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Autore: WhileMyGuitarGentlyWeeps    05/09/2016    1 recensioni
Joan Cameron si trasferisce a New York dopo aver capito che la vita che credeva perfetta era in realtà una gabbia dorata. Arriva al 4D in una fredda mattina di febbraio e la sua porta non si apre.
Accorre in suo aiuto, come un principe su un cavallo bianco, quello che sarà poi il suo vicino, aprendo la porta di casa sua. Lui di fiabesco non ha nulla. E’ un’anima tormentata, svuotata.
Da quel freddo giorno di febbraio le loro vite si incrociano e si scontrano in una danza in cui non ci sono né vincitori né vinti.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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22.
 
"Beauty queen of only eighteen
she had some trouble with herself
He was always there to help her
she always belonged to someone else"


 
“Se stai cercando Cult mi spiace ma questa sera non c’è!” Disse secca concentrandosi sul blocchetto che teneva tra le mani, senza neanche guardare la sua interlocutrice.

“Lo so, stavo cercando te”

Questo sì che era curioso. Joan alzò lo sguardo, diffidente e rimase meravigliata quando notò che in Melody non c’era traccia di scherno o strafottenza. I trucco che le contornava gli occhi era sbavato e colato fino agli zigomi, alti e definiti.

“Oh…”

“Senti lo so che non mi sono comportata bene con te… Io… Sì, insomma, volevo chiederti scusa!”

Joan strabuzzò gli occhi, incredula. Quella donna non poteva essere la stessa che l’aveva insultata solo ventiquattro ore prima, non poteva essere la stessa che l’aveva odiata fin dal primo momento.

“Non capisco, ma grazie… Credo”. Affermò confusa, ancora poco convinta dalle parole di Melody.

“Pensavo che tu fossi una mia nemica, pensavo che volessi portarmelo via…” Abbassò lo sguardo, affranta.

“Io non…” Joan non sapeva cosa dire, era talmente esterrefatta da quelle parole che si trovava a subire passivamente quella situazione.

“La verità è che avevi ragione… Ho sempre usato il mio corpo per avere quello che volevo, perché mi è sempre bastato… Gli uomini che frequento io vedono una bella ragazza e non pensano che abbia un cervello, dei sentimenti, quindi non ho mai avuto bisogno di usarli…”

“Senti Melody, mi dispiace per quello che ho detto ieri, non mi sarei dovuta permettere…”

“E invece hai fatto bene, mi serviva qualcuno che mi spingesse ad aprire gli occhi, a farlo davvero, però!” Sospirò, passandosi le dita allungate sotto gli occhi e fissando il trucco colato che si era trasferito sui suoi polpastrelli. “Cult mi è sempre piaciuto, e mi sono autoconvinta che fosse colpa tua se lui mi considerava solo un passatempo, ma la verità è che il nemico non sei mai stato tu. Il nemico era lui!”

Non poteva credere a quelle parole, a quella resa. Quella donna non sembrava che una pallida copia della Melody che aveva conosciuto lei. Quella donna poteva quasi piacerle, anzi, poteva sicuramente piacerle.

“Senti, Joan, io non sono nessuno e non è che abbia fatto molto per starti simpatica, ma vorrei darti un consiglio siccome conosco Cult da tanto tempo: non aspettarti
niente da lui, non aspettarti una dichiarazione d’amore, rose rosse e cioccolatini perché lui non farà niente di tutto ciò. Lui non ne è capace, il suo percorso di autodistruzione è iniziato un bel pezzo fa…”

Joan la fermò. “No senti, hai frainteso… Tra me e Cult non c’è nulla!”

“Oh, ma ti prego! Ho visto il modo in cui lo guardi e soprattutto ho visto il modo in cui lui guarda te…Ma, come stavo dicendo, il suo percorso di autodistruzione è iniziato un bel pezzo fa e tu non puoi fare nulla per fermarlo, l’unica cosa che puoi fare è cercare di essere il più lontano possibile quando esploderà”.

Scioccata dalle parole di Melody, Joan si sentì le gambe molli.

“Io non capisco… Perché mi stai dicendo queste cose?!”

Melody sospirò, stringendo i manici della borsetta che teneva stretta davanti a sé. “Non lo so… Forse per scusarmi del mio comportamento, forse per vendicarmi di Cult o forse perché vorrei evitarti le sofferenze che ho provato io…”

Era vera. Joan aveva sempre giudicato Melody come una donna superficiale e finta e invece di rese conto che nessuno le aveva mai parlato così direttamente, nessuno era mai stato così vero in vita sua.

“Grazie, Melody!” Si limitò a dire, sorridendo.

La donna ricambiò quel sorriso, pronta ad andarsene. “Grazie a te! …E se mai ti venisse voglia di farti biondo platino sai dove trovarmi!”

Alison entrò nel locale, che nel frattempo aveva aperto, proprio in quel momento. Guardò Melody andar via, facendo una strana smorfia non appena l’ebbe superata. Si avvicinò a Joan, preoccupata, e le prese il viso fra le mani. Glielo girò a destra, poi a sinistra, poi ispezionò il corpo.

“Mmm… Nessun segno di lotta… Molto bene”. Era seria, ma quella frase suonava talmente ridicola che Joan scoppiò a ridere, infastidendo Alison.

“E ora che hai da ridere?! Un secondo fa sembrava che ti avessero ammazzato il gatto e ora ridi della mia preoccupazione”.

Joan, che un po’ si sentiva in colpa, le schioccò un bacio sulla guancia, promettendo che le avrebbe raccontato tutto quello che era successo in quella giornata assurda se avesse aspettato la sua prima pausa.

Dopo aver servito diversi clienti e pulito alcuni tavoli la ragazza poté finalmente prendersi una pausa, autorizzata da Duck che tra un cocktail da preparare e una birra spillata flirtava spudoratamente con tutte le clienti. Si sedette al tavolo di Alison, sospirando stanca, ma la donna non le diede tempo di riprendere fiato.

“Non sei qui per riposarti, racconta!” Ordinò con tono dittatoriale.

E così Joan le raccontò tutto nei minimi dettagli: del bacio di Cult, della discussione e delle parole di Melody.

“Oh. Cazzo!” Esordì Alison, buttando giù una buona sorsata di birra. “E io che mi lamento di avere giornate movimentate quando devo dividere due bambini che si picchiano al parco…”

Quella donna era semplicemente comica, guai a dirglielo, ma aveva una naturale vena comica che riusciva a far tornare di buonumore chiunque e ogni volta che le parlava capiva come Steve avesse fatto a innamorarsene.

“Sono così confusa!” Disse Joan in preda allo sconforto, sbuffando sonoramente.

Alison le appoggiò una mano sul braccio. “Lo so tesoro, ma hai fatto la cosa giusta! Non vuoi soffrire e se conosco Cult come credo rispetterà la tua decisione!”

“Perché se ho fatto la scelta giusta allora mi sento così da schifo?!”

“Semplicemente perché a te Cult piace e rinunciare a lui non sarà facile!”

Joan buttò la testa indietro, passandosi le mani nei capelli.

“E Huck? Cosa faccio con Huck?! Lui mi piace, è divertente e mi trasmette calma, ma non è come Cult, con Cult mi vengono i brividi anche solo con uno sguardo, mentre con Huck… Ah, con Huck non lo so!”

“Senti, Joan, prova a vedere come va! Magari scopri che anche Huck ti fa venire i brividi, oppure tra qualche settimana ti accorgerai che non è così e allora là fuori prima o poi troverai qualcuno che ti fa battere il cuore!”

Joan, ancora in preda allo sconforto non sembrava assolutamente rassicurata.

“Quando io e Steve ci siamo lasciati è stata dura, io lo amavo ancora e tanto, ma mi sono resa conto che volevo qualcosa di diverso per me e mio figlio, volevo stabilità e tranquillità che Steve non poteva darmi. Ho pianto, ho pianto così tanto che non avevo più lacrime, pensavo che non avrei amato più… Ma poi ho incontrato Blake e mi sono resa conto che mi sbagliavo: non avrei mai più amato come avevo amato Steve, ma questo non significava che non potevo amare diversamente”. Disse queste cose sorridendo, credendo fermamente nelle sue parole. “Amare Blake è amare la calma, la tranquillità, le domeniche al parco… L’amore è amore, ma possiamo amare tanto e in modo diverso… Forse Cult è l’amore della tua vita, come Steve era il mio, ma forse non è quello giusto”.

Allibita da tanta sincerità a apertura Joan si trovò a mandare via una lacrima che, silenziosa, si era posizionata all’angolo esterno del suo occhio.

“Grazie, Alison, di tutto! Di preoccuparti per la mia salute, di sostenermi… Di essere l’amica che non ho mai avuto”.

“Io ci sono, quando hai bisogno. Ora però devo tornare a casa dai miei uomini!” Disse controllando l’orologio e baciando la guancia di Joan prima di lasciare il locale.

 
Erano passati alcuni giorni e la situazione era tranquilla: Cult e Joan avevano mantenuto rapporti amichevoli, come si erano ripromessi e il loro ‘rapporto’, qualunque cosa fosse, sembrava finalmente pacifica.

Era ormai luglio inoltrato, il sole splendeva nel cielo fino a tarda sera e, nonostante afa e umidità fossero insopportabili, la città era bellissima. Era sabato e Joan era stata invitata da Alison ad una giornata al mare, ci sarebbero stati anche Blake e Austin, ovviamente, e Steve, Cult e Duck.

Joan dovette ammettere che l’idea di vedere Cult mezzo nudo non la dispiaceva per niente, ma fece di tutto per respingere quell’interesse.

Alison le aveva proposto di invitare anche Huck e, sebbene lei fosse particolarmente titubante in merito, decise di parlargli di quella giornata e lui accetto l’invito dicendo che li avrebbe raggiunti lì in tarda mattinata.

Anche la situazione con Huck sembrava tranquilla, si erano visti diverse volte, ma Joan insisteva ancora per non etichettare il loro rapporto.

“Allora?! Sbrigati!!” Alison, dittatoriale come sempre, urlava nel mezzo del salottino mentre Joan recuperava le ultime cose in camera.

“Arrivo, Ali, smettila di strillare come un’aquila!”

La donna sbuffò sonoramente, picchiettando col piede sul pavimento e ricevendo in tutta risposta un’occhiataccia da Joan.

“Eccomi, sono pronta”.

Aveva indossato una maglietta larga e dei pantaloncini, di quelli in finto effetto pizzo che teneva per situazioni come quella, e sotto un semplicissimo costume nero. Proprio nel momento in cui stava per chiudere la porta, con Alison impaziente alle spalle, Cult fece capolino sul pianerottolo.

“Oh, meno male ti sei sbrigato!” Disse Alison.

“Ma non la smetti mai di comportarti da Adolf Hitler dei nani?!” Rispose lui ghignando e tirandole un buffetto sulla testa, suscitando l’ira di Alison che gli tirò un pugno sul braccio.

“Tu accompagnerai Joan e stai attento, perché ti tengo d’occhio!” Disse imbronciata, gli occhi ridotti a due fessure.

Chiaramente non faceva paura a nessuno, anzi, faceva piuttosto ridere, sembrava uno di quei buffi cartoni animati giapponesi ed era adorabile.

Joan sapeva benissimo quanto lei e Cult si volessero bene, quindi si godette la scena ridacchiando, nonostante fosse abbastanza preoccupata per il viaggio in auto. Di cosa avrebbero parlato?! Dalla loro discussione non avevano più parlato, non veramente, almeno: si erano limitati a veloci scambi di battute sul pianerottolo o al lavoro, ma nulla di più.

Alison volò giù dalle scale raggiungendo l’auto con Blake al volante e Austin che dormiva sul seggiolino nel sedile posteriore. Joan, invece, seguì silenziosamente Cult che andava alla sua di auto, parcheggiata pochi metri oltre il portone.

Il viaggio non durò moltissimo, la strada era praticamente deserta grazie all’orario, ma sembrò durare molto di più a causa del silenzio imbarazzante che riempiva l’abitacolo. Gli unici rumori erano quello della radio e quello del motore.

Quando arrivarono trovarono ad aspettarli Steve e Duck che, essendo arrivati in moto, avevano guadagnato diversi minuti.

Duck, che ormai aveva abbandonato le stampelle, era già a petto nudo e fissava tutte le ragazze che passavano facendo loro i raggi x. La ferita era a quel punto solo una cicatrice rosata.

Joan dovette ammettere che aveva un fisico niente male, ma che fosse un bel ragazzo non lo aveva mai negato. Duck, non appena la vide, le corse incontro, sorridendo sornione.

“Sono sicuro che dopo avermi visto a petto nudo cadrai ai miei piedi!” Ammiccò.

Joan alzò gli occhi al cielo, ormai abituata a quel tipo di comportamento. “Duck per farmi cadere ai tuoi piedi dovresti smettere di voler spogliare ogni singolo essere umano di sesso femminile che vedi…”

Duck, per niente abbattuto da quella frase, si allontanò urlando che l’avrebbe fatta ricredere.

Austin, Alison e Blake si erano già sistemati in un angolo vicino al bagnasciuga, ma leggermente isolato dalla zona più affollata della spiaggia. Steve e Cult parlottavano di chissà cosa mentre seguivano gli altri e Joan stava in fondo, inspirando a pieni polmoni l’aria salina e rigenerante.

Stese il suo asciugamano e non ebbe neanche il tempo di spogliarsi che subito Austin reclamò la sua attenzione: voleva che lo aiutasse a costruire un castello, uno enorme, per la precisione.

Nonostante sua madre avesse insistito affinché il bambino lasciasse in pace Joan, lui si era impuntato dicendo che avrebbe costruito il castello solo ed esclusivamente con lei. La ragazza, dal canto suo, era ben felice di non dover restare troppo vicino a Cult mezzo nudo e di poter posticipare il momento in cui si sarebbe spogliata, attirando le battutine di Duck.

Austin aveva sicuramente preso la vena da comandante d’esercito della madre, perché dirigeva i lavori come il migliore dei capocantieri e nella sua testa aveva un progetto tutto suo che probabilmente somigliava alla reggia di Versailles.

Era passata una buona mezz’ora e il castello era a buon punto quando Steve e Cult si avvicinarono al bagnasciuga, pronti a fare il bagno. Rimase sorpresa dal fisico asciutto e scolpito di Steve, che aveva sollevato Austin e stava per buttarlo in acqua, ma fu su quello di Cult che si soffermò: ogni volta si stupiva di come quelle forme potessero essere così armoniose e naturali. Fortunatamente indossava degli occhiali scuri ed evitò l’imbarazzo di essere sorpresa a fissargli gli addominali.

“Hai intenzione di rimanere bardata tutto il giorno, ragazzina?” Chiese col ghigno sulle labbra.

Joan si alzò, togliendosi la sabbia dalle gambe. “No, ero impegnata ai lavori di bassa manovalanza”. Chiarì seria indicando la torre che aveva fatto. Era storta, ma in fondo non era male.

Cult guardò il punto dove indicava lei e rise. “Meno male che non fai il muratore altrimenti le case crollerebbero alla prima folata di vento”.

Lei lo guardò imbronciata, voltandosi e dirigendosi all’asciugamano per spogliarsi. Si tolse i pantaloncini e la maglietta appoggiandoli, sovrappensiero, sulla borsa. Un fischio attirò la sua attenzione: Duck la stava squadrando dalla testa ai piedi, avvicinandosi.

“Lo sapevo che eri piena di sorprese”.

Joan, imbarazzata, abbassò lo sguardo. “Smettila di urlare, Duck, stai facendo girare tutti”.

“Sì, ma lei è tutta mia”. Urlò rivolto alle persone che gli stavano vicine. Poi le si avvicinò, circondandole le spalle con un braccio. “Andiamo a fare un bagno”. Disse allusivo.

Lei si defilò. “Mmm.. No, grazie! Penso che aspetterò un po’”.

Fece per allontanarsi, ma fu trascinata indietro da Duck che la prese in braccio.

“Duck lasciami!” Urlò lei, immaginando già che volesse lanciarla poco delicatamente in acqua. Duck, ridacchiando, continuò a correre verso il bagnasciuga. “Duck, lasciami o ti faccio tornare in ospedal…Aiuto!”

Quel grido fu soffocato dall’acqua, che le entrò prepotentemente in bocca. Riemerse alcuni secondi dopo, coi capelli appiccicati alla faccia e le risate di Duck e Cult che le arrivavano ovattate. Si passò le mani sugli occhi, che pizzicavano a causa dell’acqua salata e li guardò infuriata.

“Me la pagherete! Ah, se me la pagherete!” Urlò schizzando acqua nella loro direzione, senza scalfirli minimamente.

Duck, la sollevò di nuovo, pronto a gettarla un’altra volta in acqua. Joan fece affidamento su Steve, che non si sarebbe mai messo contro di lei. “Steve, amico mio, aiutami!” Gli urlò implorante.

Steve li guardò, guardò il figlio che rideva e propose di lanciare Austin, il quale si sarebbe divertito molto di più. Duck, però, non si fece convincere. “Non preoccuparti ometto, il prossimo sei tu, ma prima lanciamo la zia Joan”. Aveva una strana nota di sadismo nella voce che la fece preoccupare terribilmente.

Ormai non si ribellò neanche più. Incrociò le braccia e aspettò che il ragazzo la lanciasse. Finì sott’acqua, dove rimase alcuni secondi, fino a quando una mano non afferrò il suo polso per tirarla su.

Pensando che fosse Duck iniziò a dimenarsi insultandolo. A grande sorpresa, però, si accorse che non era lui ma Cult, che la teneva salda. “Ragazzina volevi morirci lì sotto? Ti sono spuntate le branchie?!”

 “Guarda che so nuotare!” Rispose lei liberandosi dalla sua presa. “Non vorrai dirmi che hai paura che mi succeda qualcosa?” Disse provocatrice.

Per la prima volta Cult rimase senza parole, col suo polso ancora tra le mani e senza quel sorrisetto fastidioso sulle labbra.

“Ora, se per favore vuoi lasciarmi, vorrei far una nuotata fino a là”. Disse indicando un punto non ben precisato. “Posso, oppure devi controllare che non ci siano squali
nelle vicinanze?”

Cosa le desse quella sicurezza non lo sapeva, ma tanto valeva sfruttare il momento…

Lui la lasciò andare e la guardò allontanarsi, per poi concentrarsi su Austin che pretendeva di essere lanciato anche da lui.

 
Joan si prese un po’ di tempo per stare da sola, fece qualche bracciata, tanto da allontanarsi dalla folla e rimase a galla, immobile per qualche minuto. Adorava farlo: l’acqua, che le copriva le orecchie, ovattava i suoni e il sole sembrava così vicino.

Tornò alla realtà solo quando un pallone atterrò vicino a lei, schizzandole il viso e decise di tornare a riva. Tornò indietro fino a pochi metri dal bagnasciuga, dove Austin stava ancora giocando con Cult, rimasto solo col bambino.

Aveva approfittato del fatto che Austin voleva rimanere ancora a giocare, ma in realtà voleva controllare che Joan non affogasse da qualche parte in mezzo all’oceano.

“Zia Joan, guarda come mi tuffo”. Disse il bambino tirando il braccio di Cult per farsi prendere in braccio. Il ragazzo lo fece e lo lanciò in aria, facendo attenzione che non rimanesse troppo tempo sott’acqua.

Il bambino, pochi secondi dopo riemerse, tutto felice, chiedendo com’era andato.

“Sei stato bravissimo, ora però usciamo, dai”. Gli porse la mano, che Austin prese tra la sua, piccola.

Joan si sedette sull’asciugamano, strizzando i capelli per togliere l’acqua in eccesso. I suoi occhi erano fissi sull’acqua, dalla quale emerse Cult, che attirò gli sguardi di mezza spiaggia. Lo guardavano le ragazze, ma anche le madri e persino le nonne.

Beh, a dire il vero, non guardarlo era difficile: tutto bagnato era una visione celestiale, sembrava un modello appena uscito da una pubblicità di un profumo. Quando lui si avvicinò Joan poté scorgere la cicatrice di quella ferita che li aveva fatti conoscere e si trovò a sorridere senza rendersene conto.

Huck, che era arrivato da poco, le si avvicinò alle spalle,coprendole gli occhi e facendola sussultare. Joan si voltò, sorridendo non appena vide di chi si trattava. “Ciao”.

“Ciao”. Rispose lui baciandola. “Come va?”

“Bene. Ho costruito una torre storta e sono stata buttata in acqua, ripetutamente”. Disse fingendo serietà.

“Mmm..ottimo, vedo che non ti sei annoiata”.

Si tolse la maglia, rivelando un fisico asciutto e tonico, certo, non paragonabile a quello di Cult, ma Huck si difendeva bene.

“Non ho l’asciugamano, che ne dici di ospitarmi sul tuo..” Disse sedendosi dietro di lei, baciandole il collo scoperto.

Le allungò anche un pacchetto, contenente un panino. “Ti ho anche portato il pranzo”.

“Sei proprio un angelo”. Disse scartando il pacchetto e iniziando a mangiare.

Cult prese un asciugamano, che ovviamente aveva portato l’organizzatissima Alison, e si sdraiò a mezzo metro da loro, imbarazzando Joan non poco.

“Ehi Cult, come va?”

“Bene, tu?” Chiese senza guardarlo negli occhi.

“Benone, grazie…”

Ottimo, bella conversazione.

“Ho saputo che era il tuo compleanno un paio di settimane fa… Auguri, anche se in ritardo!”

Se non altro Huck ci stava provando…

Cult, finalmente, alzò la testa, concentrandosi sul suo interlocutore. “Grazie”. Disse secco, alzandosi per tornare in acqua.

Ahia…C’era qualcosa che non andava…
 

Il pomeriggio trascorse tranquillo, Cult non tornò a sedersi vicino a Joan e Huck, e quest’ultimo andò via prima, chiedendo ad Alison se potevano accompagnare loro Joan.

Le schioccò un bacio sulle labbra promettendole che il giorno seguente sarebbe passato de lei. Quando venne sera si prepararono per andare via e Alison, dittatoriale come sempre, chiamò Cult a rapporto.

“Accompagni tu Joan?”

Lui fece solo un cenno, avviandosi verso l’auto senza aspettare nessuno.

Joan fece per raggiungerlo, ma Alison la bloccò. “Ferma lì! Che è successo?” Chiese come se stesse facendo il terzo grado a un terrorista.

Joan alzò le spalle. “Giuro che sta volta non ne ho idea! Stava parlando con Huck come se niente fosse e poi ha preso e se n’è andato, senza dire niente!”

Alison alzò gli occhi al cielo. “Chi lo capisce è bravo… Bah… Ora vai, altrimenti è capace che ti lascia qui!”

La ragazza annuì, si chinò per salutare Austin e, dopo aver salutato tutti, camminò a grandi falcate verso Cult, che la aspettava appoggiato all’auto, con gli occhi di alcune ragazze addosso.

Quando la vide avvicinarsi salì in macchina, mettendo in moto. Partì senza neanche dare il tempo a Joan di mettersi la cintura e guadagnandosi un’occhiataccia.

Il traffico era maggiore rispetto all’andata e Cult sembrava spazientito. Imprecava contro gli automobilisti anche quando non ce n’era motivo e Joan non capiva. Lo scrutava con la coda dell’occhio, nascosta dietro gli occhiali da sole. Stringeva il volante con la mano sinistra, mentre la destra rimaneva fissa sul cambio.

“Qual è il problema?” Chiese Joan ad un tratto, con voce flebile, ma che nel silenzio dell’abitacolo sembrò altissima.

Cult si voltò, inserendo la terza. “Le persone che non sanno guidare dovrebbero stare a casa…”

La ragazza annuì, togliendosi gli occhiali da sole. “Preferisci che faccia finta di credere che il problema sia questo, oppure mi dici qual è il reale problema?”

Colpito da quella schiettezza, la fissò per un istante, per poi tornare a concentrarsi sulla strada. Rimase in silenzio per un paio di minuti, durante i quali Joan rimase in attesa, senza distogliere lo sguardo.

“Hai raccontato a Huck solo del mio compleanno o anche di quello che è successo dopo?!”

Joan, stupita da quella domanda, rimase senza parole per un periodo indefinito di tempo. Balbettò, poi finalmente, riuscì a ritrovare la parola. “Come scusa?”

“Ma sì, siccome gli racconti tutto, mi chiedevo se gli avessi detto davvero tutto..”

Era cattivo, forse non era sua intenzione esserlo, ma la sua voce tradiva risentimento.

Joan, però, non era in vena di litigi. “Perché devi sempre fare così?” Sussurrò. “Gli ho semplicemente detto che era il tuo compleanno perché mi ha chiesto cosa avessi fatto quel giorno. E no, non gli ho detto ‘anche quello che è successo dopo’, perché è una cosa tra te e me e non c’entra nessun altro!”

Non c’entra nessun altro.

“Sai… se non ti conoscessi direi che sei geloso…” Azzardò lei.

Cult continuò a guardare la strada, ma sentiva benissimo le sue parole e Joan lo sapeva, perché ormai lo conosceva davvero bene.

“Hai ragione, ho esagerato. Me la prendo per delle stronzate, ma non preoccuparti, abbiamo fatto un patto e ho intenzione di mantenerlo”.

Sembrava sincero, eppure c’era qualcosa che non la convinceva.

Un patto.
 
Salve!
Domani finiscono le mie vacanze e torno alla routine, quindi ho pensato di festeggiare con un bel capitolo! La prima parte chiude un po' il 'cerchio' con i due capitoli precedenti, mentre la seconda l'ho scritta perchè sti poveracci tra tresche, lavori loschi e coltellate non hanno mai un attimo di riposo e quindi perchè non una bella giornata al mare?! ;)
Come sempre mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate quindi, se vi va, lasciate un commento :)
A presto!

 
  
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