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Autore: Friliver    30/08/2016    8 recensioni
Perché non mi aveva scelto, stavamo bene insieme.
Ora era passato del tempo... ora l'ho perso per sempre.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come era verde la mia valle



 
La fine d’agosto è la fine dell’estate, me lo disse anche il temporale di quel lontano pomeriggio.

Scoppiò all’improvviso con grossi nuvoloni neri, lampi e tuoni rumorosi. E il cielo rifulse di un nuovo splendore malinconico: l’autunno era vicino più che mai, l’estate già un ricordo.

Le colline verdi sono rimaste là e gli alti pioppi accompagnano ancora il piccolo fiume, ma tu…

Sulla strada bianca andavamo in quel pomeriggio, giovani e gioiosi, nella luce della recente burrasca, che non ci aveva spaventati.

Splendevamo nella nostra giovinezza, pieni di speranza, nel futuro che doveva essere solo bello. Ci portò  delle delusioni?


Non puoi rispondermi, poiché i giorni che sono venuti ci hanno separati e io mi trovo qui solo, con le mie delusioni da contare sulle dite e con poche speranze.  Tu, lo saputo, hai incontrato l’amore, da qualche parte e pare che la vita sia stata generosa con te anche in altre cose.

Le notizie le ho sempre ricevute di rimbalzo. Sì, è ingegnere. Sì, ha sposato la figlia di… Sì. Ora è all’estero.

Io non ho sopportato la delusione. Non mi sono sposato, ho amato una sola persona, che rimarrà per sempre nel mio cuore. E per dimenticare sono andato lontano, molto lontano, a lavorare in una miniera.

Tante volte mi chiedo, perché?

Perché le mie speranze non sono state anche le tue?

Quel pomeriggio, io ero felice con te e il bel cielo azzurro mi diceva che sarebbe continuato così per sempre. Ma l’autunno era vicino, la sua tristezza incombeva su di me… Sempre è stato autunno nel mio cuore, perché ti ho perduto. Tu se rimasto quà, nello splendore di quel cielo, simbolo della mia giovinezza che mai ho voluto dimenticare.


 
 
 
La sera cominciava a scendere senza ombre sul mondo: aveva soltanto un colore d’azzurro che illanguidiva le cose e dava tristezza. Così avevo visto tante volte la sera nelle mie campagne, ma mai mi era parsa azzurra allora da dietri i vetri dell’autobus.

Nei lontani paesi dove avevo emigrato per dimenticare lui, la sera non era mai azzurra né rossa, né dorata, era soltanto grigia come il cemento delle strade e la polvere delle miniere. Mi ero abituato a quel grigio del cielo, dei suoi monti.

Eppure, tornando, ancora non provavo piacere né contentezza.

Mi dispiaceva anzi che il pulmann  andasse così di fretta, che l’ora passasse, che il paese fosse sempre più vicino. Avrei voluto scendere e perdermi in quelle campagne senza ombra, dormire una notte all’aperto, sotto le stelle, pensando alle notti in miniera, al buio, al freddo.
Forse solo così avrei provato un po’ di gioia e trovato anche un po’ di amore per la mia attessa. Invece la corriera continuava la sua corsa e mi riportava a casa.

Cercai istintivamente nelle tasche il telegramma ricevuto la sera prima e quando lo trovai lo tastai senza aprirlo, cercando di ricordare soltanto lui.

Ma non trovavo nella mia mente un solo ricordo che me lo riportasse vicino. L’idea che fosse morto quasi non mi turbava.

Con quei pensieri in capo, l’azzurro della sera era più triste del grigio della città, anche perché era un azzurro eterno, senza luci, senza variazioni cromatiche. Il grigio della città dove avevo lavorato invece scompariva presto, annullato dalle luci dei negozi, delle strade, delle insegne al neon.

A casa mia a quell’ora dovevano aver già acceso la lampada e dovevano aver preparato qualcosa per me che tornavo, ma il ricordo di quel lume basso, malinconico, mi dette fastidio.

Ecco che solo allora rividi lui, Gabriele. Una immagine improvvisa, vicina. Ne ebbi quasi paura.

“E’ morto”, mi dissi, a motivo di un male incurabile, “a quest’ora l’avranno già sepolto e neppure per il funerale ho fatto in tempo a tornare e vederlo dopo tanti anni. Che ci faccio dunque a casa?”

E la corriera andava  in quella sera sempre più azzurra, andava con un ondeggiare monotono, triste.  Cercai nella mia mente un pretesto per il ritorno.

“Rimarrò in paese per stanotte e domani riparto. Così non potranno dire che non sono venuto!”.

Ma non era una buona ragione. Pensavo che forse a casa e in paese nessuno più mi aspettava, erano passati ormai tanti anni. Mia sorella avrebbe sollevato le spalle, la vecchia zia avrebbe borbottato, il lume si sarebbe spento e tutti sarebbero andati a letto come ogni sera. In paese nessuno mi avrebbe più riconosciuto.

Ma ecco che la corriera si fermò: un po’ di sosta in un paesino tutto azzurro per subito ripartire. Scesi con l’intenzione di respirare un po’ d’aria pulita ma quando sentii la corriera ripartire non mi mossi e la lasciai andare.

Solo quando mi trovai nella piazza pietrosa, circondato da una solitudine infinita, mi pentii del mio gesto.

E presi a camminare sperduto nella mia terra più che nelle terre straniere dove avevo emigrato. Così scese la notte. I grilli finirono oltre le siepi e c’era come una musica nuova, confusa per l’aria. Quel suono mi dette un vago conforto.

Quante volte da bambino m’ero addormentato a quel rumore.

E fu così pian piano cominciai a prendere confidenza con le cose che mi circondavano.

Anche quel paese sconosciuto d’improvviso mi parve più mio, e miei sentii le pietre, le case, le strade deserte che mi guardavano dai loro angoli di silenzio.

Così anche la morte del mio Gabriele assunse una dimensione nuova, tristissima. Mi parve di non avere mai emigrato, di essere ancora bambino e quel dolore crudo, cattivo, che la morte del mio vecchio amore mi portava, era lo stesso dolore che avevo provato tanti anni prima quando Gabriele mi aveva lasciato. Io non l’ho mai dimenticato. E’ sempre stato nel mio cuore, ma ora l’ho perso per sempre.
Quella notte passò più in fretta della sera. D’improvviso albeggiò: un’alba rosa, dello stesso colore di un tramonto, e sentii voglia di tornare a casa, di ritrovare il mio letto, le mie cose intatte, ferme ad aspettarmi.

Mi sembrò di vedere il volto di mia sorella e della vecchia zia ed ebbi desiderio di sentirle parlare, parlare di Gabriele, eravamo inseparabili: desiderai sentirlo ancora vivo nella loro voce, nei loro ricordi.

Era ciò che mi rimaneva dopo quel viaggio, dopo il silenzio di tutti questi anni. Ora si che non avevo più nessuno. Con Gabriele era morta anche la speranza di poter ritornare a sorridere. Mi sentii improvvisamente vecchio…  Come era verde la mia valle.
 

   
 
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