque di un'aula vuota.
Si era accomodato lì poiché quella settimana non si era presentato nessun studente a ricevimento. Forse perché i corsi universitari erano appena ripresi. Bisognava dare tempo ai giovani, di questo era fermamente convinto.
Estrasse dalla borsa dei fogli stropicciati ed iniziò ad appuntare su questi numeri privi di senso.
Dopo un'intera ora spesa ad eseguire quel monotono lavoro, si alzò per guardare fuori dalla finestra.
Di colpo la vetrata di quella si colorò di rosso, il suo stesso sangue fu l'ultima cosa che vide. Ripensò a sua madre.
Lorenzo Montecchi aveva quindici anni quando, spegnendo l'unica candelina che la madre poteva permettersi di mettergli sulla torta, espresse il desiderio di trovare la sua Giulietta. 
Lorenzo sapeva che i desideri sta a noi realizzarli, ma non avendo abbastanza soldi per iniziare la sua ricerca in giro per il mondo, e conscio del fatto che la madre, col suo misero stipendio da cameriera, non avrebbe potuto fornirglieli, e che non avrebbe avuto abbastanza denaro neanche se a quei ipotetici soldi avesse aggiunto la sua stessa paga da garzone, decise, come fanno tutti i figli in difficoltà, quasi sentissero un richiamo nel sangue, di chiedere aiuto al padre. 
Così il ragazzo aspettò, pazientemente, che arrivasse il giorno del suo sedicesimo compleanno per ricevere dei soldi che il padre gli inviava annualmente. Aggiunse a quella somma dei suoi risparmi, salutò la madre e partì per l'America, promettendole che avrebbe avuto abbastanza denaro anche per un viaggio di ritorno. Ma quella sapeva che non sarebbe andata così, che sarebbe stata abbandonata dall'unico uomo che avesse mai amato in vita sua, che il figlio, che aveva cresciuto per sedici anni, la stava lasciando.
Mr. Paul avrebbe voluto cacciarlo, abbandonandolo di nuovo come aveva fatto sedici anni prima per continuare a condurre la sua vita da libertino. Quando però lo vide sulla soglia del suo costoso appartamento, e guardò in quegli occhi azzurri che erano uguali ai suoi, non poté fare altro che farlo entrare attraverso quella porta nella sua vita. 
Mr. Paul, all'anagrafe Paolo Guerra, aveva allora quarantasette anni, era fuggito in America durante la Grande Guerra. Quando Lorenzo bussò alla sua porta, si guadagnava il pane esibendosi in piccoli locali e teatri della città, vivendo della fama guadagnatasi mentre l'Europa si autodistruggeva. Dopo la guerra tornò in Italia per vedere cosa restasse della sua casa e della sua famiglia: un bel niente, soltanto macerie e polvere. Prima di tornarsene nella sua America, si lasciò andare ad un paio di bicchierini di troppo, ad una conversazione un po' troppo lunga con una avvenente cameriera, per poi ritrovarsi, qualche chilometro più in là, nella stanza di questa. 
Appena Cristina si rese conto di essere incinta, scrisse a Paolo nella speranza che lui tornasse da lei. A tale speranza Mr. Paul rispose, dopo qualche settimana, con una busta contenente del denaro ed una lettera su cui vi era la promessa di inviarne tante quanti anni avesse vissuto il bambino, in cambio, però, chiedeva di essere messo a corrente del giorno in cui la sua prole avesse visto la luce e di conservare la sua libertà di scapolo.
«Parli l'italiano?»
«Certo.»
«Meno male», a quelle parole Lorenzo abbinò un mezzo sorriso intriso di nervosismo, «Lo sai, non ti ho mai chiamato, non ti ho mai chiesto niente. Ma questa è una questione di vita o di morte...»
«The same old story!», disse con un po' di mestiere Mr. Paul.
«Cosa?», chiese Lorenzo, che non masticava neanche una parola di inglese.
«Nulla.», fu soltanto pronunciando quella parola, che Mr. Paul si rese conto di star parlando per la prima volta a suo figlio, «Dimmi pure di cosa hai bisogno.»
«Soldi, per un viaggio, devo trovare una persona.»
«Chi?»
«Non lo so.»
«Come non lo sai?»
«Devo trovare l'Amore.»
«Ah, l'Amore! Ancora con questa sciocchezza? Di questi tempi? L'Amore!» ripeté Mr. Paul ridendo, «Ma quando capirete che l'amore è qualcosa di effimero che non conta un bel niente? Tutto ciò che conta è la fama, quella sì che è eterna. I soldi, il successo, le donne. Solo se sei un uomo di successo le donne faranno la fila per te.»
«Come l'ha fatta mia madre?»
«Senti», tentò di giustificarsi con un tono quasi dispiaciuto, «Avevo più o meno la tua età, forse più più che meno, il punto è che...»
«No, no, capisco.», tagliò corto Lorenzo che di quelle parole poteva farsene ben poco, e sarebbe tornato a testa bassa a casa sua se il padre non l'avesse fermato: 
«Perché non resti con me?»
«Cosa?»
«Sei mio figlio! Voglio che resti con me! Voglio insegnarti la mia arte.»
«Ah, lo swing... No grazie, a me piace il rock.»
«No, voglio insegnarti a stare su un palco, voglio insegnarti i trucchi del mestiere, voglio farti provare cosa vuol dire guardare una platea che impazzisce per te e ti inonda di applausi. Voglio, voglio... Non voglio morire da solo, lontano dal mio unico figlio.»
«E l'hai deciso adesso?»
«Sì, l'ho capito guardandoti. Voglio che rimanga qualcosa di me quando non ci sarò più, voglio che rimanga tu e che porti avanti tutto il mio successo.»
«Senti, non so nemmeno come dovrei chiamarti... il punto è che io non sono bravo in queste cose. Sono stonato, provai anche a ballare una volta, e a quella povera ragazza sono stati pestati i piedi più volte di quanto sia possibile immaginare!»
«Almeno era carina?»
«Per niente.»
«Poco male allora.»
«Tu sei proprio uno stronzo.»
«Hai ragione, ma lascia che ti insegni.»
«A essere stronzo?»
«Ad essere immortale.»
Mr. Paul gliel'ho insegnò così bene che in pochi mesi suo figlio divenne più famoso di lui, soltanto portandoselo appresso. 
Annusando l'odore dei soldi, Lorenzo dimenticò il profumo della madre: le sue telefonate si fecero sempre più sporadiche, fino a scomparire del tutto. Una notte in cui non riusciva a dormire, continuamente pungolato dai sensi di colpa per la sua infelice condotta, decise di chiamarla, ma dal vecchio mondo non rispose nessuno. Preoccupato ed oramai straricco decise di farle una sorpresa tornando casa. Bussò alla sua porta, con l'entusiasmo di un bambino che esce dall'asilo solo per abbracciare la mamma che gli è mancata tanto, ma non aprì nessuno. Con una preoccupazione ancora maggiore di quella che gli aveva fatto attraversare l'oceano, andò nel locale dove lavorava la madre. Non appena varcò la soglia di quel posto, gli venne all'orecchio un mormorio indistinto di sospiri, a cui pose fine un'amica della madre che gli si avvicinò e, tra le lacrime, gli disse che l'avevano trovata pochi giorni prima in una pozza di sangue. Lorenzo, impietrito, non sapeva come reagire alla notizia. Pochi giorni prima? In una pozza di sangue? Cosa significava? Che stava dicendo quella donna? Si gettò fuori da quel locale che gli stava togliendo l'aria, e si ritrovò su una strada che oramai non riconosceva più; chiamò il padre e soltanto quando ne udì la voce realizzò cosa fosse accaduto.
«Ehi, che succede? Lorenzo? Pronto?»
Fissando il vuoto, Lorenzo non trovava le parole per rispondere, "Mia madre è morta", pensò, e trascinato a fondo da quel pensiero, annegò in un mare di lacrime. Trascorse le ore successive vagando per le strade di una città che non gli diceva niente, chiedendo bruscamente a chiunque incontrasse cosa fosse successo alla madre; ma non appena lo scoprì, dannò se stesso per averlo voluto sapere.
Perché quando le loro parole ti spingono verso basso, opprimendoti, soffocandoti, vorresti solo smettere di ascoltarle; faresti di tutto per fermare quelle voci. Eppure non riesci a zittirle, e inizi a piangere, a gridare ma quelle voci non se ne vanno, ti tormentano. E quando non sei abbastanza forte da ignorarle o conviverci, diventano parte di te al punto tale che non riesci più a distinguere la tua voce dalla loro. Inizi ad avere paura, pensi che nulla sia rimediabile, ma ti fai forza poiché sei ancora abbastanza lucida per ragionare, ma poi succede di nuovo, e continua a ripetersi un giorno dopo l'altro. Pessime giornate non fanno altro che rincorrersi e cerchi un qualche conforto ma non c'è più il suo volto, non c'è più il suo odore per casa, non c'è più lui, e tu hai davvero bisogno di una bella giornata, ma non incontri più il suo sorriso; allora inizi a chiederti a cosa serva resistere se l'unica cosa per cui valesse la pena continuare a vivere se ne è andata, è scomparsa, si è dimentica di te, ti ha abbandona. Perché continuare ad aspettare una chiamata che sai già che non arriverà? Tanto lo sai che le persone sono cattive e tuo figlio non è da meno; lo sai che le persone non fanno altro che abbandonarti e lo fanno perché tu sei sbagliata. Tutti sanno controllare quelle voci, le sopportano, ne alzano il volume, lo abbassano, in pratica ci giocano, ma tu no, tu sei diversa, non funzioni e niente ti aggiusterà mai, per questo non hai più nessuno.
«Caro Lorenzo, ti ho amato più di quanto mi fosse possibile fare. Lo sai, la mattina in cui ricevetti la lettera di tuo padre in cielo mi sembrò di scorgere ancora una stella che era rientrata tardi la sera prima, lo presi come un buon auspicio. Lessi quella lettera pervasa dall'emozione perché quello che volevo stava finalmente accadendo: un uomo che mi amava stava per dirmi che mi avrebbe sposata e si sarebbe preso cura di me e di mio figlio, non sarei più stata sola, la mia vita sarebbe cambiata. Poi lessi e mi svegliai da un sogno per ritrovarmi in un incubo. Furono mesi difficili, pensai di non farcela, ma ce la feci e dal primo momento che ti vidi capii che saresti stato per me il calore del primo sole dopo un inverno senza fine. Eri tu il mio sogno, tu eri mio ed eri meraviglioso. Non dormire, lavorare fino a tardi, dolori e sacrifici su sacrifici non mi pesavano perché mi bastava guardare il tuo faccino per trovare un senso a quelle fatiche. Ma poi tu te ne sei andato e hai promesso di tornare, ma non sei più tornato e io non ce la faccio più a vivere così. Cosa deve fare tua madre per ricevere la tua attenzione? Uccidersi? È quello che farò. Tu per me sei già morto, e da morto mi hai ucciso. Ho sempre pensato che fossi la cosa più bella della mia vita, ma me l'hai rovinata, sei uguale a tuo padre, sei uguale a tutti gli uomini.»
Le parole successive, macchiate di sangue, si leggevano a malapena. Lorenzo per fortuna non trovò mai quella lettera, né tantomeno vide la madre in una pozza di sangue, con le vene aperte e una lametta in mano. La morte per dissanguamento di Cristina fu lenta, e lei non fece altro che piangere desiderando che tutto finisse il prima possibile. Quando capì che non sarebbe finita così presto, si alzò a fatica, e reggendosi a malapena in piedi, si accostò tremando alla cucina; intravide il suo riflesso sul fondo di una pentola posata lì per caso, poi senza la minima esitazione aprì un cassetto, estrasse un coltello e si trafisse. Il dolore fu atroce, nei suoi ultimi momenti di vita continuava a piangere, ma nessuno la sentì.
Era certa che se qualcuno l'avesse sentita lamentarsi, avrebbe iniziato ad incolparla. La colpa di Cristina fu quella di riversare la sua intera esistenza nel figlio. Colpa che identifica i genitori come gruppo sociale.
Nei giorni che seguirono il direttore del locale la chiamò più volte a casa; nella terza telefonata le annunciò che se non si sarebbe presentata, l'avrebbe licenziata. Stanco, decise di andare in persona a casa sua, almeno per riprendersi il grembiule che era solito far portare alle sue detenute a casa per lavarlo. Bussò alla porta, ma non rispose nessuno, adirato la buttò giù: la vide, e capì che c'era molto più di un grembiule da lavare.
Fu il suo sangue l'ultimo pensiero del Professor Montecchi.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Thriller / Vai alla pagina dell'autore: Dark Swan