Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: Soul Mancini    07/09/2016    4 recensioni
Odiare il proprio padre, essere maltrattata da lui, ma non poter ancora fuggire.
Questa è la storia di Marta, che brama libertà e non si libererà mai.
La solitudine per lei non esisterà mai.
- SESTA CLASSIFICATA al contest "Vincere? Roba da cattivi" indetto da milla4 sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate, Violenza
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
ReggaeFamily

La solitudine non esiste



Marta, sparecchi tu la tavola?”

Sospirai pesantemente e mi passai una mano sulla fronte, cercando di scacciare quelle ciocche ribelli sfuggite alla disordinata coda in cui avevo raccolto i capelli.

Sapevo che ribattere non avrebbe avuto senso. Potrebbe farlo anche tuo marito, avrei voluto dire, ma tanto ciò che dicevo non aveva alcun valore.

Mio padre infatti, dopo l'ennesima serata passata a ubriacarsi in uno squallido bar, russava sonoramente stravaccato sul divano; davanti a lui il televisore trasmetteva una partita di calcio che nessuno di noi stava seguendo.

Va bene!” gridai, alzandomi e cominciando a raccattare i piatti sporchi.

Mia madre si affacciò dalla porta e corrugò la fronte. Non aveva ancora compiuto quarantacinque anni, ma quando la si guardava si aveva l'impressione di essere davanti a una vecchia stanca: i capelli, perennemente raccolti in una crocchia, si stavano ingrigendo sempre più, il viso scarno era solcato da profonde rughe, causa di tensione e stress, gli occhi erano spenti e presentavano due occhiaie spaventose. Mi faceva pena e, nonostante le volessi molto bene, continuavo a pensare che tutto ciò l'aveva scelto solo e unicamente lei.

Io gliel'avevo detto chissà quante volte, avevo cercato di farla ragionare, ma lei sembrava non prendere in considerazione ciò che le dicevo.

Lavai i piatti e quando, alle undici e mezza, mi sdraiai finalmente sul mio letto, la stanchezza mi piombò addosso improvvisamente.

Le mie giornate erano tutte uguali: la mattina sveglia alle sette, mi preparavo e prendevo il bus, dopodiché avevo davanti cinque ore in cui dovevo fingere che tutto andasse bene e trovare qualche passatempo mentre i professori parlavano di argomenti che non mi interessavano. Quando tornavo a casa, durante il pranzo, si presentavano due alternative: se mio padre era di buonumore, si sarebbe limitato alle urla e alle lamentele, altrimenti avrebbe messo le mani addosso a me e mia madre, gonfiandoci di botte.

Mia madre lavorava, quindi di pomeriggio non potevo certo dedicarmi allo studio o a ciò che mi pareva, no di certo: c'erano le pulizie da fare, le faccende domestiche da svolgere, tutto ciò completamente da sola.

Mio padre, convinto che donna sia sinonimo di schiava, dalle quattro in poi era impegnato a sbronzarsi al bar. In tutti i miei diciassette anni di vita non l'avevo mai visto apparecchiare la tavola.

Quando mia madre tornava dal lavoro, se ero fortunata mi lasciava uscire un'ora prima di cena, in alternativa mi urlava contro e sfogava su di me tutta la rabbia che provava per suo marito. Io non sapevo tenere la bocca chiusa, per questo spesso ci ritrovavamo a discutere: quante volte le ho gridato di insultare la causa della sua rabbia invece di sbraitare contro di me!

Tu non capisci niente delle relazioni tra un uomo e una donna, hai diciassette anni, devi stare a guardare, mi diceva. Beh, se l'amore doveva essere così, allora preferivo rimanere sola per il resto dei miei giorni.

A cena si ripeteva la stessa scena del pranzo, solo con un tasso alcolico molto più alto.

Ormai, dopo aver provato in tutti i modi a ribellarmi, mi sentivo apatica, non m'importava più niente. Mia madre aveva scelto questa vita e, se lei stava bene così, non ci potevo fare niente. Io l'aiutavo perché lavorava e sarebbe stato troppo pesante per lei dover pensare anche alla casa, ma al mio diciottesimo compleanno sarei partita. Conservavo i miei risparmi da anni ormai, cercando anche qualche lavoretto occasionale, e nulla mi avrebbe impedito di cercare fortuna altrove.

Con questa speranza nel cuore mi addormentai, con una mano poggiata su un livido al di sotto del seno. Uno dei tanti.


Manu, io tra qualche mese parto, non m'importa dove andrò” affermai, prendendo una boccata di fumo.

Manuel diede un calcio a un sasso e si accese l'ennesima sigaretta.

Io non fumavo regolarmente, ma quando uscivo con lui me ne offriva sempre una e l'accettavo.

Non ti sei diplomata, sei ancora in seconda superiore” constatò, lanciandomi un'occhiata.

Se starò qui non mi diplomerò mai. Devo andarmene, ricominciare.”

Era una fresca serata di fine ottobre, su di noi si poteva scorgere solo il grigio minaccioso delle nubi che ricoprivano tutto quanto il cielo. Ero riuscita a ottenere il permesso, anzi, ero semplicemente uscita di casa mentre mia madre gridava isterica e mi minacciava. Quella sera ce l'avevo con il mondo intero.

Quando tutto andava storto, mi rifugiavo sempre dietro il palazzo abbandonato vicino alla piazzetta. Era un vecchio e grigio capannone davanti al quale la mia comitiva si riuniva tutti i giorni, in un desolato piazzale di cemento nella periferia della nostra cittadina.

La mia comitiva era formata da una dozzina di membri: alcuni di loro erano persone vuote e frivole, altri invece, come me, avevano tanto da raccontare e tanti problemi alle spalle, ma non ne parlavano mai. In quel luogo ci si recava per dimenticare.

Manuel era l'unico che sapeva cosa accadeva a casa mia, gliene avevo parlato un giorno, restando comunque sul vago; non ero adatta a confidenze strappalacrime e idiozie varie.

Quel giorno, non appena mi aveva visto recarmi sul retro, mi aveva seguito.

Io spero solo che tu non faccia qualche cazzata. Non sai a cosa potresti andare incontro, hai pochi soldi e non hai né un lavoro né un posto in cui stare” mi ammonì Manuel dopo circa un minuto di silenzio.

Non ti ci mettere anche tu!” sbottai, per poi spegnere la sigaretta e gettare il mozzicone a terra.

Passò qualche altro minuto in cui nessuno aprì bocca. Era così tra me e lui: parlavamo poco, ma ci dicevamo molto.

Tu non hai mai paura di rimanere sola?” domandò lui all'improvviso.

Ci pensai su prima di rispondere. “Ho paura di rimanere sola prima di vedere lui e con lui” ammisi. Queste confidenze non erano da me, ma in quel momento mi sentivo tremendamente vulnerabile e debole.

Io ho paura di stare solo quando mi accorgo di esserlo. Quando sono solo penso, penso troppo” mormorò Manuel, mentre fissava un punto imprecisato davanti a sé.

Devo tornare a casa” affermai in tutta risposta, rendendomi conto solo allora del tempo che era trascorso.

Rivolsi al ragazzo un cenno di saluto e mi avviai verso la strada, ma dopo qualche metro qualcuno mi prese sottobraccio. Sussultai per la sorpresa e mi fermai. Sapevo che era Manuel.

Manu, che vuoi? Devo tornare a casa.”

Non devi restare sola prima di vedere lui” ribatté, per poi riprendere a camminare.

Io e lui non avevamo mai avuto contatti così forti, voluti; ci eravamo sfiorati appena qualche volta, casualmente, ma io in genere evitavo di avvicinarmi troppo agli altri e qualsiasi gesto che implicasse un contatto fisico.

Camminammo in silenzio per qualche minuto lungo la strada deserta, mentre il cielo diventava sempre più scuro e il sole, nascosto dalle nubi, si congedava dopo aver compiuto il suo lavoro.

La passeggiata con Manuel mi fece bene: arrivai di fronte a casa mia completamente rilassata e in pace, mentre l'aria fredda lottava contro il mio corpo accaldato.

Era un peccato dover rientrare a casa e perdere quella sensazione.

Grazie” dissi, spezzando quel magico silenzio che si era impossessato di noi.

Sospirai. “Ora ho meno paura.”

Ricorda che la solitudine non esiste. Scacciala dalla tua testa, e cercami. Quando sarai sola, cercami; ci sono sempre.”

Manuel mi strinse frettolosamente la mano senza guardarmi negli occhi, con le guance leggermente imporporate.

Rimasi là per qualche secondo, immobile, ad assimilare quelle parole. Manuel era come me, non amava esternare i propri sentimenti, quindi pronunciare quel breve discorso doveva essergli costato molta fatica; ma capivo, dalla passione che ci aveva messo, che era sincero.

Decisi di rientrare in casa.

Non appena aprii la porta dell'ingresso, venni investita da un borbottio proveniente dalla cucina. Mia madre stava finendo di preparare la cena e capii subito che era arrabbiata con me per come poggiava malamente gli oggetti e chiudeva con forza i cassetti.

Entrai nella stanza in cui si trovava e, prima che potessi fare qualsiasi cosa, mio padre si piazzò di fronte a me. Sembrava essere su tutte le furie, puzzava terribilmente d'alcol e negli occhi aveva un'espressione irata, quella che precedeva una serata all'insegna delle botte e i lividi.

Ero terrorizzata, ma non lo diedi a vedere.

Marta, mi fai veramente schifo! Chi era quell'uomo, chi era? Ti ho visto adesso! Non farmi incazzare, dimmelo!” gridò, spingendomi malamente. Andai a sbattere contro il tavolo, ma mi morsi le labbra e non emisi nemmeno un lamento.

Che te ne frega?” sibilai, pronta a sfidarlo.

Io ho tutto il diritto di saperlo, sono tuo padre e qui comando io! Ti prendeva a braccetto! Cosa stavate facendo, eh? Dov'eravate?” sputò a pochi centimetri dal mio viso.

Io esco con chi mi pare e faccio quello che voglio senza dover rendere conto a te. Il tuo parere conta molto poco.”

Quest'ultima affermazione fu la goccia che fece traboccare il vaso: strillando come un ossesso, mi afferrò per i capelli e mi portò fuori dalla cucina, nel piccolo corridoio in cui si affacciavano le camere da letto e il bagno.

Io ho capito cosa stavi facendo! Me lo devi dire, ma tanto io lo so: vai a fare la troia in giro con i tipi! Fai la puttana e chissà con quanti

avrai già scopato!” mi accusò, lanciandomi un pugno alla cieca.

Avevo le lacrime agli occhi, ma non mi arresi.

Io non vado a fare la troia con nessuno, ma di certo non mi devo giustificare con uno stronzo come te!” gridai, schiacciandomi contro il muro.

Nessun altro ti potrà avere, perché sei mia e sono io che decido per te” ringhiò.

Io non sono proprietà di nessuno!”

Mi afferrò nuovamente per i capelli e mi scaraventò contro la porta del bagno.

Ero a terra, indifesa, e lui mi prendeva a calci, a pugni, mi insultava e mi annientava. Il suo tocco mi disgustava, lo odiavo.

Bene, vediamo allora se è vero che fai la puttana. In caso contrario, sarai per sempre mia, la mia donna, sotto il mio controllo!” biascicò, barcollando pericolosamente.

Mi strappò di dosso i pantaloni.

Quel che è accaduto dopo non lo voglio ricordare.

Mia madre gridava, piangeva, si disperava, coprendosi il viso con le mani ancora imbrattate di cibo.

Dalla cucina arrivava una terribile puzza di bruciato.

Il pavimento era freddo.

Volevo morire.


Lancio un'occhiata alla mia immagine riflessa nello specchio e mi viene la nausea.

La camera è fastidiosamente bianca, spoglia.

Non ricordo chi sono, cosa ho fatto. Vegeto, voglio morire.

La clinica psichiatrica non mi piace, non serve a niente, perché certe ferite sono troppo profonde per essere curate.

Questo è peggio di un tumore, perché non smetterò di vivere, ma esso non smetterà di mangiarmi.

Dicono che mia madre si sia suicidata, che mio padre sia scappato e sia tornato in libertà.

Non voglio più ascoltarli, quello che dicono non mi interessa, perché la cosa più importante ormai mi è chiara: ha visto lui.

E io ho perso.



♠ ♠ ♠


Ciao a tutti e grazie per essere arrivati fin qui!

Questa storia è stata un'illuminazione improvvisa, appena ho letto il bando del concorso a cui partecipa mi è venuta in mente.

Parla di un argomento molto delicato e questo mi preoccupa: non so se sono riuscita a trattarlo nella maniera giusta, con la sensibilità che ci voleva, e anche per questo ho bisogno del vostro parere! ;)

Breve spiegazione sul titolo: sembra messo lì a caso, è una frase di Manuel, ma sembra non avere nessuna attinenza con la storia.

Invece ha un significato sottinteso: la solitudine non esiste in questo caso perché la protagonista si ritroverà a convivere per sempre con i suoi demoni e quindi non sarà più sola, almeno nella sua mente.

Ringrazio nuovamente chiunque si sia fermato a leggere e chi deciderà di recensire! :3

Soul ♥

   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Soul Mancini