Anime & Manga > Yahari ore no seishun rabukome wa machigatteiru
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Autore: apeirmon    04/09/2016    6 recensioni
Quando Hachiman torna dall'acquisto del cibo per la cena natalizia di famiglia, gli accade una coincidenza indesiderata. Dopo aver discusso di argomenti in sospeso, riceve un permesso che all'inizio dell'anno scolastico desiderava non poco.
Tratto dal quinto capitolo del nono volume del romanzo leggero "Yahari ore no seishun rabukome wa machigatteiru" ("Prevedibilmente la mia commedia romantica giovanile è sbagliata"), con il punto di vista cambiato dal protagonista alla prima protagonista femminile.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Un anno di punti di vista'
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Ora necessito solo del dono per Haruno, poi ho terminato, con questa insensata tradizione.
Attraverso il corridoio al secondo piano dell’Aeon Marinpia Inagekaigan per accedere alla libreria. Mia sorella non mi ha mai rivelato quali tipologie preferisca, e tra i tomi che contemplavo ammirata quand’ero più piccola, ho notato titoli che potevano attenersi a qualsiasi genere, seppure non ho mai osato rimuoverli dallo scaffale. Ad ogni modo, ho già selezionato la lettura che potrebbe esserle più adatta in quanto ad età, ambiente universitario e attinenza al campo biologico.
Mentre cerco il reparto di letteratura psicologica, mi accorgo di un volume più rientrante rispetto a quelli attigui, nella sezione di narrativa fantastica, e mi avvicino per portarlo al livello normale. Dopo averlo spostato, ne leggo il titolo: “Il meraviglioso paese oltre la nebbia”. È un libro che non ho mai letto, sebbene lo conosca come base per un famoso film d’animazione che Haruno apprezzava.
Senza rendermi conto di come, mi ritrovo il volume tra le dita. E se comprassi questo?
Esito. Quest’opera potrebbe anche piacerle, ma renderebbe vana la mia ricerca. Sarei un’ipocrita se dopo aver rifiutato il modus operandi di Hikigaya, impiegassi la sua stessa mancanza di responsabilità. Con un sospiro, rimetto il volume al suo posto, ben allineato agli altri, e porto la mia prima scelta alla cassa, perché venga valutata. Dopo aver messo il pesante tomo nella busta e pagato, ritorno in corridoio.
Aspetto che si liberi uno spazio nella fila per le scale mobili in modo da avere più tranquillità e libertà di movimento, poi comincio a scendere verso il piano terra. Mentre cerco di ricordare in che direzione si trovi l’uscita osservando i dintorni, il mio sguardo si ferma su due occhi di una particolarità inconfondibile che seguono la mia discesa.
Ero pronta ad incontrare qualche mio conoscente che poteva scegliere questo centro commerciale per acquistare dei regali, ma avevo escluso che Hikigaya sarebbe stato tra questi: avevo la certezza che si stesse occupando di un’altra questione in questo momento. Il mio sistema cardiovascolare aumenta la sua attività, quindi sfrutto il tempo che mi resta per arrivare al pavimento per riprendere la calma.
Accenna col capo un saluto, quindi spero che la nostra interazione si fermi lì e, mentre mi allontano dal nastro gradinato che scorre, rispondo rapidamente per fargli capire che ho fretta.
- Yo.
Tentativo fallito. Ancora una volta, capisce solo quello che vuole. Anche se tentata di far finta di nulla, non ho intenzione di lasciare che la mia educazione vacilli. – …Buona sera.
Superiamo le porte automatiche quasi nello stesso momento, ritrovandoci in mezzo alla folla di clienti soddisfatti e vicino a quelli che volevano esserlo. Improvvisamente, sento il bisogno di una persona con cui ho familiarità, almeno finché non raggiungo un luogo con una densità umana più limitata, che riconosco nella modesta piazza davanti a noi: il freddo e la pioggia precedente l’avevano resa deserta.
Mentre la raggiungo velocemente, mi accorgo che Hikigaya sta prendendo la mia stessa direzione, forse per lo stesso motivo che ha indotto me. Appena allontanatami dal gruppo di gente sulla strada, sistemo il cappotto e la sciarpa, aspettando che si diriga altrove. Invece, anche lui sposta la sua sciarpa e rimane lì.
Per quanto sia imbarazzante raggiungere una piazza per poi lasciarla subito, stavo decidendo se andarmene di mia iniziativa, quando lui iniziò a parlare.
- Ehm, stavi facendo compere?
Come al solito, cerca di evitare le parti più difficili, anziché risolverle. Ma non ho intenzione di obbligarlo. Anche perché c’è un’altra questione che voglio chiarire.
- Sì… Potrei farti la stessa domanda; cosa facevi qui a quest’ora?
Lui evitò il mio sguardo massaggiandosi le guance: ovviamente la piccola Komachi non era il motivo per cui ha terminato in anticipo l’associazione di volontariato. Di nuovo, ha agito per conto suo.
- …Io, be’, avevo solo degli impegni.
Abbassai la testa e moderai il tono di voce per cercare di non invadere il suo modo di agire, come concordato.
- Ho capito…
Mi viene spontaneo rendergli noto che il suo comportamento mi fa male, ma mi mordo il labbro per non continuare. Ma, appena lo faccio, la sensazione di dolore si intensifica e sento le lacrime raggiungere la mia cornea. Al tremare delle mie labbra, alzo la testa e ammetto di non poter resistere senza portare avanti la questione. Fisso gli occhi che voglio conoscere ulteriormente.
- …Ho capito che stai svolgendo l’incarico di Isshiki.
Parlo cercando di tenere le emozioni fuori dalla voce, sempre a volume basso. Riconosco subito nella rassegnazione del suo sguardo il pentimento di essere venuto in questa piazza.
- Oh, be’, sono successe varie cose…
Non mi aspettavo che avrebbe detto con chiarezza i motivi per cui ha agito in quel modo, ma penso di dovermi accontentare di andare al dunque di persona. Guardo a terra per riuscire meglio a prendermi anche la sua parte di responsabilità.
- Non avevi motivo di mentire in quel modo.
- Non ho proprio mentito. Era una delle cause.
Certo, tipico del suo carattere: riesce ad evitare di dire le cose come stanno impiegando un impeccabile sillogismo formale. Non posso biasimarlo. Quando una situazione diventa insostenibile, anche io trattengo le parti più soggettive, occupando la conversazione con le prove inconfutabili e giustificanti. Solo Yui riesce a dire tutto senza basarsi sugli avvenimenti, dando importanza agli effetti su di noi. Lei potrebbe smentirlo. Io no.
- …Immagino di sì. È vero, non hai mentito.
Al loro spostarsi per via del vento, rimisi a posto i capelli con le mani. C’erano tanti altri aspetti che non ho esplicitato e che forse pesano ancora sull’opinione che Hikigaya ha del mio carattere. Ma nessuno dei due cercherà di far emergere queste verità, perché a entrambi risultano troppo scomode. E ci è scomodo scomodarci a vicenda. A un tratto, assume un tono di scusa.
- …Mi dispiace di aver agito da solo.
Devo per lo meno chiarire che l’accordo di svolgere i nostri compiti in modo diverso non mi disturba. Chiudo gli occhi e diniego lentamente per rassicurarlo.
- Non mi dà fastidio. Quello che fai individualmente non è qualcosa che io possa giudicare, tantomeno ne ho le competenze. A meno che…
Intensifico la stretta alla cinghia della mia borsa volontariamente per accumulare la forza necessaria. Spero con tutta me stessa che la risposta al mio dubbio sia quella. Lo so che qualunque indizio logico afferma inconfutabilmente il contrario, ma sono arrivata fino a questo punto, e voglio saperlo. Inclino leggermente la testa e lo osservo con la massima attenzione.
- Vuoi il mio permesso?
La sua espressione diventa confusa e mi accorgo che le sue carotidi sono più in rilievo rispetto a pochi secondi fa.
- …No, me ne stavo accertando.
La delusione non mi sfiora nemmeno. Ormai lo conosco e non posso aspettarmi che per lui abbia importanza il mio giudizio sulle sue scelte. Almeno, non quanta ne ha per me il suo sulle mie. Sorrido, chiedendomi se ci sia stato un momento che più degli altri mi ha fatto interessare a quello che pensa, a quello che vuole e a quello che prova. Lui mi guarda di nuovo.
- Ho capito. Se è così, non è necessario che ti scusi. Inoltre, lavorare con te metterà più a suo agio Isshiki.
Guardando il cielo coperto dalle nubi tinte di arancio dalle luci dell’area industriale sulla costa, riesco a parlare lentamente e senza dare l’impressione che quelle parole mi importino.
- Visto che sei tu, credo che sarai in grado di sistemare tutto. D’altronde, finora è sempre stato così.
Non posso cercare un errore che non esiste nel suo metodo perché io mi sono sempre sforzata di attenermi a quello che mi avrebbe potuto avvicinare ad Haruno. Se io fossi la professoressa Hiratsuka, gli avrei già attribuito la vittoria della nostra sfida.
- Non che io abbia proprio risolto le questioni… E poi, è perché sono da solo che lo sto facendo per conto mio, è tutto.
Non si accorge di quanto valore abbia riuscire a portare avanti le decisioni nella propria maniera. Lui è libero, non ha dei canoni a cui deve stare attento costantemente per avvicinarsi ad un obiettivo. Neanche immagina quanto vorrei provare la sua vita. O condividerla.
- E lo stesso si può dire di te.
- Non è… vero.
Stringo le labbra inclinando il collo, che fa sempre più fatica a far passare l’aria lentamente, e le maniche del cappotto. Stavolta non posso farne a meno. Non sopporto che lui pensi che noi due siamo uguali in qualcosa che io cerco da tanto tempo senza riuscire a raggiungere. Non c’è nulla che io possa dire per rimediare a questa offesa. Vorrei che vedesse da solo quanto ho bisogno della sua complicità, del suo sostegno. E vorrei che mi aiuti a non averne più bisogno. Faccio uscire a stento le parole.
- È solo comportarsi come se ci si possa riuscire… come se si capisse tutto.
Sento il suo sguardo su di me senza poterlo ricambiare. Dovrei accettare il fatto che lui non mi darà le certezze che spero mi liberino da queste aspettative oppressive.
- Ehi, Yukinoshita…
Mi decido ad alzare gli occhi, a sorridere e a mantenere il tono di voce che uso come presidentessa.
- Perché non prendi una pausa dall’associazione per qualche tempo? Se cerchi di essere gentile nei nostri confronti, sappi che non ce n’è bisogno.
- Non è che io cerchi… di essere gentile, per niente.
Stavolta la sua è una menzogna a tutti gli effetti. È inutile provare a recuperare l’atmosfera che avvertivamo in quella stanza vuota. La situazione è cambiata, ed Hikigaya deve rendersene conto, non sprecare il suo tempo con noi a far finta che non sia così.
Scuoto di nuovo la testa con calma, senza preoccuparmi della cinghia della borsa che scivola dalla mia spalla.
- Sei stato gentile verso di noi per tutto il tempo… Sin da quel momento, sempre… Per questo…
Non riesco a esprimergli l’importanza che ha avuto in tutti questi mesi il suo continuo occuparsi di tutti i problemi che mi promettevo di portare avanti con fatica. E la sua compagnia. Quindi passo ancora una volta al lato pratico.
- Ma non sei obbligato a costringerti ulteriormente. Se tutto viene distrutto solo per questo, significa semplicemente che ormai è terminato… Giusto?
L’espressione di Hikigaya si riempie di paura. Immagino che stia cercando di accettarlo, quindi taccio.
Non poter più essere a capo del consiglio studentesco non significa non avere più l’opportunità di poter svolgere qualcosa a modo mio. Se non ho più motivi per far approvare le mie decisioni a qualcuno, forse sarò in grado di approvarle io stessa. Ritengo che, quando ci sarò riuscita, ritornare a dialogare durante le attività di volontariato sarà molto più semplice. Credo che anche conciliare i nostri metodi potrà essere fattibile. Si tratta solo di cambiare i momenti a cui ci siamo abituati, dimenticandocene per un po’ e impiegandone di nuovi tratti dalle abitudini che verranno a sostituirsi.
È solo uno spreco di tempo portare avanti qualcosa che non vogliamo, che sappiamo non fare davvero parte di noi. Una volta anche lui era d’accordo, che la superficialità non servisse.
Lo credeva ancora?
Non saprei rispondere. In questo momento sono consapevole del fatto che cercare di non ferire gli altri non è completamente insensato. Essendo un modo di agire, so che viene utilizzato. Non posso negarlo.
Accorgendomi che il silenzio prolungato di Hikigaya confermava la mancanza di motivi logici, o di volontà per cercarli, che lo tenessero ancorato all’associazione, sospiro leggermente e sorrido brevemente.
- Non devi più costringerti a venire.
Lui spalanca gli occhi. Io prendo la strada per il mio appartamento. Ormai posso lasciare la piazza: non c’è più motivo d’imbarazzo.
Dopo aver sceso le scale di mattoni, mi ritrovo tra la gente, senza desiderare una persona che conosco ad accompagnarmi. Anche ritrovare la stazione di Inagekaigan è più facile del solito. È un tentativo che voglio fare, e anche lui ha bisogno di questa opportunità. Riservandogliela, penso di poter restituire almeno in parte l’impegno che lui ha messo nel tempo che abbiamo trascorso insieme.
 
   
 
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