È
passato quasi un anno dall’ultimo aggiornamento, eppure
continuate a scrivermi
e a chiedermi notizie su questa storia. Non so come ringraziarvi per
questa
costanza. Ora finalmente vi lascio il nuovo capitolo e spero davvero
che vi
piaccia. Spero di riuscire ad aggiornare presto anche “Sweet
Child ‘o Mine”, ma
ho questa convinzione karmica di dover attendere la 90°
recensione per
procedere (si chiama disturbo ossessivo-compulsivo ed è
un’ottima scusa per le
lunghe attese che vi faccio patire!). Buona lettura!
CAP. 6
– ME VS THE
UNIVERSE
“Buongiorno, Dottor
Brief.”
Trunks ricambiò
l’ennesimo saluto con un cenno del capo. Sua
madre continuava ad insistere sull’importanza di utilizzare
l’ingresso
principale per recarsi in ufficio la mattina, in modo da fare
un’ottima
impressione e costruirsi una reputazione solida agli occhi dei
dipendenti. Data
la consapevolezza che sul suo viso si potessero leggere tutti i segni
dei
bagordi della notte precedente, avrebbe dato qualunque cosa per tornare
indietro nel tempo di pochi minuti e scegliere di raggiungere
l’ufficio
attraverso la pista d’atterraggio sul tetto
dell’edificio, a lui riservata.
Il sayan si diresse a testa china
oltre la hall, passando al
di sotto di un enorme schermo luminoso che trasmetteva senza sosta
filmati di Bulma,
impegnata a promuovere i nuovi prodotti dell’azienda e il
settore “Ricerca e
Sviluppo” della società. Gli addobi natalizi in
ogni angolo, ridondanti di luci
intermittenti, lo facevano sentire sull’orlo di una crisi
epilettica. Raggiunse
il suo ascensore privato quasi correndo, ma le porte scorrevoli si
aprirono
appena prima che potesse sottoporre le sue impronte digitali al monitor
per il
riconoscimento.
“Oh, Dottore! Meno male che
è arrivato!”
Akane si bloccò trafelata
e, invece di uscire, gli fece
spazio all’interno dell’ascensore.
“Ciao Akane. Qual
è il problema?”, le domandò allarmato.
“Marron mi ha chiesto di
venirle incontro. C’è sua madre di
sopra…”, disse la giovane, cercando di mascherare
il nervosismo.
Trunks si appoggiò alla
parete già esausto. Fantastico.
Marron era già arrivata e, come se non bastasse, sua madre
aveva deciso di
passare a seminare un po’ di panico in ufficio. E lui
ovviamente era in
ritardo.
“Mi permette?”,
disse la giovane, sporgendosi verso di lui.
Trunks lasciò che lei gli
sistemasse il colletto della
camicia.
“Grazie.”, le
sorrise.
Ormai Akane lavorava con loro da
più di un anno. L’aveva
assunta lui, quando avevano deciso che Marron necessitava di
un’altra
assistente, oltre a Calliope. Si era rivelata molto sveglia e conosceva
le
dinamiche dell’azienda abbastanza da essere una valida
risorsa, soprattutto
durante le emergenze come quella.
“Si figuri. Marron ha detto
alla Dottoressa che stamattina
il suo aereo ha avuto dei problemi.”
“Non avevamo già
usato questa scusa, di recente?”, chiese
lui sarcastico.
“Solo una volta,
quest’anno.”, lo rassicurò lei.
“Tengo il
conto.”
Trunks sorrise stanco. Il suo sguardo
si perse sulla
metropoli che andava rimpicciolendosi al di là delle ampie
vetrate trasparenti.
L’inverno era il periodo dell’anno che odiava di
più: la città dell’Ovest
affrontava le imponenti nevicate tipiche della stagione paralizzandosi
completamente e lui, senza quel cuore pulsante che era la sua
città natale, si
sentiva completamente svuotato di ogni vitalità.
Solo due ore prima si era svegliato
allo sgradevole suono di
una sveglia che non ricordava di aver puntato. Solo. Con la mente
ancora
annebbiata dalla stanchezza, si era irritato con se stesso per aver
pensato che
Marron potesse aver deciso di restare lì. Poi era uscito
dallo stato di
semi-incoscienza tipico del risveglio e si era reso conto che
c’erano ben altri
motivi per cui biasimarsi.
Aveva tradito Kari… Nel
momento in cui la verità si era
palesata finalmente ai suoi occhi, Trunks ne aveva riconosciuta anche
la
ripugnante natura. Aveva tradito la donna straordinaria cui stava per
chiedere
di sposarlo. E questa volta non aveva amnesia dell’episodio a
risparmiargli il
senso di colpa. Aveva affondato il volto nel cuscino con un ringhio e
l’odore
dei capelli di Marron gli aveva riempito le narici. La disperazione
aveva
soppiantato la rabbia. Era andato a letto con la sua migliore amica;
con la
ragazza che con ogni probabilità avrebbe finito per
diventare la compagna di
Goten. Lo aveva fatto consapevolmente: ricordava perfettamente di
averla voluta
come non aveva mai desiderato nulla prima. Si era accorto che la nausea
che
provava non era altro che disgusto verso se stesso. Questa enorme
cazzata non
confermava forse le accuse al vetriolo che Marron gli dedicava da
sempre?
Bambino
viziato.
Egocentrico. Ti prendi quello che vuoi senza guardare in faccia
nessuno. Credi
che il mondo e tutti i suoi abitanti ti appartengano…
Ricordava di essersi trascinato fino
alla doccia e di come
ogni movimento del suo corpo avesse rievocato il violento piacere che
aveva
provato la notte precedente. Nonostante la vergogna. Nonostante tutto.
E l’uomo
meschino che era aveva persino esitato nell’aprire
l’acqua calda che avrebbe
portato via l’odore di Marron dalla sua pelle…
In men che non si dica
l’ascensore diede la scalata
all’edificio e le porte trasparenti si aprirono
sull’ultimo piano della Capsule
Corp Administration: un enorme spazio di lavoro che vantava, tra le
altre cose,
una piscina con sauna, due sale conferenze ed una caffetteria. Trunks
ed Akane
attraversarono l’open space, in cui lavoravano dodici
segretarie (al loro
passaggio si verificò un profondersi di inchini come
sempre), per raggiungere
l’ufficio personale del vicepresidente.
Si concesse di pensarci solo un
secondo prima di entrare;
incapace di governare la tensione crescente. Come diavolo doveva
comportarsi?
Cosa mai avrebbe potuto fare, per porre rimedio a quel disastro?
“Ah, eccoti
qui!”, lo accolse sua madre.
La stanza era sempre frenetica, ma
dalla rigidità di Akane e
Calliope si capiva perfettamente cosa suscitasse la presenza di Bulma.
“Ciao, mamma. Come mai da
queste parti?”
Avrebbe voluto dissimulare
più a lungo, ma il suo sguardo
corse subito all’angolo in cui Marron aveva la sua scrivania.
Si era forse
aspettato che lo guardasse, ma lei era china sul suo palmare e digitava
frenetica sullo schermo.
“Volevo solo controllare la
vostra agenda di oggi. Ho un
appuntamento con Goten tra 10 minuti.”, rispose Bulma.
“Con Goten?”,
chiese Trunks, togliendosi la giacca e
lasciando la sua ventiquattrore sulla scrivania.
“Come ti ho già
detto, Bulma…”, lo interruppe Marron
dirigendosi verso di lui, “la nostra agenda non si
è modificata da quando ti ho
inviato un appunto per mail stamattina.”
Bulma decise evidentemente di
ignorare la frecciata, perché
chiese a Calliope di chiamare uno dei suoi progettisti, per ricordargli
di
mandarle un resoconto della riunione del pomeriggio.
“Io e Goten dobbiamo
discutere del lancio del ©Phone 3”,
aggiunse.
Marron lasciò dei fogli
sulla sua scrivania. Il suo profumo
lo investì. Era lo stesso che aveva messo la sera prima e le
immagini di quello
che era successo gli si ripresentarono vivide e reali. Solo in quel momento si
trovò di fronte al suo
viso e si rese conto che indossava gli occhiali da sole.
“Dio, fai
schifo.”, gli disse la ragazza, guardandolo con
una smorfia.
Trunks sentì lo stomaco
attorcigliarsi.
“Lo so. Possiamo parlarne
dopo?”, le disse sottovoce.
Marron si irrigidì e
Trunks poté quasi percepire lo scherno
risalire dalle labbra strette della ragazza al suo sguardo coperto
dalle lenti
scure.
“Intendevo dire che la tua
faccia fa schifo, idiota.”
Bulma si avvicinò,
poggiando la sua agenda sulla scrivania.
“Quindi, vi siete divertiti
un mondo ieri sera, vero?”,
disse con biasimo malcelato.
Trunks raggelò; salvo
riprendersi prontamente visto che era
impossibile che sua madre sapesse davvero cosa era successo la notte
prima. La
sua empasse non era però sfuggita a Marron, che lo
fulminò.
“Una serata normalissima,
mamma.”, commentò con falsa
noncuranza, riordinando alcuni documenti.
Bulma sospirò
profondamente, voltandosi verso Marron che era
tornata alla sua postazione e digitava frenetica sul pc.
“Sapete perché
vi sto addosso, vero?”
Marron accennò una smorfia
poco collaborativa.
“Per delirio di
onnipotenza?”, commentò il giovane sayan.
Bulma non rise. In quel
momento,Trunks si rese conto che
sembrava più seria del solito. Sulla fronte di solito
perfettamente liscia di
sua madre si era disegnata una piccola ruga traditrice.
“Un giorno questa azienda
sarà sulle vostre spalle… e voglio
solo che siate pronti ad affrontarlo. Perciò non mi sembra
troppo chiedervi di
comportarvi come due adulti, ogni tanto.”
La donna girò sui tacchi e
tornò a rivolgersi a Calliope.
Trunks si sentì un po’ in colpa e vide che anche
Marron aveva smesso di
dedicarsi al suo compito. Si soffermò ad osservare sua
madre. Aveva ormai
superato i sessant’anni eppure era così difficile
ricordarsene. Non aveva mai
smesso di essere la donna esuberante e piena di risorse che Trunks
aveva
conosciuto fin da bambino; inoltre non dimostrava più di 40
anni da almeno un
decennio (non l’aveva mai ammesso, ma tutti sapevano che
aveva chiesto al suo
amico Whis di farla invecchiare più lentamente e a quanto
pare era stata
accontentata). Il pensiero che il momento in cui lei avrebbe
abbandonato le
redini dell’azienda fosse vicino, non l’aveva mai
sfiorato.
“Non credi di essere
diventata un po’ troppo ansiosa? Non
stai certo per andare in pensione adesso.”
Qualcuno bussò proprio in
quell’istante e la porta si aprì.
Goten fece il suo ingresso nella stanza sorridente e apparentemente
fresco come
una rosa.
“Buongiorno, che si dice
qui sull’Olimpo?”, disse il giovane,
appoggiando un vassoio carico di bicchieri di carta di Starbucks sulla
scrivania di Akane.
“Grazie a Dio, hai portato
il caffè.”, si alzò di scatto
Marron, attratta da quell’aroma che prometteva di migliorare
la grigia
giornata.
“Ma guarda! Non avrei mai
detto che saresti stato
puntuale.”, disse Bulma. “E puoi spiegarmi
perché vai da Starbucks quando
abbiamo un bar qui dietro la porta?”
“Un bar con un uomo di 45
anni dietro il bancone”, commentò
Goten, strizzando l’occhio ad Akane. Akane sorrise senza
farsi vedere da Bulma.
“Lo sai che da Starbucks qui all’angolo ci sono
almeno 20 dipendenti diverse? E
nessuna di loro ha i baffi, te lo garantisco”
“Immagino…”
commentò Bulma sorridendo suo malgrado,
prendendo un bicchiere di caffè.
Trunks si alzò per
avvicinarsi alla scrivania, attorno alla
quale si erano tutti riuniti.
“Portos, ti rendi conto che
non c’è speranza che un raggio
di sole penetri questa cortina di nebbia, vero?”, disse
Goten, finalmente
accortosi degli occhiali da sole che Marron si ostinava a portare.
“Ho
un’irritazione agli occhi, scemo!”, rispose lei.
Goten
gongolava di poter stuzzicare l’aspetto di ognuno di loro,
dopo le grandi
sbronze. Trunks lo osservò. Aveva un maglioncino di
cachemire sopra la camicia,
niente giacca. Eppure riusciva ad essere elegante lo stesso e ad avere
l’aria
del bravo ragazzo appena uscito dalla chiesa che faceva impazzire le
donne di
tutto l’edificio. Quel bastardo probabilmente non era nemmeno
andato a dormire.
Come diavolo faceva ad essere sempre puntuale e riposato?
Il giovane Brief non fece in tempo a
raggiungere il suo
caffè che Marron era schizzata verso la sua scrivania e si
era rimessa a
scrivere al pc. Non riusciva a capire se il fatto che lei sembrasse del
tutto
insensibile a ciò che era successo lo irritava o lo faceva
sentire sollevato.
“Calliope, hai da fare
stasera?”
Calliope si irrigidì. Con
quelle gambe lunghe e secche e il
fisico asciutto non era proprio il tipo di Goten, ma a lui piaceva
tormentarla,
perché manteneva una stoica resistenza ai tentativi di
approccio del sayan.
“Sono piena di impegni,
signor Son.”, disse, senza degnare
il giovane di uno sguardo e allontanandosi da lui. In realtà
sapevano tutti che
non era certo immune al fascino di quel ragazzone alto e scolpito.
Goten sorrise soddisfatto.
“Cosa devo fare per
convincerti ad uscire con me, Calliope?
Vuoi delle referenze?”, le urlò dietro il sayan.
Akane soffocò una risata. A
lei, che era fidanzatissima, Goten non aveva mai dato fastidio.
“Il problema, Aramis,
è che lei ha già avuto le tue
referenze.”, commentò maligno Trunks.
Bulma era rimasta distratta dal
telefono per qualche minuto.
“Puoi lasciare in pace le
mie dipendenti, Goten? Vogliamo
parlare del lancio? Sono di fretta…”
Goten tirò fuori un foglio
piegato dalla tasca posteriore
dei pantaloni e lo porse a Bulma.
“Mail di stamattina del
sindaco, capo!”, disse il giovane
sorseggiando il caffè.
Bulma spiegò il foglio e
inforcò gli occhiali per leggere. Quando
alzò lo sguardo, era piacevolmente stupita.
“Come ci sei
riuscito?”, chiese la donna ammirata.
“Ti avevo detto che era
un’ottima idea. Ho fatto notare al
sindaco che darci il permesso sarebbe stato un’ottima vetrina
per la città…”
Marron alzò la testa dal
pc, curiosa, e Trunks si avvicinò
per sbirciare, ma Bulma si affrettò a ripiegare il foglio e
a riporlo nella sua
agenda.
“Non dire ancora nulla,
Goten. Meno si sa, meglio è.”
“Top secret,
amico.”, commentò il giovane Son
all’indirizzo
del volto contrariato di Trunks.
“In quanto vice presidente,
non dovrei essere messo al
corrente? Lo sai che io pago i suoi stipendi?”, chiese Trunks
alla madre,
rivolgendosi al suo miglior amico.
Bulma sfoderò un sorriso
maligno.
“In realtà, sono
ancora io che pago gli stipendi di tutti
voi, tesoro. E poi Goten ha insistito affinché la cosa fosse
una sorpresa anche
per voi. Saprete ciò che dovete sapere a tempo
debito.”, concluse.
Goten si pavoneggiava,
così Trunks gli rifilò un pugno nello
stomaco. Goten gli restituì una ginocchiata sui reni ed il
tutto si concluse
talmente velocemente che nessuno ci fece caso. Alcune fatture caddero
dalla
scrivania e i due ragazzi si chinarono a raccoglierle, sghignazzando.
“Una sorpresa? Vedrai che
prima di sera gli avrò estorto
tutto.”, intervenne Marron alzandosi dalla sua poltrona
girevole.
Bulma sospirò.
“Devo ammettere che a volte
la mia fiducia in voi è ben
riposta. Il che mi rincuora; vuol dire che non ho fatto solo danni nel
crescervi.”
Trunks, Goten e Marron si scambiarono
dei rapidi sguardi
inquieti. Sapevano che Bulma si riteneva responsabile di ogni loro
azione. A
quanto pare aveva sottovalutato la difficoltà del doversi
occupare
contemporaneamente di due ragazzi sayan, un’adolescente
ribelle ed una bambina
dispotica.
Goten era arrivato alla Capsule Corporation a 14 anni per
frequentare la
stessa scuola esclusiva di Trunks, così come Marron quattro
anni più tardi.
Bulma li aveva sempre trattati come figli, aveva insegnato loro ad
essere
responsabili sul lavoro e aveva dimostrato in quanta considerazione li
tenesse
affidando loro quegli incarichi così importanti
nell’azienda. In tutti quegli
anni passati insieme, avevano tradito la sua fiducia innumerevoli
volte, ma lei
non aveva mai smesso di credere in loro. Tutte le volte che si
sentivano in
colpa, nonostante l’immaturità impedisse loro di
imboccare risolutamente la
retta via, succedeva perché non sopportavano
l’idea di averla delusa. La cosa
era particolarmente sentita da Goten; si vergognava del fatto che sua
madre
fosse fermamente convinta che il suo bambino fosse stato traviato dalla
dubbia
moralità dei Brief, quando invece le cazzate che aveva fatto
erano tutta farina
del suo sacco.
L’interfono della scrivania
di Trunks si accese.
“Dottor Brief,
c’è la signorina Van der Berg. La faccio
entrare?”
Trunks sentì vagamente sua
madre squittire deliziata della
notizia. Il panico gli strizzò le viscere e non
poté fare a meno di guardare
Marron. Anche lei sembrava all’improvviso paralizzata.
Goten dovette accorgersi che
c’era qualcosa di strano
nell’aria.
“Ragazzi, ma state bene
stamattina?”
Marron si riprese prontamente.
“Benissimo!”,
disse e tornò alla sua scrivania ticchettando
rumorosamente sul pavimento in marmo.
Trunks si affrettò a
rispondere alla segretaria tramite
l’interfono.
“Falla entrare,
grazie.”
Stupidamente, si specchiò
nello schermo del laptop, per
essere sicuro di non aver scritto in fronte di essere uno schifoso
traditore.
Kari fece il suo ingresso e fu subito
raggiunta da sua madre
che la abbracciò calorosamente.
“Tesoro, sono settimane che
non ti vedo. Sei un incanto!”
“Grazie, Bulma.”,
disse lei arrossendo appena. Poi vide
Trunks e la sua bocca si aprì in un sorriso radioso.
“Ciao.”
Trunks, per un secondo, non
poté fare a meno di pensare a
quel sorriso. A quanto lei fosse perfetta, con la sua gentilezza ed il
suo
essere spiritosa; a quanto fosse bella, con i suoi morbidi boccoli
ramati e le
lentiggini che lei tanto odiava ad incorniciare quello sguardo
disegnato. Kari
aveva sempre quell’effetto su di lui: gli faceva dimenticare
di essere un
Brief, di essere un uomo viziato abituato ad avere tutto e subito; gli
faceva
chiudere il mondo fuori dalla porta e lo portava in un paradiso fatto
solo di
cose semplici e incorrotte.
“Ciao”, le
sorrise e le andò incontro. Fu solo quando lei lo
baciò calorosa che si ricordò della cosa orribile
che le aveva fatto. La
abbracciò per non permetterle di leggere nel suo sguardo
quel ribrezzo che
stava provando per se stesso.
“Ecco la mia Van der Berg
preferita.”, disse Goten
avvicinandosi a Kari. Il sayan continuava ad fare
dell’ironia, beatamente
ignaro della situazione. Kari ovviamente non avrebbe capito, ma quella
battuta
era riferita al fatto che il padre di Kari, Oscar Van der Berg, era un vecchio stronzo almeno
quanto importante
era il suo titolo nobiliare. A volte Trunks faticava a capire come
quell’uomo
orribile avesse generato l’angelo che era Kari.
“Ciao, Goten.”,
lo salutò allegramente la ragazza, lasciandosi
abbracciare.
“Ciao Kari.”,
agitò una mano allegramente Marron, senza
distogliere lo sguardo dal pc. Trunks non sapeva dire se stesse
scrivendo
davvero o stesse facendo solo finta. “Scusami, ho un casino
di cose da fare.”
“Ciao, Marron. Non
preoccuparti, sono solo di passaggio.
Devo ancora disfare le valigie.”
“Africa,
giusto?”, domandò Goten.
Kari annuì.
“Dovresti venirci con me qualche volta. Faresti
grande cose per la mia campagna.”
“Non ne dubito. Ma il tuo
uomo senza cuore mi vuole qui a
vendere stupidi telefoni e non nel mondo a salvare orfani
bisognosi.”, lo
imbeccò il sayan.
Kari aveva origini europee. Suo padre
possedeva la catena di
lussuosi alberghi Van der Berg ed entrambi si erano trasferiti nella
città
dell’Ovest quando la ragazza aveva da poco compiuto 20 anni.
Trunks l’aveva
vista di sfuggita nel cortile della facoltà e si era
follemente innamorato di
lei; ci aveva messo 3 anni a convincerla ad uscire con lui. Di fatto
lei non si
occupava degli affari di famiglia: aveva iniziato a studiare
ingegneria, ma poi
aveva aperto, con la benedizione del padre, una fondazione per la cura
delle
malattie e l’alfabetizzazione nei paesi più poveri
del mondo.
“Non ti manderei da solo
con la mia ragazza nemmeno a
comprare il latte, Aramis.”, ribatté Trunks.
Marron si alzò di scatto
dalla sedia.
“Qualcuno mi sa dire
perché nella mia agenda di oggi c’è un
appuntamento da un certo “DP” alle 13?”,
disse contrariata.
“L’ho scritto
io.”, disse Goten. “Non ti ricordi? Dream
Palace. Dobbiamo andare dall’estetista oggi a
pranzo.”
“Dobbiamo?”,
domandò Bulma.
“Perché indossi
gli occhiali da sole, Marron?”, chiese Kari,
notandoli solo in quel
momento.
“Non chiedete, per
favore.”, disse sconsolato, Trunks.
Marron ignorò tutti e
tornò a sedersi.
“Potevi scrivere ceretta,
no?”
“Provvederò
dalla prossima volta.”, promise Goten.
Kari guardò Goten e si
mise a ridere.
“TU fai la
ceretta?”
Goten le mise un braccio attorno alle
spalle.
“Vedi, Kari. Le donne di
questi tempi sono diventate
esigenti. Soddisfarle, è un lavoro a tempo
pieno…”
Calliope sbuffò
rumorosamente da dietro la sua scrivania.
“Quindi mi date buca?
Volevo invitarvi tutti per pranzo.”,
disse la giovane Van der Berg.
“Mi dispiace, Kari. Oggi
è l’ultimo giorno, voglio
assolutamente finire tutto.”, disse Marron. Trunks
notò che sembrava davvero
sollevata di poter declinare l’invito. “Ma hai
vinto Athos. Solo che devi
riportarlo per le 14...”, aggiunse, dissipando finalmente il
broncio.
Kari sorrise.
“Tu, Bulma? Ti unisci a
noi?”, chiese alla donna, che stava
digitando sul palmare da qualche minuto.
“Non posso cara, ti
ringrazio. Per fortuna ho già risolto
con Goten; devo correre ad una riunione con gli azionisti.”
Marron drizzò subito le
orecchie, spaventata che qualcosa
potesse essere sfuggito alla sua organizzazione maniacale.
“Non
c’è stata una riunione due giorni fa?”
Bulma sembrò incerta per
un istante.
“…Sì,
si tratta solo di un aggiornamento.”
“E Trunks non dovrebbe
partecipare?”, incalzò ancora la
bionda.
“Non preoccuparti, ok? Non
è una cosa di cui dovete
occuparvi voi.”, disse Bulma. A Trunks sembrò che
volesse troncare la questione
il più velocemente possibile.
“A cuccia,
Godzilla!”, disse Goten avvicinandosi alla
scrivania di Marron.
Marron gli lanciò
sicuramente un’occhiataccia da dietro le
lenti scure.
“Allora io vado, non voglio
distrarvi. Ti aspetto per pranzo
da Violini’s?”, chese Kari, rivolgendosi a Trunks.
“Certo.”, rispose
il sayan.
Lei lo baciò. Si
sentì nuovamente a disagio. Dovette
ringraziare la sua naturale difficoltà a mostrare affetto in
pubblico, perché
Kari non sembrò per nulla allarmata dalla sua
rigidità.
Dopo che Kari e sua madre ebbero
salutato e furono uscite
dall’ufficio, gli sembrò che l’aria
della stanza fosse divenuta più
respirabile. Si girò verso Marron e Goten e vide che lei si
era tolta gli
occhiali e si massaggiava le tempie con movimenti circolari delle mani.
Goten
le disse qualcosa sottovoce e lei, seppur esausta, sorrise divertita.
Era inutile negarlo, era sempre stato
geloso dell’effetto
che Goten aveva su Marron. Per lui era sempre più facile
farla incazzare, che
ridere. Tuttavia vederli così affiatati come sempre era
anche un sollievo:
forse la notte prima poteva considerarsi come uno spiacevole incidente
di
percorso e non avrebbe cambiato per nulla la vita che i tre amici
avevano
condotto fino a quel momento.
Pensò al pranzo con Kari.
Se prima non aveva visto l’ora che
uscisse dall’ufficio per non affrontare la sua coscienza, ora
non riusciva a
pensare che ancora tre ore lo separavano dal momento in cui avrebbe
potuto
rivederla. Stare lontano da lei quando partiva era una vera
frustazione.
Avrebbe detto a Goten di organizzare la proposta di matrimonio il prima
possibile.
La amava; tergiversare non aveva fatto altro che condurlo in quel gran
mucchio
di merda in cui si trovava in quel momento.
Goten li salutò per
tornare al suo ufficio, qualche piano
sotto di loro. Ripresero a lavorare tutti silenziosamente. Marron
digitava
lesta sulla tastiera del suo laptop, da dietro la porta arrivavano
attuttiti
gli squilli ravvicinati dei telefoni della reception.
Trunks non poté resistere
dal gettare ancora un’occhiata
alla sua amica. Il viso concentrato era pallido e tirato, segnato da
occhiaie
pesanti, eppure non perdeva mai quel fascino selvaggio che aveva
ereditato da
sua madre Diciotto.
“Sono uno
stronzo.”, disse all’improvviso ad alta voce. Si
pentì subito di aver dato voce a quel flusso di coscienza.
Akane e Calliope avevano
alzato il viso dalla loro scrivania e lo stavano guardando come se
fosse uscito
completamente di senno.
Marron non fece una piega.
Continuò a maltrattare la
tastiera e non gli rivolse nemmeno uno sguardo.
“Lo sapevamo
già, Athos. Ma grazie di averci reso
partecipi.”
Calliope e Akane tornarono a
concentrarsi sul loro lavoro,
imbarazzate.
La strada era un vero schifo. La neve
era ovunque, ormai
sporca e fangosa e se non avesse avuto Goten a cui sorreggersi, sarebbe
inciampata ad ogni passo.
“Queste scarpe
dovrò buttarle, maledizione!”
Goten la sollevò
all’improvviso e la prese in braccio.
“Ma che fai, scemo? Non
possiamo mica andare in giro così!”,
si lamentò lei, mentre veniva trasportata agevolmente lungo
il viale tra le
braccia possenti del sayan.
“Perché
no?”, rise Goten. Alcune persone li osservavano
passare incredule, altre divertite. Marron notò che molte
ragazze sembravano
palesemente invidiose.
La giovane si mise l’anima
in pace e tirò fuori il telefono
dalla tasca del cappotto. Trunks le aveva inviato un messaggio.
Controllò che
lo schermo fosse fuori dalla portata di Goten e lo aprì.
Dobbiamo
parlare
Marron aggrottò la fronte
arrabbiata.
VETO,
rispose a lettere maiuscole, in modo che fosse chiaro che non aveva
nessuna
intenzione di parlare della notte precedente.
“Cosa facciamo dopo il
lavoro?”, chiese Goten.
Marron appoggiò la testa
sulla sua spalla. Il suo odore,
mescolato al profumo di Givenchy che metteva, riusciva sempre a
rilassarla.
“Non lo so. Io sono
distrutta, Aramis.”
Si era chiesta se avrebbe dovuto
confessarglielo. Era
abbastanza sicura che Goten non l’avrebbe giudicata, ma
qualcosa le impediva di
vuotare il sacco con lui. Non era certo per vergogna; in fondo si era
trattato
soltanto di sesso. Le implicazioni erano sicuramente più
tragiche per Trunks,
vista la sua situazione sentimentale. Dio,
incontrare Kari proprio quella mattina
era stato terribile. Lei era sempre così gentile e
disponibile, così
maledettamente perfetta…
e Marron si era
sentita un mostro per aver tradito la fiducia che lei aveva sempre
accordato
alla sua relazione con Trunks. La giovane si mise ad osservare il profilo
del volto
di Goten, la linea marcata della sua mandibola perfettamente rasata, i
capelli
scuri appena tagliati che gli avvolgevano la nuca, le sue sopracciglia
folte e
definite che tanto piacevano alle ragazze. Aveva forse paura di
ferirlo,
raccontandogli tutto? A volte quella convinzione generale che loro due
fossero
destinati a stare insieme riusciva a metterla a disagio. Decise che
glielo
avrebbe detto, prima o poi: rinsaldare il legame fraterno che li univa,
era il
modo migliore per mettere a tacere definitivamente quelle stupide
aspettative
nei loro confronti.
“Andiamo a
dormire?”, propose lui.
“Sì, ti prego!
Casa mia?”, domandò la ragazza, sollevata.
“Meglio. Non so se casa mia
è presentabile.”, rispose lui,
vivace.
Marron rise.
“Hai rimediato qualcosa,
ieri sera?”, chiese, certa che
Goten non vedesse l’ora di raccontarle della sua ultima
conquista.
“A questo
proposito… dovrei dirti una cosa.”, disse,
facendosi serio.
Marron si spaventò.
“Che hai
combinato?”
Lui si fermò al semaforo
rosso e la guardò sorridendo.
“Niente di grave, Portos.
Però ho bisogno di parlarne con
te.”
Marron stava per incalzarlo, ma si
accorse che davanti a
loro una signora di mezza età stava spingendo con fatica una
pesante sedia a
rotelle giù dal marciapiede innevato. L’uomo che
la occupava non poteva
aiutarla in alcun modo, poiché sembrava completamente
paralizzato. Goten mise
Marron a terra e si avvicinò alla donna.
“Aspetti, signora. La
aiuto.”
“Grazie, è molto
gentile.”
Goten sollevò con
facilità estrema la pesante attrezzatura e
la poggiò sull’asfalto sgombro.
“Ecco
fatto…”, disse. Poi sorridendo guardò
l’uomo seduto
sulla carrozzina e all’improvviso il suo volto perse ogni
colore. Il sorriso
sparì dalla sua faccia e Marron lo vide allontanarsi di
scatto dalla
carrozzella.
“TU!”,
sibilò all’improvviso la donna, spaventata.
Marron non capiva cosa stesse
accadendo. Goten si riscosse
dallo shock iniziale e poi, cupo in volto, si diresse deciso verso di
lei e la
afferrò per il braccio per allontanarla.
“Marron?!”, si
sentì chiamare dalla donna.
Marron, confusa, si girò
verso di lei e la riconobbe. Aveva
uno sguardo incredulo e spaventato, ma carico d’odio; eppure
non era molto
cambiata negli ultimi dieci anni.
“Signora
Naoki…”
Goten continuava a stringerle il
braccio.
“Andiamo,
Marron.”, le sussurrò vicino
all’orecchio.
“Come osi rivolgermi la
parola, piccola stupida?”, le vomitò
addosso rabbiosa la donna. “Tu e quei cani dei tuoi amici
dovreste marcire in
galera per quello che avete fatto a mio figlio!”
Marron sembrò accorgersene
solo in quel momento. Che lei
stava spingendo una sedia a rotelle. Che il suo occupante non aveva
spiccicato
parola. Che non poteva muoversi, né sembrava conscio della
situazione. Qualcosa
dentro di lei si ruppe mentre trovava il coraggio di guardarlo. Dalla
sua
posizione riusciva a scorgerne soltanto il profilo...
Adam.
Le sue ginocchia presero a tremare
così violentemente che
dovette reggersi a Goten per non cadere.
“Suo figlio era un cane,
tanto quanto me.”, rispose il sayan
livido di rabbia e vergogna.
La donna indietreggiò come
se fosse stata schiaffeggiata in
pieno volto. Marron continuava a fissare Adam incapace di distogliere
lo
sguardo, inconsapevole della reazione inconsueta di Goten e del fatto
che
alcune persone si fossero fermate ad osservare la scena.
Era lui davvero? I suoi occhi spenti
ed assenti guardavano
lontano, senza in realtà vedere niente. La sua testa pendeva
da un lato e non
c’era nulla in quel volto che le ricordasse il giovane dal
sorriso beffardo che
era stato dieci anni prima.
Marron si sentì trascinare
via e fu costretta a distogliere
lo sguardo, ma l’immagine di quell’involucro vuoto
dell’uomo che un tempo aveva
amato rimase nella sua testa. Non vedeva dove stava andando, non
riusciva
nemmeno a mettere un piede davanti all’altro. Goten la
sollevò di nuovo e lei
non sembrò nemmeno accorgersene.
…
Estate.
L’odore della
lavanda nelle narici, la sensazione dell’erba lunga sotto i
piedi nudi. Lei si
sdraia sul prato e gioca a strappare i petali dai fiori…
“Per
essere così
piccola, sei un enorme problema, Marron..”, dice il ragazzo,
scostandole una
ciocca di capelli dal viso.
Lei sorride.
Dimentica
i fiori e si mette a giocare coi bracciali che lui porta al polso.
“Perché?”
Lui le
prende la mano
e se la porta alle labbra per baciarle le piccole dita.
“Posso
spegnere la
luce… posso anche chiudere gli occhi. Eppure in testa ho
sempre te. Ogni
minuto.”, le confessa ridendo.
Marron
arrossisce. Lui
si china su di lei e la bacia.
Estate.
L’odore della
lavanda nelle narici, la sensazione dell’erba lunga sotto i
piedi nudi. Solo
Adam a riempire ogni suo pensiero…
….
Marron riemerse dal limbo e si rese
conto che Goten l’aveva
trascinata e poi depositata su una panchina in un luogo chiuso. A
giudicare dal
via vai, era un centro commerciale.
“Stai bene?”, le
chiese il ragazzo, visibilmente scosso.
Marron lo guardò per
qualche secondo, non del tutto convinta
che Goten fosse realmente lì davanti a lei in quel momento.
Poi il suo
raziocinio cominciò ad elaborare l’accaduto e
un’orribile sensazione a lei
familiare le strinse lo stomaco in una morsa.
“Avevi detto…
avevi detto che era vivo!”, disse rivolta al
sayan. Si accorse che il suo tono di voce appariva disperato.
Goten era ancora livido.
“Infatti, è
vivo.”, commentò gelido.
Marron sentì la rabbia
montare in lei.
“Come hai potuto?!
Perché l’hai ridotto così?”,
gli urlò contro.
“Perché?!”,
le rispose Goten, incredulo. “Hai dimenticato
cosa ti ha fatto?”
Marron si prese la testa tra le mani.
Se la sentiva
scoppiare. Forse era solo un caso, ma sentì un fischio acuto
ed una fitta
lancinante attraversargli l’orecchio destro. Erano anni che
non ci ripensava,
che non risentiva il sapore metallico del sangue in gola. Ci aveva
messo secoli
a convincersi del fatto che non si fosse trattato di un incidente di
percorso,
che Adam aveva avuto intenzione di ferirla; eppure in quel momento non
riusciva
a far altro che pensare alla risata gioviale del ragazzo biondo che
componeva
canzoni per lei. L’immagine di quell’uomo
paralizzato e demente che aveva
appena visto le procurava un forte senso di nausea; gli schiamazzi
della gente
impegnata a terminare le compere natalizie intorno a lei la
stordivano…
Marron si alzò di scatto e
si diresse barcollante verso
l’uscita.
“Dove vai?”, le
urlò Goten.
“Lasciami
stare!”, disse lei di rimando, senza voltarsi.
Si sentì afferrare dalle
spalle e provò invano a
divincolarsi, frustata.
“Lasciami Goten, ti
prego.”, disse sentendosi all’improvviso
svuotata di ogni spirito combattivo.
Goten la voltò e la
avvolse tra le sue braccia. Era talmente
alto che doveva sempre chinarsi per raggiungere la sua altezza.
“Io non ti lascio,
Marron.”, le sussurrò il sayan.
Marron fu incapace di trattenere le
lacrime per la seconda
volta, nell’arco di poche ore. Si aggrappò al
torace di Goten e prese a
piangere silenziosamente. Goten la strinse più forte.
“Non ti lascio,
Marron… Io, non ti lascio.”
Goten si svegliò che il
sole era già scomparso. Le luci
dell’albero di Natale di Marron dipingevano un mosaico
intermittente sul
soffitto in mattoni del loft. Si stropicciò gli occhi e si
mise seduto sul
letto. Non sapeva nemmeno come erano riusciti ad affrontare le ultime
ore di
lavoro dopo l’incontro di quel pomeriggio. Il suo sangue
sayan ancora ribolliva
di rabbia…
Si voltò verso destra e
vide che Marron dormiva rannicchiata
sotto le coperte. Anche se le sue guance erano ancora rigate di
lacrime,
sembrava finalmente caduta in un sonno ristoratore. Goten si
chinò su di lei e
le accarezzò i capelli, delicatamente. A volte lei era
così esuberante che era
difficile ricordarsi di quanta fragilità si nascondesse
dietro la piccola macchina
da guerra che voleva apparire.
Si ricordò di quella notte
di dieci anni prima, quando lei
era rientrata alla Capsule Corporation cercando di non farsi
vedere… Lui e
Trunks stavano giocando ai videogiochi e quel sangue secco che le
sporcava
l’orecchio, l’occhio e gli zigomi tumefatti non
potevano passare inosservati
nemmeno nel buio del salone. Ricordava il suono del joystick che Trunks
aveva
frantumato tra le mani. Ricordava di essere volato fuori dalla finestra
senza
nemmeno mettersi le scarpe, per raggiungere quell’animale di
Adam il prima
possibile…
Non era pentito di nulla, di
ciò che era successo quella
notte. Forse però sarebbe stato più semplice
lasciarlo morire e risparmiare a
Bulma tutto quel furore mediatico, tutti quegli avvocati e i
giornalisti
impazziti…
Marron si agitò nel sonno.
Goten si sdraiò accanto a lei e
avvolse il fagotto di coperte che era diventata in un abbraccio.
Decise che non poteva raccontarle di
Bra. Non ora.
Nonostante il suo stomaco stesse cominciando a brontolare per la fame,
non si
sarebbe mosso da quel letto. Sarebbe rimasto con lei per tutto il tempo
necessario. Anche per tutta la notte. Anche per tutta la vita, se
Marron glielo
avesse chiesto…
Ah,
la soddisfazione di pubblicare finalmente un nuovo capitolo! Immagino
chi ha
recensito per primo questa storia ormai canuto e pensionato,
probabilmente non
si ricorda nemmeno di cosa tratta! Io, nel frattempo, ho scoperto i
primi
capelli bianchi: lo shock è stato tale che ho scritto di
getto un capitolo che
si colloca molto dopo questo, quindi sostanzialmente inutile al momento
(Sweetlove preparati! Sarà il primo regalo di nozze della
storia recapitato in
tempo per il decimo anniversario di matrimonio!). Ci tenevo a precisare
due
cose su quello che sta emergendo da questa storia.
L’aspetto
di Marron: sono uscita un po’ dal seminato del buon Akira con
lei. Nel manga
Marron è sostanzialmente uguale a Crilin, dalla madre ha
preso solo il colore
dei capelli, mentre nella mia storia è un po’
diversa. Da 18 ha preso i tratti
del viso, la fronte ampia, i capelli biondi e soprattutto il taglio
degli
occhi; da Crilin ha preso gli occhi neri e la statura minuta. Non credo
che sia
ancora emerso dal racconto, ma Marron è molto esile ed
eccessivamente magra.
La
geografia del mondo di Dragon Ball: era fondamentale per me che la
vicenda si
svolgesse nel continente originale di Dragon Ball; un vasto territorio
diviso
in territori del Nord, del Sud, dell’Est e
dell’Ovest. L’Est è la terra
d’origine di Crilin, Yamcha, Chichi e quella dove Goku
è cresciuto. L’aspetto
dei suoi abitanti è vagamente
“orientale”; hanno infatti sempre capelli ed
occhi neri. L’Ovest è dove si svolge
prevalentemente questa storia: è la patria
di Bulma e gli abitanti di questa zona hanno un aspetto più
“occidentale”. Ho
immaginato il Sud come una vasta zona continentale desertica,
più un insieme di
isole dal clima tropicale (è la patria di Ub e la zona in
cui si trova la Kame
House). Gli abitanti del Sud hanno la pelle scura. Il Nord invece
è la terra
d’origine di 17 e 18; è un vasto territorio
selvaggio, scarsamente abitato da
persone che tendono ad avere occhi allungati e molto chiari.
Determinato
questo, mi sono resa conto che il solo continente Toriyamesco mi stava
stretto:
ho così deciso che nella mia storia questo continente va a
sostituirsi
all’America, mentre tutti gli altri saranno presenti
(perciò in questo capitolo
si parla di Africa). In questo modo giustifico anche perché,
nel capitolo 3, i
moschettieri parlano delle lingue francese e spagnolo.
Detto
questo, vi prego di recensire e farmi sapere se vi è
piaciuto il capitolo.
Lasciatemi osservazioni e consigli, li leggerò tutti con
grande interesse! Il
prossimo capitolo sarà dedicato principalmente a Bra, Pan e
Ub.