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Autore: Vago    09/09/2016    2 recensioni
Libro Secondo.
Dall'ultimo capitolo:
"È passato qualche anno, e, di nuovo, non so come cominciare se non come un “Che schifo”.
Questa volta non mi sono divertito, per niente. Non mi sono seduto ad ammirare guerre tra draghi e demoni, incantesimi complessi e meraviglie di un mondo nuovo.
No…
Ho visto la morte, la sconfitta, sono stato sconfitto e privato di una parte di me. Ancora, l’unico modo che ho per descrivere questo viaggio è con le parole “Che schifo”.
Te lo avevo detto, l’ultima volta. La magia non sarebbe rimasta per aspettarti e manca poco alla sua completa sparizione.
Gli dei minori hanno finalmente smesso di giocare a fare gli irresponsabili, o forse sono stati costretti. Anche loro si sono scelti dei templi, o meglio, degli araldi, come li chiamano loro.
[...]
L’ultima volta che arrivai qui davanti a raccontarti le mie avventure, mi ricordai solo dopo di essere in forma di fumo e quindi non visibile, beh, per un po’ non avremo questo problema.
[...]
Sai, nostro padre non ci sa fare per niente.
Non ci guarda per degli anni, [...] poi decide che gli servi ancora, quindi ti salva, ma solo per metterti in situazioni peggiori."
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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 Le cupole si liquefecero di prima mattina, irrorando le radici della macchia vegetale vicina di fredda acqua.
Keria guidò il gruppo tra le vie della cittadina portuale procedendo a passo svelto, sempre sicura della direzione, mentre Jasno saltava di tetto in tetto accompagnato dall’aquila e dal corvo, in cerca di qualche pericolo.
Sarebbe stato molto più comodo e meno appariscente se quel compito fosse toccato a Mea, forte del fatto che poteva vedere il mondo attraverso gli occhi del suo compagno, ma la maga, dopo minuti di domande sul motivo per cui non volesse farlo, aveva confessato imbarazzata e seccata che ogni volta che tornava in sé veniva colta da delle emicranie sempre più lancinanti. Aveva passato l’intera notte cercando una soluzione al problema, purtroppo senza riscontrare risultati.
Hile si inciampò più volte sulla pavimentazione delle strade, disorientato dalla quantità di suoni  e odori che lo circondavano e gli affollavano i sensi. Il pesante sentore di salsedine, l’acre odore del fumo che si levava dalle ciminiere che si stagliavano sulla sua testa, le voci dei fabbri e degli alchimisti che aprivano le loro botteghe e negozi, il battito dei cuori, il fruscio dei vesti, il tintinnio attutito della vetreria di Seila, il tonfo dei passi sulla pietra. Solo Nirghe riusciva a sottrarsi ai suoi sensi, con un respiro impercettibile e dei passi leggerissimi.
Avrebbe dovuto abituarsi in fretta a quella nuova condizione, se aveva intenzione di non mettere di nuovo in pericolo i suoi compagni.
Svoltarono ancora un paio di volte, finché, di fronte a loro, non si aprì una piazza.
Dalla parte opposta un tempio dedicato agli dei primigeni svettava maestoso, fregiato di intarsi d’oro sulle statue marmoree. Dal portone d’ingresso i primi fedeli cominciavano a entrare nel luogo sacro per pregare affinché la loro giornata fosse produttiva.
Il Drago si fermò di fronte al battente in ferro che riposava sul massiccio portone scuro di un’anonima casa intonacata.
Bussò tre volte, poi rimase immobile e in silenzio in attesa di una risposta.
La porta si aprì senza quasi nessun rumore, ma Hile si accorse immediatamente che il cardine superiore non era stato oliato bene, visto che sforzava leggermente.
Ad accoglierli ci fu un sorriso rassicurante di un elfo sulla trentina. Gli occhi neri guizzavano tra i volti dei ragazzi che avevano bussato, un completo rosso scuro copriva un corpo atletico e, a completare il quadro, i capelli neri erano stati pettinati all’indietro, su questi risaltava una ciocca argentata.
Hile squadrò il proprietario di quella casa, stupendosi di come una persona così distinta potesse essere al servizio della Setta.
- Posso aiutarvi? – chiese l’elfo senza riuscire a mascherare un certo fastidio nella sua voce.
Mea non disse nulla, arrotolò semplicemente la manica della camicia fino a metà dell’avambraccio, mostrando così l’esagono con all’interno la sagoma frontale di un corvo di fronte che portava tatuato sul polso destro.
Gli altri fecero altrettanto.
L’elfo sbuffò visibilmente scocciato, facendosi da parte e invitando gli assassini ad entrare.
- Cosa può fare uno Stambecco per la Setta? – chiese non appena si fu chiuso la porta alle spalle.
- Dobbiamo andare sull’isola dei monaci. Puoi aiutarci? – chiese Keria accomodandosi su una sedia messa a disposizione dall’ospite.
Lo Stambecco si andò a sedere su una poltrona ricoperta da stoffa rossa, versandosi in un bicchiere un liquore scuro. – Come mai dovete andare in quel posto? Da quanto ne so io là non ci sono uomini da uccidere. –
- Per una volta non è questa la nostra missione. – gli rispose Hile.
- Comunque, sarà un bel problema. Non credo che troverete una barca adatta a voi senza spendere un capitale. Quanto importante è, per voi, questa cosa? – l’elfo prese una lenta sorsata da bicchiere, guardando pensieroso il fondo del liquore.
- Parecchio. – disse Keria decisa.
- Allora ci divertiremo parecchio. La nostra migliore possibilità è rubare una barca dal porto. Siamo sette e mi sembra evidente che voi non sappiate minimamente come si arma una barca di quelle dimensioni, quindi la nostra unica possibilità è la Lancia delle Onde, la barca di Gantel. –
- Come pensi come possiamo riuscirci? – chiese Nirghe sporgendosi dalla sua sedia.
- Abbiamo solo due problemi: le guardie sui fari gemelli che controllano il traffico navale e la grata sottomarina all’uscita dei promontori. Possiamo superarli entrambi, ma dovremo agire assieme. Siete sicuri che lo volete fare? Guardate che ci andranno di mezzo delle vite. –
- Ne andranno di mezzo molte di più, se non andiamo su quell’isola. – gli rispose Nirghe sporgendosi ancor di più verso l’ospite. – Ora, se hai un piano per noi, è il momento di dirci cosa dobbiamo fare. –
L’elfo sospirò stanco, finendo in un solo sorso il liquore rimasto, poi tornò a posare i suoi occhi stanchi sui giovani assassini.

Hile si sporse dalla roccia dietro la quale si era nascosto, tenendo d’occhio la vela bianca spiegata che si stava lentamente avvicinando dalla costa. I suoi compagni, lo Stambecco e gli animali che gli avevano donato gli dei lo aspettavano su quel ponte, nascosti sotto la coperta della notte.
Avevano levato l’ancora, ora era arrivato il suo momento.
Il Lupo si avvicinò al faro sul promontorio di destra velocemente, percorrendo silenzioso il sentiero che lo collegava al porto. Dall’altra parte di quell’insenatura, nei pressi del secondo faro, Nirghe probabilmente stava facendo lo stesso.
Doveva essere un lavoro veloce e pulito.
Hile appoggiò l’orecchio alla robusta porta in legno scuro, chiudendo gli occhi per concentrarsi sui suoni che il suo udito carpiva.
Quattro voci e un solo paio di piedi che camminavano. Qualcosa di squadrato rotolò su una superficie in legno. Dei dadi su un tavolo.
Se lo Stambecco gli aveva dato le informazioni giuste, la campana dall’arme era situata al secondo piano di quella struttura, dopo una corta rampa di scalini.
I giocatori avrebbero perso tempo ad alzarsi dalle loro sedie, il più veloce sarebbe stato quello in piedi.
Con un calcio del Lupo la porta si spalancò. Non appena lo sguardo poté posarsi sulla guardia ferma al centro della stanza, il primo coltello lasciò le dita dell’assassino, conficcandosi tra gli occhi sgranati dell’uomo.
I tre rimasti si alzarono caoticamente. Due presero le spade abbandonate ai piedi del piccolo tavolo tondo, il terzo corse a rotta di collo in direzione della rampa, ma la sua intenzione venne stroncata da una lama alla base della nuca.
Gli ultimi due sopravvissuti si fecero prendere da panico, abbandonando le armi e scappando oltre i corpi dei compagni morti per avvisare la città del pericolo.
Hile tornò a provare le strane sensazioni che l’avevano avvolto nel bosco. Poté sentire i cuori delle due guardie battere all’impazzata, mentre un misto di odori gli riempì le narici, l’odore della paura, si disse. La gioia della caccia cominciò così a scorrergli nelle vene, facendogli ribollire il sangue e splendere gli occhi.
L’assassino si lanciò in avanti, stringendo tra le dita guantate i coltelli.
La schiena del primo uomo venne squarciata come dagli artigli di un animale, sporcando di sangue il pavimento di pietra del faro, il secondo uomo venne atterrato dal peso del ragazzo, ma non ebbe il tempo di urlare, perché un lama rapida gli aprì una voragine sotto la gola.
Hile si rialzò dal cadavere, pulendosi i guanti insanguinati nella camicia di quest’ultimo e richiamando a sé i coltelli.
Dalla larga finestra che dava sul mare poté vedere la Lancia delle Onde superare la punta estrema dei promontori. Senza il suono delle campane dall’arme dei fari nessuno si era prodigato nell’alzare la grata sommersa che impediva l’accesso, o l’uscita, delle navi in quel tratto di mare.
Un odore di nuovi uomini lo raggiunse.
Il cambio di guardia.
Hile si voltò, trovando di fronte a sé tre guardie con la spada sguainata che spostava lo sguardo tra il ragazzo e i corpi riversi a terra. Il quarto probabilmente era già corso a dare l’allarme a voce. Come conferma di ciò, con uno stridore di ferro contro ferro, la grata sorse dai flutti, levandosi per almeno tre metri sopra le onde.
Dall’altro faro la campana cominciò a suonare fragorosa, seguita dall’accensione di decine di lampade al porto.
Nirghe doveva aver già lasciato l’altra struttura.
Il Lupo ripose i coltelli nelle rispettive tasche, in modo da avere le mani libere per potersi muovere al meglio. Se avesse tardato ancora non sarebbe più riuscito a raggiungere la barca dei suoi compagni.
L’assassino si mosse veloce in direzione degli uomini armati che si frapponevano tra lui e l’uscita.
La prima guardia cadde sotto i piedi del ragazzo, che non rallentò la sua corsa nemmeno quando il filo di una spada si fece strada tra la muscolatura della sua schiena.
Due secondi più tardi Hile superò la soglia di quel faro, lasciandosi alle spalle i tre uomini sbigottiti e una scia di sangue. Corse a capofitto fino al limite estremo della scogliera, senza fermarsi neppure quando il sentiero sotto i suoi piedi scomparve tra le rocce aguzze.
Un passo. Due passi. Tre passi.
Per l’ultima volta il piede del ragazzo toccò la terraferma, per poi affidare quel corpo al vento, in una caduta disperata verso il mare.
Le onde, però, non riuscirono a gremire neppure i piedi del ragazzo, che venne avvolto da un vento umido e da questo venne portato fin sul ponte della Lancia delle Onde.
- Grazie Mea. – riuscì a dire, una volta che si fu sdraiato sulle assi di legno  con il fiatone.
- Ma stai perdendo sangue! – disse una voce femminile lontana, ma Hile non ci fece caso, abbandonandosi al sonno che gli annebbiava la mente.
Avvertì appena Buio avvicinarsi al suo volto.

Hile si svegliò ore dopo sdraiato in una delle cuccette della nave. Dalla botola che portava sopraccoperta filtravano i raggi arancioni di un sole nascente.
L’assassino si alzò piano massaggiandosi la testa che pulsava.
- Complimenti, sei quasi riuscito a lasciarci la pelle. – disse una voce vicina.
Nirghe era seduto a terra, con la schiena appoggiata alla parete e gli occhi socchiusi, le sue labbra erano piegate in un sorriso divertito.
- Mi puoi fare un rapido riassunto? – chiese il Lupo tornando a sdraiarsi e chiudendo gli occhi.
- Ti sei lanciato dalla scogliera, Mea ti ha fatto prendere al volo dal vento grazie alle tue energie, ma, visto che ti sei fatto aprire la schiena, sei arrivato qui mezzo morto e quasi dissanguato. Mea ti ha rimesso un minimo in sesto e ti abbiamo portato qui sotto. Tutto questo circa… sei ore fa. –
- Ottimo… Ma, la prossima volta, teniamo presente i cambi di guardia. –
Il Gatto ridacchiò sommessamente.

La botola si aprì quasi un’ora dopo, facendo intravedere la sagoma scura della testa di Keria controluce.
- Datevi una mossa voi due. Siamo quasi arrivati. – disse la voce dell’arciere.
Hile risalì incerto sulle sue gambe la scala a pioli che lo separava dal ponte sotto lo sguardo divertito di Nirghe, ancora seduto sulle assi di legno del pavimento.
All’esterno il rosso sole mattutino stava sorgendo dalla linea dell’orizzonte, facendo splendere il mare come se fosse invaso da mille scintille.
Lo Stambecco guardava le onde che si frantumavano contro la prua della nave da dietro il timone, saldo tra le sue mani, mentre la sua capigliatura curata si era lasciata cadere sotto il vento marino carico di salsedine.
- Ti sei ripreso ragazzino? – chiese senza degnarlo di uno sguardo l’elfo.
- Abbastanza. – gli rispose il Lupo mentre percorreva i metri che lo separavano dalla punta della nave.
Lontano, di fronte a loro, l’isola dei monaci si mostrava come una sottile riga nera in contrasto con l’azzurro increspato del mare. Sui due alberi della Lancia le vele candide si gonfiavano, trascinando a velocità sostenuta la chiglia sui flutti agitati dal vento.
Un ora, si disse il Lupo. Un ora e sarebbero arrivati a destinazione.
Buio gli si avvicinò rapido, appoggiano il fianco ricoperto di folto pelo grigio sulla gamba dell’assassino.

L’ancora calò sollevando un ventaglio di spruzzi.
A una ventina di metri di distanza, sull’alto promontorio che s’innalzava dal mare, una scala scavata nella pietra risaliva la parete verticale.
 - Voi prendete la scialuppa e andate avanti. – disse lo Stambecco assicurandosi di aver stretto a sufficienza un nodo. – Io cerco un’insenatura dove nascondere la barca e vi raggiungo. –
Senza troppi convenevoli i sei assassini fecero calare la scialuppa sulle onde, remando in direzione dell’isola sotto lo sguardo attento dell’elfo che ritirava a bordo l’ancora.

Hile, raggiunta la cima di quella scoscesa parete rocciosa, guardò la distesa azzurra sotto di lui.
In lontananza cinque battelli si avvicinavano rapidi, lasciando alle loro spalle dense scie di fumo grigio che si innalzavano verso il cielo. Stavano senz’altro inseguendo le vele della Lancia delle onde e da quella distanza difficilmente erano riusciti a scorgere la scialuppa staccarsi da quello scafo per puntare l’isola.
Il Lupo si guardò i vestiti zuppi e rammendati, ripromettendosi, se mai sarebbe tornato nella civiltà, di trovarne di nuovi. Si voltò quindi in direzione dei compagni di viaggio, rendendosi per la prima volta davvero conto di quanto quell’ininterrotto viaggiare li avesse segnati.
I volti era tutti, senza eccezione, magri e infossati, gli occhi erano segnati dalle poche ore di sonno o dalle troppe ore di veglia. I corpi secchi erano coperti dai fantasmi di quelli che erano abiti di buona qualità, alla camicia di Keria mancavano le maniche, il largo cappello di Jasno ricadeva floscio sul capo dell’Aquila.
L’assassino si chiese come mai non li avessero ancora scambiati per mendicanti.
- Mea… - la timida voce di Seila ruppe il silenzio che era calato sul gruppo. – Sai che ci avevi detto delle emicranie che ti vengono dopo aver… guardato attraverso gli occhi del tuo corvo? –
- Si, e allora? – chiese la maga mentre si voltava per guardare in faccia l’erborista.
Il Serpente abbassò lo sguardo a terra. – Ho… ho avuto un’altra intuizione, sulla barca. Credo... credo che questo possa aiutarti. –
Seila porse al Corvo una bottiglietta trasparente, piena di una sostanza dall’acceso colore rosso.
- Come dovrebbe funzionare? – continuò Mea imperterrita, guardando dubbiosa la mistura .
- È solo un infuso… però se ne prendi un sorso al giorno dovrebbe toglierti quel problema. –
La maga si accostò la bottiglia alle labbra, facendo scorrere il liquido nella sua gola. Prese quindi un profondo respiro.
Gli occhi di Mea divennero vitrei, persi nel vuoto. Solo dopo diversi secondi tornarono al consueto colore viola.
- Bel lavoro. – disse infine. – Per ora funziona. Se l’effetto continua dovrai prepararmene altra. –
Hile sorrise fiducioso di quel gruppo e tornò a posare il suo sguardo sulla lontana riga scura che erano le Terre. Ventiquattr’ore prima erano laggiù, talmente allo sbando da essere disposti ad affidarsi completamente a uno Stambecco trovato per volere del Fato, mentre ora la loro meta si era fatta talmente vicina da essere tangibile.

Per fortuna è finita.
Questa è ufficialmente stata la giornata peggiore degli ultimi vent’anni. Ventiquattr’ore d’inferno.
Non so come facciate voi a rimanere rinchiusi in un guscio di carne che non può rinunciare ad avere il terreno sotto i piedi. È maledettamente limitante.
In ogni caso è finita e la Lancia delle Onde sta bruciando davanti ai miei occhi da pesce. È un peccato, lo ammetto, era una buona nave, una delle migliori che mi sia capitata da timonare negli ultimi tempi. Purtroppo non ho il tempo per piangerla, non adesso, quantomeno.
Spero riescano a trovare il proprietario di quella casa in tempi brevi. Non credo sia molto contento di essere stato legato e imbavagliato nella sua cantina. Dovrei però congratularmi con lui per l'ottimo liquore. Era davvero di qualità.
Ammetto di essermi anche divertito in tutta questa faccenda, è stata un bello svago, questa fuga rocambolesca, dovrei farlo più spesso… Magari la prossima volta, però, controllerò gli orari dei cambi di guardia.
In ogni caso, il passato è passato e nessuno  è ancora morto, quindi mi considero soddisfatto del mio operato. Ora, però, devo raggiungere di nuovo quei marmocchi.


Angolo dell’autore:

Questo è un momento importante, per me almeno.
Perché?
Perché da adesso in poi non sono nemmeno sicuro io di quello che avverrà. Questa non è la prima volta che scrivo questa storia ma, per varie vicissitudini, sono stato costretto a ricominciare da capo la stesura di questo secondo capitolo delle Terre. Finora non mi ero mai scostato molto dal primo tracciato che avevo segnato, ma ora sono arrivato a un punto estremo, non sono mai andato oltre questa situazione, quindi non ho la benché minima idea di quali direzioni prenderanno i prossimi capitoli.
Per “festeggiare” questo evento ho deciso di riprendere in mano i miei vecchi appunti cartacei, tradurli in lingua corrente e scrivere qui tutto quel che era e non è più oppure quel che sarebbe potuto essere ma non lo è stato. Vi siete persi? Ottimo.
Da adesso in poi scriverò cose non totalmente pertinenti alla storia principale, quindi siete liberi di alzarvi e uscire, non preoccupatevi, non perderete nulla di vitale se ciò non vi interessa.
Per voi tutti, invece, che siete arrivati a questo punto, grazie per la fiducia.
Senza indugio ecco che inizio.

1)    La prima stesura era tutta in prima persona attraverso gli occhi di Hile. Poi mi sono reso conto che era un suicidio e ho riscritto tutto, salvando da quella versione solo il primo capitolo, quello del rapimento, per intenderci.
2)    Inizialmente gli animali legati ai settori della setta (scusate il gioco di parole) dovevano essere il lupo, il corvo, la capra (non so come mi fosse venuta in mente), il drago, il pipistrello e l’orso, legate rispettivamente ai coltelli, ad arco e frecce, al combattimento a mani nude, alla spada, alla cerbottana e al combattimento con il bastone. Poi, probabilmente, mi sono accorto che la magia poteva essermi leggermentissimamente utile e ho rivoluzionato tutta la baracca.
3)    La prima idea come power-up per gli assassini erano delle gemme da inserire in una specie di altare nel cuore del Flentu Gar. Poi ho avuto l’illuminazione dei cuccioli e ho scartato tutte le altre possibilità.
4)    Niena e Mero (i figli rispettivamente di Ardof e Frida e Trado e Diana) sono nati in quest’ultima stesura, tra l’altro a capitolo già finito e pronto per essere caricato sul sito. Ah, si, loro saranno importanti, forse.
5)    A proposito di cose nate in una notte di lavoro: Il personaggio di Vanenir II è nato in venti minuti, nei successivi dieci ho deciso quale sarebbe stato il suo ruolo. Tutto questo grazie a una riflessione su una recensione.
6)    Questo non sono sicuro di volerlo scrivere. Avrete presente Commedia? Il nostro simpatico Viandante di quartiere? Bene. All’inizio non era una musa, non era ironico, non era nulla di tutto quello che è ora. Inizialmente era un mutaforma che, per noia, seguiva le avventure dei personaggi, facendo commenti seri e delucidazioni di tanto in tanto. Era una noia mostruosa. Poi mi sono preso a schiaffi da solo e l'ho trasformato in quel che è ora.


ATTENZIONE, CONTENUTO PARTICOLARMENTE CRITICO.


In conclusione di questo “speciale”, voglio lasciarvi un commento del Viandante che, dopo una lunga e tormentata riflessione, ho deciso di tagliare da questo capitolo appena caricato.

“Svoltarono ancora un paio di volte, finché, di fronte a loro, non si aprì una piazza.
Dalla parte opposta un tempio dedicato agli dei primigeni svettava maestoso, fregiato di intarsi d’oro sulle statue marmoree. Dal portone d’ingresso i primi fedeli cominciavano a entrare nel luogo sacro, per pregare affinché la loro giornata fosse produttiva.

Detesto questo genere di templi. Per più di un motivo, tra l’altro.
Gli dei, i miei capi immortali, non hanno mai chiesto che fosse eretto in loro onore un posto del genere, ma soprattutto non hanno mai chiesto a nessun mortale di farsi loro portavoce, nemmeno ai sei Cavalieri, invece guarda un po’ lì. Cinque, sei, otto… Ben nove devoti sacerdoti pronti a fare qualsiasi cosa debbano fare dei sacerdoti.
Voglio solo sperare che questa storia non finisca male…

Il Drago si fermò di fronte al battente in ferro che riposava sul massiccio portone scuro di un’anonima casa intonacata.”

Non ero sicuro che questo commento potesse essere appropriato alla storia, quindi ho optato per lasciare a voi lettori l’ardua sentenza.

FINE DEL CONTENUTO PARTICOLARMENTE CRITICO


Questi erano più o meno tutti i grandi cambiamenti che ho apportato andando avanti con la storia.
Prima di chiudere questo capitolo nel capitolo, vorrei fare un appello a tutti voi. Mi fareste un piacere immenso se mi scriveste un vostro parere nelle recensioni, per favore criticatemi, perché da ora in avanti ho più possibili strade per proseguire e potrei aggiustare un po’ il tiro con il vostro contributo.
Detto ciò, grazie a tutti, di nuovo, per la fiducia. Ci vediamo la settimana prossima.
Vago.

   
 
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