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Autore: saitou catcher    01/09/2016    2 recensioni
C'è sempre quel momento, quel millesimo di secondo che intercorre tra l'uscita dallo stato di pastosa incoscienza e il risveglio completo, in cui Grantaire sa. È solo un istante, un breve sprazzo di comprensione che inizia e finisce col primo rapido battito di palpebre, ma è l'unico istante in cui Grantaire ricorda, o perlomeno crede di ricordare. Di ricordare la ragione di tutto questo- la ragione per la quale ogni risveglio è come il balzo in un tunnel scuro e profondo di cui lui non riesce a intravedere la fine, ma al termine del quale sa che qualcosa di orrendo è lì ad aspettarlo, qualcosa di enorme, freddo e affamato, dotato di zanne che possono luccicare nel buio, e che lo squarceranno, se solo Grantaire si lascia abbrancare.
(Song-fiction; Enjolras/Grantaire; basata sul musical Next To normal)
Genere: Angst, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Combeferre, Enjolras, Grantaire
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Next To Normal'
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Next To Normal

 

12 settembre 2016

Do you wake up in the morning and need help to lift your head?

Do you read obituaries and feel jealous of the dead?

It's like living on a cliffside not knowing when you'll dive.

Do you know, do you know what it's like to die alive?

 

12 settembre 2016. Giorno 1.Paziente Ronald Descartes. Sintomi da dipendenza da psicofarmaci, depressione cronica, autolesionisimo, frequenti allucinazioni, ripetuti tentativi di suicidio. Amnesia parziale post-traumatica.

Inizio della terapia.Paziente reduce da un ricovero in seguito all'ennesimo atto di autolesionismo.Apparentemente lucido, tranquillo, collaborativo. Porta con sé alla seduta una bottiglietta da cui non smette mai di attingere, nemmeno quando inzia a parlare.

 

C'è sempre quel momento, quel millesimo di secondo che intercorre tra l'uscita dallo stato di pastosa incoscienza e il risveglio completo, in cui Grantaire sa. È solo un istante, un breve sprazzo di comprensione che inizia e finisce col primo rapido battito di palpebre, ma è l'unico istante in cui Grantaire ricorda, o perlomeno crede di ricordare. Di ricordare la ragione di tutto questo- la ragione per la quale ogni risveglio è come il balzo in un tunnel scuro e profondo di cui lui non riesce a intravedere la fine, ma al termine del quale sa che qualcosa di orrendo è lì ad aspettarlo, qualcosa di enorme, freddo e affamato, dotato di zanne che possono luccicare nel buio, e che lo squarceranno, se solo Grantaire si lascia abbrancare.

Ma quell'unico, meraviglioso sprazzo di comprensione passa come è venuto, e Grantaire si ritrova a giacere sul letto, lo sguardo inchiodato al soffito, un improvviso senso di oppressione che gli grava sul petto e lo incatena al materasso, e nella sua mente, in quell'angolo misterioso in cui si è rintanata la memoria- ma la memoria di cosa?- sembra come lampeggiare una scritta, un avvertimento che lui non può capire.

Non alzarti. Non alzarti. Resta inchiodato a questo letto, ficca la testa sotto il cuscino, imprigiona la luce dietro la barriera delle serrande e non alzarti mai. Perché se lo fai, se ti alzi in piedi anche questa mattina e affronti il nuovo giorno, allora dovrai vivere- e come farai a vivere, povero piccolo R, se dentro al cuore sei già morto?

 

The sensation that you're screaming, but you never make a sound

Or the feeling that you're falling, but you never hit the ground

It just keeps on rushing at you day by day by day by day

You don't know, you don't know what it's like to live that way!

Like a refugee, a fugitive, forever on the run,

If it gets me it will kill me, but I don't know what I've done!

 

-Non so spiegarlo- dice Grantaire, lo sguardo fisso sul tremito costante che scuote le sue mani- è come se ci fosse qualcosa, dentro di me... qualcosa che grida, e si contorce, e si agita per venire alla luce, ma non riesco a comprendere di cosa tratti.

-Questo qualcosa, come lei lo definisce, signor Descartes- la voce dello psichiatra alle sue spalle è profonda, conciliante, l'unico suono, assieme al costante sfregare del pennino sulla carta fine del quadernino su cui appunta ogni loro seduta, a cui Grantaire ha imparato ad associare quella figura misteriosa e distante che per lui è semplicemente il Dottore- da quanto tempo è presente nella sua mente?

Grantaire resta qualche istante in silenzio, cercando di ricordare.

-È questo il problema, capisce- risponde infine, la voce rotta- io non lo so. Dottore, io non so da dove abbia origine tutto questo. Può rivoltare la mia vita come un calzino, cercare in ogni buio anfratto alla ricerca di crimini misteriosi, o di episodi violenti, o di traumi infantili... e ne troverà, mi creda, ma io so che nessuna di queste cose ha a che fare con quello che provo ora.

S'interrompe per bere un lungo sorso dalla sua fiaschetta. L'alcol scorre bruciante lungo la gola, accompagnata dal frenetico stridio del pennino contro la carta.

 

Si ricorda che il paziente è reduce da trascorsi di alcolismo.

 

Grantaire abbassa la fiaschetta e inspira rumorosamente, assaporando l'asprezza del liquore che gli si diffonde all'interno della bocca.

-È come se- continua- questo qualcosa fosse allo stesso tempo fuori di me e dentro di me... non so se mi spiego.

-In effetti, no. Può cercare di essere più chiaro?

Grantaire riflette per alcuni istanti.

-Mettiamola così- sbotta, nella voce una strana, distorta risata- è come se io avessi commesso un crimine e fossi ricercato... e io so, perché lo so, dottore, che nel momento in cui dovessi terminare la forza per fuggire e questa cosa dovesse raggiungermi, allora sarei finito, perché quello che mi insegue, qualsiasi cosa sia, ha il potere di distruggermi, una volta e per sempre. E lei può ritenere che tutto questo sia folle, può credere che sia il parto di una mente afflitta dalla depressione, e magari anche riderci sopra, ma non è questa cosa la cosa più divertente. Lo sa qual'è?- e allora Grantaire scoppia a ridere, una risata aspra, spezzata, che prende tutta la sua gola bruciata dall'alcol. -La cosa più divertente è che sono ricercato... e non so perché!

 

 

19 settembre 2016

I saw you light the ballroom

With your sparkling eyes so blue

Graceful as an angel's wing

I dreamed a dance with you

You whispered slyly, softly

You told me you would be true

We spun around a thousand stars

I dreamed a dance with you

 

-Grantaire? Sei in casa?

La voce di Combeferre penetra improvvisamente lo scroscio della doccia, e Grantaire sussulta per la sorpresa. Rapido, mentre avverte la porta aprirsi, e il suo amico farsi lentamente strada nel soggiorno affollato, chiude l'acqua e e poggia la lametta sul piano del lavandino, facendo attenzione a posizionarla dietro il flacone dello shampoo, in modo che Combeferre non la veda. Il taglio spicca rosso sul suo braccio, una linea sottile, scura e vivida in mezzo a decine ormai sbiadite, ma non appena Grantaire lo passa sotto il getto,il sangue diluisce in mille rivoli di un rosa ormai chiaro, fino a quando non rimane soltanto il bruciore.

-Grantaire? Ci sei?

-Arrivo, arrivo!- il tempo di avvolgersi rapidamente una garza attorno all'arto offeso e di infilarsi un accappatoio, e Grantaire fa il suo ingresso nel soggiorno, rabbrividendo quando uno spiffero colpisce la pelle bagnata.

-Scusami, ero sotto la doccia, non ti ho sentito arrivare- dice, strofinandosi vigorosamente uno straccio sui capelli umidi. -Ci hai messo molto ad arrivare? Ho sentito che è in corso lo sciopero dei mezzi.

-Sì, infatti, ma questa mattina sono andato in macchina al lavoro, quindi non ho avuto problemi- Combeferre sorride, ma mentre parla i suoi occhi lo stanno già sezionando, esplorando ogni singolo centimetro del suo corpo con l'acutezza di un laser, e istintivamente Grantaire rimpicciolisce, come se attraverso il tessuto fibroso dell'accapatoio il suo sguardo potesse cogliere il nuovo taglio appena inflitto.

-Meno male, ho sentito Bahorel e dice che è un inferno. Vieni, ti faccio un caffé-risponde, avviandosi verso la cucina, il finto sorriso che duole per lo sforzo di mantenerlo sul volto. Combeferre si avvia subito dietro di lui, e con la coda dell'occhio Grantaire lo coglie gettare uno sguardo al resto dell'appartamento, negli occhi quello strano sguardo circospetto che da un po' di tempo a quella parte è diventato comune a tutti i suoi amici.

-E così hai sentito Bahorel?- Combeferre pronuncia la domanda nel modo più casuale possibile mentre si accomoda in cucina, ma Grantaire può leggere la tensione nella linea delle sue spalle, nel modo in cui le dita hanno comiciato a giocherellare con l'angolo della tovaglia nel momento stesso in cui si è seduto.

-Già- anche lui risponde col tono più vago che riesce a tirar fuori, ma mentre apre la macchinetta e inizia a pulirla continua a osservare l'amico con la coda dell'occhio, registrando il lieve tremore nel suo tono di voce.

Grantaire è un ottimo bugiardo, il genere di bugiardo che crede perfino alle sue stesse bugie, e che continuerà a mentire persino sulla poltroncina dell'analista, almeno in parte. Ma è sopratutto il genere di bugiardo che riconosce i propri simili, e lui sa, sa, anche se non lo rivelerà mai, che i suoi amici gli stanno mentendo- tutti,dal primo all'ultimo, contemporaneamente, goffamente, colpevolmente, come degli adolescenti impegnati in una recita scolastica di cui nemmeno conoscono il copione. E sarebbe quasi divertente poterli smascherare, alzare il telo in un colpo e rivelare tutti i trucchi, tutte le strategie, tutti i sotterfugi, accendere le luci di scena e illuminare,tutto d'un tratto, la maschera di cera degli attori.

Ma non può farlo, e non lo farà mai, e questo per un motivo molto semplice.

Lui non sa su cosa gli stanno mentendo.

Sa quello che i fatti gli possono rivelare- che, più o meno da nove mesi a quella parte, non c'è stato giorno in cui almeno uno dei suoi amici non fosse presente a casa sua, e Grantaire non ha tuttora trovato la spiegazione del perché tutti sembrino avere le chiavi, ed è abbastanza certo che il motivo per cui Combeferre solo poche ore prima gli ha telefonato, informandolo che si era liberato prima dal lavoro e che dato che casualmente si era trovava a passare dalle sue parti, allora perché non salire a fare un saluto, sia che Bahorel si è trovato bloccato su un treno- Bahorel, che proprio quel pomeriggio doveva passare da lui.

Sa che, ogni volta che sono tutti insieme, è come se ci fosse un segreto che scorre nell'aria, un segreto di cui tutti sono a conoscenza, meno il sottoscritto. Grantaire non può indovinarne la natura, ma può vederlo, quasi palpabile, negli sguardi che intercorrono tra ognuno di loro, nelle frasi troncate a metà, in quei brevi lampi di terrore che illuminano i loro occhi, e può sentirlo nelle risate nervose di Cosette e di Courferyrac, nei sussurri che serpeggiano tra un orecchio l'altro, e nell'enfasi che carica determinate parole. È come essere spettatori di un dramma mal recitato, in cui gli attori non riescono a coordinarsi, ma che lo stesso, come tutte le rappresentazioni, cela la verità.

Ci sono momenti in cui è quasi divertenti osservarli, ma la maggior parte delle volte l'unico sentimento che riesce ad avvertire è frustazione, la stessa che prova in questo momento, mentre alle sue spalle Combeferre continua a cicalare di avvenimenti di nessuna importanza, e Grantaire teme che la faccia possa spaccarglisi per lo sforzo di mantenere il sorriso, o quanto meno un'espressione neutra.

Poi, improvvisamente, Combeferre s'interrompe. Il silenzio cala nella piccola cucina come una cappa di ferro.

-Grantaire...- sussurra la sua voce dopo alcuni istanti, ridotta a un basso fremito carico di orrore- che cos'è questo?

Grantaire si volta, la macchinetta fumante in mano, e vede Combeferre che fissa un foglio di carta con occhi dilatati, la mano percorsa da un lieve tremito, il respiro improvvisamente mozzo.

Preoccupato, si avvicina e gli sfila il foglio di mano, gettandogli una rapida occhiata. -Oh, questo?- chiede, posandolo di nuovo sul tavolo. -Niente di che, solo lo schizzo di un ragazzo che ho visto al caffé l'ultima volta che ci siamo andati. È tanto brutto?

L'ultima frase voleva essere una battuta, ma l'effetto non è quello desiderato. Combeferre sembra sull'orlo di un completo attacco di panico.

-Un... ragazzo?- l'ultima parola sembra uscirgli dalla gola in un rantolo. -E quando lo hai visto?

Grantaire gli lancia un'occhiata preoccupata. -'Ferre, sei sicuro di stare bene?

-Rispondi- più che una richiesta, è un ordine, carico di disperata urgenza.

Grantaire è sempre più inquieto, ma cerca di non darlo a vedere. Si siede al tavolo e aggrotta le sopracciglia, cercando di ricordare. -Allora, vediamo... mhhh, giovedì scorso?- gli lancia un'occhiata interrogativa. -È quando io sono venuto prima al Musain perché stavo alla mostra. Stavo attraversando il marciapiede, quando ad un certo punto l'ho visto, seduto al tavolo che di solito occupiamo noi, ma quando poi sono entrato per controllare non l'ho più visto.

Grantaire tace, improvvisamente a disagio. Qualcosa, in quell'incontro, ha continuato a smuoverlo per tutti i giorni seguenti, ma non sa dire cosa sia. Sa solo che la notte stessa ha dovuto alzarsi, in preda a una frenesia improvvisa, e la sua mano si è mossa sulla carta come animata da una forza misteriosa, tracciando i lineamenti del volto più perfetto che abbia mai visto, e lentamente, sotto la sua mano, il viso delicato, il naso greco, le labbra perfette e i boccoli biondi hanno preso forma, quasi senza sforzo, come se quello fosse un volto che Grantaire è abituato a disegnare da lunga pezza.

Quando ha finito, ha allontanato il foglio, e ha osservato con occhio critico la sua opera. Apollo, si è detto tra sé, ha disegnato Apollo. Non c'è altro modo per definire quella specie di dio greco di cui ha incrociato lo sguardo quasi per caso, e per un attimo, osservando il disegno, Grantaire si chiede se quel ragazzo che ha incontrato al bar possa essere davvero stato così perfetto.

 

-Dopo, Combeferre ha dato di matto. Giuro, non l'ho mai visto comportarsi così. Sembrava impazzito. Ha continuato a chiedermi se avevo preso le pillole, se mi ero fumato qualcosa, e così via. Quando è uscito, sembrava uno che avesse visto un fantasma.

La penna dietro di lui cessa un attimo di scrivere.

-Ha idea di cosa possa aver causato questa reazione, signor Descartes?

Grantaire scrolla le spalle. -Sinceramente, no. Voglio dire, era solo un disegno.

-E questo... ragazzo, che dice di aver incontrato, l'ha visto altre volte? Ha idea di chi possa essere?

Grataire esita un attimo, prima di rispondere. Perché c'è qualcosa che non può dire, nemmeno al dottore. Non può dirgli che, dal giorno in cui ha casualmente incontrato il suo sguardo nel bar- quello sguardo triste, così triste, e allo stesso tempo arrabbiato, come se lo stesse accusando di qualcosa- ha avuto una strana sensazione, come se la bestia che dimora in un angolo della sua mente si fosse in qualche modo ridestata, come se la creatura che si agita, e grida dentro di lui per venire alla luce abbia lanciato un grido più forte, di cui lui tuttavia non riesce a comprendere le parole. È come se lui conoscesse quel ragazzo, si dice, e un angolo folle del suo cervello pensa che anche per l'altro valga la stessa cosa- altrimenti, perché lo guarderebbe in quel modo, come se si sentisse tradito?

-No- risponde infine- Non l'ho più incontrato da allora. Ma è da quel giorno che, tutte le notti, quando vado a dormire faccio... sogni.

Di nuovo, la penna si arresta.

-Sogni? Che tipo di sogni, signor Descartes?

 

Ricorda una voce, dura come il marmo, fredda come il ghiaccio, bella come si suppone debba essere quella degli angeli, che gli sputa addosso parole di disprezzo e di derisione.

-Grantaire, tu sei incapace di credere, di pensare, di vivere, e di morire.

 

Ricorda occhi più azzurri del cielo, che lo scrutano come si studierebbe un insetto, e ricorda di aver visto lo sguardo in quegli occhi cambiare, passare alla comprensione, alla simpatia, e infine alla contemplazione, come se lui fosse l'essere più meraviglioso del mondo.

-Smettila di guardarmi così, Apollo. Sei tu quello perfetto, qui.

-Non dire cavolate. E non chiamarmi Apollo. Lo sai che mi da fastidio.

-Mmm, dici? Allora mi sa che lo dirò molto spesso.

-Vorrà dire che troverò il modo di tapparti la bocca.

-Non chiedo di meglio.

 

Ricorda baci. Tanti baci, sulla bocca, sulla spalla, su ogni centimetro di pelle che riesce a scoprire, e ricorda notti che vorrebbe che non finissero mai, notti che ha trascorso osservando un volto addormentato, tracciandone i contorni con una matita, e poi direttamente con le labbra, fino a quando non lo ha svegliato.

 

Ricorda il sangue. Sangue sulle sue mani, sui suoi vestiti, ovunque, sangue che gli imbratta persino il volto, sullo sfondo il canto di morte delle sirene.

-Apollo,non ti azzardare a morire, mi senti? Fai qualunque cosa, ma non azzardarti a morire, non provarci nemmeno, brutto bastardo! Apollo, ti prego, farò qualunque cosa, ma non azzardarti a morire, non morire, non morire, ti prego, tutto ma non morire! Ti prego, ti prego, Apollo, io ti amo, non morire, resta con me, resta con me...

 

-Solo sogni. Non hanno qualcosa di particolare.

 

 

21 settembre 2016
I’m alive, I’m alive,

I am so alive!

And the medicine failed

and the doctors lied.

I’m alive, I’m alive,

I am death defied!

 

-Grantaire.

La voce non è altro che un sussurro sommesso, ma basta per strappare Grantaire alla coltre pastosa del sonno. Le palpebre vibrano, si sollevano lentamente, e i suoi occhi registrano, nell'oscurità rotta solo dalle sottili stricie di luce che penetrano dalle persiane, una figura seduta sul bordo del letto, gli occhi azzurri brillanti persino in quel buio completo.

Non ha bisogno di vederlo per sapere che è il ragazzo che ha incontrato al bar, lo stesso ragazzo che da quel giorno ha continuato a vedere nei luoghi più impensati, ma questo non lo ha detto a nessuno- nemmeno al dottore. Non ha bisogno di vederlo per sapere che è lui, e che sul volto ha sempre quello stesso guardo, come se lo accussasse di qualcosa, come accusasse Grantaire di averlo tradito.

Si solleva lentamente a sedere. -Apollo.

Un fremito attraversa quel viso perfetto.-Sai che odio quando mi chiami così.

Grantaire lo osserva, lo osserva attentamente, il viso perfetto, le labbra scolpite, il naso lungo e dritto, gli occhi azzurri, e una consapevolezza improvvisa lo colpisce con la forza di un martello.

-Tu sei morto.

Non sa come faccia a saperlo. Non sa perché lo dica, perché quel ragazzo che adesso sta sognando lui lo ha visto solo pochi giorni prima, vivo, e nulla di questa improvvisa rivelazione ha senso, ma lui sa che è così. È come quel momento del risveglio in cui sa di sapere, e quello che sa è la verità.

-Morto?- Apollo sorride, e qualcosa dentro Grantaire si contorce e si spezza, perché quello è il sorriso più bello che abbia mai visto- No, Grantaire, io non sono morto- la sua mano si allunga, gli sfiora la guancia, e lui può sentirla, calda e morbida, e liscia. -Io sono qui, dove sono sempre stato. Sono qui, con te- il suo viso s'indurisce improvvisamente. -Ma tu mi hai dimenticato.

-No- è la risposta, sussurrata- Tu sei morto. Non mi ricordo nulla, ma questo lo ricordo.

-Che cosa ricordi?

-Ricordo il sangue. Ricordo il sangue, e il terrore, e la morte. Ricordo le lacrime sulle mie guance e il grido incastrato nella mia gola. Ricordo una macchina che ha smesso di funzionare e un cuore che ha smesso di battere. Non era il mio. Ma non ha fatto molta differenza, alla fine.

-No- conferma il fantasma, o il sogno, o qualunque cosa sia questo ragazzo perfetto- Non l'ha fatta- la sua mano è ancora sulla guancia di Grantaire, calda, e morbida, e viva, e serra lievemente la presa, come se volesse aderire ad ogni centimetro del suo volto, come se volesse sprofondare fin dentro le ossa. Il suo volto è un po' più vicino, adesso, e Grantaire chiude gli occhi, perso nei battiti impazziti del proprio cuore, perché tutto questo è troppo reale per essere solo un delirio della sua mente intrappolata dalla pazzia.

-Perché sei qui?- chiede-Perché non mi lasci andare?

-Lasciarti andare?- e persino attraverso lo schermo delle palpebre chiuse, Grantaire può percepire che Apollo sta sorridendo-Io sono te, e tu sei me, Grantaire. Non c'è una via d'uscita. Non c'è mai stata. Che tu lo voglia o meno, io ti starò accanto, ogni giorno, ogni momento, anche quando la tua mente non sarà ormai che una candela barcollante al soffio della tua follia. Sarò accanto a te sull'autobus quando ti alzerai per andare al lavoro, sarò il volto che disegnerai su ogni foglio che ti capiterà sotto gli occhi, sarò l'ossessione che non ti farà dormire, sarò l'ultimo colpo di lama che calerà a sfilacciare quei pochi brandelli che ancora restano della tua mente.

-Perché?- sussurra Grantaire, e le lacrime bruciano sulle sue guance come acido, gli serrano la gola in una stretta d'acciaio-Perché mi fai questo?

-Perché tu mi hai dimenticato- e adesso la voce è più dura, metallica, la voce squillante dell'Arcangelo che nel Giorno del Giudizio chiama a raccolta i dannati- Perché la medicina ha mentito, i dottori hanno mentito, i tuoi amici hanno mentito- tutti, tutti loro, Grantaire, dal primo all'ultimo, ma tu glielo hai permesso. Hai lasciato che mi portassero via da te, hai lasciato che mi uccidessero.

-Tu sei morto.

-Non per te. Mai, per te. Hai detto che credevi in me, Grantaire. Credi a questo. Credi adesso.

E poi, le labbra della visione sono sulle sue, e Grantaire può solo aprire le proprie e ricambiare il bacio, mentre dentro il suo petto una mano serra e torce il suo cuore come uno straccio, e allo stesso tempo il dolore sembra attenuarsi un po', come se fosse giusto così, come se lo strappo nella sua anima improvvisamente sia stato ricucito... o i suoi lembi semplicemente accostati.

Poi, il bacio finisce, ma Grantaire non ha ancora il coraggio di aprire gli occhi. Il sapore che indugia sulle sue labbra è quanto di più amaro e dolce abbia mai assaggiato... e per un istante si chiede come faccia a sembrargli così familiare.

Una mano sfiora di nuovo la sua guancia.

-Grantaire.

Lui non risponde.

-Apri gli occhi.

 

Grantaire apre gli occhi.

Non sa per quanto tempo rimane disteso sul letto, annichilito, inerte, avvolto nell'oscurità liquida della stanza. Non sa per quanto tempo fissa il vuoto, attendendo, sperando, eppure sapendo.

Non sa quanto tempo ci mette a rendersi conto che sta piangendo.

Alza lentamente una mano, e le lacrime scoppiano in piccole scie umide sui suoi polpastrelli, e per un istante tutto quello che può fare è osservarle incantato, mentre loro continuano a scendere, calde, salate, acide.

E poi il dolore esplode dentro di lui- lancinante, devastante, il dolore pulsante di un arto strappato, la sofferenza fantasma di qualcosa che non c'è, eppure è ancora lì, abbastanza presente da farlo sanguinare, abbastanza presente da farlo piegare e contorcersi in due sul materasso, il vuoto nel suo petto che si spalanca dentro di lui e diventa una voragine, fino a inghiottire persino le lacrime.

È troppo, pensa Grantaire, mentre il panico improvviso gli serra la gola, è troppo, non posso sopportarlo.

Si alza, barcollante, la stanza che ruota a velocità furiosa intorno a lui, e si dirige verso il bangno, brancolando da una parete all'altra, ignorando il dolore acuto quando urta gli spigoli dei mobili, e irrompe nel bagno, ansimante, piegato in due, un grido che vuole esplodergli in gola.

Le sue mani calano sull'assortimento di medicinali che popola il lavabo e lo rovesciano sul pavimento con un fragore assordante di vetro infranto, poi le sue dita tremanti si serrano convulsamente su una scatoletta bianca e piatta, dall'aria apparentemente innocua. Annaspando, tutto il suo corpo scosso da un fremito convulso, Grantaire la apre. Cinque o sei pillolline azzure si rovesciano sul suo palmo. Le guarda per qualche istante, attraverso la nebbia che sembra essergli calata sugli occhi, e per un secondo una risata strozzata sta per risuonargli sulle labbra. Non funzionerà, lo sa, non attutiranno mai il dolore, ma se Dio è misericordioso- e ammesso che esista- allora lo stordiranno per tutto il tempo sufficiente... magari per l'eternità.

Senza darsi il tempo di ripensarci, getta indietro la testa, e la sua mente accoglie con un grido di solllievo il sapore polveroso che gli annuncia la libertà, mentre tutto il contenuto della scatolina gli si rovescia in gola. Quando anche l'ultima viene ingoiata rimane fermo in mezzo al bagno per quelli che gli sembrano secoli, una mano ancora stretta attorno alla scatolina, e le scie delle lacrime che gli seccano sulle guance.

Poi, il mondo intorno a lui si ribalta- e mentre cade, e la sua testa non avverte il dolore dell'urto contro il lavabo, Grantaire può solo pregare di non risvegliarsi più,

 

 

16 ottobre 2016

They've managed to get rid of me,
Returned me to the grave
ECT, electric chair, we shock who we can't save
They've cleared you of my memory,

and many more as well

You may have wanted some of them,

but who can ever tell?
Your brainwaves are more regular,

the chemistry more pure
The headaches and the nausea will pass and you'll endure
Your love is gone forever though, of that the doctor's sure

 

Ovviamente, si è risvegliato,

Avrebbe dovuto aspettarselo, in fondo- mai una volta che la vita abbia rinunciato a un'occasione di fare la stronza con lui, e del resto, questa deve essere la prova definitiva che Dio esiste, perché Grantaire l'ha insultato talmente tante di quelle volte che non c'è da stupirsi se adesso è deciso a rendere la sua esistenza un totale inferno.

Non che prima fosse molto meglio... per quello che può ricordare.

-È proprio una fortuna che a quest'ora non ci sia traffico, considerato il ritardo con cui sei sceso stavamo seriamente rischiando che Combeferre si facesse una sciarpa con le nostre budella!

Grantaire non risponde, lo sguardo ostinatamente fisso oltre il finestrino. Al di fuori del vetro, il cielo di ottobre è plumbeo, e di tanto in tanto qualche gocciolina imperla la lastra trasparente. Sarebbe una scena molto suggestiva da riprodurre, ma Grantaire non tocca i pennelli da quasi un mese, ormai. Se si eccettuano quei periodici risvegli nel cuore della notte per disegnare un volto sconosciuto. Ma anche in quel caso, basta rivolgersi al dottore, e tutto torna nei binari della sua grigia normalità.

Davanti a lui, Courfeyrac continua a cicalare, mentre al suo fianco Jehan rimane in silezio, sulle labbra il solito sorriso evanescente. Il poeta sembra essere l'unico estraneo alla cospirazione in cui da qualche tempo sembrano coinvolti tutti gli amici di Grantaire, ma il pittore non ha ancora capito se è per il distacco che Prouvaire applica a tutte le cose, o semplicemente perché ha compreso prima degli altri l'inutilità del tentativo.

Con un sospiro, appoggia una mano alla fronte, cercando di trattenere una smorfia di dolore. Dal giorno del suo “tentato suicidio”- annullamento, come lo definirebbe lui- le emicranie sono sempre più frequenti, e con esse le nausee, ma il dottore gli ha assicurato che è perfettamnte normale. Il trauma cranico unito ai frequenti medicinali possono avere degli effetti collaterali, ma Grantaire deve fidarsi del dottore. Se lo farà-così lui dice-andrà tutto bene.

Andrà tutto bene, certo. Come se lui potesse crederci.

Ma se non altro, una nota positiva c'è. Ha smesso di sognare il ragazzo. Non lo vede più ovunque si volti, dopo i primi giorni non si è più alzato nel cuore della notte per tratteggiare i contorni di un volto che non riesce più a ricordare, e quando dorme, il lucore evanescente del sogno sparisce, per lasciare spazio alla pastosa nebbia dell'ottenebramento. Non prova più quel dolore lancinante che sembra volergli strappare il cuore dal petto, semplicemente perché gli manca l'energia- l'energia per sentire, l'energia per vivere.

Come vede, tutto procede nella norma, monsieur Descartes, gli ha detto l'ultima volta il dottore con un sorriso, la scomparsa dei suoi sogni significa che si sta avviando verso la stabilità.

Meraviglioso, sembrano pensare tutti, forse questa è la luce alla fine del tunnel.

Ma allora perché Grantaire si sente così disperatamente vuoto?

 

Quando arrivano al Musain tutto è già stato approntato per l'ennesima festa, l'ennesima finzione arricchita di festoni luccicanti e palloncini colorati, ma Grantaire non dice nulla, si sforza di sorridere, e abbraccia tutti i presenti, cercando di ignoare quanto emaciato e distrutto appaia il suo riflesso nei loro occhi.

-Dio, Grantaire, oggi sei proprio uno schianto!- gli dice Eponine con una risata, mentre si alza sulle punte dei piedi per baciarlo sulla guancia.

Grantaire ridacchia in risposta, e riesce a tirare fuori uno stentato- Mai quanto te, gioia- ma dentro di sé vorrebbe vomitare.

Una volta mi avresti detto sinceramente che stavo una merda, poi mi avresti preso in un angolo e mi avresti riportato a schiaffi alla normalità. Cosa c'è che ti frena adesso, Eponine? Di cosa hai paura? Falsi, falsi, siete tutti falsi. Credete di poter salvare qualcosa che è già rotto, ma ormai siete alla fine. Non preoccupatevi ancora. Presto non ci sarà più bisogno di portare avanti questa vostra farsa da guitti. Sta per calare il sipario.

Il resto della serata non trascorre molto meglio.

Grantaire la passa per la maggior parte accasciato in un divano nell'angolo, intento a ingurgitare bicchieri su bicchieri di schifosissima aranciata-perché il buon Dio sta facendo le cose per bene, lassù, e il dottore è stato molto chiaro sull'evitare gli alcolici- osservando i suoi amici ridere e scherzare, e discutere di qualche nuovo avvenimento politico su cui lui non è informato. Di tanto in tanto alcuni lanciano occhiate nella sua direzione, e poi si riuniscono nell'angolo a parlottare, i volti gravi e decisi, e carichi di un'espressione disgustosamente compassionevole.

Non ci vuole un grande sforzo di immaginazione per intuire di cosa stanno parlando: del suo recente tentativo di suicidio, della lavanda gastrica a cui l'hanno sottoposto, delle quattro settimane passate in ospedale, del nuovo, ennesimo percorso di terapia che il dottore ha intrapreso con lui, e che, come tutti gli altri, non sta avendo successo.

Non che a Grantaire importi molto, in realtà.

Quello di cui veramente vorrebbe sentire è l'altra cosa- quella per cui i suoi amici avvicinano ancora più i volti per bisbigliare, quella per cui lanciano brevi fugaci occchiate nella sua direzione per assicurarsi che non abbia sentito.

Non affannatevi tanto, gioie, prima o poi lo scoprirò. Questa buffonata non può durare ancora a lungo.

Poi, improvvisamente, senza che nessuno l'abbia previsto, semza che nessuno abbia potuto bloccarla, la miccia esplode.

Succede in modo del tutto innocente- con Feuilly che si volta verso Grantaire abbandonato sul divano e gli chiede con un sorriso stentato:-Allora, Grantaire? Come va adesso che sei finalmente tornato a casa?

Grantaire alza lentamente lo sguardo su di lui. Un furore cupo, freddo, si spande per tutto il suo volto. E quando prende un profondo respiro, la rabbia si accumula, ed eccola, gelida e rovente al tempo stesso, senza più nessuna diga a trattenerla.

-Come va?- chiede, a voce molto, molto bassa.

 

It’s been four weeks since the treatment,

And my mind is still a mess

And what’s left of me remembered

Well, it’s anybody’s guess.

Cause my past is like the weather,

It will come and it will go

I don’t know, even know

What it is that I don’t know!

 

-Come va?- ripete, questa volta a voce più alta, mentre con cautela si alza, e stringe più forte il bicchiere. -Come va?- dice per la terza volta, e la sua voce si spezza in un ringhio- Oh, va benissimo, Feuilly. A meraviglia. Non potrebbe andare meglio. Certo, dopo quattro settimane di trattamento ancora mi sveglio la notte col desiderio di uccidermi, ma in fondo, cosa conta questo? Tanto va tutto bene!

Le ultime parole le ringhia avanzando di scatto, e Feuilly istintivamente si ritrae, gli occhi sbarrati, mentre Grantaire si ferma al centro della stanza, le cornee rosse e il respiro affannato.

-Per voi va tutto bene- sussurra, la mano che stringe la presa sul bicchiere fino a incrinarlo- Certo, va tutto bene per voi che ricordate, e non provate la sensazione di impazzire ogni giorno perché la vostra stessa mente vi tradisce, dicendovi che c'è qualcosa, qualcosa di molto importante che voi avete dimenticato. Va tutto bene per voi che non dovete convivere ogni giorno con la sensazione che qualcosa vi sia stato strappato, lasciando al suo posto un buco sanguinante che niente può riempire. Va tutto bene per voi che sapete e non dovete vedere ogni giorno i vostri amici impegnati a ballare come burattini intenti a recitare una qualche stupida, fottuta farsa!

La sua mano scatta, il vetro s'infrange con un rumore secco, e da qualche parte risuona un grido.

-Grantaire!- tuona Combeferre con voce ferma.

-STA ZITTO!-ruggisce Grantaire, e tutti si ritraggono al suo grido. -Sta zitto. State tutti zitti. Non provate a parlare. Voi non sapete niente... non avete idea!

 

I don't know, the things I don't know.

I'm sure something's missing... I wish it would show!

I don't know, you say take it slow,

And I do, although, how I do, I don't know!

 

-Hai un'idea, Combeferre?- Grantaire si volta verso di lui e avanza, gli occhi fissi e scintillanti- Hai una minima idea di cosa significhi vivere con la consapevolezza che qualcosa ti è stato strappato via? E voi, Eponine, Feuilly, Courfeyrac...- si volta a guardarli- Qualcuno di voi ha una minima idea di cosa voglia dire sapere di aver dimenticato qualcosa, e non sapere nemmeno cosa sia? Sapere che c'è qualcosa che dovreste ricordare e non riuscire ad afferrarne nemmeno un barlume? Andare avanti con la costante consapevolezza di non essere completi?

Si ferma, ansimante, si guarda intorno. I volti dei suoi amici sono pallidi e stravolti davanti a lui, i loro occhi carichi di uno sguardo improvvisamente colpevole.

Poi, Eponine gli si avvicina, esitante, tende una mano verso la sua spalla. -Grantaire, ascoltami...

-NO, ADESSO VOI MI STATE A SENTIRE!- non la tocca nemmeno, ma l'urlo è così forte che la ragazza scatta all'indietro come se le avesse dato uno spintone, barcollando. Grantaire si volta verso di lei, il respiro spezzato, gli occhi che bruciano, e dardeggia su tutti loro un'occhiata feroce, contemplando, gustando la paura che è sorta nei loro volti.

-Grantaire- Combeferre ci riprova, la voce bassa e pacata, appena scossa da un tremito. -Grantaire, ascoltami. Non ha senso aggredirci così. Perché non ti calmi, ti siedi e ne parliamo?

Per la prima volta, lo scettico fissa lo sguardo su di lui. Il movimento affannoso del petto gradualmente si regolarizza. -Sì, hai ragione, Combeferre- risponde con una voce tanto più bassa da essere quasi spaventosa, in confronto all'urlo di poco prima. -Sì, hai ragione, Combeferre, parliamo. Potremmo cominciare, per esempio...- con mani tremanti si fruga nelle tasche dei pantaloni fino a tirarne fuori un foglio spiegazzato, e poi lo apre con uno scatto secco-... da questo.

Attorno a lui, tutti trattengono il respiro. Cosette si porta le mani alla bocca. Courfeyrac deve appoggiarsi a Jehan per non cadere. L'orrore negli occhi di Combeferre è troppo tangibile per essere ignorato. E allora qualcosa dentro Grantaire esulta- perché tutte le bugie stanno per terminare, tutte le maschere stanno per cadere. Finalmente, dopo tanto vagare, la soluzione è arrivata. Cala il sipario.

Combeferre fissa il disegno per un tempo che pare infinito, e dentro di lui sembra svolgersi una lotta silenziosa. Poi prende un lungo respiro e alza lo sguardo. -'Taire...

-Chi è questo ragazzo, 'Ferre?- lo interrompe Grantaire, avanzando, il foglio stretto convulsamente nella sua mano che trema. -Perché me lo trovo davanti ad ogni respiro? Perché continuo a fare dei sogni che lo riguardano? Perché ho l'impressione che tutti voi lo sappiate...- la sua voce si spezza-... e non me lo vogliate dire.

-Oh, adesso basta!- sbotta una voce, prima che Combeferre possa rispondere.

E poi, con enorme sorpresa di Grantaire, è Bahorel che si fa improvvisamente avanti, tra gli sguardi atterriti dei loro compagni.

-Questa storia è durata troppo a lungo- dice. Quindi avanza verso Grantaire.

-Bahorel, no!- grida Courfeyrac, la voce stridula per il terrore- Cosa diamine stai facendo? Sei impazzito? Non possiamo...

-Vaffanculo te e tutte quelle stronzate psicologiche, Courf!- ruggisce l'altro, voltandosi verso di lui-Abbiamo provato per nove fottutissimi mesi a fare come ci era stato spiegato, e guarda dove siamo arrivati! Così non lo stiamo aiutando. Così lo stiamo uccidendo. È ora di finirla, una volta per tutte.

Si gira di nuovo e riprende ad avanzare verso Grantaire, che improvvisamente è come se fosse inchiodato al pavimento. Lo afferra per le spalle, e poi lo guarda, così intensamente che sembra voglia leggergli dentro.

-Grantaire- gli dice, in un tono molto strano, come se lui fosse molto lontano , e non lo

potesse capire- Grantaire, mi rivolgo a quella parte di te che ancora può comprendermi. So che non riesci ad accettarlo. So che fa male. Ma devi fartene una ragione.

Abbassa lo sguardo. Le sue mani si stringono sulle spalle di Grantaire, come se volessero sostenerlo contro qualcosa di terribile. Prende un profondo respiro.

Poi alza lo sguardo.

-Lui non è qui- dice.

 

He's not here,

He's not here

Love, I know you know

Do you feel is still real?

Love, is just not so

 

Le sue parole affondano lentamente nelle sabbie mobili della mente di Grantaire.

-Lui non è qui- ripete Bahorel. -E non può tornare. 'Taire,'Taire, ti prego... se sei ancora lì da qualche parte, ascoltami. Tu sai che è vero. Non puoi aver dimenticato. Non puoi crederci ancora.

 

 

Why is it you still believe?

Do you dream or do you grieve?

You've got to let him go

He's been dead...

 

Attorno a loro, nessuno parla. Nessuno si muove. I secondi passano, e sembrano ore.

-Grantaire- ripete Bahorel, a voce bassa, spezzata. -Grantaire. Ti prego.

Alza lentamente una mano, gliela porta alle guancia. Una lacrima scivola sul suo volto.

-Se da qualche parte, in quel pozzo buio in cui sei sprofondato, puoi ancora sentirmi, allora torna da noi. Smettila di farti del male. Non puoi distruggerti così. Devi lasciarlo andare.

Ancora silenzio.

E poi, Bahorel lo dice.

-Enjolras è morto, Grantaire. Devi lasciarlo andare.

Il tempo si ferma.

Bahorel lascia scivolare le mani giù dalle spalle dell'altro. Fa un passo indietro.

Grantaire rimane immobile esattamente dov'era. I suoi occhi sono sbarrati, ma non vedono. Resta in quella posizione per quello scorre come un tempo infinito, immobile come una statua, il volto pallido, inespressivo.

Imporovvisamente si muove. Indietreggia di un passo. Poi di un altro. E qualcosa balena nei suoi occhi- dolore, o forse ricordo.

E poi, Grantaire volta la schiena di scatto e fugge, fugge come se avesse alle calcagne i demoni dell'inferno, e corre, corre, nemmeno lui sa verso cosa.

Il boato della porta che si chiude alle spalle continua a riverberare nel locale per molto tempo.

 

Quando Combeferre arriva a casa sua, alcune ore dopo, l'appartamento è completamente immerso nel buio. I cocci di vetro si sbriciolano sotto i suoi piedi quando avanza lentamente mel corridoio, le tracce della distruzione che si delineano vagamente nell'oscurità.

-Grantaire?- chiama.

Poi lo trova.

La stanza da letto è completamente ribaltata. Gli armadi sono spalancati, il loro contenuto sparso tutt'intorno a loro. Nelle cornici devastate delle foto, i sorrsi congelati si spaccano in mille piccole crepe.

Grantaire è in ginocchio in mezzo a tutta quella devastazione, tra i cassetti ribaltati e gli indumenti sparsi, tra i cocci di vetri e il sangue che gli imbratta le mani, ma nienete di tutto questo sembra importargli. Nel buio, è solo una piccola figura contorta sul pavimento, le braccia avvolte intorno a qualcosa che Combeferre non può scorgere.

-Grantaire?- chiama il ragazzo. Allunga una mano, trova l'interruttore. E allora, la vede.

Grantaire è in ginocchio sul pavimento e piange, piange come non ha mai pianto in tutti questi nove mesi, piange come se volesse strapparsi il cuore, tra le mani stringe una giacca rossa- non una giacca, ma la giacca, quella giacca che tutti hanno cercato così disperatamente di dimenticare, quella giacca che è stata l'unica cosa a salvarsi dalla loro opera di distruzione, e ancora oggi Combeferre non sa dire se sia stato per una loro dimenticanza, o semplicemente perché in fondo lor sapevano che prima o poi, questo giorno sarebbe arrivato.

Avanza di un passo. Grantaire alza la testa e si volta a guardarlo. Le lacrime hanno tracciato scie roventi sulle sue guance, e il dolore che traspare dai suoi occhi è così vivo, così reale, che Combefere se ne sente come colpito fisicamente.

-Combeferre- sussurra Grantaire- ho ricordato.

Non c'è bisogno di chiedere cosa.

-Ho ricordato Enjolras.

 

 

How could I ever forget?

Screaming at doctors

Alarmed, upset

They said to wait

They never said we were too late

[…]

Those weeks full of joy, then a moment of dread

 

Il battito dei suoi piedi che colpiscono ritmicamente l'asfalto si riverbera per tutto il suo corpo, mentre Grantaire corre, corre fino a farsi scoppiare il cuore, e intanto prega, lui che non crede in nulla, prega che non sia troppo tardi, prega che niente sia andato storto, mentre il terrore gli mette le ali ai piedi e gli chiude la gola.

La protesta si dipana davanti a lui come la scena di un massacro, tra le nubi dei lacrimogeni, le grida inferocite della folla e gli ordini secchi della polizia. Grantaire si ferma, il cuore che gli batte all'impazzata, e fruga la massa con gli occhi cercando disperatamente di scorgere i volti dei suoi amici.

Il sollievo gli esplode nel petto con un'intensità quasi dolorosa quando li trova.

-Courfeyrac! Combeferre!- urla con quanto fiato ha in gola, e si lancia verso di loro, l'anima che già si leva in una preghiera di ringraziamento, e poi frena bruscamente, mentre il suo cuore manca un colpo, e gelidi fili di terrore si propagano lungo il suo petto.

Courfeyrac e Combeferre sono in ginocchio e urlano mentre scuotono una figura stesa in mezzo a loro, e Grantaire non ha bisogno di riconoscerla, anche se giace accartocciata in una pozza di sangue, anche se il tricolore che stringeva in mano adesso resta spiegazzato tra le dita inerti, non ha bisogno di sentire i suoi amici urlare il suo nome, prima di capire.

-Enjolras- sussurra.

 

Il lampeggiare ossessivo delle luci rosse e blu dell'ambulanza, lo stridio lacerante della sirena, e il terrore, il terrore che accelera i battiti del cuore di Grantaire fino a farlo uscire dal petto, il terrore che blocca la sua mente in un'unica, ossessiva consapevolezza, mentre dalla sua bocca erutta un fiume di parole prive di senso, che non potranno salvarlo, che non potranno salvare nessuno.

-Apollo,non ti azzardare a morire, mi senti? Fai qualunque cosa, ma non azzardarti a morire, non provarci nemmeno, brutto bastardo! Apollo, ti prego, farò qualunque cosa, ma non azzardarti a morire, non morire, non morire, ti prego, tutto ma non morire! Ti prego, ti prego, Apollo, io ti amo, non morire, resta con me, resta con me...

Ma Enjolras non risponde, gli occhi chiusi, la pelle fredda sotto le sue dita, e Grantaire può solo prendere tra le mani la sua testa fracassata dal manganello, affondare le dita nei riccioli rossi di sangue, e pregare.

 

La corsa nei corridoi dell'ospedale, mai abbastanza veloce, mai abbastanza in tempo, e poi un dottore lo spinge con decisione via dalla barella, e Courfeyrac e Combeferre lo devono trattenere, mentre lui urla, disperato, contro chi o cosa non lo sa nemmeno lui.

-Non potete tenermi qui, maledetti! Io devo salvarlo, devo salvarlo, io devo andare, restare con lui...

Ma la porta della sala operatoria si chiude, sorda alle sue preghiere. Nessuno gli ha mai detto che è troppo tardi, che non c'è speranza. Ma in qualche modo, per Grantaire, il tonfo di quella porta è la fine di tutte le sue speranze.

 

 

 

Someone simply says

Your love* is...

 

Cammina avanti e indietro da quelle che sembrano ore, divorando il il piccolo tratto di corridoio, mentre, accanto a lui, Courfeyrac e Combeferre giacciono abbandonati sulle sedie, senza osare muoversi, gli occhi fissi, senza quasi respirare.

Ma quando la porta si apre, tutti e tre si voltano di scatto- e il dottore avanza verso di loro, lento, così lento, mentre si sfila dalle mani i guanti insaguinati.

Si ferma davanti a Grantaire e alza la testa pwer guardarlo negli occhi. Sul suo volto non c'è nulla.

-Mi dispiace, signore- è tutto quello che dice- Il suo compagno è morto.

Il suo compagno è morto.

Così. Semplicemente. Cinque parole per mandare in frantumi i suoi sogni.

Grantaire lo guarda.

Lo guarda ancora.

Grantaire cade.

Non avverte le sue ginocchia impattare contro il pavimento. Non sente Courfeyrac piangere alle sue spalle, mentre dietro di loro Combeferre rimane immobile- impietrito dall'orrore. Non ode il dottore correre a chiamare un'infermiera, nemmeno si accorge di quando la sua coscienza scivola via, e tutto diventa nero, lasciando un'unica parola-morto, morto, morto- a lampeggiare nella sua oscurità.

 

Quando si risveglia, è steso su un lettino. La luce al neon lo colpisce violentemente, e la prima cosa che vede è Combeferre chino su di lui, gli occhi dilatati dalla preoccupazione.

-Grantaire- lo chiama- Grantaire, come stai?

Chiude gli occhi, si passa una mano sulla fronte. -La testa- geme- Mi fa un male tremendo. Che cosa è successo?

Combeferre scambia un'occhiata con qualcuno alle sue spalle, quindi si china su di lui e gli stringe forte una spalla.

-Grantaire- sussurra- devi essere forte. Enjolras...- deglutisce- Enjolras è morto.

Grantaire lo fissa, aggrottando la fronte.

-Chi è Enjolras?

 

How could I ever forget?

(How could I ever forget?)

This was

the moment my life was set

That day that I lost you

It's clear as the day we met

 

-Lo avevi dimenticato- sussura Combeferre quando Grantaire finisce di raccontare- Avevi dimenticato Enjolras.

Si sono trasferiti sul divano in soggiorno. Grantaire stringe ancora in mano la giacca di Enjolras ma ha smesso di piangere. Accanto a lui, Combeferre tiene ostinatamente fisso lo sguardo su qualcos'altro, le dita che giocherellano col portachiavi.

-Quando ti svegliasti- la sua voce è molto bassa e roca, come se in qualche modo stesse cercando disperatamente di trattenere le lacrime- il dottore ci spiegò che quanto era successo era perfettamente normale. Si trattava di un meccanismo di difesa che il tuo inconscio aveva attivato per proteggere la tua integrità fisica. La tua mente non poteva sopportare il trauma, e così reagiva cancellandolo.

China lo sguardo, e beve un lungo sorso della vodka che Grantaire ha versato ad entrambi.

-I dottori ci dissero che avremmo dovuto assecondarti- continua con voce appena più stabile- che, finché non fossi stato in grado di rielaborare il trauma, avremmo dovuto cancellare qualsiasi cosa che potesse riportarlo alla luce. E così abbiamo fatto. Siamo entrati in casa tua e abbiamo fatto sparire qualsiasi cosa potesse ricordarti Enjolras- tutti i suoi vestiti, i suoi libri, persino i tuoi disegni- accenna brevemente con la testa ai fogli sparsi sul tavolo. -Abbiamo smesso di parlare di lui, e ci siamo inventati una specie di vita alternativa che potesse riempire il vuoto lasciato nei tuoi ricordi.- sorride amaramente. -Non è stato facile, sai. Dovevamo stare sempre sul pezzo... sempre attenti a quello che dicevamo, perché qualsiasi cosa avrebbe potuto sbloccare i tuoi ricordi.

Grantaire, non risponde, perché non c'è nulla da dire. Adesso finalmente tutti i pezzi tornano al loro posto. Strano come, dopo averla attesa per tanto tempo, la spiegazione risulti incredibilmente amara alle sue orecchie.

-Ma poi è cominciato tutto il resto- dice Combeferre- Hai cominciato coi tagli, e i farmaci, e le allucinazioni, e nessuno di noi sapeva che cosa fare. Ti abbiamo mandato dallo psicologo, abbiamo deciso di non lasciarti solo neppure un minuto, ma in fondo al cuore sapevamo che era tutto inutile, perché, da qualche parte nella tua mente, tu sapevi perché stavi male. Abbiamo cominciato a litigare molto presto... Bahorel, e anche Prouvaire, erano dell'opinione che prima o poi avremmo dovuto dirti la verità. Noi altri non eravamo d'accordo. Ancora adesso, non so chi avesse ragione.

Abbassa lo sguardo e riprende la bottiglia. Questa volta il sorso dura molto più a lungo.

-Tu che cosa ricordi?- chiede, dopo aver finito di bere.

Passa un lungo istante di silenzio.

-Tutto- risponde infine Grantaire- Ricordo tutto quello che in quest mesi avevo tenuto segregato in un angolo della mia mente. Ricordo il giorno in cui ci siamo incontrati, e il nostro primo bacio, e il momento in cui ha detto di amarmi...- la sua voce si affievolisce sulle ultime parole, e un'unica lacrima scivola sulla sua guancia.

Combeferre non parla. Non sa cosa dire.

-Combeferre?- riprende il suo amico dopo qualche secondo- Me lo faresti un favore?

-Tuto quello che vuoi.

-Mi lasceresti solo?

Sulle prime, Combeferre apre la bocca, come se volesse ribattere, ma poi un rapido sguardo al viso di Grantaire gli fa morire le parole in gola. Si alza in piedi lentamente, esitante. -Come vuoi- mormora- Sicuro che...?

Grantaire annuisce appena.

-Come vuoi, allora- ripete piano l'altro. Si volta, percorre a passi lenti il soggiorno. Dopo qualche istante, la porta si chiude con un tonfo dietro di lui.

E Grantaire rimane solo.

Rimane immobile sul divano, tra le mani la giacca sgualcita, senza rendersi realmente conto dello scorrere del tempo. Dietro le persiane abbassate, la luce del pomeriggio muore e sfuma nel buio della sera, ma Grantaire non ne è cosciente. È da qualche altra parte. In un luogo molto lontano, che ha le sfumature del sogno, o forse del ricordo.

Poi, impercettibilmente, avverte qualcosa cambiare. È come se l'aria nella stanza improvvisamente fosse percorsa da una strana vibrazione. Grantaire non ha bisogno di girarsi per capir, ma lo fa lo stesso.

E lo vede.

Enjolras è in piedi dietro il divano, più bello di quanto sia mai stato, più bello di quanto appariva nei suoi sogni, e in quel momento, osservandolo, Grantaire si chiede come abbia mai potuto dimenticarlo: perché la sofferenza di averlo davanti ai suoi occhi, pallido e immobile, come se fosse reale, non è nulla in confronto alla lacerante sensazione di vuoto che provava quando ancora non ricordava chi fosse.

-Sei qui- riesce a malapena a mormorare.

Enjolras sorride- un sorriso così bello, così triste, che a Grantaire si spezza il cuore. -Sapevo che non mi avevi dimenticato.

 

 

There's a world,

there's a world I know

A place we can go

where the pain will go away

There's a world where the sun shines each day

 

Grantaire non può muoversi. Non può parlare. Può solo sedere immobile sul divano, col cuore che lentamente gli si sbriciola nel petto, mentre Enjolras si fa lentamente più vicino, e, se questo è un sogno, sperare di non svegliarsi.

La mano di Enjolras si allunga delicatamente verso il suo volto, e il momento dopo le sue dita gli accarezzano i capelli, piano, con dolcezza, come se lui non fosse più di un bambino.

E a quel punto è troppo, tutto è troppo, e lui lo sente, avverte distintamente il dolore farsi strada dentro il suo petto, stringendo e torcendo il suo cuore come un vecchio straccio, e quando le lacrime ritornano a farsi strada nella sua gola, brucianti come acido, Grantaire può solo lasciarle uscire- e allora piange, desiderando di potersi strappare il cuore, perché la sensazione delle dita di Enjolras tra i suoi capelli è troppo reale, e i suoi singhiozi si fanno sempre più forti, fino a quando crede che non riuscirà più a respirare.

-Shh, shh- sussurra Enjolras- Non c'è più bisogno di piangere. Non c'è più bisogno di soffrire. Ci sono io qui adesso. Andrà tutto bene, vedrai.

Non è vero, si dice Grantaire, niente andrà bene, ma non lo dice, ed Enjolras continua a sorridere, senza scostargli la mano dai capelli.

-Esiste un mondo- mormora infine, e la sua voce è strana, distante e soave come se stesse raccontando una favola- Esiste un mondo dove tutto questo potrà sparire. Niente più dolore, né sogni, né ferite, né ricordi. Esiste un mondo dove finalmente non dovrai più soffrire, e l'oscurità di questi giorni non sarà che un ricordo lontano.

 

There's a world,

there's a world out there

I'll show you just where

And in time I know you'll see

There's a world where we can be free

 

Le sue braccia circondano il corpo di Grantaire, e poi iniziano a cullarlo, piano, e intanto continua a parlare, come se non se ne fosse andato, come se lui fosse davvero lì.

-Devi solo lasciarti andare, Grantaire- sono le sue parole- Lasciati andare e tutto questo avrà fine. Lasciati andare e io ti porterò in un posto migliore, in un posto dove non potremo mai più stare separati, dove non ci sarà né freddo, né fame, né ingiustizia. Lasciati andare, e io ti porterò in un luogo dove potremo finalmemnte essere liberi.

Persino tra le lacrime, Grantaire sorride. Ricorda, adesso, quando Enjolras parlava del mondo che avrebbero creato, con la voce squillante degli angeli, e negli occhi il fuoco della rivoluzione.

-Sai che non ci ho mai creduto, Apollo- sussurra contro di lui.

Nella sua voce può sentire che sta sorridendo.

-Tu non credi in nulla, Grantaire?

E allora Grantaire capisce.

-Credo in te- è la sua risposta.

Enjolras scioglie l'abbraccio, e, per un secondo, Grantaire prova di nuovo quella martellante sensazione di panico, ma poi lui e lì, la mano tesa verso di lui, e sul volto il sorriso più dolce del mondo.

-Vieni con me.

 

 

Come with me

 

Grantaire lo guarda. Ha solo un attimo per chiedersi se quello che vede è reale, se tutta questa situazione non sia che l'ennesimo frutto della sua mente divorata dalla pazzia, ma poi scopre improvvisamente che non ha più importanza.

-Sì- è tutto quello che dice.

Poi gli prende la mano.

 

Come with me

 

Percorre il corridoio buio senza quasi accorgersene. Si sente leggerro, così leggero, come se già il suo corpo non gli appartenesse, come se fosse qualcun altro a compiere le sue azioni e lui rivestisse il ruolo di semplice spettatore.

Si vede raggiungere la cucina. Vede la sua mano cercare uno dei casetti, aprirli... e poi, il coltello scintilla nella quietà oscurità, freddo, lungo, così pesante nella sua mano.

Grantaire non si accorge di averlo accostato al polso.

Per un istante, un solo istante, esita. Pensa ai suoi amici, a tutto quello che hanno fatto per lui in questi mesi, e la sua mano trema.

Dietro di lui, Enjolras sorride.

-Non devi avere paura.

Grantaire ricambia il sorriso.

La lama che affonda nelle vene quasi non fa male.

 

There's a world where we can be free

 

Giace inerte sul pavimento della cucina.

Non si è accorto di essere caduto.

Il sangue erutta dalle sue vene lacerate e inonda la stanza.

E allora perché non fa male?

Ha freddo.

Di questo è ben cosciente.

Alza lo sguardo.

Enjolras è lì. È bello, così bello da far male a guardarlo. Ma Grantaire si rifiuta di chiudere gli occhi. Non vuole perderlo, mai più.

Da qualche parte, molto lontano, una porta si apre, qualcuno fa irruzione nel soggiorno, voci gridano terrorizzate il suo nome. Grantaire non ha la forza di rispondere.

Combeferre entra nella cucina. È pallido come la morte, o almeno così crede. Si getta in ginocchio accanto a lui. Lo scuote-perlomeno gli sembra. Grida qualcosa, ma lui non lo sente.

Grantaire lo guarda.

-Mi dispiace- è tutto quello che si riesce a dire.

Poi si volta verso Enjolras.

-Arrivo- sussurra.

Tutto diventa nero.

 

Non riesco a credere di essere seriamente arrivata a questo punto.

Questa one-shot è stata un parto trigemino che ha richiesto una lunga gestazione, che ora, finalmente, dopo mesi di fatiche, vede la luce. Spero ne sia valsa la pena.

L'idea è nata quando ho scoperto che, nel bellissimo musical Next To Normal (che consiglio a tutti perché è veramnete bello) il nostro adorato Aaron Tveit faceva parte del cast originale. Se volete informarvi, o sentire le canzoni, sarò a vostra completa disposizione.

Spero davvero che questa one-shot vi sia piaciuta. Vi prego, vi prego, non lesinate sulle rcensioni.

Un bacio a tutti,

Saitou

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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