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Autore: Micole    09/09/2016    0 recensioni
"Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo." [Lev Tolstoj, Anna Karenina]
Bruno vive a Napoli, ha un passato duro alle spalle e poche speranze per il futuro, qualcuno lo descriverebbe come un ragazzo perso, lui ama definirsi un demone.
Ambra viene dalla Maremma Toscana, cerca di nascondere il suo passato dietro tanti muri e facendo troppi errori.
Un amico in comune, due storie pesanti, due ragazzi distrutti, un passato che pesa più della vita che è ancora da vivere.
Estratto:
-Mà, era carnevale, le ragazze si vestivano da bamboline e i ragazzi da principi. Oggi al massimo ci saranno fantasmi, diavoli e pirati; nessuno spera, né vuole, incontrare la sua anima gemella.- Disse Bruno togliendo con delicatezza il bicchiere di vino dalle mani della madre e svuotandolo nel lavandino.
- E tu invece da cosa ti sei travestito?- [...]
- Da demone.- Rispose sorridendo sull'uscio e tirando sulla testa il cappuccio tanto da far sparire più di metà viso nell'ombra.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Accettiamo l'amore che crediamo di meritare

 

Roberto prese al volo il casco che l'amico gli aveva lanciato.

Bruno non aprì neanche la visiera del casco integrale, ma da come muoveva il petto si notava che aveva il respiro accelerato. Non era dato sapere se per il pianto o per l'adrenalina che gli scorreva nelle vene per la corsa in moto.

 

I due amici volavano sull'asfalto. 

Bruno al cavallo della moto era inimitabile, sembrava che andasse a pari passo con morte, era rischio, ma anche sicurezza.

Il ragazzo, infatti, quando sentiva che stava per arrivare il momento di frenare iniziava a contare a ritroso partendo dal tre, non arrivava mai allo zero però - non era mica uno stupido -, si fermava sempre prima del due, solo durante le gare era arrivato quasi all'uno. 

Ne aveva vinte molte di gare facendo così. Sapeva fin dove poteva spingersi. 

Conosceva il limite fra coraggio e idiozia.

 

Bruno, in verità, contava prima di fare qualsiasi cosa che secondo lui meritasse attenzione: prima di rispondere ad una domanda durante gli esami all'Università, mentre guidava la moto, prima di premere il tastino verde del telefono quando chiamava suo padre, prima di un litigio, nel momento in cui sentiva la collera salire alla testa.

 

Quella giorno invece non aveva contato. E questo non se lo sarebbe mai perdonato.

 

In meno di dieci minuti erano già arrivati alla loro solita destinazione: Mergellina all'alba.

Roberto osservò l'orologio e sorrise, la madre per lo stesso tragitto impiegava più del doppio del tempo.

 

Bruno non sapeva esattamente cosa avesse voluto dire al suo amico, cosa avrebbe avuto il coraggio di dirgli e cosa  invece avrebbe censurato. 

 

Non era da lui correre dall'amichetto del cuore per parlare dei suoi problemi, ma per la prima volta, quella sera, aveva sentito il bisogno di raccontarsi, ovviamente entro certi limiti, a qualcuno. 

Quel qualcuno era Roberto.

Non sapeva quando, né esattamente come e perché, proprio il bel ragazzo biondo e mezzo dandy incontrato un anno prima mentre valutavano nella sede di fuorigrotta i vari indirizzi di ingegneria, era diventato degno di essergli amico.

 

Posò con cura il casco sullo specchietto sinistro della moto che aveva accostato al marciapiede prima dell'inizio della zona a traffico limitato. Scavallò il muretto del lungomare e prese tempo cercando il giusto masso sul quale sedersi scompostamente.

Prese tempo ad osservare castel dell'ovo che veniva metteva in risalto dalla leggera luce del primo mattino. 

 

Gli era sempre piaciuto quel monumento antico, non solo perché era il castello più grande della sua città, non solo perché era il simbolo del golfo che più amava, ma per la sua storia.

 

Costruito nel I secolo in un primo momento come villa di un imperatore romano, che lo aveva scelto per la bellissima posizione, fu subito soggetto di una leggenda secondo la quale il poeta latino Virgilio - che nel medioevo era considerato anche un mago - nascose nelle segrete dell'edificio un uovo che mantenesse in piedi l'intera fortezza. La sua rottura avrebbe provocato non solo il crollo del castello, ma anche una serie di rovinose catastrofi alla città di Napoli.

Durante i secoli fu distrutto da catastrofi naturali e non più e più volte tanto che il disegno iniziale degli aragonesi e degli Angiolini, che si susseguirono nella città partenopea a distanza di poco tempo e trasformarono la villa romana  in fortezza, è stato praticamente perso nei vari restauri. Nonostante tutto è sempre rimasto vivo il mito dell'uovo, tanto che si dice che nelle varie ricostruzioni questo è stato addirittura sostituito per evitare la distruzione della città. 

 

Tirò su e giù la cerniera del suo chiodo in pelle di nappa nero, poi si arrese al fatto che avrebbe dovuto dire qualcosa a Roberto, aprì e richiuse la bocca senza emettere un fiato. Finalmente parlò: «Le ho dato uno schiaffo, in pieno viso» buttò fuori parlando con lentezza esasperante, sembrava che ogni parola pronunciata gli avesse bruciato il petto, lungo i bronchi , ai polmoni, alla trachea fino alle corde vocali e la gola.

 

Bruno si prese una pausa, fece un respiro profondo, contò ed aspettò fino allo zero. Perse altri preziosi secondi osservando l'amico che alzava il volto verso il mare, lasciando che il sole appena sorto illuminasse i suoi tratti decisi ma piacevoli, resi più delineati dal gioco di ombre e luci che creava il cappuccio della felpa, che quest'ultimo si era tirato sopra la testa per proteggersi dall'umidità del mare a quell'ora del mattino. 

 

Aveva usato quei secondi per rigirarsi nella testa  il discorso che aveva già formato quando aveva deciso di andare sotto casa di Roberto. 

Il difficile, arrivati a quel punto, stava solo nel parlare, nel pronunciare quelle parole, che per quanto fosse consapevole che fossero quelle giuste, gli apparivano lo stesso pesanti come macigni. 

 

Prese coraggio, solo perché l'amico in quell'istante aveva ancora lo sguardo assorto sull'orizzonte e non lo stava guardando, o perché sentiva che Roberto non lo avrebbe mai giudicato. 

«Roberto, sii il mio testimone, oggi primo settembre, io Bruno» si fermò per un attimo, deglutì, poi continuò come se nulla fosse, consapevole che il suo amico aveva appositamente ignorato la sua interruzione, abituato com'era a non sentirgli mai pronunciare il suo cognome «Borghese, giuro che non mi avvicinerò mai più ad una donna. Non mi affezionerò; non le inviterò ad uscire; farò in modo che nessuna voglia mai legarsi a me proprio come io non lo farò mai con loro; mi mostrerò a tutte per quello che sono: Un demone».

 

Accettiamo l'amore che crediamo di meritare pensò Roberto continuando ad guardare il sole levarsi sul mare, ma non osò dirlo ad alta voce.

Allungò goffamente il braccio sulle sue spalle e si girò solo dopo qualche secondo ad osservarlo. 

Aveva un viso curioso il suo amico, pensò Roberto.

 

Una volta Bruno gli aveva confessato che  era stato suo padre a dargli il soprannome di demone.

 

Un pomeriggio, tornando dal lavoro prima del solito,  l'uomo aveva  trovato il figlio nel bagno che sorrideva soddisfatto mentre intasava il water con i suoi amati orologi costosi. 

Bruno all'epoca dell'accaduto aveva tre anni.

Per un motivo a Roberto sconosciuto il ragazzo non si era mai liberato di quel soprannome, anzi, sembrava che gli piacesse che lo chiamassero così quando si riferivano a lui, sia quando questo era presente che alle sue spalle.

 

Inconsciamente Bruno aveva accettato quel soprannome perché a tutti gli effetti lui era un demone, si sentiva tale, si comportava come tale.

Anche lo specchio glielo ricordava ogni mattina. I suoi lineamenti avevano un ché di maligno: il naso dritto alla greca e i canini aguzzi e brillanti, gli occhi color cioccolato leggermente infossati sotto le sopracciglia e perennemente contornati da occhiaia livide, il tutto incorniciato da dei capelli castani leggermente mossi, che ricordavano così tanto quelli di un giovane puttino, o dello stesso dio, quello che aveva appena rinnegato, Cupido.

 

Due opposti in un solo volto, diavolo e acqua santa, nero e bianco, paura e tranquillità, pericolo e sicurezza, orrore e speranza, odio e amore.

 

Bruno era tutto ciò ed era anche la dimostrazione che queste cose potessero convivere e dare vita a qualcosa di stupendo, fragile ed unico che era ciò che si racchiudeva nel sui sguardo.

 

Certo, era uno sguardo ostile il suo, ne era consapevole Bruno e lo era anche Roberto, ma c'era dell'altro in quello sguardo. 

 

L'unico problema era che solo poche persone avevano la profondità d'animo o la semplice voglia, e forse il coraggio, di inoltrarsi in quell'oscurità per cercarlo. 

 

Non sarebbe mai stato lui a mostrarsi, mai più si sarebbe avvicinato tanto da farsi ferire, tanto da rendersi debole.

 

Tutto quello che succedeva nella sua vita lo avvicinava sempre più alla consapevolezza che i geni non fossero acqua e che lui infondo, come suo padre, era il male. 

Era un demone.

 

Roberto smise di fissarlo ed i suoi occhi verdi tornarono all'orizzonte ormai limpido.

Come poteva la natura, in un giorno così orribile per le due persone alle quali era più vicino in assoluto, essere così indifferente?

Ora sì che si sentiva Thomas Hardy che osservava le disgrazie di Tess sotto la luce limpida del sole di Wessex, maledicendo velatamente la natura superiore, che da sempre delle umane disgrazie non si cura.

 

 

*Nella foto il golfo di Napoli con castel dell'ovo

 all'alba.

  
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