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Autore: hurrem    09/09/2016    7 recensioni
Cosa succede alla Capsule Corporation se la piccola di casa si innamora dell'uomo sbagliato, se Bulma e Vegeta devono affrontare nuove difficoltà e imparare ad essere genitori di due adulti, se Trunks e i suoi amici custodiscono segreti dolorosi... Se vi siete sempre chiesti cosa c'è dietro i personaggi meno approfonditi di Dragon Ball e se non siete soddisfatti dell'immagine semplicistica della ragazzina viziata e del donnaiolo scansafatiche che molte fanfiction danno di Bra e Goten allora vi consiglio di leggere la mia versione. Dragon Ball GT non mi è mai piaciuto perciò non verrà considerato e cercherò di entrare a fondo nella psiche di personaggi troppo trascurati. Il titolo fa riferimento all'orgoglio dei protagonisti, spesso causa di guai, e al pregiudizio degli stessi gli uni nei confronti degli altri. Spero che la storia vi piaccia!
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bra, Bulma, Goten, Marron, Trunks | Coppie: Bra/Goten, Bulma/Vegeta, Marron/Trunks
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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È passato quasi un anno dall’ultimo aggiornamento, eppure continuate a scrivermi e a chiedermi notizie su questa storia. Non so come ringraziarvi per questa costanza. Ora finalmente vi lascio il nuovo capitolo e spero davvero che vi piaccia. Spero di riuscire ad aggiornare presto anche “Sweet Child ‘o Mine”, ma ho questa convinzione karmica di dover attendere la 90° recensione per procedere (si chiama disturbo ossessivo-compulsivo ed è un’ottima scusa per le lunghe attese che vi faccio patire!). Buona lettura!

 

 

 

 

CAP. 6 – ME VS THE UNIVERSE

 

 

 

“Buongiorno, Dottor Brief.”

Trunks ricambiò l’ennesimo saluto con un cenno del capo. Sua madre continuava ad insistere sull’importanza di utilizzare l’ingresso principale per recarsi in ufficio la mattina, in modo da fare un’ottima impressione e costruirsi una reputazione solida agli occhi dei dipendenti. Data la consapevolezza che sul suo viso si potessero leggere tutti i segni dei bagordi della notte precedente, avrebbe dato qualunque cosa per tornare indietro nel tempo di pochi minuti e scegliere di raggiungere l’ufficio attraverso la pista d’atterraggio sul tetto dell’edificio, a lui riservata.

Il sayan si diresse a testa china oltre la hall, passando al di sotto di un enorme schermo luminoso che trasmetteva senza sosta filmati di Bulma, impegnata a promuovere i nuovi prodotti dell’azienda e il settore “Ricerca e Sviluppo” della società. Gli addobi natalizi in ogni angolo, ridondanti di luci intermittenti, lo facevano sentire sull’orlo di una crisi epilettica. Raggiunse il suo ascensore privato quasi correndo, ma le porte scorrevoli si aprirono appena prima che potesse sottoporre le sue impronte digitali al monitor per il riconoscimento.

“Oh, Dottore! Meno male che è arrivato!”

Akane si bloccò trafelata e, invece di uscire, gli fece spazio all’interno dell’ascensore.

“Ciao Akane. Qual è il problema?”, le domandò allarmato.

“Marron mi ha chiesto di venirle incontro. C’è sua madre di sopra…”, disse la giovane, cercando di mascherare il nervosismo.

Trunks si appoggiò alla parete già esausto. Fantastico. Marron era già arrivata e, come se non bastasse, sua madre aveva deciso di passare a seminare un po’ di panico in ufficio. E lui ovviamente era in ritardo.

“Mi permette?”, disse la giovane, sporgendosi verso di lui.

Trunks lasciò che lei gli sistemasse il colletto della camicia.

“Grazie.”, le sorrise.

Ormai Akane lavorava con loro da più di un anno. L’aveva assunta lui, quando avevano deciso che Marron necessitava di un’altra assistente, oltre a Calliope. Si era rivelata molto sveglia e conosceva le dinamiche dell’azienda abbastanza da essere una valida risorsa, soprattutto durante le emergenze come quella.

“Si figuri. Marron ha detto alla Dottoressa che stamattina il suo aereo ha avuto dei problemi.”

“Non avevamo già usato questa scusa, di recente?”, chiese lui sarcastico.

“Solo una volta, quest’anno.”, lo rassicurò lei. “Tengo il conto.”

Trunks sorrise stanco. Il suo sguardo si perse sulla metropoli che andava rimpicciolendosi al di là delle ampie vetrate trasparenti. L’inverno era il periodo dell’anno che odiava di più: la città dell’Ovest affrontava le imponenti nevicate tipiche della stagione paralizzandosi completamente e lui, senza quel cuore pulsante che era la sua città natale, si sentiva completamente svuotato di ogni vitalità.

Solo due ore prima si era svegliato allo sgradevole suono di una sveglia che non ricordava di aver puntato. Solo. Con la mente ancora annebbiata dalla stanchezza, si era irritato con se stesso per aver pensato che Marron potesse aver deciso di restare lì. Poi era uscito dallo stato di semi-incoscienza tipico del risveglio e si era reso conto che c’erano ben altri motivi per cui biasimarsi.

Aveva tradito Kari… Nel momento in cui la verità si era palesata finalmente ai suoi occhi, Trunks ne aveva riconosciuta anche la ripugnante natura. Aveva tradito la donna straordinaria cui stava per chiedere di sposarlo. E questa volta non aveva amnesia dell’episodio a risparmiargli il senso di colpa. Aveva affondato il volto nel cuscino con un ringhio e l’odore dei capelli di Marron gli aveva riempito le narici. La disperazione aveva soppiantato la rabbia. Era andato a letto con la sua migliore amica; con la ragazza che con ogni probabilità avrebbe finito per diventare la compagna di Goten. Lo aveva fatto consapevolmente: ricordava perfettamente di averla voluta come non aveva mai desiderato nulla prima. Si era accorto che la nausea che provava non era altro che disgusto verso se stesso. Questa enorme cazzata non confermava forse le accuse al vetriolo che Marron gli dedicava da sempre?

Bambino viziato. Egocentrico. Ti prendi quello che vuoi senza guardare in faccia nessuno. Credi che il mondo e tutti i suoi abitanti ti appartengano…

Ricordava di essersi trascinato fino alla doccia e di come ogni movimento del suo corpo avesse rievocato il violento piacere che aveva provato la notte precedente. Nonostante la vergogna. Nonostante tutto. E l’uomo meschino che era aveva persino esitato nell’aprire l’acqua calda che avrebbe portato via l’odore di Marron dalla sua pelle…

In men che non si dica l’ascensore diede la scalata all’edificio e le porte trasparenti si aprirono sull’ultimo piano della Capsule Corp Administration: un enorme spazio di lavoro che vantava, tra le altre cose, una piscina con sauna, due sale conferenze ed una caffetteria. Trunks ed Akane attraversarono l’open space, in cui lavoravano dodici segretarie (al loro passaggio si verificò un profondersi di inchini come sempre), per raggiungere l’ufficio personale del vicepresidente.

Si concesse di pensarci solo un secondo prima di entrare; incapace di governare la tensione crescente. Come diavolo doveva comportarsi? Cosa mai avrebbe potuto fare, per porre rimedio a quel disastro?

“Ah, eccoti qui!”, lo accolse sua madre.

La stanza era sempre frenetica, ma dalla rigidità di Akane e Calliope si capiva perfettamente cosa suscitasse la presenza di Bulma.

“Ciao, mamma. Come mai da queste parti?”

Avrebbe voluto dissimulare più a lungo, ma il suo sguardo corse subito all’angolo in cui Marron aveva la sua scrivania. Si era forse aspettato che lo guardasse, ma lei era china sul suo palmare e digitava frenetica sullo schermo.

“Volevo solo controllare la vostra agenda di oggi. Ho un appuntamento con Goten tra 10 minuti.”, rispose Bulma.

“Con Goten?”, chiese Trunks, togliendosi la giacca e lasciando la sua ventiquattrore sulla scrivania.

“Come ti ho già detto, Bulma…”, lo interruppe Marron dirigendosi verso di lui, “la nostra agenda non si è modificata da quando ti ho inviato un appunto per mail stamattina.”

Bulma decise evidentemente di ignorare la frecciata, perché chiese a Calliope di chiamare uno dei suoi progettisti, per ricordargli di mandarle un resoconto della riunione del pomeriggio.

“Io e Goten dobbiamo discutere del lancio del ©Phone 3”, aggiunse.

Marron lasciò dei fogli sulla sua scrivania. Il suo profumo lo investì. Era lo stesso che aveva messo la sera prima e le immagini di quello che era successo gli si ripresentarono vivide e reali.  Solo in quel momento si trovò di fronte al suo viso e si rese conto che indossava gli occhiali da sole.

“Dio, fai schifo.”, gli disse la ragazza, guardandolo con una smorfia.

Trunks sentì lo stomaco attorcigliarsi.

“Lo so. Possiamo parlarne dopo?”, le disse sottovoce.

Marron si irrigidì e Trunks poté quasi percepire lo scherno risalire dalle labbra strette della ragazza al suo sguardo coperto dalle lenti scure.

“Intendevo dire che la tua faccia fa schifo, idiota.”

Bulma si avvicinò, poggiando la sua agenda sulla scrivania.

“Quindi, vi siete divertiti un mondo ieri sera, vero?”, disse con biasimo malcelato.

Trunks raggelò; salvo riprendersi prontamente visto che era impossibile che sua madre sapesse davvero cosa era successo la notte prima. La sua empasse non era però sfuggita a Marron, che lo fulminò.

“Una serata normalissima, mamma.”, commentò con falsa noncuranza, riordinando alcuni documenti.

Bulma sospirò profondamente, voltandosi verso Marron che era tornata alla sua postazione e digitava frenetica sul pc.

“Sapete perché vi sto addosso, vero?”

Marron accennò una smorfia poco collaborativa.

“Per delirio di onnipotenza?”, commentò il giovane sayan.

Bulma non rise. In quel momento,Trunks si rese conto che sembrava più seria del solito. Sulla fronte di solito perfettamente liscia di sua madre si era disegnata una piccola ruga traditrice.

“Un giorno questa azienda sarà sulle vostre spalle… e voglio solo che siate pronti ad affrontarlo. Perciò non mi sembra troppo chiedervi di comportarvi come due adulti, ogni tanto.”

La donna girò sui tacchi e tornò a rivolgersi a Calliope. Trunks si sentì un po’ in colpa e vide che anche Marron aveva smesso di dedicarsi al suo compito. Si soffermò ad osservare sua madre. Aveva ormai superato i sessant’anni eppure era così difficile ricordarsene. Non aveva mai smesso di essere la donna esuberante e piena di risorse che Trunks aveva conosciuto fin da bambino; inoltre non dimostrava più di 40 anni da almeno un decennio (non l’aveva mai ammesso, ma tutti sapevano che aveva chiesto al suo amico Whis di farla invecchiare più lentamente e a quanto pare era stata accontentata). Il pensiero che il momento in cui lei avrebbe abbandonato le redini dell’azienda fosse vicino, non l’aveva mai sfiorato.

“Non credi di essere diventata un po’ troppo ansiosa? Non stai certo per andare in pensione adesso.”

Qualcuno bussò proprio in quell’istante e la porta si aprì. Goten fece il suo ingresso nella stanza sorridente e apparentemente fresco come una rosa.

“Buongiorno, che si dice qui sull’Olimpo?”, disse il giovane, appoggiando un vassoio carico di bicchieri di carta di Starbucks sulla scrivania di Akane.

“Grazie a Dio, hai portato il caffè.”, si alzò di scatto Marron, attratta da quell’aroma che prometteva di migliorare la grigia giornata.

“Ma guarda! Non avrei mai detto che saresti stato puntuale.”, disse Bulma. “E puoi spiegarmi perché vai da Starbucks quando abbiamo un bar qui dietro la porta?”

“Un bar con un uomo di 45 anni dietro il bancone”, commentò Goten, strizzando l’occhio ad Akane. Akane sorrise senza farsi vedere da Bulma. “Lo sai che da Starbucks qui all’angolo ci sono almeno 20 dipendenti diverse? E nessuna di loro ha i baffi, te lo garantisco”

“Immagino…” commentò Bulma sorridendo suo malgrado, prendendo un bicchiere di caffè.

Trunks si alzò per avvicinarsi alla scrivania, attorno alla quale si erano tutti riuniti.

“Portos, ti rendi conto che non c’è speranza che un raggio di sole penetri questa cortina di nebbia, vero?”, disse Goten, finalmente accortosi degli occhiali da sole che Marron si ostinava a portare.

“Ho un’irritazione agli occhi, scemo!”, rispose lei. Goten gongolava di poter stuzzicare l’aspetto di ognuno di loro, dopo le grandi sbronze. Trunks lo osservò. Aveva un maglioncino di cachemire sopra la camicia, niente giacca. Eppure riusciva ad essere elegante lo stesso e ad avere l’aria del bravo ragazzo appena uscito dalla chiesa che faceva impazzire le donne di tutto l’edificio. Quel bastardo probabilmente non era nemmeno andato a dormire. Come diavolo faceva ad essere sempre puntuale e riposato?

Il giovane Brief non fece in tempo a raggiungere il suo caffè che Marron era schizzata verso la sua scrivania e si era rimessa a scrivere al pc. Non riusciva a capire se il fatto che lei sembrasse del tutto insensibile a ciò che era successo lo irritava o lo faceva sentire sollevato.

“Calliope, hai da fare stasera?”

Calliope si irrigidì. Con quelle gambe lunghe e secche e il fisico asciutto non era proprio il tipo di Goten, ma a lui piaceva tormentarla, perché manteneva una stoica resistenza ai tentativi di approccio del sayan.

“Sono piena di impegni, signor Son.”, disse, senza degnare il giovane di uno sguardo e allontanandosi da lui. In realtà sapevano tutti che non era certo immune al fascino di quel ragazzone alto e scolpito.

Goten sorrise soddisfatto.

“Cosa devo fare per convincerti ad uscire con me, Calliope? Vuoi delle referenze?”, le urlò dietro il sayan. Akane soffocò una risata. A lei, che era fidanzatissima, Goten non aveva mai dato fastidio.

“Il problema, Aramis, è che lei ha già avuto le tue referenze.”, commentò maligno Trunks.

Bulma era rimasta distratta dal telefono per qualche minuto.

“Puoi lasciare in pace le mie dipendenti, Goten? Vogliamo parlare del lancio? Sono di fretta…”

Goten tirò fuori un foglio piegato dalla tasca posteriore dei pantaloni e lo porse a Bulma.

“Mail di stamattina del sindaco, capo!”, disse il giovane sorseggiando il caffè.

Bulma spiegò il foglio e inforcò gli occhiali per leggere. Quando alzò lo sguardo, era piacevolmente stupita.

“Come ci sei riuscito?”, chiese la donna ammirata.

“Ti avevo detto che era un’ottima idea. Ho fatto notare al sindaco che darci il permesso sarebbe stato un’ottima vetrina per la città…”

Marron alzò la testa dal pc, curiosa, e Trunks si avvicinò per sbirciare, ma Bulma si affrettò a ripiegare il foglio e a riporlo nella sua agenda.

“Non dire ancora nulla, Goten. Meno si sa, meglio è.”

“Top secret, amico.”, commentò il giovane Son all’indirizzo del volto contrariato di Trunks.

“In quanto vice presidente, non dovrei essere messo al corrente? Lo sai che io pago i suoi stipendi?”, chiese Trunks alla madre, rivolgendosi al suo miglior amico.

Bulma sfoderò un sorriso maligno.

“In realtà, sono ancora io che pago gli stipendi di tutti voi, tesoro. E poi Goten ha insistito affinché la cosa fosse una sorpresa anche per voi. Saprete ciò che dovete sapere a tempo debito.”, concluse.

Goten si pavoneggiava, così Trunks gli rifilò un pugno nello stomaco. Goten gli restituì una ginocchiata sui reni ed il tutto si concluse talmente velocemente che nessuno ci fece caso. Alcune fatture caddero dalla scrivania e i due ragazzi si chinarono a raccoglierle, sghignazzando.

“Una sorpresa? Vedrai che prima di sera gli avrò estorto tutto.”, intervenne Marron alzandosi dalla sua poltrona girevole.

Bulma sospirò.

“Devo ammettere che a volte la mia fiducia in voi è ben riposta. Il che mi rincuora; vuol dire che non ho fatto solo danni nel crescervi.”

Trunks, Goten e Marron si scambiarono dei rapidi sguardi inquieti. Sapevano che Bulma si riteneva responsabile di ogni loro azione. A quanto pare aveva sottovalutato la difficoltà del doversi occupare contemporaneamente di due ragazzi sayan, un’adolescente ribelle ed una bambina dispotica.

Goten era arrivato alla Capsule  Corporation a 14 anni per frequentare la stessa scuola esclusiva di Trunks, così come Marron quattro anni più tardi. Bulma li aveva sempre trattati come figli, aveva insegnato loro ad essere responsabili sul lavoro e aveva dimostrato in quanta considerazione li tenesse affidando loro quegli incarichi così importanti nell’azienda. In tutti quegli anni passati insieme, avevano tradito la sua fiducia innumerevoli volte, ma lei non aveva mai smesso di credere in loro. Tutte le volte che si sentivano in colpa, nonostante l’immaturità impedisse loro di imboccare risolutamente la retta via, succedeva perché non sopportavano l’idea di averla delusa. La cosa era particolarmente sentita da Goten; si vergognava del fatto che sua madre fosse fermamente convinta che il suo bambino fosse stato traviato dalla dubbia moralità dei Brief, quando invece le cazzate che aveva fatto erano tutta farina del suo sacco.

L’interfono della scrivania di Trunks si accese.

“Dottor Brief, c’è la signorina Van der Berg. La faccio entrare?”

Trunks sentì vagamente sua madre squittire deliziata della notizia. Il panico gli strizzò le viscere e non poté fare a meno di guardare Marron. Anche lei sembrava all’improvviso paralizzata.

Goten dovette accorgersi che c’era qualcosa di strano nell’aria.

“Ragazzi, ma state bene stamattina?”

Marron si riprese prontamente.

“Benissimo!”, disse e tornò alla sua scrivania ticchettando rumorosamente sul pavimento in marmo.

Trunks si affrettò a rispondere alla segretaria tramite l’interfono.

“Falla entrare, grazie.”

Stupidamente, si specchiò nello schermo del laptop, per essere sicuro di non aver scritto in fronte di essere uno schifoso traditore.

Kari fece il suo ingresso e fu subito raggiunta da sua madre che la abbracciò calorosamente.

“Tesoro, sono settimane che non ti vedo. Sei un incanto!”

“Grazie, Bulma.”, disse lei arrossendo appena. Poi vide Trunks e la sua bocca si aprì in un sorriso radioso.

“Ciao.”

Trunks, per un secondo, non poté fare a meno di pensare a quel sorriso. A quanto lei fosse perfetta, con la sua gentilezza ed il suo essere spiritosa; a quanto fosse bella, con i suoi morbidi boccoli ramati e le lentiggini che lei tanto odiava ad incorniciare quello sguardo disegnato. Kari aveva sempre quell’effetto su di lui: gli faceva dimenticare di essere un Brief, di essere un uomo viziato abituato ad avere tutto e subito; gli faceva chiudere il mondo fuori dalla porta e lo portava in un paradiso fatto solo di cose semplici e incorrotte.

“Ciao”, le sorrise e le andò incontro. Fu solo quando lei lo baciò calorosa che si ricordò della cosa orribile che le aveva fatto. La abbracciò per non permetterle di leggere nel suo sguardo quel ribrezzo che stava provando per se stesso.

“Ecco la mia Van der Berg preferita.”, disse Goten avvicinandosi a Kari. Il sayan continuava ad fare dell’ironia, beatamente ignaro della situazione. Kari ovviamente non avrebbe capito, ma quella battuta era riferita al fatto che il padre di Kari, Oscar Van der Berg, era  un vecchio stronzo almeno quanto importante era il suo titolo nobiliare. A volte Trunks faticava a capire come quell’uomo orribile avesse generato l’angelo che era Kari.

“Ciao, Goten.”, lo salutò allegramente la ragazza, lasciandosi abbracciare.

“Ciao Kari.”, agitò una mano allegramente Marron, senza distogliere lo sguardo dal pc. Trunks non sapeva dire se stesse scrivendo davvero o stesse facendo solo finta. “Scusami, ho un casino di cose da fare.”

“Ciao, Marron. Non preoccuparti, sono solo di passaggio. Devo ancora disfare le valigie.”

“Africa, giusto?”, domandò Goten.

Kari annuì. “Dovresti venirci con me qualche volta. Faresti grande cose per la mia campagna.”

“Non ne dubito. Ma il tuo uomo senza cuore mi vuole qui a vendere stupidi telefoni e non nel mondo a salvare orfani bisognosi.”, lo imbeccò il sayan.

Kari aveva origini europee. Suo padre possedeva la catena di lussuosi alberghi Van der Berg ed entrambi si erano trasferiti nella città dell’Ovest quando la ragazza aveva da poco compiuto 20 anni. Trunks l’aveva vista di sfuggita nel cortile della facoltà e si era follemente innamorato di lei; ci aveva messo 3 anni a convincerla ad uscire con lui. Di fatto lei non si occupava degli affari di famiglia: aveva iniziato a studiare ingegneria, ma poi aveva aperto, con la benedizione del padre, una fondazione per la cura delle malattie e l’alfabetizzazione nei paesi più poveri del mondo.

“Non ti manderei da solo con la mia ragazza nemmeno a comprare il latte, Aramis.”, ribatté Trunks.

Marron si alzò di scatto dalla sedia.

“Qualcuno mi sa dire perché nella mia agenda di oggi c’è un appuntamento da un certo “DP” alle 13?”, disse contrariata.

“L’ho scritto io.”, disse Goten. “Non ti ricordi? Dream Palace. Dobbiamo andare dall’estetista oggi a pranzo.”

“Dobbiamo?”, domandò Bulma.

“Perché indossi gli occhiali da sole, Marron?”, chiese Kari, notandoli solo in  quel momento.

“Non chiedete, per favore.”, disse sconsolato, Trunks.

Marron ignorò tutti e tornò a sedersi.

“Potevi scrivere ceretta, no?”

“Provvederò dalla prossima volta.”, promise Goten.

Kari guardò Goten e si mise a ridere.

“TU fai la ceretta?”

Goten le mise un braccio attorno alle spalle.

“Vedi, Kari. Le donne di questi tempi sono diventate esigenti. Soddisfarle, è un lavoro a tempo pieno…”

Calliope sbuffò rumorosamente da dietro la sua scrivania.

“Quindi mi date buca? Volevo invitarvi tutti per pranzo.”, disse la giovane Van der Berg.

“Mi dispiace, Kari. Oggi è l’ultimo giorno, voglio assolutamente finire tutto.”, disse Marron. Trunks notò che sembrava davvero sollevata di poter declinare l’invito. “Ma hai vinto Athos. Solo che devi riportarlo per le 14...”, aggiunse, dissipando finalmente il broncio.

Kari sorrise.

“Tu, Bulma? Ti unisci a noi?”, chiese alla donna, che stava digitando sul palmare da qualche minuto.

“Non posso cara, ti ringrazio. Per fortuna ho già risolto con Goten; devo correre ad una riunione con gli azionisti.”

Marron drizzò subito le orecchie, spaventata che qualcosa potesse essere sfuggito alla sua organizzazione maniacale.

“Non c’è stata una riunione due giorni fa?”

Bulma sembrò incerta per un istante.

“…Sì, si tratta solo di un aggiornamento.”

“E Trunks non dovrebbe partecipare?”, incalzò ancora la bionda.

“Non preoccuparti, ok? Non è una cosa di cui dovete occuparvi voi.”, disse Bulma. A Trunks sembrò che volesse troncare la questione il più velocemente possibile.

“A cuccia, Godzilla!”, disse Goten avvicinandosi alla scrivania di Marron.

Marron gli lanciò sicuramente un’occhiataccia da dietro le lenti scure.

“Allora io vado, non voglio distrarvi. Ti aspetto per pranzo da Violini’s?”, chese Kari, rivolgendosi a Trunks.

“Certo.”, rispose il sayan.

Lei lo baciò. Si sentì nuovamente a disagio. Dovette ringraziare la sua naturale difficoltà a mostrare affetto in pubblico, perché Kari non sembrò per nulla allarmata dalla sua rigidità.

Dopo che Kari e sua madre ebbero salutato e furono uscite dall’ufficio, gli sembrò che l’aria della stanza fosse divenuta più respirabile. Si girò verso Marron e Goten e vide che lei si era tolta gli occhiali e si massaggiava le tempie con movimenti circolari delle mani. Goten le disse qualcosa sottovoce e lei, seppur esausta, sorrise divertita.

Era inutile negarlo, era sempre stato geloso dell’effetto che Goten aveva su Marron. Per lui era sempre più facile farla incazzare, che ridere. Tuttavia vederli così affiatati come sempre era anche un sollievo: forse la notte prima poteva considerarsi come uno spiacevole incidente di percorso e non avrebbe cambiato per nulla la vita che i tre amici avevano condotto fino a quel momento.

Pensò al pranzo con Kari. Se prima non aveva visto l’ora che uscisse dall’ufficio per non affrontare la sua coscienza, ora non riusciva a pensare che ancora tre ore lo separavano dal momento in cui avrebbe potuto rivederla. Stare lontano da lei quando partiva era una vera frustazione. Avrebbe detto a Goten di organizzare la proposta di matrimonio il prima possibile. La amava; tergiversare non aveva fatto altro che condurlo in quel gran mucchio di merda in cui si trovava in quel momento.

Goten li salutò per tornare al suo ufficio, qualche piano sotto di loro. Ripresero a lavorare tutti silenziosamente. Marron digitava lesta sulla tastiera del suo laptop, da dietro la porta arrivavano attuttiti gli squilli ravvicinati dei telefoni della reception.

Trunks non poté resistere dal gettare ancora un’occhiata alla sua amica. Il viso concentrato era pallido e tirato, segnato da occhiaie pesanti, eppure non perdeva mai quel fascino selvaggio che aveva ereditato da sua madre Diciotto.

“Sono uno stronzo.”, disse all’improvviso ad alta voce. Si pentì subito di aver dato voce a quel flusso di coscienza. Akane e Calliope avevano alzato il viso dalla loro scrivania e lo stavano guardando come se fosse uscito completamente di senno.

Marron non fece una piega. Continuò a maltrattare la tastiera e non gli rivolse nemmeno uno sguardo.

“Lo sapevamo già, Athos. Ma grazie di averci reso partecipi.”

Calliope e Akane tornarono a concentrarsi sul loro lavoro, imbarazzate.

 

 

 

 

 

La strada era un vero schifo. La neve era ovunque, ormai sporca e fangosa e se non avesse avuto Goten a cui sorreggersi, sarebbe inciampata ad ogni passo.

“Queste scarpe dovrò buttarle, maledizione!”

Goten la sollevò all’improvviso e la prese in braccio.

“Ma che fai, scemo? Non possiamo mica andare in giro così!”, si lamentò lei, mentre veniva trasportata agevolmente lungo il viale tra le braccia possenti del sayan.

“Perché no?”, rise Goten. Alcune persone li osservavano passare incredule, altre divertite. Marron notò che molte ragazze sembravano palesemente invidiose.

La giovane si mise l’anima in pace e tirò fuori il telefono dalla tasca del cappotto. Trunks le aveva inviato un messaggio. Controllò che lo schermo fosse fuori dalla portata di Goten e lo aprì.

Dobbiamo parlare

Marron aggrottò la fronte arrabbiata.

VETO, rispose a lettere maiuscole, in modo che fosse chiaro che non aveva nessuna intenzione di parlare della notte precedente.

“Cosa facciamo dopo il lavoro?”, chiese Goten.

Marron appoggiò la testa sulla sua spalla. Il suo odore, mescolato al profumo di Givenchy che metteva, riusciva sempre a rilassarla.

“Non lo so. Io sono distrutta, Aramis.”

Si era chiesta se avrebbe dovuto confessarglielo. Era abbastanza sicura che Goten non l’avrebbe giudicata, ma qualcosa le impediva di vuotare il sacco con lui. Non era certo per vergogna; in fondo si era trattato soltanto di sesso. Le implicazioni erano sicuramente più tragiche per Trunks, vista la sua situazione sentimentale.  Dio, incontrare Kari proprio quella mattina era stato terribile. Lei era sempre così gentile e disponibile, così maledettamente perfetta…  e Marron si era sentita un mostro per aver tradito la fiducia che lei aveva sempre accordato alla sua relazione con Trunks. La giovane si mise ad osservare il profilo del volto di Goten, la linea marcata della sua mandibola perfettamente rasata, i capelli scuri appena tagliati che gli avvolgevano la nuca, le sue sopracciglia folte e definite che tanto piacevano alle ragazze. Aveva forse paura di ferirlo, raccontandogli tutto? A volte quella convinzione generale che loro due fossero destinati a stare insieme riusciva a metterla a disagio. Decise che glielo avrebbe detto, prima o poi: rinsaldare il legame fraterno che li univa, era il modo migliore per mettere a tacere definitivamente quelle stupide aspettative nei loro confronti.

“Andiamo a dormire?”, propose lui.

“Sì, ti prego! Casa mia?”, domandò la ragazza, sollevata.

“Meglio. Non so se casa mia è presentabile.”, rispose lui, vivace.

Marron rise.

“Hai rimediato qualcosa, ieri sera?”, chiese, certa che Goten non vedesse l’ora di raccontarle della sua ultima conquista.

“A questo proposito… dovrei dirti una cosa.”, disse, facendosi serio.

Marron si spaventò.

“Che hai combinato?”

Lui si fermò al semaforo rosso e la guardò sorridendo.

“Niente di grave, Portos. Però ho bisogno di parlarne con te.”

Marron stava per incalzarlo, ma si accorse che davanti a loro una signora di mezza età stava spingendo con fatica una pesante sedia a rotelle giù dal marciapiede innevato. L’uomo che la occupava non poteva aiutarla in alcun modo, poiché sembrava completamente paralizzato. Goten mise Marron a terra e si avvicinò alla donna.

“Aspetti, signora. La aiuto.”

“Grazie, è molto gentile.”

Goten sollevò con facilità estrema la pesante attrezzatura e la poggiò sull’asfalto sgombro.

“Ecco fatto…”, disse. Poi sorridendo guardò l’uomo seduto sulla carrozzina e all’improvviso il suo volto perse ogni colore. Il sorriso sparì dalla sua faccia e Marron lo vide allontanarsi di scatto dalla carrozzella.

“TU!”, sibilò all’improvviso la donna, spaventata.

Marron non capiva cosa stesse accadendo. Goten si riscosse dallo shock iniziale e poi, cupo in volto, si diresse deciso verso di lei e la afferrò per il braccio per allontanarla.

“Marron?!”, si sentì chiamare dalla donna.

Marron, confusa, si girò verso di lei e la riconobbe. Aveva uno sguardo incredulo e spaventato, ma carico d’odio; eppure non era molto cambiata negli ultimi dieci anni.

“Signora Naoki…”

Goten continuava a stringerle il braccio.

“Andiamo, Marron.”, le sussurrò vicino all’orecchio.

“Come osi rivolgermi la parola, piccola stupida?”, le vomitò addosso rabbiosa la donna. “Tu e quei cani dei tuoi amici dovreste marcire in galera per quello che avete fatto a mio figlio!”

Marron sembrò accorgersene solo in quel momento. Che lei stava spingendo una sedia a rotelle. Che il suo occupante non aveva spiccicato parola. Che non poteva muoversi, né sembrava conscio della situazione. Qualcosa dentro di lei si ruppe mentre trovava il coraggio di guardarlo. Dalla sua posizione riusciva a scorgerne soltanto il profilo...

Adam.

Le sue ginocchia presero a tremare così violentemente che dovette reggersi a Goten per non cadere.

“Suo figlio era un cane, tanto quanto me.”, rispose il sayan livido di rabbia e vergogna.

La donna indietreggiò come se fosse stata schiaffeggiata in pieno volto. Marron continuava a fissare Adam incapace di distogliere lo sguardo, inconsapevole della reazione inconsueta di Goten e del fatto che alcune persone si fossero fermate ad osservare la scena.

Era lui davvero? I suoi occhi spenti ed assenti guardavano lontano, senza in realtà vedere niente. La sua testa pendeva da un lato e non c’era nulla in quel volto che le ricordasse il giovane dal sorriso beffardo che era stato dieci anni prima.

Marron si sentì trascinare via e fu costretta a distogliere lo sguardo, ma l’immagine di quell’involucro vuoto dell’uomo che un tempo aveva amato rimase nella sua testa. Non vedeva dove stava andando, non riusciva nemmeno a mettere un piede davanti all’altro. Goten la sollevò di nuovo e lei non sembrò nemmeno accorgersene.

 

Estate. L’odore della lavanda nelle narici, la sensazione dell’erba lunga sotto i piedi nudi. Lei si sdraia sul prato e gioca a strappare i petali dai fiori…

“Per essere così piccola, sei un enorme problema, Marron..”, dice il ragazzo, scostandole una ciocca di capelli dal viso.

Lei sorride. Dimentica i fiori e si mette a giocare coi bracciali che lui porta al polso.

“Perché?”

Lui le prende la mano e se la porta alle labbra per baciarle le piccole dita.

“Posso spegnere la luce… posso anche chiudere gli occhi. Eppure in testa ho sempre te. Ogni minuto.”, le confessa ridendo.

Marron arrossisce. Lui si china su di lei e la bacia.

Estate. L’odore della lavanda nelle narici, la sensazione dell’erba lunga sotto i piedi nudi. Solo Adam a riempire ogni suo pensiero…

….

 

Marron riemerse dal limbo e si rese conto che Goten l’aveva trascinata e poi depositata su una panchina in un luogo chiuso. A giudicare dal via vai, era un centro commerciale.

“Stai bene?”, le chiese il ragazzo, visibilmente scosso.

Marron lo guardò per qualche secondo, non del tutto convinta che Goten fosse realmente lì davanti a lei in quel momento. Poi il suo raziocinio cominciò ad elaborare l’accaduto e un’orribile sensazione a lei familiare le strinse lo stomaco in una morsa.

“Avevi detto… avevi detto che era vivo!”, disse rivolta al sayan. Si accorse che il suo tono di voce appariva disperato.

Goten era ancora livido.

“Infatti, è vivo.”, commentò gelido.

Marron sentì la rabbia montare in lei.

“Come hai potuto?! Perché l’hai ridotto così?”, gli urlò contro.

“Perché?!”, le rispose Goten, incredulo. “Hai dimenticato cosa ti ha fatto?”

Marron si prese la testa tra le mani. Se la sentiva scoppiare. Forse era solo un caso, ma sentì un fischio acuto ed una fitta lancinante attraversargli l’orecchio destro. Erano anni che non ci ripensava, che non risentiva il sapore metallico del sangue in gola. Ci aveva messo secoli a convincersi del fatto che non si fosse trattato di un incidente di percorso, che Adam aveva avuto intenzione di ferirla; eppure in quel momento non riusciva a far altro che pensare alla risata gioviale del ragazzo biondo che componeva canzoni per lei. L’immagine di quell’uomo paralizzato e demente che aveva appena visto le procurava un forte senso di nausea; gli schiamazzi della gente impegnata a terminare le compere natalizie intorno a lei la stordivano…

Marron si alzò di scatto e si diresse barcollante verso l’uscita.

“Dove vai?”, le urlò Goten.

“Lasciami stare!”, disse lei di rimando, senza voltarsi.

Si sentì afferrare dalle spalle e provò invano a divincolarsi, frustata.

“Lasciami Goten, ti prego.”, disse sentendosi all’improvviso svuotata di ogni spirito combattivo.

Goten la voltò e la avvolse tra le sue braccia. Era talmente alto che doveva sempre chinarsi per raggiungere la sua altezza.

“Io non ti lascio, Marron.”, le sussurrò il sayan.

Marron fu incapace di trattenere le lacrime per la seconda volta, nell’arco di poche ore. Si aggrappò al torace di Goten e prese a piangere silenziosamente. Goten la strinse più forte.

“Non ti lascio, Marron… Io, non ti lascio.”

 

 

 

 

Goten si svegliò che il sole era già scomparso. Le luci dell’albero di Natale di Marron dipingevano un mosaico intermittente sul soffitto in mattoni del loft. Si stropicciò gli occhi e si mise seduto sul letto. Non sapeva nemmeno come erano riusciti ad affrontare le ultime ore di lavoro dopo l’incontro di quel pomeriggio. Il suo sangue sayan ancora ribolliva di rabbia…

Si voltò verso destra e vide che Marron dormiva rannicchiata sotto le coperte. Anche se le sue guance erano ancora rigate di lacrime, sembrava finalmente caduta in un sonno ristoratore. Goten si chinò su di lei e le accarezzò i capelli, delicatamente. A volte lei era così esuberante che era difficile ricordarsi di quanta fragilità si nascondesse dietro la piccola macchina da guerra che voleva apparire.

Si ricordò di quella notte di dieci anni prima, quando lei era rientrata alla Capsule Corporation cercando di non farsi vedere… Lui e Trunks stavano giocando ai videogiochi e quel sangue secco che le sporcava l’orecchio, l’occhio e gli zigomi tumefatti non potevano passare inosservati nemmeno nel buio del salone. Ricordava il suono del joystick che Trunks aveva frantumato tra le mani. Ricordava di essere volato fuori dalla finestra senza nemmeno mettersi le scarpe, per raggiungere quell’animale di Adam il prima possibile…

Non era pentito di nulla, di ciò che era successo quella notte. Forse però sarebbe stato più semplice lasciarlo morire e risparmiare a Bulma tutto quel furore mediatico, tutti quegli avvocati e i giornalisti impazziti…

Marron si agitò nel sonno. Goten si sdraiò accanto a lei e avvolse il fagotto di coperte che era diventata in un abbraccio.

Decise che non poteva raccontarle di Bra. Non ora. Nonostante il suo stomaco stesse cominciando a brontolare per la fame, non si sarebbe mosso da quel letto. Sarebbe rimasto con lei per tutto il tempo necessario. Anche per tutta la notte. Anche per tutta la vita, se Marron glielo avesse chiesto…

 

 

 

 

 

Ah, la soddisfazione di pubblicare finalmente un nuovo capitolo! Immagino chi ha recensito per primo questa storia ormai canuto e pensionato, probabilmente non si ricorda nemmeno di cosa tratta! Io, nel frattempo, ho scoperto i primi capelli bianchi: lo shock è stato tale che ho scritto di getto un capitolo che si colloca molto dopo questo, quindi sostanzialmente inutile al momento (Sweetlove preparati! Sarà il primo regalo di nozze della storia recapitato in tempo per il decimo anniversario di matrimonio!). Ci tenevo a precisare due cose su quello che sta emergendo da questa storia.

L’aspetto di Marron: sono uscita un po’ dal seminato del buon Akira con lei. Nel manga Marron è sostanzialmente uguale a Crilin, dalla madre ha preso solo il colore dei capelli, mentre nella mia storia è un po’ diversa. Da 18 ha preso i tratti del viso, la fronte ampia, i capelli biondi e soprattutto il taglio degli occhi; da Crilin ha preso gli occhi neri e la statura minuta. Non credo che sia ancora emerso dal racconto, ma Marron è molto esile ed eccessivamente magra.

La geografia del mondo di Dragon Ball: era fondamentale per me che la vicenda si svolgesse nel continente originale di Dragon Ball; un vasto territorio diviso in territori del Nord, del Sud, dell’Est e dell’Ovest. L’Est è la terra d’origine di Crilin, Yamcha, Chichi e quella dove Goku è cresciuto. L’aspetto dei suoi abitanti è vagamente “orientale”; hanno infatti sempre capelli ed occhi neri. L’Ovest è dove si svolge prevalentemente questa storia: è la patria di Bulma e gli abitanti di questa zona hanno un aspetto più “occidentale”. Ho immaginato il Sud come una vasta zona continentale desertica, più un insieme di isole dal clima tropicale (è la patria di Ub e la zona in cui si trova la Kame House). Gli abitanti del Sud hanno la pelle scura. Il Nord invece è la terra d’origine di 17 e 18; è un vasto territorio selvaggio, scarsamente abitato da persone che tendono ad avere occhi allungati e molto chiari. Determinato questo, mi sono resa conto che il solo continente Toriyamesco mi stava stretto: ho così deciso che nella mia storia questo continente va a sostituirsi all’America, mentre tutti gli altri saranno presenti (perciò in questo capitolo si parla di Africa). In questo modo giustifico anche perché, nel capitolo 3, i moschettieri parlano delle lingue francese e spagnolo.

Detto questo, vi prego di recensire e farmi sapere se vi è piaciuto il capitolo. Lasciatemi osservazioni e consigli, li leggerò tutti con grande interesse! Il prossimo capitolo sarà dedicato principalmente a Bra, Pan e Ub.

   
 
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