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Autore: Tera_Saki    02/09/2016    2 recensioni
Harry ha otto anni quando manifesta per la prima volta un episodio di magia involontaria di fronte ai suoi zii. Non sa esattamente cosa sia successo e non capisce per quale motivo si siano arrabbiati tanto, a lui era già capitato di far accadere cose "strane" e nessuno si era lamentato di niente. Il bambino intuisce che questa deve essere un'altra cosa disumana e proibita a casa Dursley, e sua zia lo ha di nuovo chiamato "mostro" e lui, davvero, ci prova ad essere un bravo bambino e a non fare "cose strambe", ma non può.
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Erano cosi via urlando, lui piangeva ma le voci non cessavano. Ce n'era una, più forte delle altre, che lo rassicurava, dicendogli che aveva fatto bene, che era giusto sottometterli. Harry si era tappato le orecchie con le mani nell'ingenua speranza di smettere di sentire e, inginocchiatosi a terra, aveva sussurrato -Basta... basta...- e solo dopo alcuni minuti, quando anche il più fievole lamento se n'era andato, si era incamminato stancamente verso casa.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Famiglia Dursley, Harry Potter
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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Harry ha otto anni quando manifesta per la prima volta un episodio di magia involontaria di fronte ai suoi zii. Non sa esattamente cosa sia successo e non capisce per quale motivo si siano arrabbiati tanto, a lui era già capitato di far accadere cose "strane" e nessuno si era lamentato di niente. Il bambino intuisce che questa deve essere un'altra cosa disumana e proibita a casa Dursley, e sua zia lo ha di nuovo chiamato "mostro" e lui, davvero, ci prova ad essere un bravo bambino e a non fare "cose strambe", ma non può.

 

Un'altro scoppio di magia involontaria, un'altra stramberia non concessa.

E anche se non crede alla magia, perchè suo zio glie lo ha ripetuto all'infinito, "non esiste quella robaccia", qualcosa deve pur essere stato; lui di certo non ha rotto la televisione del cugino però non sa come spiegare, come convincerli che non centra niente in questa storia. Ma nessuno gli crede, come sempre. Lo zio, prima che possa ricominciare con le sue argomentazioni, trascinandolo rudemente per un braccio e incurante ai suoi lamenti, lo rinchiude in cantina, dopo una bella dose di "disciplina".

 

Tre giorni, un solo pasto. Al momento è tutto ciò che ha ricevuto. La cantina è buia, fredda e puzzolente. Si sveglia nel cuore della notte ansimando, qualcosa lo ha morse e lo testimoniano i due puntini che sente quando poggia la mano sul polso dolorante. Pensa a che animale possa essere stato: un topo, un ragno, un insetto. Chissà perchè nessuna di queste ipotesi lo convince e mentre si appresta a ritornare in quel sonno agitato che non può evitare un'idea assurda fa capolino nella sua mente, -Serpente- , e nemmeno si accorge di aver parlato in una lingua che non è la sua.

 

Dopo accade tutto molto in fretta.

I giorni si susseguono e le sue "stranezze" aumentano, episodi come 'l'incidente del televisore' si verificano con maggior frequenza, le punizioni gli sembrano ogni volta più dure ed il peso da sostenere diventa troppo, per lui. Harry si rifugia nella sua mente per sfuggire dalle frustate dello zio e dalle botte del cugino. I compiti da sbrigare per conto della zia sono sempre di più ed è per questo, solo per questo, che si "aiuta". Ma ai suoi zii non piace, non sono contenti come lui si aspetta, anzi, le punizioni che gli riservano si intensificano e certe volte non basta pensare ad un posto felice per cancellare dalla mente il dolore.

Harry è frustrate e arrabbiato con sè stesso perchè non è abbastanza forte nè abbastanza bravo. Si è distratto un attimo. La cinghia lo colpisce al viso, sanguina, barcolla indietro, cade.

-Stupidi babbani-

Non sa perchè lo ha detto, non sa perchè dicendolo lo ha guardato con odio. Non sa nemmeno cosa voglia dire, quella parola. Ma ha, in un certo senso, funzionato.

Vernon Dursley è indietreggiato sbiancando, lo ha fissato finchè il suo viso non è tornato a farsi livido dalla rabbia, e ha ripreso a punirlo ancora più duramente. Harry è svenuto dal dolore, ma prima si è concesso un piccolo ghigno nella sua direzione.

 

Sta male. Non vuole che qualcuno lo scopra per farlo stare peggio. Se Dudley sta male sua madre lo cura, lo coccola, gli concede ogni cosa per far sì che si riprenda. Se Harry sta male è soltanto una seccatura per tutti, e lui sa che deve continuare a lavorare per poter mangiare e dormire e sopravvivere. Sa che sua zia non verrà ad aiutarlo per stare meglio, che suo zio se ne fregherà e che suo cugino farà di tutto per farlo sentire peggio.

Ha un forte ed improvviso conato, corre al bagno più veloce che può e vomita quel poco che ha ingerito negli ultimi giorni. Nonostante il peggio sia appena passato non si sente per niente tranquillo, ha sbagliato, non gli è permesso farlo, ha sporcato un bagno non suo e lo puniranno per questo. Respira profondamente tentando di calmare il battito impazzito del suo cuore, non funziona, non si rilassa per niente. Sua zia bussa, vuole sapere cosa ci fa il buono a nulla chiuso lì dentro, non aspetta nemmeno un secondo di più e spalanca la porta. Si è rannicchiato in un angolo, Petunia lo sbatte fuori dal bagno dicendogli che doveva pulire il salone, che si è sbagliato, il piccolo stupido. Prima che la porta del bagno si richiuda del tutto sbircia dentro la stanza: non è mai stata più pulita.

 

Harry ha nove anni e si ritrova a pensare che in 35 giorni ne sono successe di cose strane. Come quella volta un cui suo cugino e la sua banda lo stava rincorrendo per tutto il quartiere con le bici nuove, e lo avevano inseguito riuscendo infine ad intrappolarlo in un vicolo cieco. Con la strada sbarrata, le spalle al muro, lo stavano per afferrare. Ad un certo punto, Harry non aveva idea di come era successo, si erano bloccati come statue di cera e delle parole avevano iniziato a rimbombare nelle menti dei bambini. Erano sussurri cattivi, urli agonizzanti, terribili minacce.

Harry, lo sapeva, provenivano dalla sua testa.

Erano cosi via urlando, lui piangeva ma le voci non cessavano. Ce n'era una, più forte delle altre, che lo rassicurava, dicendogli che aveva fatto bene, che era giusto sottometterli. Harry si era tappato le orecchie con le mani nell'ingenua speranza di smettere di sentire e, inginocchiatosi a terra, aveva sussurrato -Basta... basta...- e solo dopo alcuni minuti, quando anche il più fievole lamento se n'era andato, si era incamminato stancamente verso casa, la mente intorpidita. Nei giorni che erano seguiti Dudley aveva giocato carte false pur di non guardarlo o stare nella sua stessa stanza. Uno strano senso di appagamento lo aveva pervaso quando aveva poi realizzato che suo cugino era spaventato da lui. Aveva pensato "È così che dovrebbe essere". Questa frase era galleggiata nella sua mente per una piccolissima frazione di secondo ma ne rimase egualmente turbato, perchè in quell'istante a tutto stava pensando fuorchè quelle parole.

 

Non voleva farlo, ma lo ha fatto. Forse non ci credeva abbastanza profondamente e continuare a ripetere "nonvogliononvogliononvoglio" come fosse un mantra non ha dato gli effetti sperati. Da qualche parte una voce continua a ripetergli quanto sia giusto quello che fa. È l'ordine naturale delle cose. Così, mentre i corpi senza vita della zia e del cugino cadono a terra come marionette senza fili, non sente niente, non trova nulla di strano in quello che sta facendo.

E poi la consapevolezza, l'orrore per se stesso, un immenso senso di disgusto lo pervade e la voglia di vomitare diventa quasi impossibile da trattenere. Ha ucciso. Si lascia cadere sulle ginocchia tremanti, le mani che stringono così forte i capelli mentre calde lacrime bagnano il suo viso.

-Mi dispiace...- tutto a causa della sua ignoranza e ancora una volta non era stato abbastanza -Non volevo... nonvolevononvolevononvo...-

La porta di casa sbattuta, l'arrivo dello zio, l'incredulità, la disperazione, l'odio.

Qualcosa si sblocca dentro di lui, non può sopportare di vedere ancora odio, odio per lui, sempre. Non ce la fa più. Alza lo sguardo, gli occhi rossi dal bruciore folgorano lo zio, che traffica col telefono nel tentativo di chiamare... L'ambulanza? La polizia?

"Non finirà così"

Vernon Dursley si blocca, afferra la gola come può, il viso che diventa sempre più blu per la mancanza di ossigeno e l'aria continua ad uscire dalla sua bocca, prosciugandolo.

 

Non voleva uccidere nessuno Harry, eppure è questa la scena che Albus Silente e Minerva McGrannit si sono trovati una volta varcata la soglia. Era stata la signora Figg, allarmata, a contattare il Preside di Hogwarts. Tutto si erano aspettati, nel tragitto che li separava dall'abitazione, meno quello. Forse avrebbero dovuto prevedere che qualcosa non andava già quando, trovatisi di fronte al portoncino del numero 4 avevano potuto percepire tracce di magia o quando, sulla porta di casa, uno scudo di energia aveva opposto loro resistenza.

 

Il piccolo Potter è accucciato per terra e singhiozza, i corpi senza vita dei suoi ultimi parenti lo circondano. D'un tratto ogni parola sembra inutile. "Che cosa è successo?" è superfluo vista l'ovvietà dei faatti, avrebbe potuto dire "Mio Dio" oppure "Non riesco a crederci" ma c'è ancora Harry, ancora una volta l'unico superstite. E Minerva non sa proprio come comportarsi.

È, infine, Silente a fare la prima mossa, piano piano si avvicina e, messa una mano sulla spalla del bambino, chiede -Stai bene?-

Harry lo guarda disperato, le lacrime ancora scorrono sul suo viso e gli occhi sono pieni di angoscia e terrore.

-Portiamolo via di qui, Albus- lo prega Minerva, e così fanno. Inizialmente ponderano l'idea di crescerlo ad Hogwarts, vista la sicurezza garantita, ma la scartano quasi subito. Nessuno ha tempo per curarsi del piccolo come dovrebbe, così, in attesa di una nuova sistemazione, lo affidano ai cognugi Weasley.

 

Nessuno sa spiegarsi come un ragazzino tanto dolce ed educato possa aver commesso un reato del genere, Molly e Arthur se lo chiedono spesso, senza mai trovarne risposta. Paragonato ai loro figli scalmanati è un bambino modello. Non piange, è calmo e non si lamenta mai. È quasi fin troppo bravo.

Alla fine del terzo giorno Ron non resiste più e glie lo chiede, anche se è piccolo ha sentito i discorsi dei "grandi" e c'è un dubbio che lo tormenta da quando ne è venuto a conoscenza, perchè insomma... rimane pur sempre Harry Potter

-Harry? È vero quello che dicono? Hai...-

-Cosa?-

-Hai davvero- abbassa la voce e si porta una mano alla bocca -ucciso i tuoi zii?-

Il suo viso si rabbuia e Ron, diventato tutto rosso dall'imbarazzo, si scusa con lui e si affretta ad andare a dormire.

 

Ore dopo Harry è ancora nella stessa posizione, singhiozza ma i gemiti prodotti assomigliano di più ad una risata trattenuta e quando alza lo sguardo e lo rivolge al soffitto è un ghigno quello che affiora sul suo viso.

-Questo è soltanto l'inizio-







Lo so. Lo so.
Con la marea di storie in sospeso non dovrei mettermi a scriverne un'altra, ma l'ispirazione è venuta e io non ci posso davvero fare niente.
Ma passiamo oltre...
Cosa ne pensate della storia? Personalmente ho trovato il piccolo Harry un sacco divertente da scrivere e spero che piaccia a voi come è piaciuto a me!
Storia triste e tragica (tanto per cambiare) e senza il minimo acceno di un lieto fine, perfetta, no?
Aspetto i vostri pareri, alla prossima!
Kyem

  
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