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Autore: Sophja99    09/09/2016    8 recensioni
Sono ormai passati milioni di anni dal Ragnarok, la terribile sciagura che ha provocato la morte di quasi tutti gli dei e le specie viventi e la distruzione del mondo, seguita dalla sua rinascita. Grazie all'unica coppia di superstiti, Lìf e Lìfprasil, la razza umana ha ripreso a popolare la nuova terra. L'umanità ha proseguito nella sua evoluzione e nelle sue scoperte senza l'intercessione dei pochi dei scampati alla catastrofe, da quando questi decisero di tagliare ogni contatto con gli umani e vivere pacificamente ad Asgard. Con il trascorrerere del tempo gli dei, il Ragnarok e tutto ciò ad essi collegato divennero leggenda e furono quasi dimenticati. Villaggi vennero costruiti, regni fondati e gli uomini continuarono il loro cammino nell'abbandono totale.
È in questo mondo ostile e feroce che cresce e lotta per la sopravvivenza Silye Dahl, abile e indipendente ladra. A diciassette anni ha già perso entrambi i genitori e la speranza di avere una vita meno dura e solitaria della sua. Eppure, basta un giorno e un brusco incontro per mettere in discussione ogni sua certezza e farle credere che forse il suo ruolo nel mondo non è solo quello di una semplice ladruncola.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo uno

La ladra

 

Era incredibilmente facile rubare. L'aveva fatto talmente tante volte che ormai le veniva naturale, come mangiare o bere. Per lei era diventato il suo pane quotidiano, qualcosa senza cui non poteva stare, e con il tempo aveva affinato le sue tecniche, tanto da vederlo ormai come un gioco da ragazzi.

Prima di tutto doveva scegliere la sua preda: i più facili erano gli svampiti che dimenticavano di chiudere i bottoni delle borse o i bambini che venivano incaricati dai genitori troppo occupati di andare a comprare del pane o un po' di frutta al mercato e non avevano altro posto dove mettere gli spiccioli se non in mano. Neanche si accorgevano del furto e, quando lo facevano, era ormai troppo tardi per recuperare ciò che avevano perso.

Poi vi erano le vittime più complicate e che richiedevano più impegno: chi si teneva ben stretta la propria scarsella (in questi casi, doveva aspettare che venissero distratti da qualcosa o creare lei stessa la distrazione) e gli uomini di corporatura massiccia. Le donne erano già più facili e vulnerabili, soprattutto quando erano al mercato o nei negozi e si fermavano a vedere e tastare la qualità della merce messa in vendita. Passava un'eternità prima che fossero pienamente sicure di stare compiendo un buon acquisto, specialmente se si trattava di cibo e vestiti. Gli uomini, d'altro canto, erano più sbrigativi e celeri e non poteva mai sapere il tempo preciso che avrebbero passato girati e assenti. Diverse volte, quando era più giovane, le era capitato di essere scoperta proprio da questi e allora doveva decidere in fretta se lasciare perdere o compiere la scelta azzardata di affrontarlo e tentare di strappargli di mano il borsello e tutto il suo contenuto.

Quel giorno era stata fortunata, complice il fatto che quella era una giornata festiva e l'intero villaggio di Vargr era colmo di gente che, libera dal lavoro e da impegni di ogni sorta, riempiva tutte le vie e le piazze. Era anche riuscita a prendere la tracolla di una signora nella calca della strada senza che nessuno se ne accorgesse.

E ora aveva appena avvistato la sua prossima vittima. Si calò il cappuccio del mantello scuro sulla testa per nascondere la massa di riccioli rossi e per evitare di fornire segnali di riconoscimento della sua identità. La preda occhiata era un'anziana donna piegata un poco in avanti nell'intento di controllare delle verdure di una bancarella particolarmente in alto. Vestiva un abito blu molto bello, indossato appositamente per quel giorno di festa. Aveva capelli corti e bianchi, con ancora qualche ciuffo nero sparso. La sacca che portava a tracolla si era tirata in avanti con tre bottoni slacciati, lasciando aperta quasi la metà di essa, quanto bastava per introdurvi una mano. L'attenzione di Silye venne totalmente attratta da essa. Era come se la stesse chiamando, pregando che vi infilasse le dita.

"Niente di più semplice" penso, lasciandosi scappare un ghigno, che subito soppresse per non destare sospetti sulle sue intenzioni. Si avvicinò al negozio. Fortunatamente la bancarella era piccola e c'era spazio per poco più di quattro persone. Così avrebbe avuto il pretesto per mettersi il più vicino possibile a lei e nascondere la mano e quello che avrebbe tratto fuori dalla borsa. Si sistemò accanto a lei e si finse attratta da delle verdure davanti a sé. Quella si tirò indietro e si rigirò tra le mani due cetrioli. Come accortasi della sua presenza, si voltò verso di lei e Silye le sorrise. Riprese a guardare le patate di fronte a lei e, vedendo le casse quasi completamente vuote, le venne un'idea sulla conversazione da intrattenere.

«Questo mese la raccolta non è stata molto abbondante» affermò, aggiungendo un leggero sospiro.

«Già, la neve ha reso le cose molto difficili» ribatté quella, lanciandole un'altra occhiata, per poi tornare a soppesare le verdure tra le sue mani.

Era il momento perfetto. Si finse interessata a dei ceci e, nell'intento di prenderne un paio, si avvicinò di più alla donna distratta, mentre l'altra mano entrava nella sacca e, cercando di fare i minimi movimenti, afferrava un borsellino in cui era certa si trovassero i soldi. Lo scosse piano e il leggero e quasi impercettibile tintinnio che le arrivò alle orecchie le diede la risposta che cercava. Tirò in fretta fuori la mano e fece per nasconderla nel mantello, ma in quel momento l'anziana portò una mano sulla corda della tracolla, come se fosse indecisa se tirare fuori i soldi e pagare o no. Così facendo, sfiorò quella di Silye e bastò quel leggero contatto per trasportarla lontano da quella bancarella e da quel villaggio. Cercò di aggrapparsi all'immagine che aveva dell'anziana che si voltava di nuovo verso di lei, ma venne inesorabilmente sostiuita da un'altra. Ora vedeva sempre quella stessa donna, solo in un'età molto più avanzata, illuminata dalla tenue luce proveniente da una candela che stava per esaurirsi. Era su un letto, forse quello di casa sua, ed era troppo debole per alzarsi. Aveva il viso rugoso imperlato di sudore e sulla fronte un panno bagnato di acqua gelida, nel tentativo di far abbassare quella febbre che le stava così violentemente strappando la vita. Vicino a lei stava in piedi una donna adulta, dal viso grazioso vagamente simile a quello dell'anziana e deteriorato da una smorfia di dolore e da copiose lacrime che cadevano senza freno fino a scenderle sul collo. Accanto a lei c'era un bambino dai capelli mori, con in viso un'espressione confusa e spaventata. Alla sua tenera età non poteva capire il motivo per cui la madre era tanto disperata e la nonna era seduta su quel letto. L'anziana li guardò con affetto e allo stesso tempo sofferenza. Sentiva le poche forze rimastele venire prosciugate dalla malattia e le palpebre farsi sempre più pesanti. Voleva solo dormire. Era certa che se si fosse riposata un po' si sarebbe ripresa. Ed è con quell'ultimo pensiero che la vita la lasciò, proprio nel momento in cui la fiamma già fioca si spegneva, gettando la stanza in una profonda tenebra, la stessa a cui era andata incontro l'anziana.

Intorno a lei divenne tutto buio e dopo poco la realtà e il presente tornarono ad accoglierla. Fece fatica a mettere a fuoco le immagini sfocate che le si presentarono di nuovo davanti ai suoi occhi. La prima cosa che vide fu la faccia sorpresa dell'anziana, la stessa che solo pochi attimi prima aveva visto morire. Aveva notato il borsellino di sua proprietà stretto forte tra le dita di Silye ed ora il suo viso si stava oscurando man mano che comprendeva cosa stava accadendo. Tutto era ripreso a scorrere dall'attimo stesso in cui si era fermato.

Silye chiuse gli occhi e li aprì subito dopo. E solo allora, sentendo le urla della donna che gridavano «È una ladra! Sta rubando il mio denaro!» e gli sguardi curiosi delle persone che si fermavano a guardare la scena, capì cosa doveva fare.

Iniziò a scappare proprio quando vide dei soldati della corona andare nel punto da cui provenivano le grida dell'anziana. Riuscì a confondersi facilmente tra la gente e continuò a camminare spedita fin quando non fu più possibile per lei udire quella voce acuta.

Ormai la giornata era andata sprecata. Se si fosse messa a rubare di nuovo sarebbe dovuto stare attenta a non incrociare più l'anziana, né i passanti che avevano assistito alla scena. Non poteva correre il rischio di essere scoperta e arrestata. Sarebbe stato più saggio tornare a casa, nonostante quello che aveva guadagnato bastava a malapena per comprare qualche stupidaggine da mangiare. Si concesse solo un pezzo di pane, giusto per non rischiare di rimanere a digiuno fino a sera.

Dovette fare più strada del solito, poiché quel giorno aveva deciso di provare a visitare un villaggio diverso da quello in cui era solita andare. Vargr era piuttosto lontano da casa sua, se così si poteva chiamare. Non viveva in una vera e propria abitazione, quanto più in una minuscola capanna dispersa nel bosco di Hoddmímir, il luogo perfetto per andare a caccia e procurarsi del cibo tutti i giorni, nonché il nascondiglio perfetto per una ladra come lei. Se anche un giorno avessero scoperto la sua identità, non sarebbero mai arrivati a cercarla in quella catapecchia. Una volta doveva essere stata una sorta di bottega di un fabbro ora abbandonata da tempo. Non aveva un letto, né alcun mobile di cui solitamente si riempivano le case più spaziose. Le bastava dormire per terra su un cumulo di erba e l'importante era che avesse un camino per scaldarsi l'inverno, che una volta veniva usato dal fabbro per forgiare i suoi attrezzi e le armi. C'erano addirittura un tavolo e una sedia su cui appoggiarsi per mangiare. Praticamente il paradiso. Come aprì la porta, venne travolta dalla gioia nel rivederla tornata a casa di Úlfur, un cane husky di colore grigio e a tratti bianco.

«Piccolo birbante!» esclamò, tirandosi giù il cappuccio e accarezzandolo. Quello in risposta tirò fuori la lingua. Silye rise.

Úlfur le era stato regalato dal padre all'età di dieci anni, quando era solo un piccolo cucciolo nato da qualche mese, e fin da allora le era sempre stato accanto. Si era sentita accomunata a lui sin dalla prima volta che lo aveva visto. Forse era perché entrambi si sentivano diversi dal resto della società, legati dalle loro differenze. Silye per i suoi capelli selvaggi e i suoi occhi grigi, visti da tutti con diffidenza a causa delle solite e ridicole superstizioni a cui tanti credevano morbosamente, e il cane per la sua rara eterocromia: infatti, aveva un'iride azzurra e l'altra tendente al giallo. Dalla morte del padre, avvenuta quando aveva dodici anni, lui era stato il suo unico amico e la sua unica compagnia. Stando con Úlfur, era come se tenesse vivo il suo ricordo. Arild Dahl, suo padre, era stato il più grande ladro di tutta Midgard, ricercato in ogni terra e paese in cui avevano messo piede nei loro innumerevoli viaggi. Era stato lui ad insegnarle l'arte della sopravvivenza, della caccia e, soprattutto, del furto. Lo aveva sempre visto come un modello di vita da cui prendere esempio nel futuro e gli anni passati con lui sono stati i più felici della sua vita. La sua morte aveva creato un vuoto dentro di lei, molto più profondo di quello lasciato dalla madre, che non aveva mai conosciuto perché morta partorendo lei. Quando l'aveva saputo, aveva cominciato a darsi la colpa per questo, a dire che era stata lei ad ucciderla, ma fu Arild a convincerla del contrario, affermando che, invece, doveva sentirsi grata per l'opportunità che le aveva dato sua madre, senza perdere tempo a rimembrare dolorosi eventi passati. Era grazie al suo sacrificio che ora poteva vivere e doveva esserne solamente grata. Lei le aveva dato la vita e Arild aveva fatto in modo che non andasse sprecata, insegnandole tutte le sue conoscenze. Nel corso degli anni aveva affinato le sue tecniche nel furto, sempre con l'aiuto del padre, tanto da diventare abile quasi quanto lui. Spesso Arild rapinava di notte le case delle persone o i negozi, ma non le aveva mai permesso di accompagnarlo. Lei preferiva rubare nella maniera più semplice e veloce, a diretto contatto con le persone, in cui era particolarmente avveduta. Solo poche volte era stata scoperta, incluso l'episodio di quel giorno con l'anziana, e in ogni caso era stata colpa di quelle strane visioni. Avvenivano solo quando toccava qualcuno, ma fortunatamente non tutte le volte, altrimenti sarebbe stato impossibile per lei continuare a praticare il suo mestiere di ladra. Con il tempo ci aveva fatto l'abitudine e non le creavano troppi problemi, ma la faceva comunque infuriare. Non sempre la facevano scoprire, ma ogni volta, dopo aver visto tutta la morte e la sofferenza in esse, la lasciavano debole e intimorita. Odiava farsi vedere in questo modo. Lei era forte e come tale doveva mostrarsi. Eppure, spesso sperava che suo padre fosse ancora lì con lei, per proteggerla e aiutarla nella sua dura vita.

Scosse la testa. Ogni volta che pensava ad Arild si riapriva dentro di lei una voragine che più volte aveva sperato di essere riuscita a richiudere o sanare crescendo. Ma il dolore per la sua morte era ancora vivo dentro di lei, insieme ad una rabbia che non voleva provare, ma che non riusciva a sopprimere.

Tentò di distrarsi da quei pensieri accarezzando il cane nel punto che più gli piaceva, cioè sotto le orecchie.

«Ti va di mangiare qualcosa e poi andare un po' a caccia?» gli chiese, conoscendo già la risposta. Úlfur, che si era steso a terra per farsi coccolare, si tirò subito su e iniziò a scodinzolare felice dopo aver sentito quell'ultima magica parola.
 

 

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Salve a tutti! Ringrazio subito coloro che hanno recensito il prologo: siete stati gentilissimi! Devo solo avvertirvi che dovrete aspettare una settimana e forse più per leggere il secondo capitolo perché non potrò pubblicarlo prima di allora. Intanto auguro a tutti un buon inizio scuola a chi è già rientrato, se c'è qualcosa di "buono" nel riniziare la scuola:)
Un'ultima cosa: il secondo disegno è fatto da me. So che non sono proprio brava, ma ci tenevo a fare qualcosa di mio da integrare alla storia, poter dare una mia personale interpretazione di come immagino esteticamente la protagonista, ispirandomi ad un'artista i cui disegni ritengo siano semplicemente spettacolari, Cris Ortega. Ancora tanti saluti!

   
 
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