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Autore: Spartaco    30/08/2016    0 recensioni
Qualcosa si mosse nell’ombra. “Hohoho” rise Jack, una risata abbondante come abbondante era il premio che si aspettava “Come sai che Jack è passato di qua?” aggiunse con la sua voce stridula. River ebbe solo il tempo di aprire la bocca per rispondere, ma venne preceduta da lui stesso: “perché sono tutti morti!”.
Con un gesto accese la sega e, ridendo, irruppe nella stanza successiva.

Un gruppo di ragazzi si butta in un'avventura ai confini del soprannaturale.
Imprigionati in una misteriosa casa dalla quale sembra impossibile uscire, si ritroveranno non solo a dover risolvere il mistero, ma anche a confrontarsi con se stessi e le proprie paure.
Riusciranno a sopravvivere alla notte e a trovare in loro il coraggio di cambiare?
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Episodio 7 – I’LL RISE LIKE THE BREAK OF DAWN

Jack, River ed Evan vennero raggiunti immediatamente dal resto del gruppo, che si fermò appena dentro la stanza. La donna sembrava studiarli a distanza, le sue movenze erano quasi animalesche. Accovacciata su se stessa, si muoveva avanti ed indietro, tenendo la testa bassa. In quel momento i pensieri si affollarono nella testa di Jack alla velocità della luce: sapeva che River era in grado di difendersi. Sapeva muoversi silenziosamente e nascondersi velocemente, per quanto i ricordi delle loro guerre simulate potessero valere in questo contesto. Ma questa volta non poteva funzionare. E non poteva neanche lasciarla sola. In pochi secondi fece due passi indietro e spinse River e Ken fuori dalla stanza, chiudendo immediatamente la porta a chiave. Al tonfo della porta seguì un sibilo minaccioso della donna. River fece in tempo a scorgere l’espressione di Jack: era spaventato, ma non disse una parola. Accendendo la sega elettrica diede le spalle alla porta, mentre ognuno si preparava a combattere con il poco che aveva a disposizione: Mark faceva affidamento sui suoi muscoli, Wes e Kit sui detriti che avevano trovato per terra. River e Ken non potevano fare nulla se non assistere alla scena attraverso il vetro che ornava la parte superiore della porta, la mano protettiva del ragazzo sulla spalla di lei. Ancora una volta era stato scelto per la sua supposta forza, ma questa volta sarebbe andata diversamente: non aveva intenzione di farsi bloccare dai suoi timori.

 La donna si alzò e corse veloce verso il gruppo: dopo un’occhiata di intesa, Mark si fece avanti e la allontanò con tutta la sua forza, spingendola nella direzione di Jack, che era pronto a colpirla. Ma la lama non la scalfì, anzi rimbalzò sulla pelle della donna, quasi fosse fatta di metallo. Nessuno se lo aspettava, e Jack venne spinto a terra dallo spirito; grazie alla prontezza di Kit e Wes, che le lanciarono contro ciò che avevano trovato sul pavimento della stanza, la donna si ritirò e Jack poté rialzarsi, leggermente ferito al volto. Continuarono a lanciarle contro frammenti di muro, calcinacci, ma così non poteva funzionare: nonostante i loro sforzi, i loro colpi sembravano solo respingerla, rallentarla, ma non danneggiarla.
Evan era rimasto in disparte fino a quel momento, senza sapere cosa fare: “mostro” l’aveva chiamata, e quella parola gli riecheggiò nella mente. Non era un semplice spirito, era un demone. Evan si mise una mano in tasca e tirò fuori il suo cellulare. Non c’era segnale, non funzionava: ma la fotocamera sì. Senza dire una parola puntò la camera verso di lei e scattò una foto. Con un urlo di dolore, la donna si coprì gli occhi e si allontanò da loro, correndo fuori dalla stanza. Il gruppo si voltò confuso verso Evan, che sembrava lui stesso sorpreso del risultato della sua azione. Kit cercò di tornare sui suoi passi per aprire la porta, ma Wes glielo impedì: “non è ancora finita” disse, afferrando le sue spalle “Scendiamo!”. Kit non poté opporsi, e l’ultima cosa che River vide fu Jack girarsi verso lei e Ken e, dopo un’esitazione, correre via verso le scale.

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“Andiamo” disse Ken, toccando delicatamente il braccio di River “li raggiungeremo di qua”. La ragazza lo seguì immediatamente, rimanendogli vicino. Non osava guardarlo in volto, dopotutto Ken era un uomo alto e robusto, e la sua figura metteva soggezione. Eppure, anche nella paura per quello che stava succedendo, River era contenta di essere con lui: oltre i muscoli e la barba incolta c’era un animo paterno e rassicurante, che si rifletteva nei suoi gesti delicati. Scesero insieme le scale che avevano percorso poco prima, per attendere il gruppo al piano inferiore, dove li accolse la visione tranquillizzante dell’attrezzatura che avevano lasciato nell’angolo della stanza. “Aspettiamo qui” suggerì Ken “Non allontanarti” aggiunse esitante, mentre River si sedeva per terra a pochi metri da lui, in una posizione adatta a tenere sotto controllo le rampe di scale che conducevano ai piani superiori. I due aspettarono in silenzio, troppo intenti a prestare attenzione a qualsiasi rumore ed ai propri pensieri. River rimase in ascolto, non potendo fare a meno di pensare a come fosse la gentilezza il tratto che più contraddistingueva Ken. La sua voce calda aveva un tono confortante, forse perché di per sé non era molto espressiva, forse perché aveva fiducia nei suoi amici e, per la prima volta, in se stesso e nel compito che gli era stato affidato. Era stato in balia dello stress e dell’ansia per tutta la vita, cercando ogni volta di vivere all’altezza di quello che gli altri si aspettavano da lui, senza mai prendere una decisione secondo la propria volontà. Ma questa volta sarebbe stato diverso: avrebbe avuto fiducia in se stesso e avrebbe preso il controllo della situazione. Rimase in piedi accanto a River, come per controllarla dall’alto, alternando nervosamente lo sguardo tra lei e le scale.

Aspettarono a lungo, ripensando a quella porta che era stata chiusa loro in faccia, al perché si trovavano in quel luogo. River sedeva a terra, le spalle appoggiate al muro e le gambe incrociate, non riuscendo a distogliere lo sguardo dai gradini di fronte a sé. Non aveva bisogno di un fidanzato, ma di un compagno di avventure. Una persona tanto speciale da trasformare l’amicizia in affetto profondo. Qualcuno con cui condividere ogni aspetto della sua vita e delle sue passioni. Jack era rumoroso, tanto da infastidire molte persone, ma tutto ciò che River vedeva in lui era una grande gioia di vivere, una confidenza in se stessi che copre qualsiasi suo difetto, un’accettazione completa di sé che lei aveva sempre visto come la chiave della felicità. River aveva vissuto troppo a lungo nel timore di mostrare i suoi lati più bizzarri, mentre Jack era capace di risvegliare in lei la voglia di tornare bambini, e lo ammirava per questo. I suoi pensieri corsero veloci da Jack, a Mark, così sensibile e forte allo stesso tempo, a Kit. A tutte le loro avventure, le difficoltà, i litigi, i silenzi; era responsabilità sua se si trovava a combattere contro forze sconosciute, e lei invece non stava facendo niente, stava semplicemente seduta in silenzio, accanto a Ken. I suoi occhi si riempirono di preoccupazione.

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Scesero le scale correndo, le loro voci e le loro domande si accavallavano come un fiume in piena: “Secondo la tradizione orientale, gli spiriti possono venire esorcizzati se gli viene scattata una fotografia” urlò Evan, ansimando in parte per la sua scarsa forma fisica, in parte per lo sforzo di sovrastare le urla di tutti. A metà della rampa, nella confusione generale, una mano afferrò la felpa di Jack e lo spinse contro al muro. “Cosa credi di fare?” gli sibilò contro Kit “la lasci con quell’incapace?” “è più al sicuro con Ken che qui“ rispose lui secco, cercando di liberarsi dalla presa. “Piantatela, voi” disse Wes separandoli, con la sua vocetta che si era fatta ancora più acuta per la rabbia “vi pare il momento?” sistemandosi i lunghi capelli dietro le orecchie spinse i due giù per le scale, verso il piano inferiore.

Trovarono la donna al centro della stanza, indebolita ma ancora combattiva. “Dove vuoi che la spingiamo?” chiese piano Mark – “..verso sinistra” rispose Evan con un filo di voce, prima che Mark si scagliasse contro di lei, seguito da Kit. La afferrarono per le spalle e la spinsero verso l’angolo indicato da Evan, mentre lui puntava la camera. Wes stava accanto a lui per proteggerlo, e la donna venne colpita da altri due flash prima di sfuggire verso destra. Jack era lì, pronto a respingerla: la colpì con un sasso, mentre Kit, con un calcio, la riportò a poca distanza da Evan. Con un ultimo flash della camera, la donna sembrò frantumarsi in mille pezzi, scomparendo dalla loro vista.

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Dopo un lungo silenzio Ken e River sentirono uno scalpiccio di passi in lontananza, e pochi secondi dopo   Jack fece la sua comparsa, correndo – praticamente rotolando – giù per le scale: era ferito in volto ma stava bene. Corse incontro a River e la abbracciò stretta a sé, i suoi grandi occhi azzurri lucidi per la stanchezza e lo spavento. Accarezzò i capelli di River fino a sfiorarle il volto e la baciò dolcemente. “Ragazzi state bene?” chiese affannato Mark, giunto in quel momento nella stanza, piegato in due con le mani appoggiate alle ginocchia per riprendere fiato. “Tutto bene” rispose Ken, mentre un sorriso faceva capolino da sotto la sua folta barba. “Ce l’abbiamo fatta” proseguì Mark, mentre il resto del gruppo si univa a loro “beh.. Evan ce l’ha fatta” si corresse, allargando le braccia e sorridendo a sua volta, facendo sembrare i suoi occhi a mandorla ancora più piccoli.

In effetti, Evan non solo aveva salvato la situazione, ma era stata probabilmente la sua impresa più grande. L’aver sentito quelle parole provenire proprio da Mark avevano riempito Evan di soddisfazione: “quel novellino” sembrava, per Evan, aver preso il comando della situazione troppo spesso negli ultimi tempi, e lui mal sopportava di non essere al centro dell’attenzione in un campo che riteneva appartenergli. Di solito, quando si trovava a dover lavorare in squadra, si limitava a fare il meno possibile, a non rimanere indietro, dando il suo contributo con piccoli gesti, quasi come se tenesse un punteggio delle sue azioni. L’ultima cosa che voleva era sentirsi un peso per gli altri, non per amore verso di loro, ma per proteggere il suo orgoglio. Questa sua motivazione, per di più, era palese per tutti coloro che lo osservavano abbastanza a lungo, e per questo era mal visto da molti. Ma non da Wes: Evan era per lui una persona importante, anche se comprendeva come altre persone lo odiassero così tanto. I due erano andati d’accordo sin dal primo momento che si erano incontrati: Wes era paziente e comprensivo, qualità assolutamente necessarie per la convivenza con Evan, che invece costituiva un grande motivo di intrattenimento per Wes con la sua goffaggine ed il suo modo di fare poco attento. Ognuno dei due aveva un ruolo ben preciso in questa amicizia fraterna, e per questo si era mantenuta stabile negli anni: a differenza del suo amico, il modo di fare di Wes, così come il suo viso, erano delicati. La sua voce era acuta ma non fastidiosa, tanto che, a dire di Evan, tutto quello che diceva sembrava “evocare caramelle e zuccherini”. Se si fosse dovuto utilizzare un aggettivo, più che solare, Wes era cristallino. Nonostante ciò, Evan non riusciva a comunicare ciò che realmente provava nemmeno al suo amico più caro: Wes lo capiva e non insisteva. Anche quando Evan ebbe quello che definiva “l’incidente”, quando il suo cuore si fermò, Wes era accanto a lui. Le loro parole, semplicemente, dicevano cose diverse dai loro sguardi: in quell’occasione Evan aveva riso, dicendo di aver acquisito poteri da supereroe, e Wes aveva sorriso di rimando. Ma quello che realmente dicevano era “grazie per essere qui” e “ci sarò sempre”. In quel momento lo sguardo di Wes diceva “sei stato grande, amico”.

Kit scese le scale dietro a tutti gli altri, portando sulle spalle con soddisfazione la sega elettrica abbandonata da Jack. Aveva mantenuto la calma, aveva usato tutte le sue forze, ed avevano vinto la battaglia, ma i suoi pensieri si erano fermati su River, rimasta sola con Ken. Nonostante la sua buona volontà, non si poteva fidare delle capacità del ragazzo. Appena giunse nella stanza, pochi secondi dopo Wes ed Evan, andò incontro a River e, scostando Jack in malo modo, la abbracciò. I festeggiamenti non furono che qualche sorriso e delle risate esitanti: tutti non vedevano l’ora di uscire da quel luogo, e la stanchezza stava prendendo il sopravvento su di loro.

 

I ragazzi caricarono sulle spalle i loro zaini per lasciare finalmente quel posto, per lasciarsi alle spalle quella notte infinita. Nel silenzio di quegli attimi Mark rivolse lo sguardo verso un punto della stanza, mentre i suoi occhi assumevano un’espressione di malinconia mista a gratitudine – “Grazie” sussurrò, per poi afferrare una delle borse e dirigersi da solo verso l’uscita, precedendo tutti gli altri.

 

 

 

 

 

 

EPILOGO

Le portiere del van vennero chiuse con un rumore secco, come a segnare la fine di quel capitolo delle loro vite: alcuni ne erano usciti cambiati, altri rinsaldati.

Wes guidava tranquillo verso casa, perso nei suoi pensieri indecifrabili, la strada che si rifletteva nei suoi occhi. Al suo fianco Evan respirava profondamente, una mano sul petto a sentire il suo cuore battere rassicurante, mentre prometteva a se stesso per l’ennesima volta di non farsi più coinvolgere. Eppure non sapeva se avrebbe mai mantenuto quella promessa: quel mondo per lui rimaneva equamente terribile e bellissimo. Lo terrorizzava, ma gli dava anche la possibilità di dimostrare a se stesso che, al di là delle apparenze e delle facciate, in fondo lui valeva davvero qualcosa.

Dietro di loro, River sedeva accanto a Kit, che le teneva la mano. Per Kit era stata un’esperienza surreale: River era l’unica ragione per cui aveva accettato di parteciparvi, ma alla fine aveva ottenuto più di quanto si aspettasse. Dopo tante battaglie sognate, immaginate, desiderate, era protagonista di un’avventura reale, che aveva toccato con mano. Aveva sempre avuto fiducia in sé e nelle sue capacità, e ora aveva avuto conferma che era davvero in grado di vincere. Alla sinistra di River c’era Jack, un braccio attorno alla sua vita. Erano salvi, ed erano di nuovo tutti insieme: il legame tra i tre, in un modo o nell’altro, si era stretto ancora di più. Il loro respiro era tranquillo, ed erano pronti a ritornare alla loro vita di tutti i giorni. Jack appoggiò le labbra sui capelli di River, e pensò che era pronto ad abbandonare la solitudine della sua casa nel bosco.

Per Ken l’oscurità di quella notte aveva portato con sé una luce inaspettata. Dopo lungo tempo era finalmente riuscito ad accettare i suoi sentimenti, ed aveva aperto gli occhi riguardo a quello che provava e che aveva sempre rifiutato di accettare: Mark era più importante per lui di quanto avesse osato ammettere. Lui era tutto ciò che Ken voleva essere, ma al di sotto di questa emozione non c’era odio, come aveva detto a Kit in quel corridoio: era un sentimento prorompente, sì, ma non odio. Diceva di lamentarsi ogni volta che veniva a trovarlo, eppure in cuor suo sapeva che quando tardava ne sentiva la mancanza. Ken guardò Mark, seduto accanto a lui: non poteva permettere che gli accadesse ancora qualcosa. Sapeva che era forte e poteva affrontare qualsiasi ostacolo che la vita gli avrebbe posto, ma non meritava di versare anche solo una lacrima in più.


Ken gli mise silenzioso un braccio intorno alle spalle, mentre Mark guardava fuori dal finestrino, perso nei suoi pensieri, nei suoi ricordi.

-EPISODIO 7-

HELLO MONSTER

 

FINE

  
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