Ai miei cari
lettori,
non vi preoccupate, questa storia mi serve per staccare la spina dalle
long, ma
le long comunque continueranno a breve. Questa storia invece mi
è venuta
leggendo molte storie sul fandom seconda guerra
mondiale…possibile, pensavo, che
tutte le storie debbano avere per protagonisti crucchi, ebrei o
soldati? Onde
per cui ho scritto questa piccola follia, un po’
nonsense…
Buona Lettura
Gabrielle Ruf
gliel’aveva detto di non
mangiare prima del servizio, ma come suo solito aveva ignorato
bellamente la
cosa e ora si trovava a vomitare con la testa su un cesso mezzo
otturato di un
lurido bagno.
Ora capiva perché le
infermiere del reparto erano così
magre, non mangiavano oppure se mangiavano rimettevano poco dopo il
servizio in
reparto.
Ma quello in cui lei lavorava non era
neanche un ospedale,
quello era saltato tre mesi prima sotto i bombardamenti, quello era un
“cazzo”
di orfanotrofio abbandonato e fatiscente, un luogo lugubre e tetro in
cui le
urla che riecheggiavano non erano quelle dei fantasmi, ma dei feriti.
Un orfanotrofio sventrato e con una
sola ala funzionante,
neanche minimamente sufficiente per accogliere tutti gli operativi e i
pazienti.
Era ancora assorta nei suoi pensieri
e soprattutto sul “ma chi
diavolo me lo ha fatto fare!”, quando Gabrielle la
chiamò allarmata:” Rose,
Rose corri. Il paziente 18 ha avuto una crisi, corri.”
Si rassettò alla meglio e
peggio, ma non pensò neanche per
un momento né di bere, né di sciacquarsi le mani
con l’acqua- vuoi per il
lavandino rugginoso, vuoi per lo sgocciolio marroncino che ne usciva
fuori.
Corse a perdifiato per il lungo
corridoio dalle mattonelle
smaltate in parte saltate, rischiando così di inciampare,
pulendosi le mani con
l’acqua che Gabrielle le aveva passato ed entrò
nella stanza numero 3-reparto urgenze.
Le urla, che già
echeggiavano nel corridoio, ora sembravano
il verso sinistro e disperato di un animale scannato con selvaggio
piacere.
“Il paziente 18 ha avuto un
altro attacco, tempo ci sia
altro liquido nei polmoni.” Disse senza concitazione
un’altra infermiera, dalle
fattezze irlandesi, rispondente al nome di Molly Boot.
“Grazie.” Rispose
lei e si avviò verso il letto del paziente
ferito.
Cercava di abituarsi alla cosa e di
farla passare per un lavoro
ordinario, ma non lo era affatto.
Pazienti che non avevano nome, ma
solo un numero, due stanze
configurate, insieme, per 70 ospiti che dovevano contenere 200 feriti e
degenti; per non parlare poi dell’unico dormitorio comune
adibito a magazzino,
lasciando così agli operativi la fantasia di dove allocarsi
nei turni di pausa
e di dove gettare un giaciglio per poter chiudere gli occhi, almeno per
due
minuti.
Il paziente 18 era sdraiato su una
brandina di fortuna con
il petto trafitto da due tubi.
“Non riusciamo a drenare il
liquido.” Disse allarmata
un’altra infermiera, June Vector, la più giovane
della squadra.
Rose sospirò per un
secondo, pensando:” perché tocca tutto a
me?” e poi cominciò a sparare ordini a
mitraglia:” Tu trovami un perforatore.”
Disse a Gabrielle.
“Tu, trovami del
disinfettante.” Disse a Molly.
“E in quanto a
te.” Disse, rivolta alla più piccola:”
Sedalo.”
Benché non fosse la
più adatta a fare l’infermiera, in
special modo con quei pazienti e in quella situazione disperata, la sua
laurea
in chimica le forniva una sorta di vantaggio, in quanto conosceva tutti
i
dosaggi e ti tipi di farmaci adatti per anestetizzare qualsiasi
paziente; aprì
il
suo camice ed
estrasse una siringa dal grosso ago in acciaio sterilizzato, poi
cominciò ad
armeggiare, con una gioia quasi sinistra, con le sue fialette e infine,
senza
preavviso trafisse il paziente, mandandolo nel mondo dei sogni.
“Ci servirà
altra ropivacaina” Disse con freddezza, dopo
aver sedato il paziente e aggiunse:” Nessuno dorme, se non
gli do la mia
ninnananna.”
Dopo cinque minuti arrivarono le
altre due, con il materiale
richiesto.
Il perforatore non era altro che una
grossa barra di ferro
con una spessa punta, usata per aprire i crani.
Disinfettatolo, Rose lo pianto nel
costato del paziente, per
poi estrarlo e sostituirlo con un altro tubo drenante.
Anche quella era fatta, il paziente
era salvo.
Ma proprio mentre pensavano
così, sopraggiunse la direttrice
Augusta Raptor, un armadio a due ante fatto donna, dura come la roccia
e
socievole come l’ortica.
“Che cosa è
successo qui?
Ho sentito urlare.” Disse con tono fermo, ma
imperioso.
Rose si fece avanti e
riferì:” Il paziente 18 avuto un'altra
crisi, ma ora tutto è passato.”
“A costo però di
alcuni sedativi e di un tubo drenante
nuovo.” Ribatté la Raptor, quasi seccata.
Rose stava per ribattere, ma la
direttrice, con un gesto la
zittì e riprese a parlare:” Il paziente 18
è un peso per sé, per gli altri
degenti e per questo ospedale, che non può permettersi
sprechi inutili, i
nostri fondi non ce lo permettono.”
Detto questo si avvicinò
al paziente e, estratta la sua
Enfield, sparò in testa al paziente.
“Sistematelo per i parenti,
se verranno informati del
decesso tra due giorni, dovrebbero impiegarne uno per
arrivare…il che vi dà.” E
si mise a contare con le dita sadicamente:” tre giorni per
prepararlo.”
Andava sempre così, sei il
paziente rappresentava un costo
eccessivo la direttrice Raptor lo giustiziava e obbligava le infermiere
ad
“addobbare” il morto, come se fosse deceduto a
causa della recrudescenza delle
condizioni per cui si era trovato ad essere ospite della struttura.
Rose aveva affrontato
l’inferno delle Ardenne e aveva
operato in condizioni davvero disastrose, per questo era stata chiamata
ad
operare nella sezione speciale del Royale George; lei aveva accettato
convinta
di operare in un clima più civile, essendo lontano dai
luoghi di guerra, ma si
era sbagliata e tanto.
Se non fosse stato per il suo periodo
al fronte, non sarebbe
sicuramente stata in grado di affrontare questo nuovo inferno, ma, in
effetti,
non sarebbe stata chiamata affatto.
Infatti anche le sue colleghe erano
comunque avvezze ad
operare in luoghi disperati e con mezzi di fortuna, tutte, nessuna
esclusa.
Gabrielle Ruff aveva lavorato con
Rose sul campo di battaglia
delle Ardenne, ed era stata lei a fare il nome di Rose come sostituto
della
dottoressa Patrice Winter, mandata alla Raf.
Molly Boot era lì
coattamente, non che il lavoro le facesse
schifo, ma stare lì faceva parte della sua sanzione per aver
appoggiato i
rivoltosi irlandesi durante la guerra civile degli anni 20.
June Vector invece non aveva
esperienze su campi di
battaglia, ma era comunque una chimica espertissima, il che la rendeva
indispensabile.
Infine, anche la direttrice Raptor,
nonostante non avesse
avuto alcuna esperienza pratica con gli ospedali, era stata scelta in
quanto
devota e leale suddita dell’impero britannico, avendo
sfondato il cranio del
proprio figlio con un attizzatoio per camini, una volta scoperto che
era una
spia dei crucchi. Questo
fatto la
rendeva una donna affidabilissima, incorruttibile e pronta a qualsiasi
azione
per il bene dell’Impero, onde per cui quella posizione
prestigiosa, con annesso
lauto stipendio.
Quel giorno, però oltre al
paziente 18, a morire,
naturalmente questa volta, furono anche il 23 e il 15, il primo per un
aneurisma al cervello e il secondo a causa della febbre alta.
“Ormai i pazienti cadono
come mosche.” Mugugnò Gabrielle,
mentre si accendeva una sigaretta, guardando verso la città
tentacolare,
avvolta in una fetida nebbia.
“Siamo già al
secondo anno di guerra e non se ne vede ancora
la fine.” Sentenziò Molly seduta su uno degli
scatoloni del magazzino
June non parlò nemmeno, ma
fini di consumare il suo pasto.
“Ma non ti stanchi mai di
mangiare fagioli?” Chiese quasi
disturbata Rose.
“Perché?”
Chiese lei con la bocca piena, poi ingoio:” A me
mi piacciono.”
“Si dice a me piacciono o
mi piacciono.” La corresse Molly
divertita.
“Zitta tu, non accetto
lezioni da chi non è inglese
madrelingua, mangiapatate.” Ribatte June.
E prima che Gabrielle e Rose
potessero intervenire, le due
erano a terra a tirarsi i capelli, a graffiarsi e a mordersi,
“Non ti permettere,
scozzese pidocchiosa.” Ringhiò Molly.
“Zittà, cagna
scissionista.” Ribatté June.
Anche quello faceva parte della
quotidianità, il dover
dividere le due ogni giorno.
Per fortuna c’era sempre
una nuova emergenza che le
riportava automaticamente all’ordine.
Prima c’era stato il
paziente 18, ormai deceduto, ora il
paziente 4 urlava in preda a dolori fortissimi, gridando che non si
sentiva più
le gambe.
“Oggi chi glielo dice che
le gambe sono tre settimane che
gliele abbiamo amputate.”
“Vado io.” Disse
June:” So come fare.”
“è la quarta
volta che vai.” Le disse dietro Rose, con fare
ironico:” Non ti sarai mica innamorata del bel
tenebroso.”
“Oh, ma
piantala.” Fu la risposta secca di June.
Ma non che Rose avesse tutti i torni,
il paziente 4 era
davvero un bel giovanotto gallese, ma di lui sapevano solo il suo
quadro
clinico e nient’altro; questo per evitare che si creasse un
legame fra operati
e operatori e valeva per tutti i pazienti, a cui veniva assegnata un
numero e
una cartella, era miss Raptor la sola a sapere chi erano e da dove
venivano.
In aggiunta per evitare comunque
eventuali legami con i
pazienti anche gli operativi venivano cambiati ciclicamente: non
più di quattro
infermiere e per un ciclo di non più di nove mesi.
Rose con il suo gruppo era al secondo
mese e aveva già visto
morire, naturalmente o guidati, 35 pazienti, tutti reduci storpiati sui
campi o
civili vittime dei bombardamenti,
Naturalmente la legge vietava la
morte assistita, ma in quei
frangenti la legge contava poco, contava solo la sopravvivenza di una
struttura
che, prima della guerra, fatturava quasi 1,5 milioni di sterline
l’anno e che ora
arrivava a stento, tirando la cinghia fino all’estremo, a
quindicimila sterline
di finanziamenti.
Fondi che dovevano coprire tutte le
spese, tanto i farmaci,
quanto le forniture, tanto le riparazioni, quanto gli stipendi, che
erano di
soli 1,800 sterline a testa per tutto il periodo; ma Rose, come le
altre, si
era abituata a far di economia, andando a mangiare da Dwayne Potter una
sola
volta alla settimana, la domenica, per il resto scatolette e scatolette.
Ne stavano mangiando un anche in quel
momento, quando la
sirena cominciò a suonare, avvertendo l’arrivo di
un nuovo paziente.
“Ok, signorine, al
lavoro.” Disse Rose in tono semiserio,
per poi dirigersi, in qualità di capo delle operative, verso
l’ufficio della
Raptor a ritirare la cartella clinica.
§§§
“Allora, cosa
abbiamo?” Chiese Gabrielle
“Un caso
gravissimo.” Ribatté Rose:” Il paziente
174 è
vittima di un’esplosione in cui ha perso il secondo, il terzo
e il quarto dito
della mano sinistra, ha riportato una leggera commozione celebrale e
ora è di là
che butta sangue da tre ferite…una nella zona addominale,
una nella zona
intercostale e la terza all’arto inferiore
sinistro.”
“Dovremo cauterizzare, ma
credo che purtroppo dovremmo
operare a crudo.” Intervenne laconica June:” ho
finito la ropivacaina, e anche
il metoexitale scarseggia, temo che dovremo andare al mercato
nero.”
Gabrielle assimilò
l’informazione con un mugugno di
fastidio.
“Se non operiamo, il
paziente potrebbe anche morire.”
Ribatté Rose.
Non ci fu discussione e si decise di
operare a crudo, tanto
urlo più urlo meno.
Ma quando ci si trovò
davanti al paziente, Molly rimase di
pietra: si trattava di suo nipote: Angus.
“Zia, sei tu?”
Mormorò il ragazzo flebilmente, quando la
vide.
“Si, sono io, piccolo
mio.” Disse con fare materno Molly.
“è tuo
nipote!” Disse stupita June:” ma siamo
impazziti…qui
la Raptor ci spella vive se dovesse saperlo.”
“Non lo è” Mentì
Molly:” Mi avrà confusa con
qualcun’altra. Ho solo fatto
finta.”
“E anche se fosse
così.” Ribatté Gabrielle:”
è comunque un
comportamento eterodosso, ci caccerai nei guai.”
“Ok, la smetto.”
Rispose lei e poi disse:” June per favore
fai qualcosa… non possiamo operarlo a crudo.” E
concluse con una frecciatina:”
O anche la pietà verso un paziente adesso è
comportamento eterodosso.”
Gabrielle incassò con un
borbottio, mentre June rispose che
purtroppo non era possibile.
“Ok.” Disse Molly
cercando di calmarsi.” Ora prendo in mano
io la situazione.”
“Rose vammi a prendere ago
e filo, devo ricucirlo al più
presto.”
“Gabrielle vammi a prendere
attizzatoio e ferri.”
“Tu, June, renditi utile e
portami delle garze sterili,
possibilmente.”
Poi cominciò ad operare,
scucendo e sfasciando e per poi di
nuovo ricucire e fasciare, fra i guaiti di dolore del paziente, infine
concluse
cauterizzando le ferite con un grosso coltello da cucina riscaldato sul
braciere.
Poi Molly uscì dalla
stanza, dato che le operazioni sui
pazienti avvenivano direttamente nel reparto stesso.
Dietro di lei venne Rose.
Quando furono nell’adrone
parlò:” è tuo nipote, vero?”
“Si.” Rispose
Molly fra le lacrime.
“Dovremmo
denunciarlo.” Riprese Rose
“Non ti prego...”
Ribattè Molly, afferrandole il camice:” Ne
parlerò con Abe.”
“Molly devo
parlarti…come amica.” Disse Rose
“Dimmi.”
“Non voglio
casini.” Concluse, ma avrebbe voluto consolarla
e stringerla a se, ma da tempo aveva barattato la sua
umanità per l’ordine
interiore
Una volta dentro le trovò
sedute lungo il corridoio
“è il nipote,
vero?” Chiese June
“Si.”
“Diamine, qui finiamo nei
casini.” Sbotto Gabrielle
“Lo so.”
Ribatté Rose/ Millicent:” Ma ora abbiamo altri 207
pazienti bisognosi delle nostre cure. A lavoro ragazze.”
L’indomani si recarono a
Whitechapel in cerca dei farmaci
sotto banco.
Ma mentre giravano fra i vicoli,
Molly notò suo marito Abe
in compagnia di alcuni individui loschi e con una scusa si
allontanò dalle
altre.
“Che fai, Abe?”
gridò rivolta al marito
“Niente.” Disse
lui, mezzo ubriaco:” Tu, invece…non dovresti
essere al lavoro.”
“Non fare casini, come al
tuo solito.”
“Non ti permettere di dirmi
quello che devo fare.” Disse
e poi le mollò uno schiaffo.
Ma prima che potesse sferrarne un
altro, si ritrovò a terra
privo di sensi.
“Mangiapatate.”
Disse June:” Sei hai un problema, ci siamo
noi qui per te.”
“Grazie.”
Disse:” Ma non serve.”
“Purtroppo
sì.” Ribatté Gabrielle:” Ci
dispiace, ma tuo
nipote non c’è la fatta.”
“La Raptor.”
Chiese quasi priva di emozioni.
“Setticemia.”
Rispose Rose:” Era un caso già in fase
avanzata. Sicuramente le dita non le ha perse
nell’esplosione.”
“E come lo sai?”
“Ne ho viste di cose in
guerra che farebbero accapponare lo
stomaco e quelle ferite erano certamente da taglio.” E poi si
rivolse al
redivivo Abe:” Non è vero?”
“Che vuoi troia?”
Ribatté Abe intronato sia per l’alcool che
per la botta ricevuta.
“è
colpa tua?” Chiese
Molly distrutta
“Si,
quell’imbecille si è fatto prendere dalla paura e
ha
fatto saltare tutto il piano, io ho detto di andarci piano, ma Sheamus
è un
vero macellaio.” Disse con la bocca impastata.
Se non fosse stato per le due amiche,
Molly sarebbe
stramazzata al suo.
“Il mio Angus:”
Singhiozzo in un fiume di lacrime.
“Dobbiamo denunciarlo. Non
c’è altro da fare.” Concluse
Rose.
Ma a Molly non interessava
più niente, aveva perso il suo
adorato nipote.
“Ora dobbiamo tornare
all’ospedale, ci sono altri pazienti
che ci attendono.”
CONTINUA
Alla prossima e grazie per aver letto e recensito