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Autore: CHAOSevangeline    29/08/2016    1 recensioni
{ FenHawke | M! Hawke | Ambientata dopo la quest secondaria "Solitudine" del terzo atto. }
Fenris ha raggiunto il suo scopo: si è finalmente sbarazzato di Danarius, non ha più un padrone che lo reclama né tantomeno bisogno di sfuggirgli.
Ci sono però ancora delle catene che gli impediscono di essere libero come vorrebbe dal suo passato e l'unico che può alleviare le sue sofferenze è Hawke.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Fenris, Hawke
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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In catene

 
 
Alcune notti Fenris proprio non capiva se il dolore che provava fosse pura e semplice agonia o se si trattasse piuttosto di uno scomodo retaggio dovuto ai ricordi.
Sapeva solo di essersi svegliato improvvisamente per un’intensa fitta alla schiena e di essere rimasto senza respiro.
Era come se una qualche forza stesse pulsando sotto la sua pelle e vide chiaramente i propri polsi illuminarsi di un leggero bagliore.
Trattenne il fiato per un momento, come se ogni respiro lo ferisse di più e si rassegnò pensando che rimanere immobile su quel letto non l’avrebbe aiutato affatto: avrebbe pensato e pensato, rimuginato fino a quando la testa non gli fosse diventata così pesante da dolergli come ogni altro punto del corpo già faceva.
L’unica presenza su di lui che non causava maggiore sofferenza era quella dell’uomo che aveva vicino. Fenris sentiva il peso del braccio di Hawke sui propri fianchi e il calore che il suo petto irradiava contro la schiena; le labbra del Campione di Kirkwall sfioravano la pelle scoperta del suo collo, ma non servivano a farlo stare meglio. Non se non era sveglio, non se non parlava per rassicurarlo.
In quei momenti Fenris si sentiva solo più che mai e sapere Hawke accanto a sé non gli bastava: avvertiva il bisogno di parole di conforto che tuttavia non aveva il coraggio di chiedere, come se non ne avesse il diritto.
E poi odiava svegliare Hawke nel cuore della notte: strapparlo al meritato riposo che stava riuscendo a concedersi sarebbe stato crudele, ma rimanere sdraiato ed insonne, con lo straziante silenzio notturno a trapanargli le orecchie, l’avrebbe fatto impazzire e sarebbe stato altrettanto terribile nei propri confronti.
Si mosse lentamente, sforzandosi di usare tutta la cautela che il dolore gli concedeva. Adagiò il braccio nerboruto di Hawke sul materasso, prese un respiro e si alzò in piedi.
Quando i tatuaggi gli dolevano non poteva non pensare a Danarius.
In quelle occasioni, tuttavia, la sua mente e il suo cuore erano meno ostili: non ricordava quando l’aveva ucciso, all’Impiccato, o la fugace soddisfazione provata.
No.
Semplicemente si chiedeva perché.
Perché avesse dovuto patire tutto quel dolore, perché quell’uomo gliel’avesse inflitto e, poi, perché la sua intera vita dovesse ridursi a sofferenza, morale o fisica che fosse.
Aveva perso i propri ricordi, aveva perso la propria famiglia.
Gli rimaneva soltanto lui.
Gettò un rapido sguardo oltre la propria spalla come ad accertarsi che Hawke fosse ancora lì e vide i suoi occhi ambrati fissi su di sé. Si stava sollevando e Fenris nemmeno si era accorto del fruscio delle coperte.
Avrebbe dovuto essere più cauto e non indugiare, fuggire dalla stanza e rintanarsi nella biblioteca o dove non sarebbe stato disturbato fino a quando il dolore non gli avrebbe dato tregua.
« Dove stai andando? »
Il suo sgattaiolare via in quel modo aveva turbato Hawke; in fin dei conti non sapeva che Fenris non aveva alcuna intenzione di allontanarsi troppo da lui come invece aveva già fatto in passato.
« Non ho più sonno », liquidò rapidamente la sua domanda. « Devo… Cercherò qualche tisana in cucina, tu torna a dormire. »
Fenris non aveva nemmeno sperato che quell’ordine sortisse un qualche effetto sulla volontà di Hawke, che aveva già i piedi sul pavimento e si stava dirigendo verso di lui.
« Sono i tatuaggi, vero? »
Fenris sospirò.
Perché chiedere, se già credeva di conoscere la risposta?
Decise di non essere scostante e annuì, rimanendo immobile nel punto esatto in cui Hawke l’aveva scoperto.
« Passerà. Passa sempre. »
Hawke lo raggiunse con un paio di falcate, leste nonostante il suo viso palesasse quanto fosse ancora intontito dal sonno.
Percorse lentamente i tatuaggi sul collo di Fenris con la punta delle dita, ostacolando il lieve bagliore azzurro che emettevano. Salì sul mento con il pollice e gli sollevò appena il viso.
Hawke lo toccava come se fosse quanto di più fragile al mondo, come se potesse ferirlo di più ma volesse continuare a sfiorarlo per alleviare ogni sua sofferenza con quelle stesse mani. Lo faceva sempre.
« Non serve che lo affronti da solo, però. »
Fenris distolse lo sguardo per nascondere i propri pensieri, pur essendo consapevole che Hawke avrebbe capito ogni cosa.
Ironico quanto difficile fosse per lui rendersi conto di non doversi più sorreggere da solo.
Nonostante tutte le prove ricevute, tutte le parole che Hawke gli aveva rivolto per farglielo tenere a mente, Fenris sembrava proprio non volerci credere.
Si sentì stringere lentamente la mano e venne guidato verso il letto. Assecondò i movimenti che Hawke gli chiedeva silenziosamente di compiere senza questionare.
Era stanco di lottare da solo, quindi perché sforzarsi? Hawke voleva il suo bene tanto quanto lui lo desiderava per l’altro.
Poteva fidarsi.
Finì stretto tra le braccia del suo Campione, coperto dal lenzuolo e tenuto saldamente dalle sue mani; carezzavano piano la sua pelle, seguivano i tatuaggi che conosceva a memoria e che amava solo perché appartenevano a Fenris.
Gli parlò a lungo. Di cose sciocche, di cose che Fenris avrebbe normalmente scordato subito e che non erano nemmeno poi così divertenti. Eppure quando l’elfo sentì che lentamente i suoi muscoli si rilassavano, e la stanza smise di essere illuminata dalla luce divenuta più intensa dei tatuaggi, ripensò alle sovrane che Hawke gli aveva detto di aver perso tra le travi del pavimento dell’Impiccato e a tutti gli sforzi che Varric aveva compiuto per permettergli di riaverle.
Provò ad immaginarselo.
Quasi rise e il dolore scomparve.
Fenris non sapeva il motivo per cui quei tatuaggi gli dolessero tanto, ma se aveva una certezza, quella era che Hawke fosse l’unica medicina.




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Vago nel fandom di Dragon Age da qualche mese ormai, ma nonostante qualche lavoricchio sparso nelle mie cartelle non ho mai postato nulla.
Ho da poco terminato il secondo gioco e ho dovuto aggiungere alla lista di fanfiction sull'Inquisition qualche one-shot sul secondo capitolo della saga.
Che dire? Spero che questo primo approccio condiviso su EFP non si riveli un flop, dato che essendo nuova di questi lidi rischio un potenziale OOC in cui spero di non essere caduta.
Mi auguro che questo piccolo quadretto FenHawke vi sia piaciuto e che vi vada di darmi qualche parere sulla storia!
Spero di postare presto qualcosa di nuovo in questa sezione.
Alla prossima ~
   
 
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