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Autore: CHAOSevangeline    31/08/2016    4 recensioni
{ Edmund/OC }
Improvvisamente le tornò in mente il dialogo tra Lucy e Susan, che non sapevano dove si fosse cacciato un certo Edmund.
« Sei la ragazza che è appena arrivata? » le chiese lui, inaspettatamente.
Avrebbe dovuto ringraziarlo: l'aveva appena sollevata dall'incarico di trovare qualcosa di dire.
« Sì, sono Eria, sorella di Caspian. Tu sei…? »
« Re Edmund. »
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Caspian, Edmund Pevensie, Famiglia Pevensie
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo nono
 


 
Eria era sorpresa da quanto esperta stesse diventando, oramai, nel fuggire.
La consolava se non altro che quelle dipartite fossero mosse da nobili intenzioni; nobili intenzioni e una buona dose di disperazione: era perché non aveva trovato soluzioni migliori che si stava comportando così.
Sentiva dentro di sé la vecchia Eria, quella assennata e riflessiva, che le urlava contro una buona dose di motivi per cui avrebbe dovuto fermarsi. Il suo piano avrebbe anche potuto fallire, ma Eria voleva essere sicura di non aver lasciato nulla di intentato, soprattutto dopo aver visto a cosa lo sconforto aveva spinto Caspian.
Erano passati due giorni dall’attacco al forte di Miraz; il pessimo errore di suo fratello risaliva al giorno prima.
La tensione per la sconfitta era palpabile e gli animi, seppur a terra, sembravano non aspettare altro che esplodere gli uni contro gli altri.
Nonostante questo tutti cercavano di controllarsi e gli unici a non riuscirci erano stati Peter e Caspian.
Si erano gridati contro durante il pranzo, muovendo accuse per cercare di addossarsi a vicenda la colpa del terribile esito dell’attacco al forte telmarino.
Il principe sosteneva che se fossero rimasti alla Casa di Aslan – come aveva caldamente suggerito lui, insieme a Susan – si sarebbero potute evitare tutte le perdite del giorno prima, Peter invece aveva continuato a difendere l’idea che, se così avessero fatto, sarebbero stati presi inevitabilmente per fame.
Eria aveva osservato il litigio in silenzio, rimanendo al fianco di Edmund e alle sorelle di lui.
Nessuno credeva che ci sarebbe stato qualcosa di davvero efficace da dire ai due litiganti per farli calmare; forse sarebbe stato meglio lasciare che la loro rabbia si consumasse da sola.
Certo quei due stavano rivangando un passato doloroso: molti dei presenti, compresi Edmund e la stessa Eria che non l’aveva direttamente vissuto, avrebbero semplicemente voluto gettare nel dimenticatoio gli avvenimenti del giorno prima. Caspian e Peter non stavano facendo altro che rigirare il coltello in una ferita ancora fresca.
Il vero motivo del litigio, ovvero il senso di colpa di entrambe le parti, emerse portando la discussione a degenerare quando Peter accusò Caspian di non essere stato troppo fermo nelle proprie idee e il principe ribatté dicendo che era il re supremo a non volersi prendere le proprie responsabilità.
A quel punto Susan era intervenuta insieme a Lucy, spossata dalle continue e inconcludenti urla. Eria aveva contribuito quasi subito ad aiutarle, ma ogni tentativo era stato vano. Si erano calmati solo quando Edmund, esasperato, aveva tagliato corto dicendo che se non l’avessero finita in fretta la gente di Narnia si sarebbe stancata di seguire due ragazzini che non sapevano nemmeno mettersi d’accordo l’uno con l’altro.
Parole dette con un tono che normalmente gli sarebbe costato per lo meno un’occhiataccia da parte di Peter, ma il re supremo doveva aver avuto una qualche reminiscenza del tempo in cui suo fratello era stato anche il suo più fidato consigliere e si era reso conto che, solo perché ringiovanito, Edmund non aveva perso la cognizione di causa nel parlare.
Ascoltarlo sarebbe stato indubbiamente un bene.
Non vi furono più problemi fino al pomeriggio, quando attirata nella sala della tavola di Aslan, Eria aveva scoperto che Caspian aveva tentato di chiedere aiuto alla Strega Bianca.
La lotta che si consumò tra le mura della caverna non aiutò a risollevare l’umore di nessuno: Edmund tornò ad isolarsi per la persecuzione che quel vecchio fantasma lo stava costringendo a subire, Susan era terribilmente delusa da Caspian e Peter, che per poco non aveva portato a termine ciò che il principe aveva iniziato, Lucy piangeva la morte e il tradimento di Nikabrik ed Eria si sentiva terribilmente impotente.
Per questo aveva deciso di mettere in atto quella fuga che sembrava molto meno nobile e necessaria se chiamata così. Era più che altro un allontanamento momentaneo, un tentativo disperato di aiutare.
Avrebbe potuto parlare della propria idea, magari con Peter o forse con Susan e Lucy. Era convinta che soprattutto quest’ultima l’avrebbe compresa e appoggiata.
Se c’erano due persone a cui invece Eria era certa fin da subito di non dire nulla, quelle erano Caspian e Edmund: il primo avrebbe respinto per la seconda volta la sua idea; Edmund invece l’avrebbe frenata come già aveva fatto qualche giorno prima, quando era stato il momento di decidere chi avrebbe partecipato all’attacco al forte.
Eria non voleva vedersi nuovamente privata della possibilità di fare qualcosa.
Così era giunta alla conclusione che esporre la propria idea a chiunque sarebbe stato un rischio: il suo piano sarebbe stato decretato malsano e così sarebbe solo potuta tornare al proprio posto, come aveva imparato a fare stando a corte.
Se decise di eliminare il problema alla radice non parlandone con nessuno e di gettarsi in quell’impresa avventata non fu certo per dare prova del proprio valore: se avesse avuto successo prima le avrebbero detto a voce che era una stupida, poi forse l’avrebbero ringraziata.
Non c’era nulla da organizzare e per fortuna: i preparativi danno sempre nell’occhio.
Eria poteva recuperare tutto ciò che le serviva senza destare sospetti: le bastava una spada – dato che la sua non era ancora pronta –, niente provviste per non appesantirsi ed evitare che l’assenza di cibo dalle scorte della resistenza venisse notata abbastanza in fretta da suscitare dubbi, soprattutto dopo la sparizione sua e di Edmund risalente a qualche giorno prima.
Aggirare la ronda della guardia sarebbe stato altrettanto semplice, perché lo scopo era controllare che nessuno arrivasse, non che qualcuno uscisse dal perimetro della Casa di Aslan.
Eria non dubitava che i fauni lasciati di guardia fossero estremamente attenti e mai una volta si era sentita insicura sapendoli a vigilare, ma era anche abbastanza certa che la stanchezza dovuta alla fine del loro turno e l’attenzione che sapeva di poter porre nei propri movimenti non l’avrebbero fatta scoprire con troppa facilità.
Una volta giunta nella foresta sarebbe stato diverso.
Fortunatamente aveva avuto Cornelius come guida mentre fuggiva dalla fortezza di Miraz, perché altrimenti si sarebbe persa subito. Il suo precettore si era impegnato a spiegarle minuziosamente come orientarsi usando del semplice muschio ed eventualmente le stelle, di notte.
Se non altro Eria sapeva che una volta entrata nel folto degli alberi avrebbe dovuto proseguire sempre e solo in una direzione, senza mai piegare o allontanarsi dal proprio sentiero immaginario. Questo l’avrebbe ricondotta al punto dove sia lei che Cornelius avevano guadato il fiume.
Entrata nel bosco, Eria cominciò a camminare a passo spedito.
Il buio era calato già da diverse ore e, se avesse continuato a camminare senza sosta, con ogni probabilità sarebbe arrivata a metà del proprio percorso all’alba.
Le uniche pause previste dal piano della ragazza erano poco prima e poco dopo il fiume.
La caparbietà era una caratteristica tanto forte in Eria da essere sia un pregio che un difetto, ma nonostante le proprie convinzioni più volte lungo il cammino la ragazza si domandò se non fosse meglio per lei fermarsi e tornare indietro, sfruttando il tempo necessario a fare ritorno per elaborare una scusa che giustificasse la sua assenza.
Guadò il fiume poco dopo l’alba. Non se ne accorse, ma non oltrepassò la riva di Beruna molto lontano da dove suo zio Miraz aveva fatto costruire il ponte; in quello le tenebre le furono certamente favorevoli.
Arrivò a corte a mezzogiorno, stanca, provata e con i vestiti sciupati per colpa del fitto sottobosco che le aveva fatto compagnia per tutto il viaggio.
Aveva una gran fame e tutte le accortezze per non essere scoperta dai suoi stessi amici le sembrarono delle paranoie sciocche: avrebbe potuto portare con sé almeno un tozzo di pane. Tanto quello che rimaneva era così raffermo che forse l’avrebbero addirittura ringraziata per averlo portato via.
Quando fu avvistata dalle guardie vi fu scompiglio generale; nessuno si sarebbe aspettato di vederla, non con quegli abiti poco signorili e l’aspetto sciupato a causa della stanchezza. Di certo la prima impressione alimentò la storia secondo cui Caspian aveva ordinato di rapirla in preda alla pazzia.
Varcato il ponte levatoio fiancheggiata da una serie di guardie – che non erano state istruite sul comportamento da tenere nel caso in cui uno dei due eredi al trono si fosse fatto vedere, tanto Miraz era convinto che non avrebbero fatto ritorno –, Eria fu scortata all’interno della corte.
Era tutto così… freddo.
Eria aveva sempre avuto quell’impressione del castello, ma prima di quel momento non era mai riuscita a definirla, a descriverla. Avendo ormai vissuto una vita, seppur breve, fuori dalle mura, era in grado ad elencare tutto ciò che a quella fortezza mancava.
Era spenta, vuota e monotona, e ad Eria dava tanto l’impressione che le sue pareti di mattoni fossero intrise di dolore e tristezza.
La prima persona che vide fu Lady Prunaprismia.
Per un attimo, forse a causa della stanchezza, ad Eria parve di vedere negli occhi della donna una certa preoccupazione. Realizzò subito che di certo non era per lei.
Non ricevette come benvenuto né un abbraccio né qualche parola calorosa. Lei e la donna si scambiarono semplicemente un lungo sguardo e la moglie del re, in cima alle scale con il proprio pargolo tra le braccia, parve capire che quella di fronte a lei non era più la ragazza che per tanti anni aveva plasmato a proprio piacimento.
Nonostante tutto Lady Prunaprismia offrì ad Eria la possibilità di mangiare, ma la giovane rifiutò: non sapeva quanti dettagli della situazione conoscesse la donna né cosa le fosse stato ordinato di fare.
Se era come il marito – ed Eria era abbastanza convinta che lo fosse – non avrebbe esitato un solo istante a far versare qualche goccia di veleno nel suo piatto prima di servirglielo.
Paranoica o no, Eria avrebbe mangiato a cose fatte. Magari si sarebbe addirittura preparata il pranzo da sola.
« Voglio convocare i lord », sentenziò
« I lord? Per quale motivo? »
Lady Prunaprismia parve cominciare a capire e ciò che balenò nella sua mente non le piacque affatto. Che la donna fosse così agitata era per Eria semplicemente una conferma del fatto che Miraz doveva essere lontano.
“Magari già al campo”, pensò con un moto di riluttanza.
« Lo spiegherò direttamente a loro. »
Non avrebbe di certo dato dettagli a sua zia.
Dopo aver chiesto ad una guardia di andare a chiamare gli stessi uomini che avevano dato il potere all’attuale tiranno, Eria raggiunse la sala su cui per anni e anni aveva fantasticato.
Le sembrava incredibile che per una volta non avrebbe dovuto farsi raccontare da nessuno cosa sarebbe accaduto tra quelle mura. Era lei l’unica a sapere cosa sarebbe stato detto prima di chiunque altro.
Se solo la situazione non fosse stata tanto critica avrebbe ammesso che c’era qualcosa capace di renderla inevitabilmente estatica nell’essere l’unica a poter tirare le fila degli avvenimenti.
Quando la stanza cominciò a riempirsi – per modo di dire: molte delle imponenti sedie di legno erano vuote da anni –, Eria sentì gli sguardi dei nobili puntarsi su di lei con stupore.
La giovane stazionava in fondo alla sala, dove tutti l’avrebbero potuta osservare al meglio; il suo aspetto e il vestiario erano poco adatti ad una riunione che solenne come si intuiva sarebbe stata quella, ma ad Eria non importava: si era giusto curata di allacciare di nuovo il piccolo spago di cuoio intorno alla coda di cavallo per darsi una parvenza più ordinata.
« Principessa, spero vogliate spiegarci come mai questa riunione », cominciò uno degli uomini quando tutti furono arrivati.
« Prima non sarebbe meglio chiederle perché suo fratello l’abbia portata via di forza dalla corte? »
« Come siete riuscita a scappare? »
Le voci dei nobili cominciarono a sovrapporsi l’una all’altra. Eria chiese il silenzio una volta, ma non fu ascoltata.
« Silenzio! »
Si stupì di se stessa, sia per il coraggio di aver parlato a voce tanto alta e in modo tanto insolente, sia per non essersi tappata la bocca con le mani a danno fatto.
Non voleva di certo abusare del potere che stava per prendere, ma mettere a tacere un po’ di quei vecchiacci, soprattutto dopo averli sentiti insultare l’onore di suo fratello, le sembrò quasi d’obbligo.
Si accorse solo allora che nella stanza era calato un silenzio tombale, allora cominciò a parlare.
« Sono stata io a raggiungere Caspian. Se c’è una cosa di cui potete stare certi è che non mi ha torto un solo capello; né lui, né il mio precettore, il Dottor Cornelius. »
« Ma il re ha detto… »
« Il re ha sempre detto tante cose », tagliò corto Eria, che voleva dare meno dettagli possibili.
Di lì a poco, in ogni caso, sarebbe stato fin troppo ovvio per quale fazione parteggiava.
Gli occhi di Eria ripassarono il volto di ogni singolo nobile, studiando gli sguardi e le espressioni. Non sapeva chi sarebbe stato dalla sua parte, anzi: non sapeva nemmeno se qualcuno effettivamente avrebbe voluto schierarsi con lei.
Osservò infine i posti vuoti e si ricordò di una vecchia storia che Cornelius aveva raccontato a lei e Caspian, anni e anni prima. Eria aveva sempre avuto l’impressione che ne avesse parlato per sbaglio, incapace di trattenersi, perché tutte le volte successive in cui lei e suo fratello avevano cercato di farsela raccontare di nuovo non c’era stato verso di sentirla.
Cornelius aveva detto che sette nobili del consiglio, presenti a corte fin dal regno di suo padre, tutti suoi fidi compagni, erano stati mandati oltremare da Miraz e non avevano più fatto ritorno.
Eria aveva sempre pensato che quel racconto celasse qualcosa, un po’ come un cassetto con un doppio fondo; ora ne aveva quasi del tutto la certezza.
« Se oggi sono qui è per appellarmi ad un’antica regola del nostro popolo », proseguì con tono solenne, catturando l’attenzione di tutti i presenti nella stanza. « Una regola secondo cui un legittimo erede può prendere la corona in vece del sovrano, durante la sua assenza. »
Il vociare cominciò di nuovo, ma Eria non lo interruppe: che i nobili parlassero, tanto avrebbero comunque potuto fare poco contro di lei. A meno che non la uccidessero lì, su due piedi.
Il trambusto si placò da solo e uno degli uomini, forse il più anziano, parlò con un sorrisetto vagamente divertito in volto.
Eria si rese conto che in realtà non riusciva ad associare alcun nome ai volti degli uomini nella stanza.
« Principessa, vi rendete conto di ciò che state dicendo? Con tutto il rispetto, ma credo non conosciate abbastanza la politica e deve esservi sfuggito che questa… usanza è comune quando si è d’accordo con il re. »
« Con tutto il rispetto, Lord, credo di essere stata istruita abbastanza bene. Oltretutto, come voi stesso avete detto, questa usanza è comune quando si è d’accordo con il sovrano, ma non è vietata quando non lo si è. »
Il Lord ammutolì e perse tutta la propria strafottenza.
« Suppongo non ci sia nemmeno da votare », proseguì Eria, pacata. « Dopotutto è una procedura comprovata. »
Eria era entrata nella sala dei lord privata di qualsiasi cosa e ne era uscita regina e in possesso della garanzia che i lord non avrebbero inviato alcuna truppa a supportare l’esercito già partito alla volta del campo della resistenza narniana.
Quando vide i contingenti pronti a partire Eria tirò un sospiro di sollievo per aver attuato il proprio piano: c’erano almeno cinquemila uomini. Cinquemila uomini che avrebbero contribuito insieme a tutti gli altri già al servizio di Miraz a schiacciare la resistenza narniana.
Forse non si sarebbe distinta per valore, ma di certo lo avrebbe fatto per astuzia.
Ciò per cui era andata a corte avrebbe portato i suoi frutti e, se solo avesse potuto, avrebbe lasciato il castello per raggiungere di nuovo il fratello. E Edmund.
Si chiese se non fossero in pensiero e sperò nel contrario, perché in ogni caso non si sarebbe potuta allontanare per andare a rincuorarli: non appena avesse messo piede fuori dalle mura della fortezza Eria  avrebbe perso il titolo appena acquisito e tutto sarebbe stato vanificato, proprio come se non fosse nemmeno stata lì.
Dopo aver ricevuto la notizia dell’incoronazione tempestiva della nipote, Lady Prunaprismia non si era più fatta vedere e, dal canto suo, Eria non l’aveva né cercata né fatta convocare.
Fare del male alla zia o al suo bambino non rientrava neanche lontanamente nelle intenzioni della giovane regina, ma la donna, che come modello aveva sempre avuto sé stessa, si sarebbe potuta aspettare soltanto un comportamento come il proprio, se non peggiore.
Il colloquio con i lord finì ben oltre l’ora di pranzo, ma nonostante questo Eria raggiunse la cucina e raccattò dell’acqua da bere e del cibo.
Le cuoche la conoscevano fin da piccola e la accolsero con enorme gioia. Si fece preparare un pasto al momento ed Eria mangiò con gusto. Era già abbastanza sicura che le cuoche non le avrebbero fatto nulla di male e controllare la preparazione del pranzo le diede solo una conferma in più.
Con la pancia piena e i nervi un po’ meno tesi Eria raggiunse il piazzale del forte dove avrebbe dato istruzioni alle guardie su come comportarsi da quel momento in poi.
Lì fece un incontro che non si sarebbe aspettata e nemmeno troppo gradito.
« Principessa. O forse dovrei dire regina. »
Eria non l’avrebbe comunque corretto, ma finse un sorriso.
« Lord Sopespian. »
Ora che uno dei fedelissimi – per modo di dire – di suo zio le stava di fronte, Eria cominciò a domandarsi se forse non avrebbe dovuto essere più prudente.
Portare qualcuno con sé sarebbe stato il primo passo: non aveva mai governato e anche se l’intenzione era di farlo solamente per poco di sicuro un amico che le coprisse le spalle o le desse un appoggio sarebbe stato utile. Magari il dottor Cornelius? Doveva a lui tutta la propria astuzia.
Fino a quel momento Eria se l’era cavata, ma sentiva che lentamente le fondamenta del suo piano cominciavano a sgretolarsi.
Doveva rimanere concentrata.
« Sono costernato per non aver potuto partecipare alla riunione, ma ho appena fatto ritorno. Come vostro zio sono felicissimo che stiate bene: era davvero in pena per voi. »
Eria ricambiò lo sguardo tagliente dell’uomo, accostandovi un sorriso di circostanza.
« Non ne dubito. »
« Spero vogliate concedermi qualche attimo del vostro tempo per raccontarmi cosa vi è successo negli ultimi giorni. Passeggiamo, vi va? »
Eria credette ingenuamente che Lord Sopespian desse credito alla versione secondo cui Caspian l’aveva rapita.
Rendere giustizia al fratello per l’ennesima volta, lavando via dal suo nome l’appellativo di traditore l’avrebbe fatta enormemente contenta. Meno felice sarebbe stata di camminare con l’uomo.
Ripeté la stessa identica storia che aveva riferito ai lord, passeggiando per uno dei corridoi al piano terra della fortezza.
« Dunque vostro fratello è davvero innocente? »
« Sì, come il dottor Cornelius. »
« Non capisco proprio perché vostro zio abbia deciso di mentire. »
« Credo che sia ovvio, invece. »
Tanti anni passati a tenere per sé le proprie idee pur di evitare ripercussioni parevano essersi vanificati in pochi giorni trascorsi lontani dalla corte, proprio come se l’aria del castello l’avesse tenuta sotto un maleficio per tanto, troppo tempo.
Fu già qualcosa se Eria riuscì a non lasciarsi sfuggire che secondo lei Lord Sopespian mentiva quando diceva di non capire.
« Vi dispiacerebbe spiegarvi? » la incalzò lui.
Eria avrebbe voluto dire che in realtà sì, le dispiaceva e anche parecchio perché non sapeva fino a che punto le sue parole sarebbero rimaste impunite; anche se si stava concedendo molte libertà non voleva peccare di audacia e finire con il far ritorcere tutto contro di sé.
« In realtà non penso mi credereste, Lord Sopespian », cominciò.
Tra accusare brutalmente lo zio e il male minore, Eria aveva scelto senza esitazione la seconda possibilità.
« Mettetemi alla prova. »
Dopo aver ardentemente sperato che l’uomo desistesse e appurato che forse era più determinato di lei, la giovane si decise a parlare.
« Penso che sia ormai ovvio che parteggiamo per fazioni molto diverse, io e mio zio. E in battaglia screditare il nemico è sempre un’ottima mossa. »
Più di quello Eria non si sarebbe fatta scucire: era stata eloquente nel proprio essere implicita e dal bagliore negli occhi del lord le fu chiaro che l’uomo aveva capito perfettamente.
In realtà l’espressione che si stampò sul volto dell’uomo andò solo a confermare ciò che la ragazza già aveva pensato, ovvero che sapesse dei piani di suo zio e che fingesse invece di non capire: Lord Sopespian aveva assunto l’atteggiamento da manuale per creare una connessione con qualcuno che per qualche motivo è ostile, anche se Eria non ne capiva il motivo. O almeno, questo era quello che credeva lei.
Era questo il grande difetto della ragazza: credere e credere, pensare e pensare anche quando forse avrebbe semplicemente dovuto capire che non c’era molto da spiegare e che forse, invece, si trovava davanti qualcuno di imprevedibile.
Se non riusciva a capire di preciso che posizione avesse assunto Lord Sopespian in tutto quel conflitto era proprio perché una vera e propria posizione non l’aveva presa, per convenienza.
Forse non c’erano secondi fini da leggere nell’indagine che aveva appena condotto, perché magari stava solo cercando di capire quale schieramento fosse più vantaggioso per le sue mire.
Finito di parlare Eria fece per accomiatarsi: voleva solamente chiudersi nella propria stanza e non uscire per qualche tempo. C’erano poche cose che potesse fare e aveva bisogno di riposarsi; tanto valeva farlo in un luogo che la faceva sentire tranquilla.
Ma ormai c’erano troppe variabili imprevedibili e, quando non ci si fida di chi si ha vicino non gli si dovrebbero mai voltare le spalle.
Dopo aver salutato, Eria sentì un pezzo di stoffa premersi contro bocca e naso. Sgranò gli occhi, cercando di liberarsi dalla presa ferrea del braccio di Lord Sopespian che la teneva bloccata.
« I giovani d’oggi si credono sempre così furbi. »

 

Quando aprì gli occhi, Eria venne avvolta da un’atmosfera illuminata da una luce calda, filtrata da delle pesanti tende di tessuto grezzo e color crema.
Era sdraiata su un giaciglio improvvisato, addirittura meno comodo di quello di pietra che aveva saggiato nell’ormai ben nota Casa di Aslan.
Quanto le mancava quel luogo.
Le doleva incredibilmente la testa e quando riuscì a mettere a fuoco l’ambiente scarno della tenda non riuscì proprio ad immaginare dove fosse. Più cercava di ricordare, più riviveva in modo dettagliato gli ultimi attimi prima di svenire e si rendeva conto di quanto fosse frustrante non riuscire a tirare le fila della situazione.
In condizioni normali avrebbe volentieri cercato e aggredito Lord Sopespian senza alcun indugio, perché sicuramente l’aveva rapita lui, ma in quel momento non ci riusciva. In quel momento non riusciva nemmeno a muoversi, tanto era spaventata e dolorante.
Spaventata più per ciò che sarebbe potuto accadere ai suoi amici: escludeva a priori di trovarsi a corte e non sapeva né quanto tempo fosse passato da quando era svenuta, né che cosa fosse successo nel frattempo. L’armata di Narnia poteva anche essere stata spazzata via mentre lei dormiva beatamente e al sicuro.
Possibile che anche aiutando riuscisse solo a fare danni?
Eria prese un profondo respiro e chiuse gli occhi, richiamando alla mente l’immagine di Caspian. Le diceva sempre che il pessimismo era un suo difetto, una convinzione che applicava a tutti i propri pensieri.
Una sera, se non ricordava male quando ancora erano a corte e lei si era detta particolarmente preoccupata per la reazione di suo zio in merito a qualcosa che nemmeno le tornava alla mente, Caspian le aveva detto che solo perché lei pensava che tutto sarebbe potuto andare male non significava che questo sarebbe successo. Se proprio non voleva sforzarsi di essere ottimista per lo meno avrebbe potuto dare il beneficio del dubbio a ciò che sarebbe accaduto, senza crearsi aspettative troppo catastrofiche.
Eria cercò di muoversi, ma si rese conto ben presto di avere i piedi legati insieme e i polsi uniti dietro la schiena.
L’unico modo per fuggire da quella situazione, o per lo meno un buon modo per cominciare a farlo sarebbe stato urlare, chiedere se ci fosse qualcuno.
Era ovvio che ci fosse qualcuno, in realtà: oltre a dei rumori palesemente umani come lo scalpiccio fuori dalla tenda, Eria riusciva a vedere due ombre stagliarsi contro il tessuto.
Era anche abbastanza ovvio che gli individui nei dintorni non fossero suoi amici, però.
Dopo aver cercato di allentare i nodi per non dover parlare, con gli occhi inumiditi di lacrime e il petto pieno di pentimento, un uomo si affacciò dai lembi di stoffa che facevano da entrata. Non le disse assolutamente nulla ed Eria poté solamente capire il perché della luce calda: il sole stava tramontando e avrebbe lasciato spazio alla sera di lì a poco.
Se Eria avesse saputo come erano andate le cose non avrebbe faticato a capire che il tramonto era dello stesso giorno in cui aveva raggiunto il castello: Lord Sopespian, dopo averla addormentata, l’aveva caricata con sé sul cavallo ed era partito alla volta dell’accampamento di Re Miraz. Considerando che il punto dove l’attendamento sorgeva era molto vicino alla Casa di Aslan, i due avevano percorso una distanza sorprendente in pochissime ore.
Ma se ad Eria lo stesso tragitto compiuto la notte prima era sembrato eterno, tutt’altra cosa era stata a cavallo.
Quando la tenda si aprì nuovamente, Eria vide Miraz. Non sembrava troppo arrabbiato, quanto piuttosto divertito di vederla in quelle condizioni.
La ragazza sentì l’impetuoso bisogno di arretrare, ma non ci riuscì. Improvvisamente tutto il coraggio acquisito venne meno e l’ormai di nuovo principessa si rese conto che in balia di suo zio non poteva davvero nulla.
« Buonasera, Eria. Non credevo che ci saremmo visti in queste circostanze », cominciò lui. « Non credevo che ci saremmo proprio rivisti, a dire il vero. »
Eria continuò a rimanere in silenzio, gli occhi fissi in quelli del tiranno. Il volto del re si fece più serio.
« Parla dannazione! Mi hanno detto che avevi così tanta parlantina quando sei andata a prenderti la mia corona! »
Paradossalmente fu la paura, mista all’incapacità del cervello di Eria di ragionare come avrebbe dovuto a farla parlare.
« Non è la tua corona! Sei solo un tiranno che non ha la minima idea di cosa voglia dire essere un re, né alcun diritto di regnare su questa terra! »
Eria non vide nemmeno la mano che la schiaffeggiò prima che la colpisse. Si accorse di cos’era successo per il rumore secco della sua guancia e il dolore lancinante. Sentì un sapore metallico diffondersi nella propria bocca e alcune delle lacrime che fino a quel momento aveva trattenuto con tutte le proprie forze, anche per non far tremare la voce, scesero lungo le sue guance.
Si morse il labbro, come se già non sentisse abbastanza dolore, solo per impedire anche al proprio orgoglio di essere ferito facendosi vedere in quelle condizioni.
« Tu non sai contro chi ti sei messo », sussurrò Eria, gli occhi fissi sul tappeto erboso. « Caspian e i re di Narnia non ti lasceranno al potere. »
Miraz proruppe in una fragorosa risata.
« Non sono forse loro quelli che appena un quinto del mio esercito ha spazzato via mentre tentavano di prendere uno dei miei forti? Sono loro che dovrebbero fermarmi? »
Eria non seppe come ribattere. Sapeva di avere in testa troppe valide spiegazioni, ma anche se le avesse spiegate al meglio sarebbe stato uno sforzo inutile: Miraz non avrebbe capito.
« Lo faranno. »
« L’unica cosa che farete tutti sarà inchinarvi al mio cospetto! »
Miraz la afferrò per il bavero della blusa ed Eria si ritrovò così vicina al suo viso che l’unica cosa che le parve sensato fare fu riassumere i propri sentimenti sputando sul volto che per tanti anni aveva odiato.
Quando vide il tiranno allontanarsi per ripulirsi il viso Eria si preparò ad un secondo ceffone, anche più forte del primo, se non a qualcosa di peggiore.
Non arrivò nulla di tutto questo.
« Hai passato troppo tempo con i selvaggi, Eria. È il momento di far credere loro che tu abbia capito da che parte è il caso di stare. »
Si congedò con queste parole.
Eria realizzò subito di aver appena provocato il peggio.


 

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Penso che ormai si sia capito quanto io sia lenta a postare. Suppongo che la mia colpa sia rileggere più e più volte i capitoli per renderli quanto più precisi e privi di errori possibile.
Bando alle ciance, penso che questo sia il capitolo più... "originale" della storia. Dico così perché è l'unico in cui gli avvenimenti si discostano davvero da quelli che invece si verificano ne "Il principe Caspian", nella versione cartacea o cinematografica che sia.
Vi ricordate quando Eria, all'inizio del quinto capitolo, ha chiesto al dottor Cornelius di una certa regola di cui aveva sentito parlare? Quella che avrebbe permesso a Caspian di ottenere la corona? Esattamente a questa si è appellata!
Ho fatto il possibile per rendere il tutto quanto più chiaro e plausibile: volevo assolutamente qualcosa che rendesse gli avvenimenti più originali e questo mi è sembrato un buon compromesso, anche se Eria non è stata abbastanza viscida da prevedere i risvolti della situazione e forse ha peggiorato le cose.
Conto di aggiornare prima questa volta. Sul serio.
Come sempre ringrazio chiunque sia arrivato fino in fondo e spero vogliate dirmi cosa ve ne pare <3
Alla prossima!
   
 
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