Episodio 7 –
I’LL RISE LIKE THE BREAK OF DAWN
Jack,
River ed Evan vennero
raggiunti immediatamente dal resto del gruppo, che si fermò
appena dentro la
stanza. La donna sembrava studiarli a distanza, le sue movenze erano
quasi
animalesche. Accovacciata su se stessa, si muoveva avanti ed indietro,
tenendo
la testa bassa. In quel momento i pensieri si affollarono nella testa
di Jack
alla velocità della luce: sapeva che River era in grado di
difendersi. Sapeva
muoversi silenziosamente e nascondersi velocemente, per quanto i
ricordi delle
loro guerre simulate potessero valere in questo contesto. Ma questa
volta non
poteva funzionare. E non poteva neanche lasciarla sola. In pochi
secondi fece
due passi indietro e spinse River e Ken fuori dalla stanza, chiudendo
immediatamente la porta a chiave. Al tonfo della porta seguì
un sibilo
minaccioso della donna. River fece in tempo a scorgere
l’espressione di Jack:
era spaventato, ma non disse una parola. Accendendo la sega elettrica
diede le
spalle alla porta, mentre ognuno si preparava a combattere con il poco
che
aveva a disposizione: Mark faceva affidamento sui suoi muscoli, Wes e
Kit sui
detriti che avevano trovato per terra. River e Ken non potevano fare
nulla se
non assistere alla scena attraverso il vetro che ornava la parte
superiore
della porta, la mano protettiva del ragazzo sulla spalla di lei. Ancora
una
volta era stato scelto per la sua supposta forza, ma questa volta
sarebbe
andata diversamente: non aveva intenzione di farsi bloccare dai suoi
timori.
La donna si alzò
e corse veloce verso il
gruppo: dopo un’occhiata di intesa, Mark si fece avanti e la
allontanò con
tutta la sua forza, spingendola nella direzione di Jack, che era pronto
a
colpirla. Ma la lama non la scalfì, anzi rimbalzò
sulla pelle della donna,
quasi fosse fatta di metallo. Nessuno se lo aspettava, e Jack venne
spinto a
terra dallo spirito; grazie alla prontezza di Kit e Wes, che le
lanciarono
contro ciò che avevano trovato sul pavimento della stanza,
la donna si ritirò e
Jack poté rialzarsi, leggermente ferito al volto.
Continuarono a lanciarle
contro frammenti di muro, calcinacci, ma così non poteva
funzionare: nonostante
i loro sforzi, i loro colpi sembravano solo respingerla, rallentarla,
ma non danneggiarla.
Evan era rimasto in disparte fino a quel momento, senza sapere cosa
fare: “mostro”
l’aveva chiamata, e quella parola gli riecheggiò
nella mente. Non era un
semplice spirito, era un demone. Evan si mise una mano in tasca e
tirò fuori il
suo cellulare. Non c’era segnale, non funzionava: ma la
fotocamera sì. Senza
dire una parola puntò la camera verso di lei e
scattò una foto. Con un urlo di
dolore, la donna si coprì gli occhi e si
allontanò da loro, correndo fuori
dalla stanza. Il gruppo si voltò confuso verso Evan, che
sembrava lui stesso
sorpreso del risultato della sua azione. Kit cercò di
tornare sui suoi passi
per aprire la porta, ma Wes glielo impedì: “non
è ancora finita” disse,
afferrando le sue spalle “Scendiamo!”. Kit non
poté opporsi, e l’ultima cosa
che River vide fu Jack girarsi verso lei e Ken e, dopo
un’esitazione, correre
via verso le scale.
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“Andiamo”
disse Ken, toccando
delicatamente il braccio di River “li raggiungeremo di
qua”. La ragazza lo seguì
immediatamente, rimanendogli vicino. Non osava guardarlo in volto,
dopotutto
Ken era un uomo alto e robusto, e la sua figura metteva soggezione.
Eppure,
anche nella paura per quello che stava succedendo, River era contenta
di essere
con lui: oltre i muscoli e la barba incolta c’era un animo
paterno e
rassicurante, che si rifletteva nei suoi gesti delicati. Scesero
insieme le
scale che avevano percorso poco prima, per attendere il gruppo al piano
inferiore, dove li accolse la visione tranquillizzante
dell’attrezzatura che
avevano lasciato nell’angolo della stanza.
“Aspettiamo qui” suggerì Ken
“Non
allontanarti” aggiunse esitante, mentre River si sedeva per
terra a pochi metri
da lui, in una posizione adatta a tenere sotto controllo le rampe di
scale che conducevano
ai piani superiori. I due aspettarono in silenzio, troppo intenti a
prestare
attenzione a qualsiasi rumore ed ai propri pensieri. River rimase in
ascolto, non
potendo fare a meno di pensare a come fosse la gentilezza il tratto che
più
contraddistingueva Ken. La sua voce calda aveva un tono confortante,
forse
perché di per sé non era molto espressiva, forse
perché aveva fiducia nei suoi
amici e, per la prima volta, in se stesso e nel compito che gli era
stato
affidato. Era stato in balia dello stress e dell’ansia per
tutta la vita,
cercando ogni volta di vivere all’altezza di quello che gli
altri si
aspettavano da lui, senza mai prendere una decisione secondo la propria
volontà. Ma questa volta sarebbe stato diverso: avrebbe
avuto fiducia in se
stesso e avrebbe preso il controllo della situazione. Rimase in piedi
accanto a
River, come per controllarla dall’alto, alternando
nervosamente lo sguardo tra
lei e le scale.
Aspettarono
a lungo, ripensando a
quella porta che era stata chiusa loro in faccia, al perché
si trovavano in
quel luogo. River sedeva a terra, le spalle appoggiate al muro e le
gambe incrociate,
non riuscendo a distogliere lo sguardo dai gradini di fronte a
sé. Non aveva
bisogno di un fidanzato, ma di un compagno di avventure. Una persona
tanto
speciale da trasformare l’amicizia in affetto profondo.
Qualcuno con cui
condividere ogni aspetto della sua vita e delle sue passioni. Jack era
rumoroso, tanto da infastidire molte persone, ma tutto ciò
che River vedeva in
lui era una grande gioia di vivere, una confidenza in se stessi che
copre
qualsiasi suo difetto, un’accettazione completa di
sé che lei aveva sempre
visto come la chiave della felicità. River aveva vissuto
troppo a lungo nel
timore di mostrare i suoi lati più bizzarri, mentre Jack era
capace di
risvegliare in lei la voglia di tornare bambini, e lo ammirava per
questo. I
suoi pensieri corsero veloci da Jack, a Mark, così sensibile
e forte allo
stesso tempo, a Kit. A tutte le loro avventure, le
difficoltà, i litigi, i
silenzi; era responsabilità sua se si trovava a combattere
contro forze
sconosciute, e lei invece non stava facendo niente, stava semplicemente
seduta
in silenzio, accanto a Ken. I suoi occhi si riempirono di
preoccupazione.
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Scesero
le scale correndo, le loro voci e le loro domande si
accavallavano come un fiume in piena: “Secondo la tradizione
orientale, gli
spiriti possono venire esorcizzati se gli viene scattata una
fotografia” urlò
Evan, ansimando in parte per la sua scarsa forma fisica, in parte per
lo sforzo
di sovrastare le urla di tutti. A metà della rampa, nella
confusione generale,
una mano afferrò la felpa di Jack e lo spinse contro al
muro. “Cosa credi di
fare?” gli sibilò contro Kit “la lasci
con quell’incapace?” “è
più al sicuro
con Ken che qui“ rispose lui secco, cercando di liberarsi
dalla presa. “Piantatela,
voi” disse Wes separandoli, con la sua vocetta che si era
fatta ancora più
acuta per la rabbia “vi pare il momento?”
sistemandosi i lunghi capelli dietro
le orecchie spinse i due giù per le scale, verso il piano
inferiore.
Trovarono
la donna al centro della stanza, indebolita ma ancora combattiva.
“Dove vuoi che la spingiamo?” chiese piano Mark
– “..verso sinistra” rispose
Evan con un filo di voce, prima che Mark si scagliasse contro di lei,
seguito
da Kit. La afferrarono per le spalle e la spinsero verso
l’angolo indicato da
Evan, mentre lui puntava la camera. Wes stava accanto a lui per
proteggerlo, e
la donna venne colpita da altri due flash prima di sfuggire verso
destra. Jack
era lì, pronto a respingerla: la colpì con un
sasso, mentre Kit, con un calcio,
la riportò a poca distanza da Evan. Con un ultimo flash
della camera, la donna
sembrò frantumarsi in mille pezzi, scomparendo dalla loro
vista.
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Dopo
un lungo silenzio Ken e River sentirono uno scalpiccio di passi
in lontananza, e pochi secondi dopo
Jack
fece la sua comparsa, correndo –
praticamente rotolando – giù per le scale: era
ferito in volto ma stava bene.
Corse incontro a River e la abbracciò stretta a
sé, i suoi grandi occhi azzurri
lucidi per la stanchezza e lo spavento. Accarezzò i capelli
di River fino a
sfiorarle il volto e la baciò dolcemente. “Ragazzi
state bene?” chiese
affannato Mark, giunto in quel momento nella stanza, piegato in due con
le mani
appoggiate alle ginocchia per riprendere fiato. “Tutto
bene” rispose Ken,
mentre un sorriso faceva capolino da sotto la sua folta barba.
“Ce l’abbiamo
fatta” proseguì Mark, mentre il resto del gruppo
si univa a loro “beh.. Evan ce
l’ha fatta” si corresse, allargando le braccia e
sorridendo a sua volta,
facendo sembrare i suoi occhi a mandorla ancora più piccoli.
In
effetti, Evan non solo aveva salvato la situazione, ma era stata
probabilmente la sua impresa più grande. L’aver
sentito quelle parole provenire
proprio da Mark avevano riempito Evan di soddisfazione: “quel
novellino”
sembrava, per Evan, aver preso il comando della situazione troppo
spesso negli
ultimi tempi, e lui mal sopportava di non essere al centro
dell’attenzione in
un campo che riteneva appartenergli. Di solito, quando si trovava a
dover
lavorare in squadra, si limitava a fare il meno possibile, a non
rimanere
indietro, dando il suo contributo con piccoli gesti, quasi come se
tenesse un
punteggio delle sue azioni. L’ultima cosa che voleva era
sentirsi un peso per
gli altri, non per amore verso di loro, ma per proteggere il suo
orgoglio.
Questa sua motivazione, per di più, era palese per tutti
coloro che lo osservavano
abbastanza a lungo, e per questo era mal visto da molti. Ma non da Wes:
Evan
era per lui una persona importante, anche se comprendeva come altre
persone lo
odiassero così tanto. I due erano andati d’accordo
sin dal primo momento che si
erano incontrati: Wes era paziente e comprensivo, qualità
assolutamente
necessarie per la convivenza con Evan, che invece costituiva un grande
motivo
di intrattenimento per Wes con la sua goffaggine ed il suo modo di fare
poco
attento. Ognuno dei due aveva un ruolo ben preciso in questa amicizia
fraterna,
e per questo si era mantenuta stabile negli anni: a differenza del suo
amico,
il modo di fare di Wes, così come il suo viso, erano
delicati. La sua voce era
acuta ma non fastidiosa, tanto che, a dire di Evan, tutto quello che
diceva
sembrava “evocare caramelle e zuccherini”. Se si
fosse dovuto utilizzare un aggettivo,
più che solare, Wes era cristallino. Nonostante
ciò, Evan non riusciva a
comunicare ciò che realmente provava nemmeno al suo amico
più caro: Wes lo
capiva e non insisteva. Anche quando Evan ebbe quello che definiva
“l’incidente”, quando il suo cuore si
fermò, Wes era accanto a lui. Le loro
parole, semplicemente, dicevano cose diverse dai loro sguardi: in
quell’occasione Evan aveva riso, dicendo di aver acquisito
poteri da supereroe,
e Wes aveva sorriso di rimando. Ma quello che realmente dicevano era
“grazie
per essere qui” e “ci sarò
sempre”. In quel momento lo sguardo di Wes diceva
“sei stato grande, amico”.
Kit
scese le scale dietro a tutti gli altri, portando sulle spalle con
soddisfazione la sega elettrica abbandonata da Jack. Aveva mantenuto la
calma,
aveva usato tutte le sue forze, ed avevano vinto la battaglia, ma i
suoi
pensieri si erano fermati su River, rimasta sola con Ken. Nonostante la
sua
buona volontà, non si poteva fidare delle
capacità del ragazzo. Appena giunse
nella stanza, pochi secondi dopo Wes ed Evan, andò incontro
a River e,
scostando Jack in malo modo, la abbracciò. I festeggiamenti
non furono che
qualche sorriso e delle risate esitanti: tutti non vedevano
l’ora di uscire da
quel luogo, e la stanchezza stava prendendo il sopravvento su di loro.
I
ragazzi caricarono sulle spalle
i loro zaini per lasciare finalmente quel posto, per lasciarsi alle
spalle
quella notte infinita. Nel silenzio di quegli attimi Mark rivolse lo
sguardo
verso un punto della stanza, mentre i suoi occhi assumevano
un’espressione di
malinconia mista a gratitudine – “Grazie”
sussurrò, per poi afferrare una delle
borse e dirigersi da solo verso l’uscita, precedendo tutti
gli altri.
EPILOGO
Le
portiere del van vennero chiuse con un rumore secco, come a segnare
la fine di quel capitolo delle loro vite: alcuni ne erano usciti
cambiati,
altri rinsaldati.
Wes
guidava tranquillo verso casa, perso nei suoi pensieri
indecifrabili, la strada che si rifletteva nei suoi occhi. Al suo
fianco Evan respirava
profondamente, una mano sul petto a sentire il suo cuore battere
rassicurante,
mentre prometteva a se stesso per l’ennesima volta di non
farsi più coinvolgere.
Eppure non sapeva se avrebbe mai mantenuto quella promessa: quel mondo
per lui
rimaneva equamente terribile e bellissimo. Lo terrorizzava, ma gli dava
anche
la possibilità di dimostrare a se stesso che, al di
là delle apparenze e delle
facciate, in fondo lui valeva davvero qualcosa.
Dietro
di loro, River sedeva accanto a Kit, che le teneva la mano. Per
Kit era stata un’esperienza surreale: River era
l’unica ragione per cui aveva
accettato di parteciparvi, ma alla fine aveva ottenuto più
di quanto si
aspettasse. Dopo tante battaglie sognate, immaginate, desiderate, era
protagonista di un’avventura reale, che aveva toccato con
mano. Aveva sempre
avuto fiducia in sé e nelle sue capacità, e ora
aveva avuto conferma che era
davvero in grado di vincere. Alla sinistra di River c’era
Jack, un braccio
attorno alla sua vita. Erano salvi, ed erano di nuovo tutti insieme: il
legame
tra i tre, in un modo o nell’altro, si era stretto ancora di
più. Il loro
respiro era tranquillo, ed erano pronti a ritornare alla loro vita di
tutti i
giorni. Jack appoggiò le labbra sui capelli di River, e
pensò che era pronto ad
abbandonare la solitudine della sua casa nel bosco.
Per
Ken l’oscurità di quella
notte aveva portato con sé una luce inaspettata. Dopo lungo
tempo era
finalmente riuscito ad accettare i suoi sentimenti, ed aveva aperto gli
occhi
riguardo a quello che provava e che aveva sempre rifiutato di
accettare: Mark
era più importante per lui di quanto avesse osato ammettere.
Lui era tutto ciò
che Ken voleva essere, ma al di sotto di questa emozione non
c’era odio, come
aveva detto a Kit in quel corridoio: era un sentimento prorompente,
sì, ma non
odio. Diceva di lamentarsi ogni volta che veniva a trovarlo, eppure in
cuor suo
sapeva che quando tardava ne sentiva la mancanza. Ken guardò
Mark, seduto
accanto a lui: non poteva permettere che gli accadesse ancora qualcosa.
Sapeva
che era forte e poteva affrontare qualsiasi ostacolo che la vita gli
avrebbe
posto, ma non meritava di versare anche solo una lacrima in
più.
Ken gli mise silenzioso un braccio intorno alle spalle, mentre Mark
guardava
fuori dal finestrino, perso nei suoi pensieri, nei suoi ricordi.
-EPISODIO
7-
HELLO
MONSTER
FINE