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Autore: LokiIsAnAsgardian    31/08/2016    0 recensioni
[Attori]
Amante del suo lavoro di agente dello S.H.I.E.L.D., Yvonne, ha una vita movimentata, che però verrà rivoluzionata ulteriormente dall'incontro con una persona avente un passato delinquenziale, donato solo al procurare del male al prossimo e ai suoi cari.
Questa fan-fiction vede come protagonisti una semplice umana e il dio delle malefatte, che si ritroveranno a vivere insieme infinite avventure al fianco dello S.H.I.E.L.D. e degli Avengers, avventure aventi molteplici sfondi, dai paesaggi di Asgard ai comunissimi appartamenti americani, avventure che faranno rifiorire emozioni e valori preziosi dalle loro anime, i quali troveranno finalmente il posto giusto nei cuori dei protagonisti.
•Tutti i diritti riservati•
Genere: Avventura, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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{Canzone consigliata: Epic pop- Silent running [Hidden citizens- Epic trailer version]- Jannyni20 / https://youtu.be/y7chwkrQBh4 }

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<<...tutta la sua famiglia proviene dal Nord-Africa, signor Bloom?>> chiesi giocherellando con la penna che impugnavo instabilmente con la mano destra, mentre trasferivo il peso del mio corpo da una gamba all'altra, appoggiandomi leggermente alla scrivania in mogano dietro di me.
<> affermò l'uomo seduto sul suo letto di fronte a me; eravamo separati solo da un vetro tanto sottile quanto resistente.
Passò le sue ingenti mani sulla testa rasata, contemplando nervosamente ancora una volta la cella candida, abbastanza angusta rispetto ad una stanza di normali dimensioni, in cui si trovava ormai da due lunghi giorni, dando credito alle sue parole.

<> continuai a chiedergli  meccanicamente senza nemmeno più guardare i fogli che mi aveva consegnato Coulson. 

Fissai il mio sguardo nei suoi occhi color castagna, che vagavano bruscamente in ogni direzione, mentre la sua pelle scura era adornata da mille goccioline di sudore. 
Iniziavo a preoccuparmi per lo stato dell'inumano che stavo esaminando: Andrè, si chiamava, era molto inquieto, e non sembrava voler tranquillizzarsi.
Mi dispiaceva vederlo in quello stato, sembrava che potesse perdere i sensi da un istante all'altro.

<> sospirò profondamente cercando di calmarsi, quasi in vano.
<> deglutì tenuemente per poi continuare: <> concluse continuandosi a torturare le mani.

Annuii soprappensiero, distolsi la mia attenzione dall'inumano per cercare, nella mia borsa lattea, ciò che Mack mia aveva gentilmente dato più di cinque ore prima. Afferrai la busta di carta contenente i residui della graffa che avevo lasciato, per poi avvicinarmi a passo svelto verso la sottile e lunga fessura che, se aperta, metteva in comunicazione l'esterno con la cella di Andrè.

<> dissi garbatamente, per poi passarmi una mano sul mio jeans nero.
L'uomo mi guardò quasi esterrefatto, probabilmente pensava che qui sarebbe stato trattato come un esperimento, e il mio gesto premuroso lo rilassò.

Prese la busta e, lievemente scettico, controllò cosa ci fosse all'interno: con due dita della mano destra prese quel pezzo di ciambella e lo cacciò in bocca compiaciuto.
Sorridendo si rivolse a me: <> concluse abbandonandosi ad una risata smorzata.
Sospirai scherzosamente, rispondendo: <> chiusi gli occhi per poi accompagnarlo nelle sue risa, e lui, accartocciando lentamente la busta ormai vuota, che conservava nelle sue mani, disse stavolta con più calma: <>.
Gli risposi assumendo un tono comprensivo: <>.
Ribatté sussurrando: <<...Già...potere...>> per poi coprirsi ancora una volta il viso con le mani.

Mi avvicinai al vetro nitido della sua cella, chiedendo abbassando leggermente la voce: <>.
Alla mia richiesta riportò la sua attenzione su di me, sulle mie labbra rosee e, riflettendoci per qualche istante, volse a me queste parole: 

<<È stato a dir poco tremendo.>> fece una leggera pausa per poi continuare sospirando: <>

"Asma?" ipotizzai senza soffermarmi molto su quella descrizione.

Continuai ad ascoltare i suoi sintomi: <<... poi un tremolio nervoso iniziò ad invadere i miei arti inferiori; la nausea era tremenda e soffocava il mio respiro irregolare; la mia pelle stava bruciando, come se, sotto al mio strato cutaneo, fossero presenti delle fiamme persistenti e le mie orecchie sentivano solo un assordante fischio inarrestabile.>>

"Non è assolutamente asma..." affermai stupidamente dopo aver ascoltato il resto di ciò che stava dicendo Andrè. 

Proseguì con il suo tono di voce grave: <<... Decisi quindi di alzarmi, usando lo schienale della poltrona che si trovava affianco a me. Appena la mia mano ne stabilì un contatto, una non poco leggera scossa percorse le mie dita, la quale non fece che peggiorare il bruciore che stava consumando la mia pelle; quindi volsi i miei occhi, che dovevano essere iniettati di sangue, dato che potevo sentirli distintamente pulsare, alla mia mano ancora a contatto con la pelle del divanetto: vidi una sottile, quando ruvida e non uniforme, patina di ghiaccio che ricopriva abbastanza della superficie di quello schienale.>> concluse fissando un punto indefinito all'interno della cella.

Rabbrividii a quel racconto, non nego che alcune volte il mio pensiero si volgeva al fatto che mi piacerebbe scoprire di conservare un talento inumano dentro di me, ma, a sentir descrivere quelle sensazioni, ringrazio il creatore di esser nata totalmente umana.

Andrè scosse febbrilmente la testa, probabilmente per scacciare il ricordo di quella malinconica giornata, in cui dovette dire addio alla sua, ormai, deceduta vita da umano, per poi rivolgermi un sorriso cordiale e pronunciare con tono rassegnatamente leggero: <> sforzò una risata amichevole.

Gli risposi con un caloroso sorriso, inconsciamente compassionevole, per poi avvicinarmi alle cartelle che avevo momentaneamente poggiato sulla scrivania dietro di me, e cominciai ad appuntare ciò che mi aveva riferito Andrè.

Mentre scrivevo, l'inumano mi osservava dubbioso e, dopo aver inarcato leggermente le sopracciglia, assumendo un'espressione interrogativa, disse volgendosi a me: <>.
Il suo modo di parlare, profondamente ironico, mi ricordava vagamente quello di Tony Stark, e volgendo il mio pensiero a quello sfacciato di un miliardario, mi chiesi cosa stesse facendo in quel momento, con tutta la troupe dei vendicatori.

Ritornai velocemente alla realtà di quel momento e non pensai più di una volta di parlare con Andrè inopportunamente del compito che stavo svolgendo a partire dalla stessa mattinata fino a quell'ora. 
Non so esattamente cosa in quell'uomo ispirava innata fiducia nei suoi confronti, eppure gli dissi ciò che non gli riguardava: <> gli spiegai velocemente, soddisfano la mia irrazionale impulsività e mi chiesi per quale motivo dovesse essere tanto dubbioso.

Poggiò lentamente il mento sulle sue nocche e guardando in basso sembrò riflettere su ciò che gli avevo appena detto. Pochi istanti dopo scrollò le spalle e alzando il lato sinistro delle sue labbra disse semplicemente: <<È che mi sembra strano il fatto che voi dobbiate segnare ciò che vi diciamo nonostante abbiate non so quanti hacker, che già dovrebbero aver registrato vita, morte e miracoli di ogni essere vivente su questa Terra>> parlò guardandomi con candida curiosità.

Mi piaceva guardarlo riflettere: era un uomo solare, uno di quei tipi con la battuta pronta e di certo non si poteva definire ignorante.

<> risposi gesticolando con entrambe le mani, mentre presi ad annuire, intenta a convincere più me stessa che il mio interlocutore.

In effetti, Andrè, con quell'affermazione mi fece riflettere su ciò che stavo svolgendo: concretamente lo S.H.I.E.L.D. possedeva infiniti hacker e informatici diplomati con tanto di bacio accademico. 
Per non parlare degli informatori che ci forniscono ogni rapporto o ragguaglio su qualunque persona della quale noi ne avessimo bisogno.
Quindi perché mi dovrebbe aver fatto perdere l'intera mattinata a scrivere su carta le loro informazioni personali?

Quell'arco temporale di silenzio, privo di una risposta da entrambi, sviluppò un leggero disagio aleatorio fra me e lui.
Andrè, non sentendo alcuna parola provenir da me, si chiese se avesse chiesto ciò che doveva evitare di dire o se avesse superato il limite del mio spazio personale e lavorativo, così cominciò a proferir parola con tono scusante: <> concluse con una candida e accorta risata.

Portai il mio sguardo sorpreso su di lui, mentre portai, con un gesto svelto della mano, una ciocca di capelli color castano cenere dietro all'orecchio, per poi rispondere con: <> che accompagnai con una goffa risata.

Nel tempo in cui Andrè proseguì col dire: "Immagino che deve essere davvero fantastico far parte di un team del genere", o una frase simile, il mio sguardo si pose distrattamente sul mio orologio da polso.

Sgranai gli occhi; era davvero tardi, quasi ora di pranzo.
Afferrai le cartelle degli inumani per controllare a quale numero fossi arrivata: 20; avevo quasi finito, ne mancava solo uno.
Mi guardai attorno, in cerca della cella numero 21, eppure, quella di Andrè, sembrava effettivamente l'ultima.

Mi allontanai di pochi passi dalla cella dell'inumano che stavo esaminando al momento, per poter osservare meglio la stanza in cui mi trovavo, e, a destra della cella che avevo davanti a me, notai uno stretto corridoio che si concludeva con una non poco grande porta, sulla quale vedevo inciso il numero "21".

Ri-porgei il mio sguardo su Andrè e, afferrando la mia borsa e le scartoffie di Couslon, pronunciai a lui queste parole: <> accompagnandole con un gesto svelto della mano e un sorriso cordiale.

Ricevetti come risposta: <> concludendo con una risata genuina e sincera.

Stavo già camminando attraverso quel corridoio quando sentii la frase che Andrè pronunciò. 
Quella frase fu capace di attanagliarmi il cuore. Quella frase mi era fin troppo familiare, l'ultima volta che le mie orecchie la sentirono, a pronunciarla fu una persona che ricoprì un ruolo molto prezioso nella mia vita, se non il più prezioso. Un ruolo che sarebbe destinato a restare vuoto ed arido finché il mio cuore mi permetteva di vivere, un ruolo che nessun altro sarebbe stato capace di svolgere.

Nella mia mente viaggiarono infinite e dolciastre memorie, che ritraevano i mille e, ormai, melanconici momenti che trascorsi con quella persona.
Sentii i miei occhi riempirsi di lacrime salate e cominciai a tirar su con il naso, eppure non mi fermai, continuai a camminare verso quella porta, consapevole che chiunque si trovasse dalla parte opposta avrebbe assistito allo squallido spettacolo del mio pianto amaro.

Sforzai la maniglia di quel portone e appena riuscii ad aprirlo completamente ed immergere parte del mio corpo nella nuova stanza in cui stavo entrando, un vento gelido si insinuò nella mia pelle, sino ad arrivare nelle profondità delle mie ossa.
Un alito di vento ghiacciato si abbatté contro il mio volto, ghiacciando sul momento le lacrime raccolte precedentemente nei miei occhi, non permettendo che scivolassero lungo le mie gote.

La mia bocca si aprì leggermente, facendo assumere una sfumatura di stupore alla mia espressione, quando focalizzai la mia attenzione su ciò che mi si parava davanti: avevo trovato la cella numero 21, al centro di quella stanza gelida, e all'interno si ergeva una figura maestosa con una postura orgogliosa ed un'immagine altrettanto regale.

Guardai il viso di quell'uomo: sembrava quasi assumere un'aria derisoria e non appena incastrò il suo sguardo nei miei occhi color celeste, sembrò variare espressione in una che mi mostrava abbastanza sorpresa.
In quel preciso momento lo riconobbi, riconobbi il gigante di ghiaccio che, recentemente, aveva conquistato una fama di livello mondiale. Una fama negativa, sicuramente, avendo distrutto, quasi completamente, la città della Grande Mela.

Rimasi immobile, con la mia mano destra ancora a contatto con la maniglia del portone, fu l'uomo dai capelli color corvino a smuovermi dai miei pensieri, dicendo, con un tono di voce soffice: <>.


~ANGOLO AUTRICE~
**Mary Kubica è una scrittrice famosa per i suoi thriller, uno dei più recenti si intitola "La sconosciuta" ed è quello a cui si riferisce Loki, vedendo arrivare Yvonne.
   
 
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