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Autore: Dark Swan    01/09/2016    0 recensioni
Il rimbombo di uno sparo in un'aula vuota, un corpo fumante ancora a terra ed un biglietto. Questo è tutto ciò di cui la detective Alessandra dispone per indagare sulla morte del prof. Montecchi. L'aiuteranno nell'indagine il suo nuovo partner Manuel ed Elena, studentessa ed aspirante scrittrice, che si trovava a poche aule di distanza la mattina dell'omicidio. L'ultima corsa è molto più che un romanzo thriller, ma una splendida indagine dell'interiorità umana, l'analisi dolorosa, angosciante, malinconica ed autunnale dei sentimenti che scandiscono le nostre giornate, delle frasi che lacerano il cuore, delle storie sentimentali che possono sfociare in drammatiche inquietudini. Di quell'amore che, se negato, può diventare più freddo della morte.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La fresca aria autunnale, quella che stava avvelenando i polmoni ad Elena, lo rifocillava. Sorrideva, di un sorriso senz'altro più luminoso di quel cielo che guardava distratto quelle anime dall'alto, troppo impegnato a farsi scuro, a confonderci i sensi con piogge fuori luogo. Eppure lui sorrideva, e il bel tempo lo trovava finalmente nel cuore, al punto tale che quando una raffica di vento lo colpiva all'improvviso aveva come unico effetto quello di spingerlo più in alto.
Corpi destinati a morire, felici di essere sbattuti di qua e di là da un soffio instabile purché spinti verso altri corpi.
Quel pomeriggio continuò a piovere, non faceva altro da un po', se un bambino fosse nato in quei giorni avrebbe creduto che non fosse mai esistito il sole.
E Federico, con il suo sorriso più chiaro del giorno, tornò a casa dopo una notte spesa nel letto di qualcun altro. Quel lavoro notturno gli pesava sulle gambe, ma gli alleggeriva il cuore. Sereno, leggero, Botticelli avrebbe cambiato il titolo del suo quadro a vederlo.
Eppure com'era stonata quella felicità, quel sorriso in mezzo al niente. E come era avido di parole afferrate per caso, se ne è appropriava come se fossero destinate soltanto a lui, per renderlo più bello, per farlo restare stampato sulla faccia di chi era di nuovo felice dopo anni troppo lunghi per essere contati.
Ma a volte, nell'afferrarle, le parole si stringono troppo, si finisce per soffocarle, per spezzarle.
Sarebbe meglio lasciarle vibrare per aria o farle scivolare al suolo senza chinarci poi a raccoglierle, perché le parole che salviamo, quelle che compongono le frasi che ci ripetiamo tutto il giorno, per tutta la vita, quelle parole che non scorderemmo nemmeno se fossimo costretti a rinascere di nuovo, ci uccidono.
«Hey!», con sua sorpresa Federico trovò Elena già a casa, «Che ci fai qui?»
La ragazza alzò la testa agli addominali del ragazzo, aspettò che l'amico si sedesse per guardarlo in faccia. 
«M'hanno ammazzato il professore.»
«Cosa?»
«Hanno ucciso il mio professore.»
«Ma dici sul serio?»
Fuori, la pioggia, col suo sordo rumore, rattristiva il verde che colpiva.
L'intero sistema era stato inventato da qualcuno che voleva soltanto farle perdere tempo.
Anni ed anni a studiare, a recensirsi la vita per farla sembrare un po' più bella, ed ora non era altro che una causa persa; persa dietro ad uno scrittoio ad imbrattar pagine che non erano piaciute a nessuno.
Elena aveva la testa completamente da un'altra parte in quel periodo.
Il peso del tempo, la sua insufficienza. La voglia di vivere, il dolore per non riuscirci. Il dovere di stare bene, l'impossibilità di farlo. La speranza che moriva asfissiata, il cuore avvelenato dal presentimento dell'insuccesso, l'addio soffocato d'un senso.
La ragazza smise di fare l'analisi logica ai suoi pensieri soltanto quando si accorse che il campanello del suo appartamento suonava da un po'.
Alessandra notò dapprima quegli occhi di un marrone così intenso da sembrare impregnati di sangue; poi i capelli dello stesso colore. Doveva essere una stregoneria perché quel sangue stava facendo ribollire il suo.
La guardò. Cos'è uno sguardo per il cuore dell'uomo? Il più delle volte non è altro che una rima sbagliata che suona bene all'interno di un componimento perfetto; altre, un violino che stride in un'orchestra malandata; una relazione tenuta insieme con la colla.
«Salve», esordì la Detective, «Sto cercando Elena Rossi.»
Un profilo degno di un applauso, pensò Elena guardandola. Ed il grigio della sua anima iniziò a schiarirsi, schizzando spruzzi di celeste sulla tavolozza delle sue emozioni; piccoli raggi di sole filtravano attraverso le nuvole e si andavano a posare su quella che stava guardando.
Vi è mai successo di guardare qualcosa senza riuscire a mettere a fuoco ciò che avete davanti, e poi, all'improvviso, riuscire a focalizzarvi su un punto preciso e tranquillizzarvi, consapevoli di non star perdendo la vista? Ecco, questo è ciò che successe ad Elena. All'improvviso tutto divenne chiaro e lei, ovviamente, non capì più niente.
«Sono io.»
«Bene, dovrei farle alcune domande sul professor Montecchi.»
«Si accomodi.», e con lo stesso sospiro con il quale pronunciò quelle parole chiuse la porta alle sue spalle.
«Lei chi è?», chiese la Detective a Federico.
«Federico Rossi, per servirla.»
Alessandra ingoiò una grassa risata.
«Siete fratelli?»
«No», rispose il ragazzo, «Siamo cresciuti nello stesso orfanotrofio.»
«Ah capisco», e si accomodò sul divano, «E vivete da soli?»
«Sì, cioè no, c'è anche un'altra nostra amica Maria Rossi.»
Dopo aver impaurito il ragazzo, Alessandra desiderava venire al dunque, ma Elena se ne stava all'in piedi con le braccia conserte appoggiata al tavolo. La guardò una seconda volta per sollecitarla a sedersi.
«Posso offrirle qualcosa?», continuò in tono servizievole Federico.
«Un caffè, magari.», poi guardando Elena: «Guarda che neanche i colpevoli si mostrano così poco collaborativi.»
Elena avrebbe voluto un foglio per ragionarci su, per stillare una lista di reazioni possibili e poi scegliere quella più appropriata alla situazione. Ma non lo aveva, e sulla superficie sabbiosa della sua mente non riusciva a scrivere una frase allineandola correttamente: si collocavano tutte in maniera sinusoidale su quelle che registravano il battito del suo cuore. Prese un respiro profondo, ma non le bastò; ne prese un altro, e con un terzo si andò a sedere di fronte all'investigatrice:

«Abbiamo trovato il suo nome e quello di altri ventinove studenti su una lista tra i documenti del professore.»
«La lista degli iscritti al corso?»
«Sì... mi potrebbe dire perché ha scelto proprio il corso del professore?»
«Beh, si dice in giro che sia uno tranquillo... che fosse uno tranquillo. Poi il programma è davvero bello, era. "Shakespeare e il teatro."»
Ad Alessandra gelò il sangue.
«Come mai quest'argomento, non è inerente alla Letteratura Inglese?»
«No, il corso prevedeva l'analisi comparatistica di alcuni drammi di Shakespeare con altri, soprattutto spagnoli.»
«E ricorda qualcuno di questi drammi?»
«Beh, i più noti, il Macbeth, l'Amleto...»
Alessandra questa proprio non se l'aspettava.
«Va tutto bene?», chiese Elena mentre Federico posava sul tavolo due tazze fumanti di un caffè nero come il cielo in cui si rispecchiavano i pensieri dell'investigatrice, la quale iniziò a sorseggiarlo soltanto per fingere indifferenza.
«C'è qualcosa che dovrei sapere?», chiese Elena alla quale quel caffè parve un poco più amaro del solito.
«Nulla», rispose Alessandra freddandosi come quella tazza che reggeva.
Ringraziò politicamente i due ragazzi e lasciò loro il suo numero con la preghiera di chiamarla se gli venisse in mente qualcosa di utile.
Diede loro le spalle, mostrandogli i lunghi capelli scuri che le cadevano sulle spalle. 
Erano mossi, come lo era stata tutta la sua vita.
«Però!», commentò Federico non appena ebbe chiuso la porta.
Elena abbozzò un sorriso, ma in quel momento nello stomaco, al posto delle solite farfalle, le volava uno pterodattilo, che sentiva estinguersi man mano che lo stomaco si restringeva. 
Ali che si aprivano ogni volta più grandi in uno spazio sempre più piccolo.
   
 
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