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Autore: Kei_Saiyu    02/05/2009    6 recensioni
[Prima classificata al contest "Riflesso di virtù tradita" di Storyteller Lover]
Il Forestiero muove appena le labbra, lasciando uscire un soffio d’aria calda simile ad un richiamo.
Un brivido attraversa la schiena di Sasuke, portandolo a voltarsi di scatto.
Gli occhi sgranati dall’incredulità e da un misto di terrore reverenziale. Le labbra socchiuse. Il respiro mozzato.
Ma dietro di lui, il nulla.
[Spoiler!Itachi]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Itachi, Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Autore:  Kei_Saiyu
Frase scelta: Erro stanco e impolverato nell’ombra del viale… di fronte, l’ansia della sera – e il tramonto – e la morte. [Herman Hesse]
Titolo: Glorious victory
Personaggi: Itachi Uchiha; Mikoto Uchiha; Sasuke Uchiha.
Pairing:  Itachi Uchiha centric
Genere: Malinconico; Introspettivo
Rating: Giallo
Avvertimenti: One-shot; Spoiler!
Credits: I personaggi non sono miei, ma di Kishimoto, che sta facendo un errore dietro l’altro e che, quindi, dovrò minacciare di morte lenta e dolorosa ù_ù. La storia non è scritta a scopo di lucro e blablabla. La frase ad inizio capitolo non è mia, ma di Herman Hesse.
Breve introduzione alla storia:
Il Forestiero muove appena le labbra, lasciando uscire un soffio d’aria calda simile ad un richiamo.

Un brivido attraversa  la schiena di Sasuke, portandolo a voltarsi di scatto.

Gli occhi sgranati dall’incredulità e da un misto di terrore reverenziale. Le labbra socchiuse. Il respiro mozzato.

Ma dietro di lui, il nulla.


Dediche/Note dell’autore: La dedico alla mia koi, perché se la merita e perché è lei, ovvio ù_ù.
Fanfiction totalmente di getto, per merito - o colpa – del videogioco di D.O.A. 2. Finendolo, la musica finale, appunto Glorious victory, mi ha talmente stregata che ho iniziato a scrivere, fino a che non l’ho finita.

Consiglio l’ascolto di questa splendida melodia per leggere la fan fiction ù_ù.

Tornando al discorso principale, ne vado fiera. Molto. A mio avviso i personaggi sono anche riuscita a mantenerli IC, considerando che è la prima volta che utilizzo Itachi e Mikoto e che, per questo ho messo l’avviso spoiler - anche se potrebbe sembrare inutile -, c’è anche lo spoiler su S. Itachi martire, quindi…

Che posso dire? È triste e malinconica, terribilmente malinconica ç_ç. Ma con un sottofondo di speranza non del tutto morta, anche se bisogna leggere molto tra le righe per capirlo XD. O meglio, da una frase che va interpretata anche a piacimento, ma che non potevo spiegare, o si perdeva la storia. Umh, giusto per precauzione, dato che in un contest precedente i giudici non sapevano bene alcuni termini giapponesi, ho fatto un piccolo dizionario a fine storia delle parole che compaiono qui ù_ù.

Ah, non ho messo l’avviso “What…if?”, semplicemente perché non lo è. Kishimoto non ci mostra molto Itachi quando Sasuke è dodicenne, quindi, a mio avviso, può benissimo aver fatto quello che ho descritto io ù_ù.

 

Glorious victory

 

Erro stanco e impolverato nell’ombra del viale …

 di fronte, l’ansia della sera -e il tramonto- e la morte.

(Herman Hesse)

 

Il Forestiero cammina lentamente per le strade fiocamente illuminate di Konoha.

Nessuno pare far caso a lui, figura nascosta in un ampio mantello nero da viaggiatore.

E così può continuare a camminare, seguendo con lo sguardo le lanterne di carta colorata che i passanti portano fra le mani.

Il Forestiero osserva i sorrisi giocosi dei bambini in yukata1, che corrono divertiti da una parte all’altra della strada per giocare, o per mostrare ai loro amici quanto sia bella la loro lanterna, alternando alle baruffe le risate, mentre i genitori - o chi ne fa le veci - li osservano con un misto di rassegnazione e malinconia.

È un giorno di festa, bisogna lasciarli giocare e ridere, ridere, ridere, fino alla fine dei giochi.

Fino a quando non diventeranno grandi abbastanza per capire che quel giorno non è, come sembrerebbe, così lieto.

E sospirando, il Forestiero prosegue.

Percorrendo quelle strade che ogni anno lo portano alla stessa direzione.

Camminando con andatura lenta e cadenzata, totalmente felpata, poiché è abituato a non far rumore, non concedendoselo nemmeno in quell’occasione in cui, anche se lo facesse, nessuno se ne accorgerebbe.

D’altronde, se non hanno fatto caso ad un uomo con un lungo mantello nero in piena estate, non si sarebbero mai accorti del suono dei suoi passi.

Il Forestiero dunque prosegue, osservando diligentemente le persone che gli camminano affianco, tentando di scorgere il volto familiare che gli consentirà di raggiungere la propria meta indisturbato.

Negozi di svariato tipo si susseguono sulla grande via. Alcuni chiusi, altri aperti.

In bella vista, nonostante sia sera, i piccoli chioschi di mercato mostrano frutta e verdura ad un buon prezzo, giusto per chi si attarda all’ultimo secondo per comprare le offerte.

Un pescivendolo brandisce nella mano destra un tonno, gridando euforico al margine della strada:

«Pesce di ottima qualità! Pescato giusto due ore fa’! Affrettatevi gente! Ultime offerte speciali per l’Obon2

Il Forestiero distoglie lo sguardo, nonostante abbia la tentazione di comprare qualcosa, ma non può farlo.

Non può lasciare tracce del suo passaggio, o l’illusione svanisce. E non può permetterselo.

Non ancora.

Sospirando, il Forestiero prosegue nel suo cammino, percorrendo con la memoria i passi che deve fare, il volto che deve trovare, la voce che desidera risentire, ma che non sarà mai più quella che tanto adorava …

Nel notare una zazzera bionda in lontananza, si chiede se non sia finalmente giunto il tempo.

Non consentendo al suo cuore di accelerare i battiti ed ai suoi piedi di muoversi più veloci, continua per la sua strada.

Dei frammenti di discussione arrivano alle sue orecchie, ma una voce è troppo acuta, una troppo femminile ed una troppo adulta.

E li vede, mentre si muovono animatamente verso di lui, per andare nella direzione opposta alla sua.

Un uomo, una ragazzina e due ragazzini.

Ma così deve essere e così dovrebbe restare. Ma il Forestiero sa che non lo è. Sa che uno di loro sarà costretto a correre sempre nella sua di direzione.

Senza sosta.

Fino a che i giochi non finiranno. Fino a che l’illusione non svanirà in un cumulo di sangue e macerie.

Perché questo è il destino che si è scelto.

Mantenendo l’andatura costante, arriva in prossimità del gruppetto.

Con noncuranza, si sistema meglio il sugegasa3, spostandolo accuratamente sugli occhi, in modo tale che nemmeno fissandolo in volto potrebbero scorgere il suo marchio maledetto.

Lasciandosi appena uno spiraglio, così da poter scorgere i volti di quel gruppetto così male assortito, è libero di guardare e di memorizzare, come ogni anno, quel viso che sta cambiando.

Maturando sempre un po’ di più nei tratti, che tuttavia mantengono quella delicatezza che lo rende sempre simile ad una bambola di porcellana.

Fragile.

Si chiede quanti anni dovrebbe avere, non facendo nemmeno in tempo a finire di porsi la domanda, che la risposta è già lì, sulla punta della sua lingua.

«Dodici.»

Ed infine gli passa affianco.

Impercettibilmente, rallenta la propria andatura, quasi a voler rendere quel secondo in cui può sfiorarlo più lungo.

Lo guarda. Lo memorizza.

I capelli neri dal retro alzato.

Il fisico esile, con accenni di muscolatura.

La pelle lattea, bianca quanto la luna più splendente nel cielo.

Le labbra dalla piega in giù, a formare un classico broncio, nonostante addosso a lui sembri più un modo per intimidire che gli sta vicino.

Gli occhi neri, così duri e vuoti, eppure più vivi rispetto all’anno precedente e capisce subito chi ne è la causa.

Non ci vuole molto, basta seguire la voce squillante ed allegra che lo chiama. Lo insulta.

Ed è calda.

«Sasuke-teme4

Ed anche la sua risposta lo è. Monocorde, inflessibile, sprezzante.

Solo per chi non lo conosce bene. Per lui, rispetto all’ultima volta in cui lo ha sentito parlare, è calda.

«Tsk. Usurantonkachi5

Il Forestiero muove appena le labbra, lasciando uscire un soffio d’aria calda simile ad un richiamo.

«Otooto6.»

Un brivido attraversa  la schiena di Sasuke, portandolo a voltarsi di scatto.

Gli occhi sgranati dall’incredulità e da un misto di terrore reverenziale. Le labbra socchiuse. Il respiro mozzato.

Ma dietro di lui, il nulla.

La  ragazza del gruppo, con lunghi capelli di uno strano color rosato, segue attentamente lo sguardo di Sasuke e non trovando niente di insolito, gli chiede se qualcosa non va.

Non ricevendo risposta, gli si avvicina lentamente, tentando di capire cosa possa aver attratto tanto il gelido Uchiha.

Infine, la battuta scherzosa dell’altro compagno di squadra, Naruto, distoglie così l’attenzione di Sasuke, che decide di catalogare il tutto come frutto della sua immaginazione.

E se ne vanno, lasciando il Forestiero libero di tornare a camminare.

Non gli manca molto, deve solo svoltare a sinistra e si troverà nel punto in cui tutto ha avuto inizio ed in cui tutto ha avuto fine.

Il Quartiere Uchiha.

Il Forestiero si addentra nel luogo isolato, dove a riceverlo, c’è solo il silenzio.

Un silenzio da lui stesso creato, sostituendo alle risa le urla.

Alla gioia il dolore.

Ai parenti i cadaveri.

Al bianco delle mura il rosso del sangue.

Se chiude gli occhi, però, può ancora avvertire i rumori famigliari di un tempo.

La voce della zia che gli offre qualcosa da mangiare; il profumo dei fiori; l’odore dei biscotti fatti in casa.

Ma non lo fa.

Non ha intenzione di rivangare un passato che lui stesso ha distrutto, sarebbe come affermare che prova dei rimpianti.

E non ne ha. Nessuno.

Fa un passo all’interno del quartiere, per poi fermarsi a togliersi il cappello di paglia.

Getta la maschera, sostituendo il volto del Forestiero a quello di Itachi Uchiha.

Il vento si alza, come a salutarlo. O ad allontanarlo.

L’aria pesante, asfissiante quasi, gli manda alle narici l’odore di morte e decadenza.

Di sangue rappreso.

Di muffa.

Di marcio.

I lunghi capelli neri, legati in un codino basso, si muovono leggeri stuzzicati dal vento, che tenta di sospingerlo indietro, verso l’uscita.

Avanza.

Come quella notte di quasi cinque anni fa.

Un passo. Un altro. Un altro.

L’aria pare tentare di soffocarlo, nonostante il vento sia aumentato di intensità, ma non si scompone e prosegue.

Supera le case decadenti; l’odore del legno marcio; le urla inudibili che aleggiano nell’aria.

Ed arriva davanti all’unica abitazione che pare abbia mantenuto un minimo, almeno, di quella bellezza oramai sfiorita.

La casa di Fugaku e Mikoto Uchiha.

Apre lentamente il grande portone in legno chiaro, percorrendo il viottolo centrale che lo porta all’entrata della grande casa in perfetto stile orientale.

Fa scorrere delicatamente il fusuma7, aspettandosi che ad accoglierlo ci sia l’odore dei biscotti appena sfornati, ma nel non sentirlo, non prova alcuna delusione.

L’aspettativa, d’altronde, era solo inconscia. Non voluta. Non creduta. Non attesa.

Togliendosi i sandali all’entrata, si appresta a dirigersi, senza alcuna esitazione, verso la sala centrale.

Sorpassa tranquillamente le fotografie ed i quadri nel corridoio, notando come questi siano rimasti immutabili.

Sporchi di polvere, dalla tela alle volte strappata, ma uguali.

Si sofferma per qualche istante a rimirare il volto dipinto di sua madre, con quel sorriso dolce e sbarazzino che la caratterizzava in vita.

E quegli occhi neri, così simili a quelli di Sasuke - e non più ai suoi -, paiono guardarlo dolcemente dalla sua posizione rialzata.

Non lo ammoniscono, non lo denigrano per essere venuto lì ancora una volta, ma lo scaldano.

Eppure, i suoi occhi rimangono freddi. Decisi. Morti.

Come l’interno buio delle iridi di Sasuke.

Riprende a camminare, senza aver dato nemmeno un’ultima occhiata al quadro, per giungere nella sala centrale.

Quella che, un tempo, fungeva da soggiorno.

E trova subito quello che cerca; difficile non vederlo.

Su di un ripiano in mogano scuro, in bella vista, l’altarino su cui poggiano le foto dei genitori, incorniciate con un nastro di raso nero.

Davanti ai volti, una stecca d’incenso accesa e degli omochi8 dalle forme discutibili.

Non ha dubbi su chi li abbia fatti e gli viene quasi da sorridere, al pensiero che il fratello non riesca a far nulla in cucina. Proprio come allora.

Avvicinandosi maggiormente all’altare, si inginocchia nella classica posizione seiza9, effettuando un breve inchino in segno di saluto ed accendendo un’altra stecca che, prontamente, porterà via quando se ne andrà.

Effettuato il classico rito, Itachi si alza silenziosamente, dirigendosi verso il comodino poco più in là, sulla sua sinistra.

Apre le ante del grande cassetto, trovando la custodia in legno chiaro così come l’aveva lasciata l’anno precedente.

L’afferra con delicatezza, portandosela in grembo, prendendo con sé anche la busta posta al suo fianco, contenente il necessario alla pulizia dello strumento racchiuso.

Con noncuranza, pur mantenendo un’attenzione particolare nel maneggiare la custodia, si riposiziona davanti all’altare, estraendo infine il sangen10 dal legno.

Dalla busta al suo fianco, prende un grande pezzo di stoffa pregiata ed inizia a passarlo sullo strumento, così da ripulirlo dalla polvere che, nonostante fosse rimasto chiuso da un anno, aveva accumulato.

Il procedimento non è molto lungo, si tratta solo di togliere i depositi, eppure è un qualcosa che va fatto lentamente, per non rovinare il rivestimento della piccola cassa armonica di forma rotonda e delle tre corde.

Guardando per un istante il volto della madre, Itachi le domanda se avesse mai detto a Sasuke di cosa era fatto il rivestimento dello strumento, ma sapeva che non era così.

«Kaa-san11, non credo che Sasuke avrebbe tanto amato la tua musica, se avesse saputo che il tuo sangen è rivestito di pelle di gatto come un qualsiasi shamisen10

Quando finisce di pulire il sangen, Itachi avverte una risatina proveniente dalle sue spalle.

Con totale tranquillità, si volta, incontrando un paio di divertiti occhi neri che lo fissano dolcemente.

Inchinando rispettosamente il capo, osserva la donna davanti a lui prendere forma, salutandola poi con un laconico:

«Kaa-san.»

Mikoto Uchiha, vestita di un pregiato kimono bianco con dipinto un maestoso albero di ciliegio in fioritura, sorride dolcemente.

Il volto perlaceo, osserva Itachi, dai lineamenti morbidi e delicati, presenta la bellezza che nessuna donna al mondo potrebbe mai eguagliare.

Con i lunghi capelli corvini sciolti che le ricadono sulla schiena, le labbra piene e dalla forma leggermente a “w”, come quelle dei gatti.

Gli occhi grandi e dal taglio allungato, con le iridi color pece brillante.

No. Nessuna donna sarebbe mai stata bella come Mikoto.

Di questo, Itachi ne è certo.

Nel sentire la voce melodiosa e divertita, ne è ancora più sicuro.

«Itachi-chan12, di nuovo qui?»

Si guardano per un momento negli occhi, come a sfidarsi ed in quelli di Mikoto brilla la malizia, come ad assicurargli che, tanto, l’avrà vinta lei.

Ed è così.

Itachi abbassa lo sguardo, prendendo il sangen dalle proprie ginocchia per porgerlo alla madre che, con un sorriso riconoscente, lo afferra sistemandolo per obliquo, mentre la cassa armonica poggia sulla coscia destra.

«Grazie, Itachi-chan.»

Le dita fini e curate, pizzicano dolcemente la prima corda. Poi la seconda. E la terza.

Sì, è accordato.

E delicatamente, Mikoto inizia a suonare, accompagnando la melodia malinconica, seppur con un sottofondo quasi di speranza, con la sua voce.

Non ha un testo da cantare, ma ad Itachi non importa.

E chiudendo gli occhi, può mostrarsi, pur rimanendo immobile, debole.

Sentendosi avvolgere caldamente dalla melodia, come in un abbraccio. Come in un’illusione.

Ma ogni cosa è destinata ad avere una fine e così anche l’incanto deve svanire.

Per lasciare il posto alla realtà che ha tessuto con le sue stesse mani, sporche del sangue delle persone che amava e che continua ad amare.

E quella dolce illusione, durata solo pochi minuti, è costretta a lasciarlo andare.

Mikoto interrompe la musica ed il canto, guardando tristemente il primogenito che riapre gli occhi del colore del sole al tramonto.

Perché non le piace paragonare quel rosso a quello del sangue, preferisce pensare che sia il rosso dell’amore che non può svelare.

O quello del tramonto che usa per partire e venire da lei ogni anno. Alla stessa ora.

Per chiedere quel perdono che non deve volere.

Per rivivere, anche solo per pochi minuti, secondi, quella vita che ha lasciato solo per darla ad un altro.

A suo fratello.

E posando il sangen a terra, Mikoto si avvicina ad Itachi, tenendolo per un decimo di secondo nel suo abbraccio freddo, dal sentore di morte.

«Arrivederci, Itachi-chan.»

Ultimo sguardo, almeno per quell’anno.

E l’incanto svanisce.

Il sentore di un chakra che conosce bene, avvisa Itachi che è ora di andare.

Velocemente, senza per questo tradire il minimo rumore, rimette il sangen al suo posto ed esce, prendendo con sé i sandali lasciati all’entrata.

Dimenticando l’incenso ancora acceso.

Ed uscendo dal Quartiere Uchiha, riposiziona il sugegasa in modo da coprire il volto, sostituendo ancora una volta ad Itachi Uchiha il Forestiero.

Incrociando Sasuke per la strada appena prima del quartiere, si chiede quando mai potrà gettare una volta per tutta la maschera.

Guardando gli occhi nuovamente vuoti del fratello, sospira.

«Non potrò gettarla. Mai.»

 

Owary

Note finali dell’autrice: Prima *-* e ne sono molto, molto, molto contenta ù_ù Non c’è nulla da dire se non che ringrazio la giudice  per i suoi bellissimi commenti e ringrazio anche Hikaru_Zani per  i banner che sono assolutamente fantastici  ^^.

Traduzioni e significati:

1Yukata: Kimono estivo giapponese.

2Obon: Festa giapponese che cade nei giorni 14-16 di agosto. Conosciuta come la Festa delle Lanterne, da noi simile all’Ognissanti. Si crede che gli spiriti dei morti ritornino a far visita ai loro cari.

3Sugegasa: Il cappello di paglia a forma di cono che Itachi ha anche nel manga.

4Sasuke-teme: Teme significa letteralmente: bastardo. Naruto lo usa spesso per chiamare Sasuke.

5Usuratonkachi: Idiota completo e sinonimi simili. In Italia lo hanno messo come: Testa quadra.

6Otooto: Fratello minore.

7Fusuma: Porta scorrevole a pannelli di legno e carta, generalmente decorati.

8Omochi: Riso bollito e lavorato fino a fargli assumere l’aspetto di una pallina.

9Seiza: Posizione tradizionale giapponese, dove ci si inginocchia/siede sui talloni

10Sangen/shamisen: Antenato dello shamisen, strumento tradizionale giapponese. Al contrario dello shamisen, però, il sangen ha una cassa armonica di forma rotonda, mentre lo shamisen è a forma quadrata. Ha tre corde e la cassa è, generalmente, rivestita in pelle di serpente. Lo shamisen in pelle di gatto o di cane. Qui, Mikoto ha la pelle di gatto, perché l’ha scelta lei.

11Kaa-san: Madre.

12Itachi-chan: La particella -chan, si usa nel linguaggio informale. Generalmente usata per le ragazze, ma Mikoto, come nell’anime, lo usa anche per Sasuke bimbo, quindi ho supposto lo usasse anche per Itachi. Specialmente se vuole prenderlo in giro XD. Il significato è, praticamente, “piccolo”.

   
 
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