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Autore: Echocide    06/09/2016    5 recensioni
[Sequel di Miraculous Heroes]
Sono trascorsi alcuni mesi da quando la minaccia di Coeur Noir è stata sventata e il gruppo di Portatori di Miraculous è alle prese con la vita di tutti i giorni: le relazioni sentimentali, il nuovo mondo universitario in cui sono sballottati...
Ma Parigi non è mai tranquilla e una nuova minaccia giunge dal passato, assieme a una persona che sembrava persa per sempre.
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quantum Universe'
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Titolo: Miraculous Heroes 2
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 2.554 (Fidipù)
Note: Buon salve! Eccomi qua con il secondo capitolo di Miraculous Heroes 2 e, dopo tanto tempo, eccomi qua con le info randomiche su Parigi! Allora, prima di tutto, fatemi dire che in questo capitolo - cioè, in verità sarebbe nel prossimo, in questo viene solo citato - tornerà un personaggio della prima storia e poi...allora, per quanto riguarda le due scuole citate in questo capitolo: qui potrete trovare il sito dell'IFM, mentre qua il sito dell'ESJ. Chi mi conosce dalla prima storia di questa saga SA quanto io possa essere rompiscatole riguardando a Parigi.
Riguardo al capitolo, come potete notare, fa un piccolo balzo temporale rispetto al precedente (che serviva, più che altro, per introdurre Maus e Sophie) e dall'estate afosa parigina siamo passati alle tranquille temperature di ottobre anche perché...beh, mi serviva il periodo di ottobre.
E niente, vi lascio direttamente al capitolo, ringraziandovi come sempre: grazie a voi che leggete, grazie a tutti quelli che commentano la mia storia (qui e su FB) e grazie anche a chi la inserisce in una delle liste.
Grazie di tutto cuore!



Pochi mesi dopo…
Da quanto era lì?
Cercare di quantificare il tempo, in quella cella, era qualcosa di complicato: non aveva finestre, che la potevano aiutare con i cicli giorno-notte, e non poteva neanche fare affidamento sul tipo che gli serviva i pasti, dato che non era molto affidabile con la puntualità.
Senza dimenticarsi di quando sembrava scordarsi di avere una cliente in quella cella.
Sophie si mise a gambe incrociate, socchiudendo gli occhi e cercando di non tremare: l’aria che le giungeva era fredda, ma non capiva se ciò era dovuto a un cambiamento climatico avvenuto all’esterno o al fatto che quel posto fosse maledettamente umido e gelido di suo. Inspirò profondamente, scuotendo il capo e ascoltando i pochi e flebili suoni che arrivavano fin lì.
Sapeva veramente ben poco del posto in cui Maus la teneva rinchiusa: quando l’aveva trasferita nella sua prigione si era assicurato che lei non sapesse assolutamente nulla.
Dove si trovava? Non lo sapeva.
Che tempo c’era fuori? Anche quello era un’incognita.
Quanto tempo era trascorso? Sicuramente tanto, ma non ne era sicura.
Tutto ciò che conosceva era la cella in cui era alloggiata, assieme ai volti di alcuni dei suoi anfitrioni.
Fece un nuovo profondo respiro, ascoltando il rumore di zampette che raschiavano la superficie delle pietre, quello dell’acqua e poi il suono di alcuni passi…
Passi.
Mh.
Sophie aprì nuovamente gli occhi, ascoltando quel suono familiare farsi sempre più vicino: alzò la testa, mentre il rumore s’interrompeva di fronte la sua porta e le chiavi di metallo venivano inserite nella toppa della porta: «Guten Tag.» la salutò Maus, entrando nella cella e sorridendo alla donna: «Come andare?»
«Molto bene. Devo solo lamentarmi del servizio in camera: anche oggi non sono venuti a rifare il letto.» dichiarò Sophie, indicando la brandina alla sua sinistra: «A parte questo, non potrei desiderare un posto migliore dove trascorrere le mie vacanze.»
Maus la fissò un secondo, socchiudendo gli occhi mentre le labbra si piegavano in un sorriso: «Io avere trovato Miraculous.» sentenziò deciso, studiandola attentamente: Sophie rimase immobile, ben attenta a non mostrare nessuna emozione.
Maus non doveva sapere quanto quella notizia l’avesse colpita.
Aveva trovato il Gran Guardiano?
Se era vero, quello cambiava tutte le carte in tavola e lei non aveva più motivo di rimanere lì.
«Ah. Davvero?» domandò, afferrando una ciocca di capelli e attorcigliandosela attorno al dito: «E dove sono?»
«Parigi.» le rispose Maus e lei quasi sentì l’eccitazione nella voce dell’uomo: «Tua città, ja?»
«Ja.» ringhiò la donna, fissandolo: «Beh. Che succederà? Andremo a Parigi da…qualsiasi posto siamo adesso?» domandò, allargando le braccia.
«Io andare a Parigi. Tu restare qui in Tibet, ja.»
Idiota, canticchiò dentro di sé Sophie, inclinando la testa: «E, giusto per sapere, come farà a prendere lo scrigno?»
«Scrigno? Esistere scrigno dei Miraculous?» domandò Maus, portandosi una mano al mento e carezzandosi la barba: «No. Io avere saputo che eroi – eroi come tu – essere a Parigi. Sette eroi come Miraculous!» dichiarò, concludendo il tutto con una risata gracchiante: «E tu non potere fermare me!»
Sette eroi…
Quindi il Gran Guardiano aveva donato i Miraculous, tutti i gioielli magici, a persone e queste stavano combattendo contro qualcosa?
Ma che stava succedendo mentre lei rimaneva in mano di quell’idiota pazzo?
«Un’ultima domanda.»
«Tu avere stancato me con tue domande, ja.»
«Sì, lo so.» borbottò Sophie, scuotendo la testa: «Vorrei solo sapere quanto tempo è passato da quando mi avete catturata. Sa, non è che ho calendari o orologi in questo posto.»
Maus la fissò divertito: «Tu essere qua dentro da…» si fermò, tornando a lisciarsi la barba: «Da sette? Otto anni? Strano, come tempo passare in fretta, eh?» la fissò un secondo, voltandosi e uscendo dalla prigione, che venne nuovamente chiusa dalle sue guardie: «Buon soggiorno.»
Sophie attese che i passi si allontanassero, prima di addossarsi contro il muro di pietra e portarsi una mano alla bocca: sette, otto anni? Aveva sempre avuto la consapevolezza che fosse passato un bel po’ di tempo, ma non aveva mai pensato che ne fosse trascorso così tanto: «Adrien…» mormorò, mentre alla sua mente riaffioravano il ricordo del figlio: un bambino allegro, dallo sguardo sincero e buono.
Come era adesso?
Doveva essere un giovane uomo.
Cosa stava facendo? Come aveva trascorso la sua vita?
Sentì gli occhi pizzicare per le lacrime trattenute, mentre un singhiozzo le usciva dalle labbra: cosa pensava di lei? Cosa pensava di quella madre snaturata che l’aveva abbandonato per…
Per chissà cosa.
Di sicuro Gabriel non gli aveva detto il vero motivo per cui lei era andata via.
Gabriel…
Strinse le palpebre, mentre un secondo singhiozzo le scappava, e le lacrime scivolavano lungo le guance: Gabriel, che l’aveva lasciata andare, seppur recalcitrante, cosa stava facendo? C’era una nuova donna al suo fianco? L’aveva dimenticata?
Si accasciò contro il pavimento, piangendo il più silenziosamente possibile, rimpiangendo quegli anni ormai perduti e la famiglia che aveva abbandonata: era stata un fallimento come madre e come moglie.
Aveva abbandonato l’uomo che amava, inseguendo la sua missione come eroina e fregandosene altamente di ciò che suo marito poteva pensare.
Aveva perso la vita del figlio, ignorando come fosse diventato e perdendo i traguardi che aveva raggiunto in quegli anni: era appassionato di moda come Gabriel? Aveva degli amici? E una ragazza?
A Gabriel era piaciuta? Oppure Adrien doveva lottare con il padre per poter passare del tempo con lei?
Inspirò profondamente, asciugandosi le lacrime con un gesto stizzito della mano e osservando la porta di metallo: «A quanto sembra, il mio soggiorno qui è finito.» dichiarò, mettendosi in piedi e alzando la testa con fare orgoglioso: era Sophie Agreste. Era Pavo. E non sarebbe rimasta lì a piangersi addosso.



Marinette osservò l’edificio davanti a lei, controllando nuovamente l’indirizzo sul suo cellulare: quello che doveva essere l’Instituto Francese di Moda era, in verità, un gigantesco fabbricato con una enorme decorazione geometrica verde, che lo percorreva per tutta la facciata.
Strinse la cinghia della borsa, sentendo il cuoio segnarle la pelle nuda della spalla e sospirando pesantemente: «Paura, Marinette?» le domandò Tikki, facendo capolino dalla borsa e studiandola con i grandi occhioni azzurri: «Eppure non è la prima volta che inizi un nuovo anno in una nuova scuola. Ti ricordi al Louis-le-Grand?»
«Ma lì c’erano anche Adrien, Alya e Nino.» squittì la ragazza, osservando alcuni studenti entrare dalla porta, poco più avanti rispetto a dove lei si era fermata: «Qui sono…sola.» mormorò, inspirando profondamente e abbozzando un sorriso in direzione della kwami: «Forse sarei dovuta andare anch’io in una delle facoltà degli altri…»
Il gruppo di amici si era diviso al momento dell’iscrizione alle varie facoltà universitarie: Alya, per eseguire il suo sogno di giornalismo, si era iscritta alla ESJ, una delle migliori scuole superiori di giornalismo; Nino aveva stupito tutti, iscrivendosi alla facoltà di Matematica e informatica, mentre Lila aveva optato per Scienze politiche.
Adrien aveva continuato sul percorso del suo Progetto – quello che prevedeva anche il loro matrimonio – ed era entrato a Economia, assieme a Rafael, mentre Sarah si era iscritta a Storia dell’arte e Archeologia.
E lei, sotto consiglio e raccomandazione di Gabriel Agreste, si era iscritta all’IFM, lo stesso istituto dove era andato anche l’uomo.
«Non sei sola.» le mormorò Tikki, riportandola alla realtà: «Ci sono io con te. E se lo chiami, Adrien arriverebbe subito.»
«Sul suo cavallo bianco, che in realtà è l’auto argentata con cui viene scarrozzato a giro per Parigi.» concluse la mora, ridacchiando: «Iniziamo questa nuova avventura?»
«Iniziamola.» dichiarò convinta la kwami, gettandosi all’interno della borsa e tirando fuori il cellulare della ragazza: «Ti è arrivato un messaggio!»



Puoi farcela. Io credo in te.
Ps. Non balbettare troppo.

Adrien dette un’occhiata al suo cellulare, mentre il professore si sistemava alla cattedra e collegava il laptop all’impianto dell’aula: «Tutto ok?» gli domandò Rafael, chinando la testa verso di lui e osservando distrattamente il display: «Come sta il boss?»
«Di sicuro sarà agitata.» dichiarò il biondo, sorridendo all’avviso di un nuovo messaggio: aprì velocemente la cartella, leggendo le righe che la ragazza gli aveva scritto.
Non balbetterò. Promesso.
Ps. Ti amo.

«Allora?»
«Sarah come si trova?» domandò in ricambio Adrien, digitando velocemente una risposta e disattivando il cellulare: «Devo ancora capire perché ha scelto quell’indirizzo.»
«A parte il fatto che sta maledicendo la burocrazia francese per tutti i fogli che le sono serviti per iscriversi, poi ha detto che vuole studiare la storia per capire di più i Miraculous.» sentenziò Rafael, stringendosi nelle spalle: «L’estate passata a chiacchierare con Fu e i kwami – mentre noi sgobbavamo, precisiamo – pare averla segnata: con tutte le storie che le hanno raccontato, sugli antichi Portatori e sui Miraculous…beh, diciamo è stato naturale per lei iscriversi ad Archeologia.»
«Sarah e il suo senso del dovere.» dichiarò Adrien, scuotendo il capo: «Non puoi farla divertire un po’ di più quella povera ragazza? Da uno che ci ha provato con la mia fidanzata…»
«Quando la finirai con questa storia? E comunque la porto fuori, Sarah intendo, ma ormai si è fissata sui Miraculous ed è come dire a Flaffy di non pensare al cioccolato.»
«Cioccolato?» esclamò il kwami del Pavone, uscendo dallo zaino di Rafael e guardandosi intorno stralunato: «Dove? Dove? Non mi avevi detto che all’università davano cioccolato!»
«Flaffy!» sibilò Rafael, afferrando il kwami e spedendolo nuovamente nella borsa: «Quante volte devo dirti di non uscire all’improvviso.»
«Voi due siete un attentato alla segretezza.»
«Ehi, scommetto che se dico camembert, Plagg fa…»
«Camembert? Chi ha detto quella parola magica?» domandò il kwami nero, uscendo dal suo nascondiglio e guardandosi attorno: «Dov’è quella meraviglia che si scioglie in bocca e…»
«Plagg!» Adrien ringhiò, prendendo il kwami e portandolo nuovamente al sicuro, guardandosi poi intorno e sorridendo a una ragazza, che li fissava stralunata: «Ehm. Sono accessori giapponesi.» borbottò il biondo, abbozzando un sorriso: «Cosa non fanno in Giappone, vero?» si voltò, fissando Rafael che lo guardava gongolante: «Riprovaci e quello che ti ha fatto Marinette sarà nulla al mio confronto.»
«Come se tu mi facessi paura!»



Marinette osservò l’auditorium, ove tutti gli studenti del primo anno si era raccolti: era una sala grande, con file e file di posti, ma solo quelle davanti il palco erano state occupate; marciò spedita verso queste, osservandosi attorno e notando alcuni occupanti, finché una capigliatura rossa le portò il sorriso sulle labbra: «Nathanael?» domandò, riconoscendo il vecchio compagno di scuola.
Il ragazzo alzò la testa, osservandola con gli occhi turchesi, lievemente nascosti dalla capigliatura: «Marinette?» osservando la ragazza, in piedi davanti il sedile vuoto accanto a suo, occupato dalla borsa e dal blocco dal disegno: «Ah. Prego.»
«Grazie.» mormorò la ragazza, sedendosi di fianco a lui e studiandolo: «Rose mi aveva detto che avevi intenzione di iscriverti a Belle Arti, non pensavo di vederti qua.»
«Ah. Sì.» assentì Nathanael, spostando lo sguardo verso il palco e abbozzando un sorriso: «Però ho preferito iscrivermi qui: mi piace disegnare, ma ho scoperto che mi piace anche creare accessori. Gioielli…»
«Vero!» Marinette batté le mani assieme, annuendo: «Mi ricordo di come avevi disegnato il bracciale di Chloe. Ti ricordi quel giorno che ci fu la giornata dei genitori e Chloe iniziò a dare di matto perché il suo bracciale era scomparso e…» si fermò, rendendosi conto di cosa aveva combinato quel giorno: per dimostrare la sua innocenza aveva iniziato a dare la colpa a tutti.
Prima a Sabrina, poi a Nathanael.
Solo in seguito, Adrien gli aveva detto come erano andate le cose, ovvero che il vero colpevole era stato Plagg e la sua golosità: scambiando la scatoletta del bracciale per una di cambembert, il piccolo kwami aveva dato il via a tutta la sequenza di azioni che aveva portato il tenente Rogers a essere akumatizzato, diventando Rogercop.
«Già. Sì, diciamo che da quella volta ho iniziato ad appassionarmi ai gioielli…»
«Capisco.»
«Mentre tu immagino sei qui per…»
«Per studiare come stilista, sì.» assentì Marinette: «Il padre di Adrien mi ha consigliato questa scuola e così…beh, eccomi qui.»
Nathanael annuì con la testa, osservando l’anello al dito della ragazza: «Con Adrien va sempre tutto bene, vedo. Quando ci siamo rivisti l’ultima volta avevate accennato al fatto che siete diventati ufficialmente fidanzati…» Marinette arrossì, chinando la testa e annuendo in silenzio: «Sono felice per te, Marinette. Adrien è un bravo ragazzo.»
«Sì, lo è.» dichiarò la ragazza, sorridendo dolcemente al pensiero del fidanzato.
Un movimento sul palco l’attirò e con Nathanael si mise comoda sulla poltroncina, osservando quello che doveva essere il direttore avvicinarsi al microfono e chiedere il silenzio: «Il mio nome è Hans de Foer.» si presentò, osservandoli da dietro le lenti quadrate degli occhiali che indossava: «E sono il direttore del programma di Fashion Design. Sinceramente non mi dilungherò tanto su quali materie studierete o cosa farete qui da noi, vi dico solo che il nostro metodo è quello dichiarare lo stato di emergenza.» si fermò, osservando la sala e aspettando che le sue parole colpissero il segno: «Cosa significa, vi starete chiedendo ora. Bene, noi insegneremo ai fashion designers, a voi, come lavorare entro certi limiti, come aprire la mente dei manager di domani – quelli che pensano che la moda sia fatta solo di vendite – alla complessità del design e vi ritroverete a lavorare a stretto contatto con i principali esponenti di questo settore: Louis Vitton, Gabriel Agreste, Kenzo…voi lavorerete con i designers di queste marche e, se sarete fortunati, forse avrete anche un posto di lavoro.»
«Immagino che tu parti avvantaggiata.» bisbigliò Nathanael verso Marinette: «In fondo stai con il modello di punta della linea Agreste.»
«Mi sento raccomandata.»
«Non penso che Gabriel Agreste ti prenda solo perché sei la fidanzata del figlio.» sentenziò Nathanael: «Hai talento, Marinette.» dichiarò convinto, spostando poi l’attenzione sul direttore e ascoltando in silenzio il resto del discorso di benvenuto.



Era rimasta in attesa, aspettando che il tipo dei pasti giungesse con il suo pranzo – o cena –, nascondendosi nelle ombre della cella: sapeva benissimo che dopo essersi lamentata con Maus, qualcuno sarebbe giunto a darle da mangiare, in fondo succedeva sempre così.
Era solo questione di tempo.
Il rumore di passi l’avvisò e Sophie si nascose nell’angolo buio dietro la porta, rimanendo immobile quando avvertì il rumore della chiave nella toppa e poi il cigolio di questa che si apriva: osservò il secondino entrare e scrutare la stanza, senza trovarla, uscendo poi e gridando qualcosa in tedesco, lasciando aperto il pesante uscio di ferro.
Libertà.
Velocemente sgusciò fuori dal suo nascondiglio e uscì dalla sua prigione, guardando il corridoio non molto dissimile.
Bene, ora doveva solamente fuggire da quel posto, trovare un qualche segno di civiltà fuori da quelle mura e, possibilmente, un passaggio dal Tibet alla Francia.
Niente di più semplice.



Fu sospirò, accomodandosi sulla stuoia e ascoltando il silenzio.
Silenzio.
Per tutta l’estate, o meglio da quando Bridgette era partita, si era dovuto sopportare quei sei rompiscatole mentre ora…
Silenzio.
Pace.
Relax.
Inspirò profondamente, sistemandosi meglio e preparandosi a una giornata di puro riposo: il centro era chiuso, i rompiscatole avevano iniziato la loro avventura universitaria, finalmente…
Il campanello suonò, riportandolo bruscamente alla realtà: bofonchiò qualche imprecazione, tirando in ballo anche Chiyou, e si alzò, sgambettando poi fino alla porta: «Chi è?» abbaiò, aprendo l’uscio della sua dimora e rimanendo basito di fronte al ragazzo moro e con gli occhiali quadrati che aveva suonato: «Alex?»

   
 
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