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Autore: WandererS    04/09/2016    1 recensioni
“Non ci fu bisogno di parole: la coordinazione di Riza e Roy negli scontri era ormai quasi perfetta, i loro ruoli consolidati. Il suo compito era coprirgli le spalle, sempre. Schiena contro schiena, le uniformi che si sfioravano appena, bastava loro il minimo rumore o movimento per intuire le azioni dell'altro, quasi potessero leggersi nella mente.”
Ma la pioggia è un non trascurabile imprevisto...
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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«Che noia questo posto!»
L'esclamazione, venata di insofferenza, ruppe il silenzio di quel fresco pomeriggio di fine estate.
«Il Tenente Generale Grumman è un buon mentore, e sono certo che il suo appoggio e i suoi consigli mi torneranno molto utili, ma East City è troppo lontana dal centro del potere, non posso lasciarmi relegare quaggiù troppo a lungo e rischiare di lasciarmi sfuggire la mia occasione...»
Riza trattenne un sorriso di esasperazione. Roy Mustang era sempre stato un uomo impaziente, e, anche se solitamente, da bravo politico, riusciva a nasconderlo, quando sapeva di trovarsi tra persone fidate la sua frustrazione trapelava, quasi palpabile. Era di stanza lì da appena un mese, e già scalpitava, pensando alla prossima mossa, alla tappa successiva, a cosa il domani avrebbe riservato per lui.
Riza ammirava la sua instancabile dedizione ai suoi sogni, alle sue aspirazioni, ai suoi progetti di un futuro migliore, più felice, per tutti, nonostante la irritasse il suo essere, al contrario, un incorreggibile lavativo nello sbrigare le noiose pratiche quotidiane.
«E tu, Sottotenente Hawkeye, come ti trovi in città?»
Nella sua mente si affollarono le immagini della tenuta ampia ma cadente che era appartenuta a suo padre, della biblioteca polverosa, del giardino incolto ricco di cantucci nascosti dove rintanarsi in solitudine a guardare le lucciole o le stelle, stesa sull'erba umida e fragrante. E l'apprendista di Berthold che a volte, se aveva concluso la giornata di studi, si univa a lei, sfidandola a contare le fiammelle luminose degli insetti che sfarfallavano qua e là come faville incandescenti ed errabonde.
Ad East City non c'erano le lucciole.
Riza si riscosse dai suoi pensieri e incrociò lo sguardo interrogativo del Tenente Colonnello Mustang.
«Non mi posso lamentare. L'appartamento non è grande, ma a me non serve molto spazio, e poi questa zona è tranquilla. Vorrei solo che ci fosse un po' più di verde...» la sua voce sfumò nel silenzio mentre il suo sguardo vagava su quegli edifici che cominciavano ad esserle ormai familiari.
Erano a poche strade di distanza dal suo appartamento, i contorni delle loro figure appena velati dalla lieve pioggerellina che faceva rilucere d'argento il selciato sotto i loro piedi nella luce perlacea del pomeriggio.
Riza amava la pioggia: il tocco lieve delle fresche gocce sul suo viso, le perle cristalline che si posavano sulle sue ciglia e ornavano i capelli di Roy Mustang come una corona... Dopo il clima torrido di Ishval e il caldo soffocante dell'estate di East City aveva quasi dimenticato quanto quella sensazione fosse piacevole, quasi rigenerante.
Il Tenente Colonnello, invece, pareva non apprezzare quell'umidità: di tanto in tanto lanciava uno sguardo cupo alle incombenti nuvole grigiastre, ricevendone in risposta solamente un viso rigato da lacrime di pioggia.
Il silenzio era tornato ad avvolgerli, punteggiato solamente dal ticchettio lieve delle gocce sul selciato e dal debole eco sincronizzato dei loro passi.
Era una zona residenziale, e a quell'ora e con quel tempo uggioso dovevano essere tutti ancora al lavoro o chiusi in casa davanti ad una buona tazza di thè bollente. Persino il fruttivendolo aveva le serrande abbassate, nessuna cassa di mele o arance esposta a colorare il marciapiede.
Riza Hawkeye camminava a fianco del Tenente Colonnello, appena mezzo passo più indietro per poter tenere sott'occhio la situazione. Scrutò con attenzione il vicolo scuro che si apriva sulla sinistra, oltre la schiena dritta di Mustang, in direzione della piazza del mercato, mentre lo oltrepassavano, e poi di nuovo la strada davanti a loro, fin dove arrivava il suo sguardo, lì dove la cortina di pioggia confondeva i contorni dei palazzi e cielo e terra sembravano unirsi in un grigiore indistinto.
Era tutto tranquillo, la zona sembrava deserta, il silenzio era rotto solamente dal ritmo regolare dei loro passi, smorzato dalla pioggia.
Poi, gli occhi acuti di Riza notarono qualcosa.
Una sagoma scura comparve sulla strada davanti a loro, i contorni resi indistinti da quella cortina grigiastra. Sembrava avvicinarsi velocemente.
«Signore...» mise in guardia il Tenente Colonnello, nel caso non l'avesse notata. Come immaginava, il suo avvertimento era superfluo: gli occhi neri di Mustang erano fissi sulla figura che si stava delineando attraverso il velo di pioggia, l'espressione attenta e vigile.
Poteva trattarsi di un normale passante, ma era meglio stare all'erta: dopotutto, non erano in pochi a poter volere morti due ufficiali dell'esercito di Amestris, anche senza considerare eventuali rancori personali per l'eroe di Ishval e il cecchino Occhio di Falco.
Riza, la mano già sul calcio della pistola, scorse una seconda figura dietro la prima, entrambe in corsa, e si volse come colta da un presentimento.
Con la coda dell'occhio vide un'ombra muoversi alla sua sinistra e d'un tratto i suoi timori si concretizzarono: almeno quattro o cinque uomini stavano uscendo dall'imboccatura del vicolo che avevano oltrepassato appena qualche minuto prima. Sembravano incappucciati; sicuramente erano armati. Forse erano spie di Aerugo, oppure membri di uno di quei nuovi gruppi radicali dell'area est, o addirittura superstiti di Ishval... Poco importava, dovevano annientarli.
Non ci fu bisogno di parole: la coordinazione di Riza e Roy negli scontri era ormai quasi perfetta, i loro ruoli consolidati. Il suo compito era coprirgli le spalle, sempre.
Schiena contro schiena, le uniformi che si sfioravano appena, bastava loro il minimo rumore o movimento per intuire le azioni dell'altro, quasi potessero leggersi nella mente.
Riza colse il debole fruscio dei guanti bianchi dell'Alchimista di Fuoco che venivano presi dalla tasca ed indossati, ma non attese di udire lo schiocco della stoffa e il rombo delle fiamme.
Premette il grilletto e fece fuoco.
Cinque spari in rapida successione: due centrarono in pieno petto l'uomo in testa al gruppo, gli altri colpirono la figura più vicina dietro di lui. Li vide barcollare, rallentare, mentre il sonoro clangore dei proiettili che andavano a segno raggiungeva le sue orecchie... Troppo sonoro, quasi metallico. Non si fermarono: dovevano indossare un qualche tipo di corazza.
Riza imprecò fra i denti, puntò alle ombre sotto i cappucci, alle dita che stringevano coltelli e pugnali, alle gambe in corsa, e sparò.
Un uomo inciampò lanciando un urlo di dolore, la mano destra insanguinata e stretta al petto, ormai inutilizzabile, un altro si afflosciò a terra come un pupazzo a cui avessero tagliato i fili, il cappuccio volato indietro a scoprire due occhi grigi come le nubi che oramai vi si specchiavano, un terzo rallentò di fronte alla raffica di proiettili sdrucciolando sul selciato scivoloso di pioggia.
D'un tratto, mentre il rimbombo degli spari veniva inghiottito dalla pioggia e le sue mani esperte sostituivano il caricatore ormai vuoto con movimenti esperti, Riza si rese conto che qualcosa non andava.
Mancava qualcosa.
Le fiamme.
Il rombo, il calore, la luce scatenati dall'Alchimia di Fuoco, a cui Riza aveva ormai fatto l'abitudine, non c'erano.
Il panico montò in lei mentre si voltava con un movimento insolitamente goffo, la pistola spianata.
Roy Mustang era a pochi passi da lei, pollice e medio della mano destra che schioccavano frenetici, ma nessuna fiamma si sprigionava sotto il velo di pioggia. I nemici non lo avevano ancora raggiunto.
Riza espirò: non si era accorta di aver trattenuto il fiato.
Prese la mira e sparò.
Si era spostata di lato contro un palazzo, in modo da avere la schiena coperta e la visuale libera da entrambi i lati della strada, e aveva mirato all'uomo che, armato di una corta daga, era sul punto di avventarsi contro il Tenente Colonnello. Un istante dopo, la figura si contorceva a terra gemendo dal dolore, le mani strette intorno ad una gamba in cui si aprivano due fori di proiettile.
Mentre premeva nuovamente il grilletto, però, colse un movimento con la coda dell'occhio: due avversari l'avevano raggiunta, la lama di un pugnale le graffiò un braccio mentre si voltava a fronteggiarli.
Mustang avrebbe dovuto cavarsela da solo per un po'.
 
 
 
Il Tenente Colonnello sentì il proiettile sparato dal Sottotenente Hawkeye fischiare alto sopra la sua testa. Rinunciò a cercare di strappare una scintilla a quei maledetti guanti intrisi di pioggia e si concentrò sul suo unico avversario rimasto, che ormai gli era praticamente addosso, un coltello stretto in pugno.
Se la sarebbe dovuta cavare alla vecchia maniera.
Scansò l'attacco dall'alto scartando lateralmente, e per buona misura accelerò il movimento della lama verso il basso colpendo il polso dell'uomo incappucciato. Dopotutto, pareva ricordarsi qualcosa dai tempi dell'Accademia: far esaurire la potenza del colpo fuori bersaglio, per poi passare al contrattacco!
Ma d'un tratto la situazione cambiò, il suo avversario non stava più seguendo il copione dei combattimenti d'addestramento: il coltello deviò la sua traiettoria, Mustang tentò di allontanarlo con la mano sinistra in un gesto disperato, ma l'angolazione era sbagliata, era troppo vicino...
Roy grugnì di dolore quando la lama gli si conficcò nell'interno coscia, appena sopra il ginocchio.
Forse, dopotutto, aveva fatto troppo affidamento sull'Alchimia di Fuoco negli ultimi tempi, e le sue abilità nel combattimento corpo a corpo si erano un po' arrugginite.
Strinse i denti e, conficcandosi le unghie nei palmi delle mani per cercare di ignorare il dolore, appoggiò il peso sulla gamba ferita per colpire con una ginocchiata il suo avversario. Aveva mirato all'addome, con l'intenzione di indebolirlo, ma, sbilanciato da un cedimento della gamba dolorante, finì per colpire la coscia; poco male: il destro al volto, per quanto poco elegante, avrebbe fatto il resto.
Si separarono, il fiato corto.
Mustang, claudicante e insanguinato, poteva ora vedere in faccia l'avversario, non più nascosto dal cappuccio. Aveva un viso largo, pelle leggermente abbronzata, bocca carnosa arrossata dal sangue che colava dal naso spaccato. Non sembrava il volto di una persona crudele, avrebbe potuto essere un contadino, un operaio, o anche uno dei suoi soldati... Eppure, i suoi occhi erano duri e spietati.
Gli si avventò nuovamente contro, la lama, questa volta praticamente orizzontale, diretta al suo ventre, lucente di sangue.
Mustang si spostò dalla traiettoria dell'attacco, usando l'avambraccio destro per deviare la stoccata e tenere a distanza il coltello, mentre colpiva la gola dell'uomo con un fendente della mano sinistra. Ora che il gioco di gambe gli era diventato difficile doveva compensare con colpi potenti e precisi, o sarebbe stato spacciato. Era disarmato, ma forse poteva volgere la situazione a suo vantaggio... Ripescò una delle tecniche dell'addestramento all'Accademia che pensava di aver dimenticato, e pregò che funzionasse.
Afferrò il polso dell'avversario, tentando di piegargli il braccio in una sorta di pericoloso braccio di ferro, e grazie ad un colpo violento di taglio all'articolazione del gomito riuscì a fargli scattare l'avambraccio in verticale, per rivolgergli contro la sua stessa arma. Il coltello era ora puntato contro il viso dell'uomo e Mustang poteva vedere i suoi occhi spalancati dal terrore mentre tentava con entrambe le mani, disperatamente, di allontanare la lama.
Eppure, non implorò pietà.
Vedeva la morte avvicinarsi inesorabile, Roy lo scorgeva nei suoi occhi, eppure non si piegò, non supplicò di essere risparmiato.
Roy Mustang poteva udire gli spari, le grida di dolore, i rumori dissonanti che facevano da sfondo ad ogni battaglia. Pensò a Riza Hawkeye, che gli copriva le spalle e combatteva con lui. Non aveva idea di come se la stesse cavando, era un abilissimo cecchino ma in uno scontro ravvicinato, in inferiorità numerica...
Aveva giurato di proteggerla.
Non ebbe pietà, e affondò il coltello nella gola del suo nemico.
Barcollò, mentre il corpo dell'uomo si abbandonava con tutto il suo peso su di lui, e lo lasciò scivolare a terra. Era esausto, aveva perso troppo sangue.
Con la coda dell'occhio, la vista leggermente appannata, vide un movimento accanto a lui, un luccichio nella pioggia...
Ebbe a malapena il tempo di voltarsi, un pensiero che gli balenava nella mente: morire non lo spaventava, ma non vivere, non poter tenere fede alle sue promesse e ai suoi sogni idealistici...
Un fragore improvviso interruppe i suoi pensieri. Vide la daga cadere a terra con un tintinnio, scivolando tra le dita ormai prive di forze dell'uomo che si accasciava senza vita sul selciato bagnato dalla pioggia, un fiore purpureo che gli sbocciava sul petto.
Dietro di lui, il Sottotenente Riza Hawkeye, le mani tese e la pistola fumante in pugno, come sempre a coprirgli le spalle.
Mentre l'eco dello sparo si spegneva nella pioggia Roy rifletté che forse, in effetti, era lei a proteggere lui...
Poi la gamba ferita cedette, e lui si accasciò a terra.
 
 
 
«Tenente Colonnello!»
L'angoscia trapelò dalla sua voce mentre si precipitava accanto a Roy Mustang.
Gli strappò il tessuto insanguinato dei calzoni per mettere a nudo la ferita e tirò un sospiro di sollievo: la lama era entrata in profondità ma sembrava aver mancato l'arteria femorale, anche se di poco. Probabilmente ci sarebbero voluti alcuni punti di sutura, ma per quello avrebbero dovuto aspettare un vero medico; prima doveva pensare a fermare l'emorragia.
Senza tante cerimonie, si tolse la giacca della divisa e la premette sulla ferita, strappando a Roy un acuto gemito di dolore.
Riza si morse un labbro, ma non si scusò.
«Dobbiamo andarcene da qui. Riesce ad alzarsi?»
Roy Mustang era più pallido del solito, gocce di pioggia e di sudore gli imperlavano il viso, indistinguibili le une dalle altre. Il suo sguardo sembrava confuso, annebbiato dal dolore.
«Almeno uno degli uomini è riuscito a fuggire, e potrebbero essercene altri nelle vicinanze. Non è sicuro qui.» Gli occhi di Riza vagarono tra le cinque sagome abbandonate sul selciato, scure e inzuppate di pioggia, per posarsi infine di nuovo sul viso esangue di Roy.
Si sforzò di reprimere le proprie emozioni e di pensare razionalmente: lo scontro era durato solamente una manciata di minuti e le strade sembravano nuovamente deserte, ma non lo sarebbero rimaste per molto.
L'attacco era stato pianificato con attenzione, e forse con l'aiuto di informazioni da qualcuno molto vicino a loro, e, anche se Riza avrebbe preferito non pensare troppo alle implicazioni che questo comportava, non poteva ignorare il pericolo. Lì in strada erano troppo esposti, e non voleva rischiare di affidare il Tenente Colonnello (in quelle condizioni, poi) a qualcuno in cui non riponeva assoluta fiducia, ma doveva portarlo in un luogo sicuro.
C'era un'unica soluzione.
«Dove siamo?» La voce di Roy era debole, spezzata, le prime parole dopo lo scontro sembrarono uscire a fatica dalle sue labbra esangui.
«Al mio appartamento» rispose concisa lei: non era sicuro parlare qui, e poi era meglio risparmiare il fiato. Un gradino alla volta condusse Roy su per due rampe di scale, sostenendone la maggior parte del peso per non gravare le gambe tremanti di debolezza.
Fortunatamente le pozzanghere e la pioggia, che era diventata sempre più intensa di minuto in minuto, avevano lavato via gran parte del sangue e le loro impronte non ne contenevano traccia: sarebbe stato difficile spiegarle ai vicini, per non parlare del rischio di eventuali inseguitori.
Giunta davanti alla porta leggermente scrostata del suo appartamento, Riza si frugò sbrigativa la tasca, sfiorando involontariamente la coscia tremante di Roy, che fu scossa da un improvviso spasmo di dolore, e girò svelta la chiave nella serratura per spalancarla con una spinta decisa e guidare il Tenente Colonnello al piccolo, polveroso divano.
Si allontanò da lui solo il tempo di passare accanto alla finestra e, nascosta dalle tende logore, osservare la strada, ancora fortunatamente deserta sotto quella pioggia battente, mentre recuperava la cassetta del pronto soccorso abbandonata in un angolo.
Armata di un asciugamano, una bottiglia d'acqua e una garza pulita, si inginocchiò davanti al divano e, con un'occhiata preoccupata al viso pallido e imperlato di sudore di Roy Mustang, sciolse il più delicatamente possibile le maniche della giacca militare, ormai intrisa di sangue, che aveva annodato intorno alla sua coscia. Lui trasalì dal dolore, ma non emise un gemito mentre Riza gli puliva la ferita e la bendava forse un po' più stretta del necessario.
Sollevare la gamba per poggiarla sul bracciolo del divano, con tutti i cuscini disponibili a tenerla alzata, fu più dura; alla fine il Tenente Colonnello si abbandonò ansimante tra i guanciali, il fiato corto, strizzando gli occhi per il dolore in attesa che scemasse.
Finalmente il suo respiro si fece più regolare e Roy Mustang sollevò lo sguardo non più velato dalla sofferenza ad incrociare quello di Riza Hawkeye.
«Perché non sono in ospedale?»
Il suo tono era calmo, venato di curiosità, non sembrava accusatorio, ma Riza gli rispose secca, professionale.
«L'attacco è stato preciso, ben pianificato: chiunque l'abbia organizzato deve aver avuto accesso a informazioni quali il nostro percorso ed equipaggiamento, e la fonte più ovvia è lo stesso esercito di Amestris. Potrebbe trattarsi di spionaggio, o di tradimento. All'ospedale militare c'è sempre un andirivieni di persone, soldati e civili, e non avrei saputo di chi potevo fidarmi, perciò ho optato per un luogo che ritenevo più sicuro. Qui c'è un telefono, possiamo contattare il Tenente Generale Grumman per metterlo al corrente dell'accaduto, ma saremo noi a gestire il flusso d'informazioni, in modo da valutare cosa rivelare, e a chi, fino a che la situazione non si farà un po' più chiara.
E poi, non credo che sarei riuscita a trasportarla fino all'ospedale.»
Persino l'ultima frase parve piatta, oggettiva, priva del sorriso che l'avrebbe accompagnata in circostanze meno preoccupanti.
Il Tenente Colonnello, però, non sembrava turbato, e incurvò appena le labbra esangui.
«Per fortuna ci sei tu a guardarmi le spalle. Grazie.»
Riza annuì brusca, ma non ricambiò.
Nel piccolo soggiorno spoglio calò il silenzio, punteggiato dal ticchettio irregolare delle gocce di pioggia sul vetro appannato della finestra.
Lo sguardo torvo di Riza vagò sulle mani pallide e affusolate in cui stringeva ancora l'asciugamano macchiato, il rosso scuro del sangue che spiccava con violenza sulla stoffa bianca e sulla pelle diafana.
A quella vista la corazza di fredda cortesia e professionalità parve d'un tratto squarciarsi.
«IDIOTA! Lei è un idiota!» Il violento grido risuonò forte e improvviso nel piccolo soggiorno.
Riza incombeva ora su Roy Mustang, gli occhi fiammeggianti fissi nei suoi.
Non si era mai rivolta al suo superiore in quel modo, prima.
Sapeva che avrebbe dovuto controllarsi, abbassare il tono e moderare il linguaggio, ma la preoccupazione si era tramutata rapidamente in rabbia, che ora le montava ardente nel petto.
«Perché non mi ha detto che la pioggia rende la sua tecnica inutile, rende lei impotente?»
La sua furia riscosse Roy dal suo torpore, i suoi occhi si strinsero a quella domanda brusca, tagliente.
Se si aspettava che, in quanto suo superiore, si rifiutasse di darle delle spiegazioni o di accettare una tale insubordinazione, dovette ricredersi: il suo spirito solitamente così combattivo e ostinato sembrava averlo abbandonato.
Riza, incredula, lo vide abbassare lo sguardo, a disagio, ma quando parlò la sua voce era ferma.
«Odio sentirmi impotente. E ancora di più odio ammettere di esserlo.»
Vederlo così vulnerabile, sentire quella nota mortificata nella sua voce, di solito così salda e sicura di sé, la scosse. Non bastava certo a dissipare la sua rabbia, ma riacquistò una parvenza di autocontrollo.
«I nemici non possono conoscere lei e i suoi punti deboli meglio di me! Come posso proteggerla, altrimenti?!»
«Nessuno mi conosce meglio di te.»
La vaga incoerenza di quella risposta per un attimo la sconcertò, ma non vide traccia di confusione nel suo sguardo.
«L'Alchimia di Fuoco di tuo padre era perfetta, potente, priva di difetti. Sono stato io a crearli, quando l'ho adattata all'uso sul campo: i miei guanti... l'umidità li rende inservibili. E questo ci ha messi entrambi in pericolo, oggi. Mi dispiace. Avrei dovuto dirtelo.»
Riza gli occhi incatenati in quelli scuri di lui, vi lesse tutto ciò che la sua voce in quel momento non poteva esprimere: la sincerità delle sue scuse, il senso di colpa, il desiderio bruciante di rispettare quel giuramento...
Proteggerò le vostre vite, e voi proteggerete le persone che stanno sotto di voi, non importa quante.”
Annuì, le labbra increspate in un lieve sorriso.
«Capisco.»
Non servivano altre inutili parole: anche Roy avrebbe capito.
Mentre andava in cucina a preparare un buon thè bollente con molto zucchero, pensò al piano di Roy Mustang per cambiare il paese, per proteggerne gli abitanti, per creare loro un mondo migliore, per immaginare un futuro più felice per tutti...
Proteggerò le vostre vite, e voi proteggerete le persone che stanno sotto di voi, non importa quante.”
Non hai fallito nel proteggere una tua subordinata, Roy.
Per me è diverso. Noi siamo diversi.
Noi ci proteggiamo a vicenda.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Nota:
“Sottotenente” e il corrispondente in italiano del grado di Second Lieutenant usato nel manga, che ho preferito ad una traduzione letterale.
 
Nota (2):
Avevo intenzione di scrivere una one-shot senza pretese, e questa lo è, ma nel frattempo mi è venuto in mente di inserire questo stesso episodio (magari con qualche adattamento) in una long dedicata più in generale all'evoluzione del rapporto tra Roy e Riza, dal primo incontro fino a dopo la fine del manga/anime. Vista la mia lentezza non è detto che ci riuscirò, ma se sei arrivato fin qui mi interessa la tua opinione! Che sia che ce ne sono già troppe, che il mio stile non ci si adatta ed è meglio se mi limito alle one-shot, che saresti interessato a leggerla oppure no, se ti senti di dirmi che ne pensi di quest'idea mi fa davvero piacere!
In ogni caso grazie per avermi accompagnata fin qui nella lettura!
 
 






 
 
 
   
 
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