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Autore: Crateide    06/09/2016    1 recensioni
"Resto immobile ad osservare la sua esile schiena piegarsi in avanti, con i capelli castani sparpagliati sulle spalle minute. La guardo e la ammiro, perché a dispetto di tutte le crudeltà che le ha riservato la vita, è ancora qui, con il sorriso a illuminarle il volto pulito.
Ad un tratto, i suoi movimenti si fermano. Drizza la schiena e si volge lentamente, restando a fissarmi con gli occhi sgranati, scavandomi l’anima con l’innocenza che vi è riflessa.
- Ikki [...]"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Phoenix Ikki, Sorpresa
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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However cold the wind and rain

I’ll be there to ease your pain

However cruel the mirrors of sin

Remember beauty is found within

- Beauty and the Beast, Nightwish -

 

 

Piove.

Il cielo geme, di nuovo.

Il terreno sotto i miei piedi si fa sempre più vischioso, mentre arranco verso la meta. Lapidi basse e anonime accompagnano i miei passi. Innumerevoli rivoli d’acqua e fango corrono nella direzione opposta alla mia, trascinando con loro qualche orchidea.

Qui, sull’Isola di Kanon, di fiori non se ne sono mai visti. Eppure, ogni tanto, la Natura prova pena per questa terra arida e inospitale e le regala la bellezza di tenui colori.

Appena raggiungo la cima della collinetta acquitrinosa, mi fermo. La croce di legno che lui ha costruito per te in quel lontano giorno si erge leggermente inclinata verso sinistra, sferzata a tratti dalla pioggia che segue l’alito del vento.

 

Theodoros

amato nonno

 

Sono già passati dieci anni dalla tua morte, dal tuo omicidio.

Dieci anni in cui la mia esistenza è radicalmente cambiata, in cui sono cresciuta, in cui ho provato sulla pelle sia l’asprezza sia la bontà della vita. Dieci anni in cui se non ci fosse stato lui, a quest’ora sarei stata perduta.

M’inginocchio a terra, rabbrividendo per il contatto fra il fango freddo e le mie ginocchia nude.
- Avrei voluto che ci fosse il Sole, nonno, ma piove ininterrottamente da due giorni e questi fiorellini non sarebbero sopravvissuti ancora a lungo – sussurro e poso il mazzolino di margherite bianche ai piedi della croce.

Mi guardo intorno, lottando contro la pioggia che mi appanna la vista. Temo di essere arrivata tardi. Ormai, la corona di fiori che lui aveva portato tempo fa, è stata trascinata via dall’acqua...

Sospiro e il mio cuore si riempie di tristezza. Avrei voluto prenderla e conservarla gelosamente come le altre, per rammentare a me stessa la promessa che ho fatto a quel Cavaliere quand’ero solo una bambina.

Sollevo il capo e lascio che la pioggia m’inzuppi le guance, le labbra, le ciglia, per poi scivolare lungo il collo e insinuarsi sotto la stoffa dell’abito. La mia mente è già lontana ed è tornata a quel giorno, alla prima volta che ho sentito la sua voce, potente, tuonare fra le rocce aspre.

“Lasciate andare la ragazza! La insudiciate con le vostre mani1!”

Per un istante – un solo misero istante – ho come l’impressione di udirla nuovamente: imperiosa e forte, rassicurante e impavida.

Stringo le mani al petto e mi chiedo dove sia e cosa stia facendo. Ha trovato pace, quel suo animo tormentato? È riuscito a dimenticare i fantasmi del passato, ad affrontare se stesso?

Quante volte ho provato a rompere quei lunghi silenzi fra noi, cercando di catturare il suo sguardo sfuggente, blu e torbido come il mare che circonda l’Isola!

Tante, tantissime volte...

La sua freddezza e il suo distacco – quel maledetto muro di fuoco che ha eretto fra sé e il mondo – mi hanno sempre impedito di raggiungerlo e di parlare al suo cuore che, lo so, sanguina ancora.

La croce che lui ha costruito è mezza marcia, me ne accorgo solo ora che la sto osservando con più attenzione. Quanto ancora reggerà alle intemperie?

“E tu, Fenice, per quanto ancora percorrerai i Cieli senza trovare mai riposo?”.

 


* * *

 

 

Il cielo divampa, indomabile.

Gli ultimi raggi del Sole trafiggono le nuvole, spandendo la loro luce amarantina sul mare, sul terreno arido dell’isola, sulla tua tomba e sui narcisi che vi ho adagiato sopra. Ne osservo i petali bianchi riflettere questo colore vermiglio e, mio malgrado, rivedo davanti agli occhi la ferita mortale sul tuo petto.

Abbasso le palpebre e le mie labbra si piegano quasi involontariamente nel solito malinconico insolente ghigno.
- Quanto sono patetico, Esmerlada? – ti chiedo, come se il vento potesse portarmi la tua risposta. Come se tu potessi mai darmela, una maledetta risposta.

Gli anni sono passati e il Tempo, alacre e spietato sergente, ha fatto il suo dovere. Il tuo ricordo è ancora vivo, ma il dolore si è placato e si è trasformato in una dolce apatia.

È un prezzo alto da pagare, sai? Ho perso la mia umanità, ho perso ciò che fa di me un uomo: i sentimenti. Credo che giacciano qui sotto, accanto al tuo corpo. Sono morti con te.

Eppure...

In questi dieci anni, nonostante tutto, non sono mai riuscito a staccarmi da lei. Mio fratello sta vivendo la sua vita, ha imparato a cavarsela da solo ed è raro che abbia bisogno di me, ma lei... come posso abbandonarla?

Semplice.

Non posso farlo.

Era una bambina quando mi ha salvato l’ho salvata, con il dolore nell’animo e la luce della Vita negli occhi. Adesso, invece, è una giovane donna: è intelligente, è molto bella... e così maledettamente sola e indifesa.

All’epoca non immaginavo che non sapesse né leggere né scrivere, anche se avrei dovuto intuirlo, dato che su quell’Isola ciò che conta davvero è imparare a sopravvivere. Ma, per fortuna, la donna a cui l’avevo affidata è stata onesta e l’ha trattata come una figlia, rendendole la famiglia che aveva perduto da tempo.

Tiro su con il naso, ripetendo a me stesso che se non ci fossi stato io a prendermene cura, nessun altro si sarebbe preso la briga di farlo e lei sarebbe finita per strada, forse a vendere il proprio corpo per un tozzo di pane raffermo.

Chissà, forse lo faccio perché mi sento in qualche modo responsabile della morte di suo nonno. In fondo, se fossi arrivato prima...

“Ma chi voglio prendere in giro?” mi dico e sogghigno un’altra volta, questa volta con amarezza.

Mi volto. E lasciò dietro di me la tua tomba, Esmeralda. Insieme ad un passato che è tempo di dimenticare.

 

 

L’isola di Kanon è esattamente come la ricordavo.

Aspra, inospitale, derelitta. Sventura per chi vi nasce e vi vive, fortuna per chi cerca riposo come me.

So che lei è qui nei dintorni. Mi sembra quasi di percepirne il profumo di lavanda, di scorgere il verde dei suoi occhi fra i miasmi che emana questa maledetta isola dimenticata da Dio... e forse anche da Athena.

La casa non è cambiata, è come la rammentavo. Bassa, con il tetto di paglia e fango e le finestre sgangherate. Eppure, nonostante questo, tutt’intorno si affacciano alla vita, sorridendo ad un cielo inclemente, degli splendidi fiori di campo, che ondeggiano al sospiro del vento.

Mi fermo.

Eccola, infine.

Lei è lì, a pochi passi da me, inginocchiata a terra e intenta a prendersi cura di quelle piante che, altrimenti, morirebbero.

Resto immobile ad osservare la sua esile schiena piegarsi in avanti, con i capelli castani sparpagliati sulle spalle minute. La guardo e la ammiro, perché a dispetto di tutte le crudeltà che le ha riservato la vita, è ancora qui, con il sorriso a illuminarle il volto pulito.

Ad un tratto, i suoi movimenti si fermano. Drizza la schiena e si volge lentamente, restando a fissarmi con gli occhi sgranati, scavandomi l’anima con l’innocenza che vi è riflessa.
- Ikki – sussurra, quasi geme il mio nome.
- Ciao, Elena – rispondo e la mia voce suona strana anche alle mie orecchie. Non è aspra, non è decisa. Non saprei definirla nemmeno io, come non saprei definire i sentimenti  che sento scalciare nel petto.

Elena si solleva con uno scatto e si getta fra le mie braccia, stringendomi con forza, aggrappandosi a me come se potessi essere la sua ancora di salvezza.

Dovrei staccarmi, sarebbe la cosa migliore da fare. E invece mi ritrovo a ricambiare l’abbraccio, con un sentimento che credevo di non essere capace di dimostrare. Affondo la mano nella sua chioma e le carezzo la schiena, mentre ascolto i suoi singhiozzi rompersi contro il mio petto.
- Oh Ikki – dice, scostandosi leggermente per guardarmi negli occhi – temevo che non ti avrei mai più rivisto.
- Lo so – rispondo e non aggiunto altro. Cosa potrei dire, ancora? Durante la battaglia contro Hades, non ero sicuro nemmeno io che sarei sopravvissuto. Ma non è questo ciò che conta adesso. Ora, voglio solo lasciarmi il passato alle spalle e trovare finalmente la pace.
- Ikki, perdona l’irruenza, ma sono davvero felice di rivederti, dopo tutto questo tempo.
- Non scusarti.
- Perché sei tornato qui? Credevo che ti fossi dimenticato di questo posto, ormai.

La verità vuole fuggire dalle mie labbra. Vuole oltrepassare la barriera dei denti e irrompere nella realtà, rendendo veri i sentimenti che ho riscoperto nel mio cuore.

Elena mi osserva, in attesa. Nei suoi occhi vedo riflesso l’intero firmamento. Le carezzo una guancia e lei abbassa le palpebre, appoggiando il capo contro il mio palmo.
- Sono qui per te.

L’ho detto. Al fine, ho confessato l’inconfessabile, ciò che in passato non avrei mai nemmeno osato pensare.

Elena riapre gli occhi e le sue gote s’imporporano. Mi prende la mano e la stringe fra le sue sporche di terra.
- Hai trovato il tuo luogo di ristoro, Fenice? – mi chiede.

Le sorrido, baciandole le dita.
- Credo di aver trovato il mio nido, alla fine – rispondo, non senza un certo imbarazzo.
- Allora vieni, riposati – dice, cingendomi il collo – e lascia che mi prenda cura di te, Ikki.

Il passato è passato, è questa l’unica autentica verità. Ma, anche se non lo dimenticherò mai, perché non posso vivere un nuovo futuro accanto ad una persona che ho imparato ad amare?

Qui, sull’isola di Kanon, Ikki di Phoenix ha finalmente trovato la pace.

 

 

 

 

 

 

 

 

1 frase detta da Ikki nell’episodio n° 54 dell’anime.

 

 

 

 

 

Angolino dell’autrice:

Ok, non so fino a che punto questa... ehm... cosa... abbia senso, ma languiva nei meandri del mio pc da almeno un anno e ho voluto mettervi il punto.

Non so se vi ricordate di Elena, la bambina che Ikki salva negli episodi 54 e 55 dai discepoli di Shaka. Ecco, vi starete chiedendo come mai abbia scelto proprio lei come eventuale compagna del Cavaliere. I motivi sono due e vi avverto che uno è serio e l’altro poco serio:

1 – entrambi hanno perduto una persona cara e ho immaginato che, in qualche modo, questo li avesse legati. In fondo, Ikki ha un buon cuore e non avrebbe mai e poi mai abbandonato una bambina al suo destino.

2 – mi chiamo Elena. Ebbene sì, sentire il mio nome urlato da Ikki – che amo da quando avevo 5 anni – mi ha sempre emozionata, per cui non potevo non shipparli almeno un po’.

Detto questo, spero che la storia vi sia piaciuta almeno un pochino e chiedo perdono per aver sconfinato nell’OOC, ma era necessario, considerando che sono passati più di 10 anni dagli avvenimenti a cui faccio riferimento.

 

Elly

 

 

   
 
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