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Autore: rosatornavolja    31/08/2016    0 recensioni
Una guerra che dura ormai da secoli miete vittime e versa sangue innocente.
Dal cielo, oscurato dalla cenere, non nascono più fenici.
Due regni contrapposti: il Regno delle Fenici ed il Regno di Nessuno.
Una regina, destinata a trovare l'Arma segreta e a porre fine alla guerra.
Cinque Guerrieri, i cui nomi sono stati scelti dal destino...
Un avvincente fantasy, colmo di intrecci, sorprese, creature fantastiche, mitologiche, classici del genere fantasy... ma anche esseri mai visti, completamente nuovi. Un romanzo per chi ama volare oltre i confini della realtà e rompere le pareti dei sogni, ma anche per chi ama l'avventura, le battaglie epiche e le storie d'amore, d'amicizia e di passione.
Infine, una storia per chi ama i Pentatonix, protagonisti di questa vicenda, ma anche per chi non li ha mai nemmeno sentiti nominare.
Genere: Azione, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Arthem ancora non poteva crederci. Erano salvi! Avevano abbandonato silenziosamente il vascello, tuffandosi in acqua senza destare troppi sospetti ed erano giunti, aiutati dall'oscurità, alle navi della seconda fila. Avevano nuotato in apnea ed in profondità per un bel po', ma erano addestrati anche a quello. Si erano arrampicati e, aiutandosi con le funi gettate dai loro compagni, erano riusciti a salire a bordo, tutti sani e salvi. Prima che si potessero accorgere dell'accaduto, l'intera flotta invertì la rotta e si diressero verso la loro patria. Il vento era stato dalla loro parte e, come una mano amica, li aveva accompagnati fuori dalla portata dei nemici. 
Il giovane capitano si passò entrambe le mani sui capelli corti (un tempo lunghi e fluenti, prima della ferita alla testa) e si sfilò gli abiti fradici. Aveva freddo, sul suo corpo muscoloso si poteva vedere la pelle d'oca. Aveva una costituzione abbastanza robusta, era alto e la sua schiena portava i segni delle battaglie. Il suo volto era quello di un bambino privato della sua innocenza... E sulla testa, la grande e indelebile cicatrice. Una linea che divideva diagonalmente quasi a metà il suo cranio e finiva sulla sua tempia sinistra. Quando sorrideva, la cicatrice si infilava tra le pieghe ai lati degli occhi. 
Pensò a ciò che avevano fatto: si erano salvati ma avevano perso la colonia... che cosa sarebbe successo a quel punto? Era stata una perdita grave? Sarebbero tornati indietro a riprendersela? 
Udì un tramestio sul ponte. Era sottocoperta nella cabina del capitano, ma riusciva a sentire i passi agitati e gli schiamazzi dei suoi soldati. Prese distrattamente il mantello e lo mise sulle spalle nude, avvolgendosi in esso come fosse una coperta. Pura illusione: non dormiva in un letto con delle vere coperte da molto tempo.

Sul ponte vi era un caos incredibile, ma Arthem riuscì ad identificare l'oggetto di tante chiacchiere. Una nave si stava avvicinando nella direzione opposta alla loro... le sue vele portavano fiere lo stemma del Regno delle Fenici.
Chi mai poteva essere? Qualcuno che gli avrebbe migliorato la giornata, se lo sentiva. Qualcuno che aveva intenzione di raggiungerli e che aveva scelto la stessa rotta che loro ora stavano ripercorrendo per tornare al regno. Ma chi poteva essere?
La nave si avvicinò sempre di più e le due imbarcazioni quasi si toccarono. Lucio, che solitamente stava al timone, saltò dall'albero di vedetta. 
"Quale onore, generale!", gridò sinceramente sorpreso per farsi sentire.
Arthem non poteva credere alle sue orecchie. Generale? Stava parlando di Tori? Come mai era lì?
Corse immediatamente vicino a Lucio e si sporse dal parapetto. 
La vide, mentre Lucio le raccontava l'accaduto; quel viso squadrato e deciso. Quei capelli variopinti raccolti in centinaia di trecce sottili... E quell'aria e quella postura sempre dignitosa ed eretta. Un vero e proprio generale, una vera e propria guerriera.
"Tori!"
"Arthem, amico mio", rispose lei con un sorriso.
Sembrava esausta ma in qualche modo grintosa e sana. Non che Tori fosse mai apparsa debole o sfiancata dalle numerose battaglie in cui aveva combattuto in prima linea, quello no. Solo che quella volta aveva sfiorato i confini con la morte e nei suoi occhi vi era uno sguardo diverso, più consapevole, più posato. Come se d'un tratto avesse preso coscienza di molte cose che prima non considerava... Arthem si domandò come avesse fatto a guarire così in fretta. E non trovando una risposta, lo chiese pure a lei. 
"Sono arrivati i guerrieri... quelli di cui parlava la Regina. E uno di loro è un medico bravissimo. Il medicamento che ha usato agisce su ogni tipo di ferita e ha un effetto quasi istantaneo."
Arthem era felice che lei fosse salva e grintosa come al solito.
"E cura anche le ferite d'amore?", scherzò il giovane. Sapeva che Tori apprezzava il suo umorismo nonostante tentasse sempre di nasconderlo.
"Ah, smettila con queste ferite d'amore. Sappiamo tutti benissimo che non saresti capace di gestire una donna, se ce l'avessi. Perciò tieniti le tue ferite e sta' zitto"
Lui finse una serietà estrema.
"Così mi ferisci, Tori! So bene come sono fatte le donne. Sono come le battaglie... devi impegnarti al massimo, perché ti danno sempre filo da torcere. E se non stai attento possono anche ucciderti... ma poi la vinci, e a quel punto puoi scegliere se fermarti e goderti la gloria eterna per l'impresa compiuta o andare subito a vincerne una più grande."
Tori scoppiò in una fragorosa risata. 
"A quanto pare tu hai scelto la seconda opzione, dico bene Arthem?"
Lui sorrise e la vide allontanarsi.
"Te lo svelerò a casa, ci vediamo là!"
Anche se avevano perso Eutalassa e il suo morale non era dei migliori, ritenne che aver salvato la propria vita e quella dei suoi compagni ed aver rivisto Tori in forma fossero delle motivazioni più che sufficienti per cominciare la giornata con un bel sorriso ottimista.

Mitch bussò alla porta.
"C'è nessuno?", domandò, poi spinse e con un cigolio fu introdotto nella dispensa.
Il buio impastava i contorni dei grandi armadi e delle polverose dispense. I raggi di luce provenienti dall'esterno fendevano in due l'oscurità e grattavano il pavimento di marmo. Il corpuscolo atmosferico pareva una polvere magica, capace di infilarsi nelle narici e far entrare nei polmoni boccate di quell'odore inebriante di menta e segreti. Mitch amava i posti solitari e poco frequentati. Essere fuori dalla ressa quotidiana per accaparrarsi il miglior pezzetto di vita lo rendeva più tranquillo. Aveva una grande intimità con se stesso e questo lo portava a cercare posti isolati o silenziosi. Se quello era il luogo in cui avrebbe dovuto lavorare, ne era entusiasta e affascinato.
"Chi c'è?" 
Una voce frantumò la magia del momento. 
Il ragazzo fu colpito dal tono di questa: era la voce di qualcuno che non parlava da molto. Si percepiva un certo sforzo nello spingere le parole fuori dalle labbra e nel porle una di seguito all'altra. 
"Medico Mastro, è lei?"
Mitch non riusciva a vederlo né a capire dove fosse.
"So bene chi sono io. Ho chiesto chi sia tu, piuttosto."
Facendo attenzione a non urtare nulla, Mitch seguì il sono della voce roca. L'odore di menta lo faceva impazzire: gli ricordava la dispensa dove lui e suo padre tenevano le erbe che lui stesso procurava per entrambi nella valle delle gemme, strisciando per non essere colpito dalle frecce nei giorni di battaglia.
Abituatosi all'oscurità, cominciò a distinguere meglio i contorni della stanza. Era polverosa ma ordinata, tipico delle dispense delle persone come lui: il Medico Mastro evidentemente non si fidava e non lasciava che le stanze venissero spolverate se non saltuariamente; il che era comprensibile. Ogni erba aveva bisogno di un particolare trattamento per conservare al meglio le sue proprietà curative, di conseguenza era meglio evitare che persone non del mestiere vi mettessero mano.
D'un tratto si trovò di fronte il Medico Mastro. Se l'era aspettato minuto ed ingobbito, con la barba lunga e gli occhi consumati dal lavoro e le mani minute e affusolate. Magari con un paio di occhiali e un naso appuntito... invece si sorprese quando davanti a lui si presentò la sua imponente figura. Aveva delle spalle larghe ed era molto alto. Le gambe erano ancora robuste e forti nonostante l'età suggerita dalla lieve calvizie e dalla barba bianca. Le sue mani erano grandi e callose: Mitch si chiese come fosse possibile per lui lavorare con precisione. Ma ciò che lo stupì di più fu lo sguardo vispo e acuto; i grandi occhi azzurri, ormai indossati nelle rughe, rendevano visibile ogni suo singolo pensiero.
"Sono Mitch, mi manda Fiamma. Sono venuto per imparare a muovermi in questi spazi... il mio compito è quello di creare, assieme a lei, una squadra di medici pronta a curare sul campo."
Il Medico poggiò la spalla alla credenza di legno. Il mobile traballò ma non cadde, come abituato a quel gesto.
"Ne sono al corrente. E vorrei cominciare subito a lavorare. Ti mostrerò la mia dispensa ma devi promettermi di prestare la massima attenzione. Queste erbe sono rare e difficili da trovare, non vorrei correre rischi inutili."
Il ragazzo era entusiasta: non aveva mai visto una quantità di erbe così grande tutta nello stesso posto. Pensò che forse avrebbe potuto chiederne in prestito qualcuna per tentare di nuovo di creare la Cura... ma voleva aspettare di acquisire la fiducia dell'uomo, dunque lo seguì mentre lui gli elencava i nomi delle piante, uno dopo l'altro.

Il profumo dei suoi capelli lo accolse nella Sala delle Rose come un vento caldo. Il sorriso della regina era un raggio di sole, una carezza del cielo. Scott non riusciva a toglierle gli occhi di dosso: era ammaliato dalla naturalezza con cui indossava l'abito verde ed incantato dalla sua capacità di portare anni in più che ancora non aveva vissuto. La risata con cui si presentò nella stanza era lo scroscio di una cascata, il rumore della brezza autunnale tra le foglie. Fiamma lo aveva spedito nella sala pochi secondi prima, dopo che lui aveva atteso in trepidazione per una mezz'oretta, fuori dall'infermeria con Mitch, che lei gli dicesse dove andare. Imparare a volare era sempre stato il suo sogno e l'idea di impararlo dalla regina lo faceva impazzire ancora di più. Non conosceva da molto quella ragazza ma era come se fossero sempre stati grandi amici: lui capiva lei e lei capiva lui... per non parlare poi di quell'onda di emozioni che lo travolgeva ogni volta che lei gli si presentava davanti. Il mare di sensazioni minacciava sempre di affogarlo, anche se in realtà, passato il primo momento di impatto con la bellezza di Beatrice, lui si sentiva rinato quando la vedeva. Era sempre carico di un'inspiegabile voglia di vivere e sentiva il bisogno di cominciare quell'avventura. 
"Tutto bene, caro?"
Il suono della sua voce fece traballare ogni sua più intima convinzione. Se prima era stato sicuro di qualcosa, al fianco suo si sentiva un naufrago della vita, e lei era la sua isola, il suo ristoro, la sua pace. Proprio la notte prima aveva sognato la regina ed aveva ancora le immagini di quel sogno stupendo impresse vivide nella memoria... Eppure, nonostante fino ad un momento prima gli fossero sembrate la cosa più bella del mondo, di fronte al viso, al corpo e agli occhi veri della regina i ricordi del sogno appassivano come la bellezza di un fiore in un tramonto.
"Tutto bene, sono solo ansioso di cominciare, tutto qui. Non so bene cosa aspettarmi"
La regina gli donò un sorriso per fargli capire che lo capiva.
"Ho imparato a volare a dieci anni ed è ancora il ricordo più piacevole di tutta la mia vita."
"Speriamo che sia così anche per me."
Senza sprecare tempo prezioso, Beatrice lo condusse in un posto che lui non aveva mai visto. Era una sorta di collina poco fuori dalle mura del palazzo reale, al sicuro dagli occhi del nemico... quello che in tempi normali e non di guerra avrebbe avuto il nome di "fetta di paradiso". Nonostante la apparente tranquillità e amenità del luogo, aperto e armonizzato alla sottostante vegetazione che si srotolava nella vallata, quella collina era pervasa da un inquietante senso di morte. Scott si accorse di ciò quando, voltandosi verso la vallata, notò che al posto dei fiori ormai spuntavano soltanto croci. Avrebbe voluto correre in mezzo a quel cimitero di innocenti vittime ed urlare la sua indignazione. L'odio aveva avuto la meglio sulla vita e questo fatto era inammissibile. Giurò a se stesso di vincere quella guerra per poter rivendicare la vita di chi aveva dato anima e corpo per la libertà e per la giustizia. 
La Regina percepì il suo disagio e gli posò una mano sulla spalla. 
"Provo le stesse cose ogni volta che vengo qui. Ma poi mi ripeto il mio destino e reagisco. Piangersi addosso non serve a nulla, anche se dispiacersi è d'obbligo. Ma abbiamo un destino e il nostro compito è portarlo a termine, perciò mettiamoci al lavoro."
Scott le diede ragione e la seguì. Si posizionarono esattamente sotto il Pensatoio della regina, che era direttamente sopra la loro testa centinaia di metri più in alto. Il ragazzo era emozionato e non poté fare a meno di sorridere. Tra qualche secondo il suo più grande sogno sarebbe diventato realtà.
"Distenditi qui", gli ordinò lei.
Interdetto, la guardò con un'espressione interrogativa sul volto. Si era immaginato tutto molto diverso... qualcosa come fare un salto da una torre e prendere il volo.
"Cosa aspetti?", chiese la regina sedendosi a terra ed accomodando l'abito verde sulle gambe incrociate.
Lui obbedì ed istintivamente chiuse gli occhi. Lungo la schiena partì un brivido e lui serrò la mascella per contenere l'agitazione.
"Ora rilassati e ascolta il battito del tuo cuore. Lo sentirai nel petto... poi anche sulle punte delle dita, lungo le gambe fino ai piedi. Quando lo sentirai sulle palpebre, vorrà dire che avrai un controllo completo del tuo corpo."
La regina attese e Scott eseguì: dopo poco sentiva di essere il padrone di ogni angolo della sua essenza fisica e psicologica. Ogni battito del suo cuore, ogni respiro, ogni pensiero era sotto il suo controllo. Teneva strette tra le labbra tutte le sue convinzioni e tra le dita tutti i possibili movimenti del suo corpo. Mai si era sentito più padrone di sé e sentiva la mente espandersi all'inverosimile. In qualche modo misterioso Beatrice percepì che quello era il momento giusto... E proprio quando Scott ebbe raggiunto una padronanza assoluta di sé, lei gli chiese di abbandonare tutto quello che aveva lì su quel terreno fresco del mattino.
"Devi lasciare tutto a terra, se vuoi volare. I tuoi sensi, le tue percezioni, i tuoi muscoli, il tuo corpo e tutto il resto. Devi essere solo anima, pura e senza pensieri, un soffio di vita, un piccolo bacio di universo. E lascia a terra anche i pensieri: sono la cosa più pesante. Se te li porti in cielo rischi che ti ritrascinino violentemente a terra. Solo gli uomini che sanno spogliare la propria essenza della ragione possono toccare le nuvole e librarsi nel vento."
Scott seguì le sue parole e lasciando uscire un ultimo respiro cosciente si abbandonò al suono della sua voce, ascoltando i salti e le piroette che le vibrazioni delle sue corde vocali facevano, senza davvero preoccuparsi di cosa quei suoni significassero. Tutto perse senso e acquisì una nuova, dolce e leggera realtà. Non era più corpo ma molecole di vita, non era più uomo ma umanità, non era più cosciente ma conosceva più di chiunque altro. Era aria, vita e silenzio di nuvole...
D'un tratto sentì un tocco sulla spalla e si riprese, anche se non del tutto. Si era addormentato? Si era svegliato in un sogno? Non sentiva il proprio corpo ma solo il proprio pensiero. No, non era pensiero... Era qualcosa di viscoso e fluido, una corrente incontrollabile di emozioni, miele che si attaccava al suo spirito. Come se gli avessero messo il cuore al posto del cervello e stesse pensando con quello.
Davanti a lui (era davanti o sopra o sotto? Non esistevano direzioni nè posti né luoghi) stava lei. Occhi grigi come il cielo in cui stava galleggiano. Un'altra anima, nuda di ogni voce umana. Un silenzioso e meraviglioso gatto, passo felpato e luce negli occhi.
Scott non pensava a nulla ma sapeva e sentiva tutto, sentiva di amare e di possedere ma al tempo stesso di non essere legato a nulla. Seguiva tutto quello che le perturbazioni della sua anima gli intimavano di fare.
Lo fece e basta, non appena un sorriso si allargò sul volto di lei. Voleva che quel sorriso si scolpisse in eterno su quel pezzo di paradiso che stava sul volto di Beatrice, quindi lo fece. La strinse nell'aria rarefatta che sosteneva i loro corpi di spirito e incastrò il suo sguardo in quello della sua regina. Regina, dea, angelo, cenere di fenice l'attimo prima di rinascere, senso della sua esistenza ed essenza... le sue dita sfiorarono la sua guancia e nulla più li divise. Erano messaggio e mittente, il loro bacio uno scarlatto sigillo di ceralacca, un patto d'amore infrangibile. In quel bacio le loro anime si sciolsero l'una nell'altra e furono ossa, carne e tempo, spirito e coscienza, ignoto e tutto ciò che è chiaro.
Da sotto nessuno vide il loro bacio, ma nell'intera stratosfera una bolla d'amore esplose, e per un istante il sole fu sul punto di uscire dalla coltre di nubi.

Fiamma uscì dall'infermeria e si diresse con passo molto deciso verso il porto, dove aveva spedito Kevin con il compito di cercare Axel, il cosiddetto Pescatore. In realtà, Axel incaricato di gestire tutte le navi da guerra nel porto ed era una sorta di generale quando si parlava della flotta, ma aveva mantenuto il soprannome di suo padre, che proveniva da una stirpe di pescatori. Era importante che Kevin fosse istruito al meglio; doveva avere ben chiara la situazione del Regno in modo da sapere a quali risorse attingere nel momento del bisogno e il Pescatore Axel (per quanto scorbutico ed autoritario) era la persona più adatta. 
Arrivò al porto e gettò un'occhiata veloce all'ambiente circostante. Carpentieri e falegnami stavano lavorando sodo per costruire una grande nave che sarebbe presto stata aggiunta a tutte le altre; Fiamma era più che sicura che in due giorni sarebbe stata pronta. Mancavano solo le ultime rifiniture: dei mozzi stavano cucendo lo stemma del Regno delle Fenici sulla grande vela poco distanti dalla quasi pronta imbarcazione. 
C'erano delle donne con dei grossi cesti pieni di pesce che si muovevano veloci attraverso la piazza, scuotendo le sottane scure e sorridendo ai marinai. Fiamma notò con gioia che nonostante fossero in guerra un bel sorriso non veniva mai negato a nessuno in quel regno. 
Kevin stava proprio in cima al molo ed ascoltava attento le istruzioni del robusto Axel. Questi gli indicava una baia più in là con un dito, e agitava l'altra mano cadenzando il ritmo trascinato della sua parlata. La pelle era abbronzata all'inverosimile ed i capelli erano brizzolato. Sarebbe stato un bell'uomo di mezz'età se non avesse avuto le mani callose e la pelle abbrustolita di chi lavora incessantemente sotto il sole tutto il giorno.
"Salve, Axel"
Lui si girò con il broncio e la barba di tre giorni poco curata.
"Ho detto tutto al novellino. Ora smammate, ho del lavoro da fare. Stanno arrivando."
Kevin la guardò con uno sguardo perplesso: era un ragazzo raffinato e gli pareva oltraggioso rivolgersi così ad una ragazza.
"Non ti preoccupare, leviamo le tende. Vieni, Kevin. Hai capito tutto?"
Prima che lui potesse rispondere, si intromise il Pescatore.
"Certo che ha capito tutto. È un po' troppo signorino per i miei gusti, ma è in gamba il giovane. E ora fuori dai piedi".
Non appena si furono allontanati, Fiamma gli posò una mano sulla spalla.
"Gli piaci, non c'è dubbio. È il suo modo di fare i complimenti. È molto diretto e non conosce le mezze misure, ma è un uomo buono ed onesto. È uno dei più fedeli amici di Beatrice... sembra essere l'unica capace di mettergli un po' di soggezione".
Kevin rise: non era l'unico cui la regina faceva questo effetto. "Anche a me sembra un tipo sveglio. Mi ha spiegato tutto nei minimi dettagli"
Sì avviarono verso l'edificio del Palazzo Reale e non appena furono dentro Fiamma decise che non aveva senso perdere tempo: era in trepidazione perché di lì a poco avrebbe insegnato a Kirstie a comandare... E poi ad Avi a dominare il fuoco. L'idea la agitava e la situazione non sarebbe cambiata per un bel po'. Perciò si operò subito di far arrivare prima il momento più difficile che aveva apposta lasciato per ultimo.
"Vieni, facciamo una cosa che la regina non apprezzerebbe. Prendimi la mano"
Kevin non fece in tempo a realizzare che cosa avesse in mente, che sentì il proprio calore vitale scivolare via dai suoi arti e il suo corpo riempirsi di un freddo familiare.
Si svegliò confuso e un po' stanco in un luogo bagnato: fece fatica a riconoscerlo inizialmente, ma poi prese coscienza velocemente e cominciò a sentirsi inquietato. Era di nuovo nel Labirinto... se non avesse dovuto dimostrare a Fiamma di essere un Guerriero, avrebbe cominciato a tremare. Ma si trattenne.
"Perché siamo qui?"
Fiamma guardò la sua faccia sconcertata e decise di confortarlo, pentendosi di non averlo portato lì a piedi.
"Ti ho portato nel Labirinto perché voglio che tu stringa un patto con le Udor e chieda loro di darci una mano in questa guerra. Mi dispiace di averti portato qui così... Beatrice non sarebbe molto d'accordo perché è convinta che questo modo di apparire e sparire vi strappi energia vitale. Quindi per favore non dirglielo, non ha bisogno di questa ulteriore preoccupazione. Volevo solo guadagnare un po' di tempo utile. Vengo a prenderti quando ho finito con Kirstie... sono sicura che a quell'ora avrai finito tutto."
Così disse e sparì velocemente avvolta in una bolla di luce.

Kevin era solo e non sapeva cosa fare nè come comportarsi. Primo: dov'erano le Udor? Avrebbero accettato di collaborare con lui? 
Per calmarsi un po' decise di mettersi a nuotare nell'acqua e di lasciare che quell'elemento vitale lo massaggiasse e lo tranquillizzasse. Se c'erano delle Udor in quella grotta, si sarebbero presentate da sole.
Si era assopito a pancia in su, l'acqua lo cullava e sospingeva avanti ed indietro nella grotta. Sentiva solo il proprio respiro ed il proprio pensiero... E quello volò lontano, si immerse nei suoi abissi e rotolò nella sua immaginazione. 
Dopo un lasso di tempo che a lui parve un'indefinibile manciata di eterni secondi, Kevin ebbe la netta sensazione di essere osservato. Ma non era un'impressione fastidiosa... Era quasi una certezza; qualcuno stava vegliando su di lui.
Aprì gli occhi e si spaventò quando davanti al suo naso trovò quegli enormi universi che stavano nelle iridi di un'Udor. 
"Mi hai spaventato", disse lui agitando le mani nell'acqua per tenersi a galla.
L'Udor alzò una mano come per chiedergli cosa ci facesse lì. 
Kevin ne aveva incontrate di diverse nella sua vita da esploratore dei mari... ma ogni volta che ne vedeva una se ne innamorava come la prima volta. Le sue dita erano così belle, trasparenti e sincere. Delle mani vere, luminose e cristalline.
"Sono venuto per te", disse lui, e la creatura si illuminò di gioia, tingendo le pareti della grotta con una luce ancora più chiara. Quando un'Udor sentiva di essere amata, provava una gioia così grande e sincera da risultare commovente.
"Sono contento che tu sia felice, piccola", disse Kevin, carezzando il braccio della meravigliosa creatura. I suoi occhi colmi di sfumature blu lo ipnotizzavano ma riusciva ad avere un controllo su di sé. Durante tutti quegli anni di navigazione solitaria le Udor gli avevano fatto compagnia. Aveva imparato a parlare e a giocare con loro, ed ogni volta era una gioia sentirsi amati fino alla follia da quell'amore incondizionato. Lo aiutava a sentirsi meno solo, ma non aveva mai avuto bisogno di rimanere con loro, perché il suo cuore apparteneva a Diana.
Quella pelle liscia gli ricordò subito quella della sua amata: capelli colore del grano, un sorriso degno del fascino di una dea, una voce leggera e quasi sommessa. Chissà come stava in quel momento.
La rivide, tutto ad un tratto, come quando l'aveva lasciata: un abito color pastello ed un sorriso mesto sul volto. Chissà se dopo tutti quegli anni aveva ancora la chioma così ordinata e raccolta in una crocchia sulla nuca. Chissà se aveva ancora quel profumo di zucchero, se parlava ancora storcendo di lato la bocca, chissà se il suo sguardo amoroso si era appassito. L'aveva venerata in tutti quegli anni ed era l'unica persona della quale riuscisse ancora a ricordarsi perfettamente il volto. Gli anni avevano cominciato a deformare i visi di sua madre, suo padre e suo fratello. Ma Diana no: lei era rimasta intatta e bellissima, intangibile persino per il tempo.
"Ah, cara. Sapessi in che guaio mi sono cacciato"
La creatura alzò le sopracciglia e allargò ancora di più quegli occhioni immensi. 
"Mi sono messo in un casino. Tutti sono convinti che io sia un Guerriero, che io salverò questo regno dalla guerra. Ma io non sono altro che un marinaio innamorato, tutto qui"
Inizialmente si sentì subdolo: stava usando una tecnica molto astuta per fare in modo che fosse l'Udor stessa, mossa da compassione, ad offrirgli il suo aiuto. Ma poi si rese conto di non essere per nulla astuto: stava soltanto ammettendo a lei e a se stesso la dura, amara verità.
Lei lo guardò ancora più intensamente (se è possibile) e con la sua bellissima mano gli alzò il mento per infondergli coraggio.
"No, Udor. Io non sono forte e non salverò nessuno. L'unico problema è che in ballo ci sono tutti gli altri..."
A questo punto lei si preoccupò. Altri? Sembrava dire, in un tono indignato e spaventato.
"Ah, se solo potessi trovare un aiuto, un sostegno... almeno, sapendo di poter contare su qualcuno potrei dare il massimo. Ma mi tocca fare tutto da solo, e questo porterà molti guai anche ai miei amici."
L'Udor si sollevò in piedi sulla roccia e il suo cuore mandò fuori sempre più luce. Era ancora più bella, ora che tutte le vene e tutti i capillari si vedevano di meno. Una lucciola in una grotta; uno spettacolo meraviglioso. Con le braccia sollevate in aria la creatura marina urlò senza dire nulla che lei ci sarebbe stata e gli avrebbe dato il suo sostegno.
"Mi aiuterai? Davvero?"
Kevin ricominciò a respirare. Era stato quasi fin troppo facile ed era immensamente grato alla sua amica. Tuttavia, aveva davvero temuto di non ottenere ciò che voleva... La sua carnagione scura brillava per i riflessi dell'acqua e i suoi capelli riccissimi parevano asciutti nonostante fossero zuppi. Il suo sorriso era largo e sincero... ma c'era ancora qualcosa in lui che non era stata risolta. Una questione che stava lì nel suo petto da quando era nato, una sorta di richiamo ancestrale; dentro di lui sciabordavano le acque del mare e in quel momento le udì per la prima volta. Quiete, tiepide e ripetitive, come quelle che lambivano le spiagge d'estate; talvolta torbide, gelide ed increspate, come una grande espressione corrucciata, quelle del mare impietoso ed invernale. Insomma, il suo cuore galleggiava in un mare vero e proprio, e lui voleva portare la potenza di quei cavalloni anche fuori dal suo petto.
"Udor, amica mia... ti prego, insegnami i segreti dell'acqua. Così potrò nuotare senza bisogno di respirare, immergermi negli abissi più profondi senza temere che la pressione distrugga i miei timpani. Per favore, se mi ami, fammi questo dono"
L'Udor si illuminò talmente tanto che Kevin fu costretto a pararsi gli occhi con una mano e gli fece capire che lo avrebbe aiutato. Poi gli prese la mano, quella creaturina degli abissi di carne, ossa ed amore, e lo condusse in fondo alla grotta, nella sua dimora, per svelargli i più grandi misteri di quel grande, maestoso e regale fratello blu.
 

Kirstie sedeva sul prato ed osservava i fili d'erba con l'aria di non fare nulla di importante. In realtà, la sua mente macinava pensieri elaborati che le avrebbero cambiato senza dubbio la vita.
Era tutto successo così in fretta... Eppure era successo. Da un giorno all'altro si era trovata in un posto che non conosceva con gente che, per quanto buona, non aveva niente a che fare con lei. Poi, sempre da un giorno all'altro, si era ritrovata legata a queste persone da un legame indissolubile e da un destino ineluttabile. Nel giro di pochissimo tempo si era ritrovata nelle vesti di Guerriera con il compito di salvare un regno che non era il suo... E si era trovata innamorata.
Una cosa che non le era mai successa prima. Aveva sempre evitato la compagnia maschile perché aveva da fare, lei: un allevamento di Canut non era una cosa facile da gestire, per di più senza alcun aiuto. Inoltre, non ne aveva mai sentito il bisogno. Era completa anche da sola.
O almeno, lo era stata fino a quel bacio. 
Kevin, da quel momento, era stato nei suoi pensieri come una costante universale. La sua vita ora era divisa in "pre-kevin" e "post-kevin". Che razza di scherzo, l'amore. Una faccia tosta non da poco, aveva avuto, per farla innamorare di un ragazzo che non avrebbe mai potuto ricambiare. Sopratutto perché era già follemente innamorato di un'altra donna, che non vedeva da anni. Kirstie odiava l'amore, in quel momento... ma non sapeva cosa fare per contrastarlo. Ciò avrebbe procurato solo dolore, calcolò, e non sarebbe riuscita a togliersi dalla testa Kevin per tutto il tempo in cui lui sarebbe stato al suo fianco in quella battaglia.
A quel punto non le restava che assecondare i propri sentimenti. Odiare non avrebbe portato nessun risultato... se non altro, avrebbe fatto qualcosa di bello per Kevin. D'un tratto, le venne in mente la voce di suo padre ed un discorso che aveva sentito tanti anni prima.
"Ama, senza aspettarti nulla", le diceva sempre lui.
"Se ami per sentirti amato, l'amore perde il suo significato. Se ami pretendendo di essere ricambiato, allora non ami veramente. Ama in silenzio, scivolando nella vita del prescelto con la stessa eleganza di un polline nell'aria. Agisci senza chiedere il permesso, prenditi cura di lui senza aspettare che sia lui a darti il permesso di farlo. Proteggilo dal dolore e dai colpi della vita e, se puoi, fallo sorridendo. Sii sempre pronta a raccogliere i cocci frantumati della sua sfera di speranze e ad asciugare le sue lacrime. 
Fai tutto questo con l'anima e il cuore, perché non c'è nulla di più bello di amare... ma fallo in punta di piedi, fallo interamente per lui e mai per te e soltanto se senti di essere disposta a farlo. E non aspettarti mai che le attenzioni che elargisci siano ricambiate con la stessa intensità. Se amerai davvero, i tuoi sforzi saranno ricambiati da null'altro che la sua felicità. E sarai piena di gioia, e ti brilleranno gli occhi, e la tua bocca sarà un bocciolo... E proprio in quel momento, lui si accorgerà di te e della tua bellezza. Ricorda, ama solo per amare."
Kisrtie si rese conto che suo padre, come sempre, aveva ragione. Sul momento, quando le aveva fatto quel discorso, lei non vi aveva dato troppo peso. Aveva pensato che ci fosse del vero, ma che in realtà l'amore non potesse essere qualcosa di univoco. Doveva dimostrarsi equilibrato da entrambe le parti, altrimenti era ossessione.
In quel momento soltanto capì che il suo vecchio ci aveva visto giusto. Quando ami, indipendentemente da ciò che prova l'altro, tutto quello che ti interessa è che stia bene, che sorrida, che il suo cuore batta forte e i suoi pensieri scorrano sereni. Ed era proprio questo che stava provando. Certo, se Kevin avesse ricambiato il suo sentimento lei si sarebbe sentita più che onorata, ma non era la cosa più importante. Lì, seduta sull'erba, andava interrogandosi sulla vita e sull'amore... ma al centro di tutti questi pensieri stava soltanto lui, con la sua anima che richiedeva attenzioni, con il suo carattere meraviglioso, con i suoi difetti e le sue esigenze, adorabili anch'esse. Insomma, lo amava. Ed avrebbe fatto tutto per renderlo felice. E se renderlo felice significava sacrificarsi, lei avrebbe accettato. Lui le aveva salvato la vita con un bacio stupendo, l'aveva fatta sentire una principessa anche se era innamorato di un'altra donna. Non era stato sicuramente facile per lui, se quello che provava per Diana era esattamente quello che Kirstie provava per lui. Gli doveva un favore, e a se stessa promise di dedicargli tutto l'amore che aveva in sè.
Mentre rimuginava, fu interrotta da un tocco leggero sulla spalla.
"Fiamma!"
La ragazza l'accolse con un sorriso stanco. 
"Bene, manchi solo tu e la parte facile è fatta..."
Kirstie, facendo un calcolo veloce, si rese conto che solo Avi mancava all'appello. E doveva essere necessariamente lui la parte difficile. Chissà dove si trovava in quel momento. Era sempre in giro da solo a pensare ai fatti suoi. Kirstie immaginò che in quella testa dura ci fossero tanti, tanti pensieri. La maggior parte dei quali estremamente dolci... anche se ovviamente lui non l'avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura.
"Che cosa mi aspetta?", le chiese. Non era spaventata. Da quello che aveva capito, il suo compito era elaborare una strategia vincente, il che implicava puro ragionamento logico. La cosa non la intimoriva, dal momento che pensare era ciò che le riusciva meglio.
"Dovrei portarti direttamente dalla Regina, la quale saprà sicuramente metterti al corrente di tutte le nostre risorse. Prima però vorrei darti qualche dritta per la guerra. Sei una ragazza intelligente e non hai bisogno di sentirti ripetere da me una serie di inutili consigli su come si faccia il capo o come si diriga un gruppo di persone."
E allora in che cosa consistono i tuoi suggerimenti?, pensò Kirstie, senza riuscire ad indovinare dove Fiamma volesse andare a parare.
"Voglio solo insegnarti una cosa... una cosa che la Regina non vuole che io insegni perchè ha paura che il segreto arrivi al nemico. E per di più la ritiene una cosa pericolosa. Su questo non ci troviamo d'accordo. Io penso che, usata nel modo giusto, questa abilità possa essere estremamente utile. Soptattutto per una come te: avrai bisogno di essere in molti luoghi quasi contemporaneamente. Penso tu abbia capito di cosa stiamo parlando."
Kirstie era eccitatatissima all'idea di imparare a scomparire e ricomparire in un luogo lontanissimo, ma volle rifletterci su comunque. Per quale motivo Beatrice lo riteneva pericoloso? Ci ragionò su, ma non trovò motivazioni valide per negarsi questo piccolo sfizio personale che, per di più, sarebbe stato utile per risparmiare tempo prezioso. In guerra anche un secondo poteva fare la differenza.
"Sì, ti prego. Insegnamelo... potrebbe servirci nei momenti più difficili."
Fiamma la guardò con aria soddisfatta e la condusse con sè in una sala mai vista prima, nascosta nel labirintico palazzo. Una stanza piuttosto piccola rispetto alle altre e dall'aspetto un po' trascurato. C'era un leggero odore di muffa e dalla finestra filtravano dei raggi che illuminavano la polvere sottile sospesa nell'aria di quell'ambiente dimenticato. Era chiaramente una parte del palazzo frequentata forse soltanto dal personale di servizio.
Nel silenzio quieto si sistemarono sedute sul pavimento freddo e polveroso. Fiamma espresse il suo timore di essere scoperta e le chiese di parlare sottovoce.
"Meglio essere prudenti, sempre."
Kirstie cercò di leggere i pensieri di quella ragazza dai capelli di fuoco davanti a lei. C'era qualcosa in lei che non la convinceva. I suoi atteggiamenti, il suo modo di fare schietto ed essenziale le facevano sospettare che nascondesse un segreto. Tuttavia non erano fatti suoi e decise di ignorare le domande che le sorgevano nella mente. D'altronde era abituata agli interrogativi senza risposta.
"Non è difficile. Il tuo unico pensiero deve essere il luogo dove vuoi arrivare... poi devi pensare di rubare tutta l'energia delle persone e delle fonti di calore che ti circondano e di canalizzarla tutta nel tuo cervello. Il tuo corpo ci penserà da solo ad eseguire gli ordini e a disgregarsi. In pochi istanti ti ritroverai nel luogo che vuoi raggiungere. Mi raccomando: mantieni un grande controllo, perché se non padroneggi i tuoi pensieri consumi la tua stessa energia vitale."
Ecco perché la regina lo riteneva pericoloso, pensò tra sè. Valeva comunque la pena tentare.
Si concentrò sul porto, dove si immaginò le barche dondolare al ritmo della ninna nanna marina. Vide Kevin seduto sulla passerella del porto, le mani sulle ginocchia, come faceva lui. Cominciò a sentire l'energia fluire dentro di sé come un calore sottile sotto la pelle, strisciando via dal corpo di Fiamma e dalla finestra in alto nella stanza. Il suo corpo si disgregò, fu calore ed affetto ed in un attimo non fu più nulla, si sentì un luogo e le venne da vomitare. Doveva mantenere la calma: non poteva permettersi di perdere le forze perché le sarebbero state indispensabili. 
Sentì le sue membra bollire, la sua testa esplodere, i suoi occhi quasi sciogliersi... E pensò a quel porto che in quel momento era immerso nella luce sanguinolenta di un tramonto.
Atterrò violentemente sul legno umido della banchina, senza avere nemmeno la forza di aprire gli occhi.

"Kirstie?! Ma da dove spunti?"
Al suono della voce di Kevin, la ragazza sentì il suo corpo pieno, rifocillato e vivo per un attimo, poi le forze la abbandonarono e si accoccolò in un dolce sonno.



Baluginavano ormai gli ultimi bagliori di un crepuscolo cupo. Regnava un'ombra inquietante sui giardini della regina. La luce andava ormai spegnendosi ma di Fiamma nom c'era traccia. Avi sapeva di essere in anticipo, ma non gli importava. Era curioso di sapere che cosa lo avrebbe aspettato; non che amasse molto l'idea di dover imparare qualcosa da qualcuno... ma se non altro era eccitato all'idea di poter dominare il fuoco. Quell'elemento lo aveva sempre affascinato ma aveva provato nei suoi confronti una sorta di timore riverenziale. Aveva vissuto per anni con dei draghi come unici compagni di vita eppure avere familiarità con un elemento così pericoloso lo metteva un po' in agitazione. 
D'un tratto udì un passo familiare e si voltò sempre più incuriosito. Fiamma era sola.
"Tutto avrei immaginato, tranne che arrivassi in anticipo. Mi immaginavo di doverti aspettare per ore. Di solito non obbedisci mai agli ordini: cosa ti è successo? Hai sbattuto la testa da qualche parte?"
Avi non voleva darle la soddisfazione perciò decise di mentire e dirle di essere arrivato in anticipo per sbaglio. Era davvero agitato e temeva di fare una figuraccia davanti a lei... Allo stesso tempo però non capiva il motivo della sua ansia: di cosa doveva avere paura?
Il silenzio della notte era tale che nemmeno le creature notturne con il loro concerto riuscivano a rompere quell'imbarazzo. Avi non era in grado di pronunciare una sola parola e sentiva il battito del suo cuore e pure quello della ragazza. L'erba era leggermente luccicante per le luci delle lanterne che entrambi si erano portati dietro. Gli occhi di Fiamma, bagnati dai riflessi del fuoco, luccicavano come non mai. Senza dire una parola lei si diresse verso una parte del giardino che Avi non aveva mai esplorato, e lui la seguì senza proferire parola. Camminarono per qualche minuto finché non giunsero ad una sorta di collinetta che si immergeva nel cielo addormentato come il dito di un bambino si infila in una torta.
"Perché hai aspettato che fosse notte per farmi l'addestramento? Non sarebbe stato più comodo farlo alla luce del giorno?"
La ragazza dai capelli rossi rispose con tono seccato.
"Non sei l'unico ad avere bisogno di un addestramento. Sono stata piuttosto impegnata questa mattina. Tuttavia non ti nascondo di aver calcolato tutto prima di decidere: ho scelto di tenerti per ultimo perché sei il carattere più difficile da affrontare e poi... E poi il fuoco è molto più bello di notte."
Lo sguardo della sua maestra non ammetteva repliche ed Avi decise di non ribattere. Prevedeva che di lì a poco avrebbero cominciato con l'addestramento e non voleva rimandare quel momento ulteriormente.
Lei si posizionò di fronte a lui, a due metri di distanza, e fissò il suo sguardo in quello del giovane. Una scarica elettrica percorse il corpo di Avi; Fiamma era una ragazza incredibilmente energica, perciò attribuì a questo il motivo della sua reazione.
Cominciò a parlare con voce sottile e suadente, flebile e delicata ma che non ammetteva di essere ignorata.
"Fin dalla notte dei tempi, il fuoco ci accompagna nella nostra missione su questo mondo. Ce ne serviamo fino al punto di morte, tanto che spiriamo al tremolare di una candela. Per questo motivo il fuoco fa parte di noi. È nascosto negli altri bui della nostra essenza; talvolta è già come un rogo in fiamme, talvolta invece è una fiammella. Il tuo è un incendio implacabile, che ribolle di orgoglio, indignazione, superbia e passione. So che lo senti, so che riesci a percepire gli scoppi di ira dentro di te, come un gas troppi compresso, come un botto improvviso. Ti chiedo ora di prendere la potenza di quelle lingue di fuoco e di farle uscire da te, dalle tue mani, dai tuoi occhi. VAI!"
Avi sentiva il suo orgoglio ferito bruciare, sentiva la sua rabbia esplodere. Rivide tutti i suoi ricordi peggiori ed appiccò loro il fuoco. Anni di solitudine, di impossibilità di ricordare la propria origine; anni di pugni contro il muro, di graffi di draghi e di scottature sul corpo. Anni senza che nessuno si curasse di lui o sapesse almeno che esisteva. Furioso perché non poteva sapere chi era, aveva detestato se stesso ed il mondo... ed ora era lì, con quel calore bruciante che risaliva dai suoi piedi e lo sopraffaceva. Era lì,con i pensieri sporchi di rabbia, e le sue mani diventavano bollenti, i suoi polmoni scoppiavano e moriva dalla voglia di urlare. Il grido di ribellione era là, rinchiuso nella sua trachea, era diventato pesante, insopportabile, spinoso.
Tutto d'un colpo, come un colpo di fionda, non ce la fece più a trattenersi ed urlò. La sua voce era bassa e graffiata, come una caverna, come tanti anni di solitudine.
Assieme con il suo grido, qualcosa sulle sue mani si incendiò, producendo due grandi e scottanti vampate.
"Grande!", esultò Fiamma. "È tutto qui quello che sai fare?"
Avi colse il guanto della sfida e la sorpassò con il fuoco tra le mani. In quel momento avrebbe potuto vincere una guerra.
Si posizionò perfettamente in cima alla collinetta e con un gesto delle mani in avanti indirizzò due pareti di fuoco lungo il pendio erboso fino alla vallata in fondo. 
"Dilettante", gli disse lei, nel momento in cui lui si girò con uno sguardo soddisfatto.
"Ora vediamo chi è il dilettante tra i due."
Tenendo i muscoli tesi al massimo e le braccia diritte davanti a sé, aprì le mani verso l'esterno, e le pareti che fino a quel momento erano avanzate parallelamente si distanziatorono, una da una parte ed una dall'altra. Poi Avi richiuse gradualmente le mani, finché le pareti, dopo aver creato un cerchio, non si incontrarono di nuovo. Infine, non ancora soddisfatto, il domatore di draghi sollevò le braccia e un tetto di fuoco creò un corridoio di fuoco che immetteva in una stanza rotonda in fondo alla vallata.
"Niente male!"
Avi era soddisfatto del suo lavoro. Tutte quelle fiamme facevano evaporare le gocce d'acqua sul prato e producevano un fumo bianco e fine, sovrannaturale. La luce poi era rossastra e in qualche momento blu, perciò Avi rimase esterrefatto dall'effetto che quei riflessi facevano assieme ai cavalli di fumo... e dal modo in cui lambivano la pelle eburnea di Fiamma. Era una statua meravigliosa, la vaporosa chioma era un incendio essa stessa.
Forse accorgendosi di essere osservata, lei si infilò nel tunnel di fuoco e scomparve nella luce violenta. Avi fu colto alla sprovvista e non poté fare a meno di urlare, preoccupato:
"Fiamma, no!"
Fu ingoiato anche lui dal tunnel di fuoco ma non vide nessuno finché non giunse nella stanza che aveva creato, perché la luce era troppo forte ed il calore era opprimente.
Nella stanza, tuttavia, si poteva stare: il fumo era stupendo, saliva dal terreno bagnato come per magia e creava ricci, cavalli, onde, cavalloni, nodi e poi spariva. In mezzo a quella nuvola, Avi rivide Fiamma.
Non ebbe il coraggio di dirle nulla, anche se voleva sgridarla e rimproverarla per essere fuggita così ed avergli fatto prendere un colpo, ma non disse nulla. Si avvicinò a lei e basta, come trascinato da un filo invisibile che lentamente, silenziosamente lo tirava in quella direzione.
Lei era immobile; i suoi smeraldi fissi nei suoi occhi. Si creò una connessione, il filo che lo aveva portato lì ora si era avvoltolato attorno a loro, e pian piano li stringeva più vicini, più vicini. I loro corpi quasi si sfiorarono, nel magico silenzio del fuoco scoppiettante, quando Avi fu invaso dalla voglia di lei e le cinse la vita con le braccia. La strinse a sè e lei abbandonò le braccia bianche sul suo collo... le loro labbra si sfiorarono per un secondo, ma poi lei si irrigidì. Avi la strinse di più, tentò di baciarla, di unire le loro anime... ma ben presto tra le sue braccia strinse solo il vuoto. Fiamma produsse una luce che annientò quella del fuoco, gli rubò ogni goccia di calore vitale ed evaporò. 
Avi non capiva. Tutte le sue energie erano state sottratte e dal proprio fuoco e dalla luce di Fiamma, sicchè crollò. Collassò sul pavimento ed il fuoco si spense inghiottito dal buio della notte senza stelle. 
Che cosa aveva fatto di male?
Perché si era meritato un destino così amaro?
In quel momento non poté che ammettere a se stesso la verità ed abbandonarsi al prato umido, nella speranza che la notte lavasse via il suo dolore.
Lui era innamorato di Fiamma.
E stringendola al suo petto lei gli era sgusciata via dalle braccia.
Forse per sempre.


 

   
 
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