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Autore: Cassie chan    02/05/2009    5 recensioni
ATTENZIONE: non tiene conto degli eventi del settimo libro...!!Sono passati alcuni anni dalla fine della guerra, ed Hermione Jane Granger vive estromessa dal suo mondo, quello della magia, a causa di una condanna ricevuta tempo prima. Fidanzata delusa, disoccupata cronica, cinica perenne, Hermione ormai dispera dell'arrivo del principe azzurro. Ma quando arriva, non è facile riconoscerlo nelle fattezze affascinanti ma DECISAMENTE irritanti di Draco Lucius Malfoy, specie se babbano anche lui... ma la vita è decisamente strana e può anche capitare che ci si imbatta in una piccola fiaba, proprio quando si credeva di vivere in un incubo...:) PUBBLICAZIONE CAPITOLO 51 : 14 LUGLIO 2020
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Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Lavanda Brown, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'THE "HAVE A LITTLE FAIRY TALE" SAGA. ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Capitolo 2 – Walking in a dark forest

Capitolo 2 – Walking in a dark forest

 

 

Parliamoci chiaro, io non sono mai stata innamorata di Dean Thomas.

Questo sembra essere piuttosto chiaro.

In effetti, è abbastanza strano che io non riesca a smettere di piangere, che mi senta così vuota ed, al contempo, così maledettamente sola. Mi sento come una barchetta in mezzo al mare, abbandonata nei flutti di una tempesta nera e minacciosa di cui non vedo la fine.

E questo è tremendamente strano.

Allora, chiariamo una cosa. Può sembrare enormemente strano che io mi meravigli di essere disperata perché il mio ragazzo se n’è andato di casa, e soprattutto che ammetta candidamente di non amarlo, pur vivendo con lui da un anno e mezzo. Le cose strane, come insegnano tutti gli scienziati e i filosofi, però, hanno sempre una spiegazione, a volte persino più razionale di quella delle questioni su cui esistono fior fior di teoremi e di leggi. Quindi anche questa cosa ha una spiegazione, e la sua spiegazione si comprende facilmente alla luce di quello che mi è successo in questi anni.

Allora, tutto è cominciato l’ultimo anno ad Hogwarts. Silente era morto, ucciso a tradimento da Severus Piton; l’Ordine della Fenice aveva perso il suo capo indiscusso e la figura certamente più potente. Silente era stata l’unica persona di cui effettivamente Voldemort aveva mai avuto paura, ed ormai non c’era più. Quell’estate, Harry aveva deciso di andare da solo a cercare gli Horcrux e anche io e Ron avevamo deciso di aiutarlo. Furono due anni molto difficili, avevamo viaggiato per tutto il mondo magico, ma alla fine ce l’avevamo fatta. Distrutti gli Horcrux, Harry era riuscito con il mio aiuto e quello di Ron a battere definitivamente Voldemort. Era stato difficile, estenuante, e non credo che dimenticherò mai né quel giorno, né quei due anni passati a vagabondare sulle tracce di minimi indizi dei preziosi pezzi d’anima di Voldemort. Se distruggere gli Horcrux era stato qualcosa di nemmeno lontanamente immaginabile come facile, distruggere Voldemort era stata la parte peggiore; nonostante avesse perso gli Horcrux, era sempre uno dei più grandi maghi di tutto il mondo. E io, Ron ed Harry non eravamo null’altro che tre diciottenni che non avevamo neanche finito, con mio sommo orrore al pensiero, l’ultimo anno di istruzione magica. C’è anche da ricordare che per distruggere uno solo di quelli Horcrux, Silente si era indebolito a tal punto da non opporre resistenza, quando lo avevano ucciso. A volte, nel cuore della notte, ricordo ancora le prove terribili che ci sono state imposte, e le loro tracce non se ne andranno mai. Io e Ron, sebbene non avessimo una profezia alle spalle come Harry, cercavamo sempre di dividere equamente le cose con lui, in maniera che rimanessimo sempre tutti e tre vivi e nessuno dovesse sopportare di più rispetto agli altri, perché quel più poteva essere il piccolo passo da compiere nel cammino che ci portava alla morte. Insomma, davvero la nostra unione è stata la forza. Sono stata fino all’anno scorso in cura da una specie di psicologa magica ed ancora adesso ho una ferita magica sullo stomaco, che riprende a sanguinare nelle notti di novilunio, ma sono abbastanza razionale per sapere che poteva andare decisamente molto peggio. Harry deve bere dieci pozioni diverse al giorno per contrastare gli effetti dell’ultima maledizione di Voldemort e Ron ha ferite sparse come me, ma l’ho detto, poteva andarci molto peggio. Nell’ultimo scontro, se non fosse stato per l’Ordine della Fenice, gli Auror, i membri dell’ES e, stranissimo a pensarci, anche per Draco Malfoy, che era passato dalla nostra parte, probabilmente non ce l’avremmo fatta. Ma, proprio come aveva intuito Silente e come al contrario mai aveva capito Voldemort, l’unione delle persone rendeva possibile ogni cosa; quello che una persona tenta di fare da sola, non sarà mai neanche la metà del risultato che si può ottenere, chiedendo aiuto a qualcuno. Se Harry non si fosse lasciato aiutare da me e da Ron, forse sarebbe morto alla distruzione del primo Horcrux. E se tutti e tre fossimo stati troppo tronfi di orgoglio da rifiutare l’aiuto degli altri nell’ultima battaglia, anche quello per noi quasi aberrante di Draco Malfoy, Voldemort ora sarebbe il Signore incontrastato del Mondo magico e no. Comunque, indipendentemente da come erano andate le cose quel giorno, dopo tutte le nostre vite si sono più o meno separate; ognuno, per fortuna nostra, aveva ancora in serbo i suoi sogni e i suoi sentimenti e, dopo un periodo di letargo forzato a causa della guerra e del suo tipico appiattimento nel presente e nella necessità del sopravvivere, tutti siamo tornati a pensare serenamente al futuro. Ci sono persone che non vedo da anni, che ne so, Luna Lovegood, Calì Patil o anche lo stesso Draco Malfoy, anche le persone che vedo sempre sono lontane nelle intenzioni da me; nessuno è più disposto a sacrificare nessuno dei suoi sogni, anche se dovesse costare separarsi da chi si è amato di più. Harry, per esempio, dopo una carriera sfolgorante, è diventato il Ministro della Magia ed ovviamente è sempre carico di impegni, e chi lo vede? Ron è diventato un Portiere famoso di una squadra importante, non so come si chiama, ma fa soldi a palate. Ginny è una Medimaga e, incredibile ma vero, Neville Paciock insegna Erbologia nella rinata Hogwarts. Sembrerebbe strano pensare a tutto questo, soprattutto considerato quello che io sono diventata. Ognuno di noi sembrava perfettamente inserito in un tracciato, in un sentiero preciso, ma poi quello che sembrava dovessimo essere si è trasformato in un ricordo. Infatti, io, quella che forse ci sarebbe stata bene ad essere la sostituta ufficiale della McGranitt, sono invece diventata il capo dell’Ufficio degli Auror. Certo, ci si aspettava che lo fosse Harry, ma credo che dopo una vita passata a barcamenarsi tra le forze oscure, il bambino sopravvissuto ne fosse decisamente stanco. Io, invece, nonostante volessi diventare un insegnante, ho scelto questa strada, dopo gli anni di battaglie che mi hanno sì terrorizzata, ma dato una carica ed una forza che prima certamente non possedevo. Diventare un auror è stato abbastanza semplice, in fin dei conti dalla guerra ero uscita con una sfilza di riconoscimenti ed encomi ed avevo più esperienza di molti altri auror più anziani di me. In poco tempo, poi, sono diventata il capo dell’Ufficio e sono riuscita a sgominare molte azioni dei residui Mangiamorte. Sembra un necrologio, la successione delle azioni meritevoli di lode nella mia esistenza e nella mia carriera, ed effettivamente è proprio così. Ora, io non sono niente di tutto questo; né un Auror, tantomeno il loro capo e, soprattutto, non sono neanche una strega. E non lo sarò per altri due anni.

Mi alzo dal letto e raggiungo la cassettiera della mia scrivania; distrattamente, apro un cassetto e frugo tra le mille cose che ci sono lì, sorrido per una fotografia di me e Dean l’anno scorso, e finalmente trovo quello che cercavo. Una collana d’oro giallo con un ciondolo quadrato, smaltato di un bel rosso acceso. Il gancetto, che serve per chiuderlo, è rotto da anni; cosa perfettamente inutile perché questa collana non l’ho indossata mai. Non perché non mi piaccia, non perché è rotta, ma perché non è mia. La giro tra le mie dita e leggo cosa vi è inciso sul retro del ciondolo… una frase piccola ed apparentemente innocente… una frase d’amore, però anch’essa non per me. Alla mia Eloise... quando non sarai più parte di me, ritaglierò del tuo ricordo tante piccole stelle, e il cielo diventerà così bello che tutto il mondo si innamorerà della notte. La stringo un po’ tra le dita, forte, le mani che mi fanno male, tese a pugno. Per questa collana, per averla, io ho perso tutto. Una volta, la mostrai a Ginny. Lei mi guardò sconvolta e me la strappò dalle mani tra le mie proteste, voleva gettarla via, le sembrava inconcepibile che la conservassi con tanta cura maniacale. Riuscii a riprendermela e le dissi che non era un gesto di follia, era solo un monito per ricordarmi per sempre quello che era successo, in modo da non ripetere gli stessi errori una seconda volta. Ricordo che cosa replicò Ginny drammaticamente. Che errori avresti fatto Hermione? Non hai sbagliato in niente, a parte se si deve considerare l’amare un errore.

Tante volte, tanto tempo, oserei dire infinite volte, infinito tempo io invece avevo pensato il contrario.

Io e Ron ci eravamo messi assieme il giorno successivo al matrimonio di Bill e Fleur e quello precedente alla partenza assieme ad Harry. L’ultimo giorno normale che avremmo vissuto per almeno due anni; ancora adesso, lo ricordo come il giorno più bello della mia vita. Era giugno e faceva ancora fresco, era una serata piena di stelle cadenti ed io, Harry, Ron e Ginny eravamo sul tetto della Tana a guardare le stelle. Nessuno, a parte noi tre e Ginny, sapeva che saremmo partiti il giorno dopo all’alba. Nonostante ci dovessimo alzare presto e fossero già le tre di notte, non andavamo a letto. Restavamo in silenzio, le scie delle meteore negli occhi, esprimendo il solo desiderio che tutti avevano nel cuore. Essere ancora vivi l’anno prossimo per poter guardare ancora le stelle, tutti assieme ovviamente. Non bastava che fossimo in due o in tre, dovevamo esserci tutti. Dal primo all’ultimo. Ginny era accoccolata tra le braccia di Harry e piangeva in silenzio, me lo ricordo come se fosse ieri. Vedevo solo le sue lacrime scendere e lei non parlava, non diceva niente di niente, neanche singhiozzava. Io abbracciavo Ron. Non mi disse niente di speciale per tutta la sera, anche per me e per lui non c’era nessuna parola sufficiente e valente di significato. Solo all’alba, lui mi disse sottovoce, accarezzandomi la testa: “Non sopporterò di morire se prima non ti avrò detto questa cosa. E dato che è molto probabile, è meglio che te lo dica subito”. Per la prima volta nella mia vita, rimasi in silenzio, intimamente credo che sapessi perfettamente che cosa stava per dirmi.  Mi voltai verso di lui, mentre lui sussurrava, la fronte appoggiata sulla mia tempia e il respiro sulle guance: “Sono innamorato di te, Hermione, non so nemmeno io da quanto. Vorrei stare con te, ma se non è possibile, basta che te l’abbia detto stasera… prima che, insomma…”. Sorrisi ai suoi balbettii, mi era già sembrato strano che non avesse tentennato nella sua dichiarazione. Io, che sono sempre così prolissa, non dissi assolutamente nulla, mi appoggiai meglio a lui e rimasi immobile e in silenzio, con un tenue sorriso sulle labbra. Ron capì e mi strinse più forte, baciandomi sulla fronte. Mi decisi a baciarlo veramente solo quando mi accorsi che Harry e Ginny si erano addormentati, la luce dorata che mi faceva piangere, il mio cuore che si librava senza preoccupazione alcuna.

Siamo stati assieme tre anni.

Paradossalmente, al contrario di quello che si possa pensare, il più difficile è stato l’ultimo, non i primi due, quelli del viaggio. Gli anni del terrore, gli anni della paura, gli anni di quella ricerca che alcuni momenti sembrava così vana ed inutile, sono stati per noi due i migliori. Perché? Per paura. Solo per quel timore che mi ingombrava le viscere tutto il giorno, che stringeva il respiro la sera quando andavo a letto e mi chiedevo se la mattina mi sarei svegliata, che mi gelava il sangue quando mi svegliavo la mattina e mi chiedevo ossessivamente se non era forse l’ultima volta che vedevo il sole… per quell’angoscia, ogni volta che constatavo che, nonostante tutto, ero ancora viva, tra me e Ron le cose andavano bene. Non volevo litigare con lui, se poco dopo dovevamo affrontare un nuovo ostacolo; non volevo rispondergli male, se subito prima ci eravamo salvati per miracolo da un gruppo di Mangiamorte; non volevo contraddirlo, se si avvicinava sempre di più la battaglia con Voldemort e sembrava sempre più insormontabile. Mi bastava essere ancora viva, e che lo fossero anche Harry e Ron. Il resto non contava; era istinto di sopravvivenza, era voglia di vivere fino all’ultimo secondo, era terrore, io non lo so. Comunque, nonostante l’inferno che mi circondava, era come essere sospesi in una bolla luminosa, che volteggiava sopra quel delirio. Non veniva scalfita, solo sfiorata. Ho ingoiato dosi per me letali di orgoglio, ho vinto le insicurezze, ho sconfitto le incertezze solo per un attimo ancora di vita con lui. Quando lui mi chiese di fare l’amore con lui, non ci pensai nemmeno mezzo secondo. Stavamo assieme da neanche due settimane, e, quando lui aprì la bocca per farmi quella domanda, non lo feci nemmeno finire. Mi aprii la camicetta, presi tra le mie la sua mano portandola sul mio seno, facendomi baciare da lui, avido della vita che moriva attorno a noi sempre di più, lasciandoti superstiti di un mondo in cancrena. Ogni sera, nonostante fossimo feriti, nonostante alle volte faceva male, nonostante fossimo stanchissimi, nonostante Harry potesse sentirci, ripetevamo il nostro rito, quasi come una danza propiziatoria. Urlavo silenziosamente al cielo, grata che nonostante tutto fossi davvero ancora viva, riconoscente a lui, e lui riconoscente a me. Se la morte non aveva toccato i nostri corpi, non toccava ancora la nostra anima, che non si accartocciava su sé stessa, agghiacciando, ma sapeva ancora infiammarsi di vita.

Lessi una volta una frase su qualche libro; una donna innamorata diceva: “Ci sono solo due giorni a cui non penso: ieri e domani”.

Quando la guerra finì, improvvisamente esistevano sia l’ieri che il domani. Li avevo sempre beatamente ignorati, l’ieri perché non potevo bearmi di quello che avevo già superato, essendoci ancora tanto da fare; il domani, perché non potevo crogiolarmi in esso, se non sapevo nemmeno se sarebbe esistito. A poco a poco, invece, non appena arrivammo faticosamente alla pace, c’erano entrambi ed erano sempre più importanti dell’oggi. Ieri c’era stata la ricorrenza che avevi scordato, la lezione che avevi saltato, la bolletta che non avevi pagato, la parola che non avevi sopportato; domani ci sarebbe stato l’esame per la fine del mio corso, il provino di Ron per la squadra di Nashville, la convivenza, forse il matrimonio con figli annessi e connessi.

Iniziammo a litigare sempre più spesso. Per cose sceme, per cose importanti, per cose sceme per lui ed importanti per me, e viceversa.

Io dicevo che era troppo immaturo, lui che ero troppo rigida, troppo poco elastica.

Proprio come accadeva ad Hogwarts. Ma peggio.

Stavolta non c’era Harry a fare da paciere. Stavolta eravamo anche fidanzati.

Le cose, se possibile, peggiorarono quando andammo a vivere assieme. Vivevamo nello stesso appartamento dove vivo adesso con Dean. Era lontano da dove lavoravo io e lontanissimo da dove lavorava lui; tornavamo a casa tardissimo, stanchi e nervosi, pronti a rimbeccarci in qualsivoglia occasione. Guardavamo un po’ di tv in silenzio, e poi a letto. Ovviamente a dormire.

Ma, davvero, nemmeno per un attimo, smisi di crederci a me e a lui assieme.

Era il mio destino stare con lui. Eravamo sopravvissuti a Voldemort, non potevano spaventarci le liste della spesa, le fatture da pagare e l’affitto. Lui era il mio principe azzurro da tutta la vita, stare con lui era ogni giorno una fiaba.

Questo pensavo, da sciocca allocca quale sono.

Una sera, Ron non tornò a casa. Lo aspettai tutta la sera fino alle tre del mattino, quando mi appisolai su una sedia in salotto. Lui tornò poco dopo, aprendo la porta quatto quatto. Sobbalzai e mi alzai, chiedendogli dove diamine fosse stato. Esattamente come Dean oggi, mi mentì. Mi disse che era uscito con Seamus, Neville e Dean con Lavanda, ed avevano perso la cognizione del tempo; mi baciò mentre andava in camera nostra, e mi raccontò più o meno che cosa si erano detti. A quanto pareva, Seamus aveva fatto richiesta di trasferimento a Eton per finire gli studi dato che il padre voleva che prendesse contemporaneamente un titolo di studi babbano e Lavanda, invece, stava seriamente pensando di iscriversi ad un corso per la Cura delle Creature Magiche, e quindi aveva chiesto aiuto a Bill. Chiese invece a Ron di aiutarla per gli scritti.

Quella notte, non dormii. Pensavo e ripensavo a quello che aveva detto Ron e a come mi sembrasse strano. C’era qualcosa che non tornava, non sapevo se per Seamus o per… Lavanda…

La mattina me ne dimenticai.

La sera, Ron non tornò ancora. Andava a dare ripetizioni a Lavanda.

Per cinque sere, la stessa storia.

Lo aspettavo, ma lui non tornava. La mattina era gentilissimo, mi portava la colazione a letto, contornata di fiori freschi. Era diventata una sfida, ogni giorno un fiore diverso, solo perché non ricordava quale fosse il mio preferito.

Ridevo e finalmente pensavo che le cose andassero meglio.

Fu il giorno che lui mi portò a letto un mazzo enorme di fresie che accadde tutto.

“Vado con Dean all’esame di Lavanda. In fondo, l’ho preparata io!”.

Sorrisi, mentre lui mi baciava e chiudeva la porta. Ma mentre analizzavo una sfilza di documenti sull’omicidio di una famiglia intera da parte dei Mangiamorte, mi ricordai una cosa.

Era sabato.

Il sabato non si fanno esami alla sessione per la Cura delle Creature Magiche.

Lo sapevo perché, per caso, lo avevo letto in bacheca un pomeriggio di qualche giorno prima, mentre aspettavo di vedere il Ministro Potter. Quell’informazione si era infilata come un serpente tra i miei pensieri, tornando a galla nel momento meno opportuno.

Dov’è andato allora Ron?

Chiamai Dean e gli chiesi che giorno c’era l’esame. E lui candidamente ed ingenuamente mi rispose che era la settimana prossima. Anche lui era così innamorato di Lavanda che non riuscii a dirgli nulla. Gli chiesi dove era lei, e mi rispose che era andata con Ginny a fare spese. Ovviamente Ginny era a casa sua, che imprecava per l’esame di Anatomia elfica.

Non feci nulla, fino alla sera successiva. Avevo sentito tutti i nostri amici, e sapevo perfettamente che cosa avrebbero fatto quella sera.

Herm, che fai stasera?”.

“Sono stanca, Ron, credo che andrò a letto presto… ma tu esci pure!”.

“Che pizza, volevo andare al cinema con te, lo sai che Gilderoy Allock si è messo a fare l’attore?”.

“Vagamente…”.

“Vorrà dire che uscirò con Neville… non aveva niente da fare stasera!”.

Errore. Neville era dalla nonna per il weekend.

Mi sono sempre stupita di quanto mi piaccia tendere le trappole alle persone. Che io sia divertita da questo come faccio spesso con Dean o che invece sia sconvolta come quella volta, provo sempre un sottile piacere.

Rimasi immobile, guardando la televisione con gli occhi vuoti e le orecchie tese, mentre Ron si faceva la doccia, si vestiva, mi salutava ed alla fine usciva.  Quando richiuse la porta alle sue spalle, scattai come una molla in piedi.

Mi avvicinai al telefono e composi il numero del capo della mia squadra d’Auror, Troy Beckwith.

Gli dissi di procedere con l’operazione.

Per quello, io non avevo abbastanza coraggio. Strano per un’ex Grifondoro, lo so.

Due sere prima, avevo visto Sliding doors con Gwyneth Paltrow. Una scena del film si era dipinta di colori accesi nel mio cervello.

Nel film, lei si sdoppia. Una sua sé stessa riesce a prendere la metropolitana, l’altra no, e il regista si diverte a seguire questi due destini paralleli. Quella che riesce a prendere il treno, torna prima a casa e trova il fidanzato a letto con un’altra. L’altra vive per troppo tempo nella beata ignoranza della relazione.

Chiaro che io non potevo essere la seconda. Ma nemmeno la prima.

Solo immaginare di vedere una scena del genere… mi avrebbe ucciso… ci speravo, in fondo, che non fosse vero.

E, in caso contrario, gli occhi di Troy e degli altri sarebbero stati altrettanto adatti allo scopo.

Non c’era nessun bisogno che vedessi anch’io.

Mi ero appisolata davanti alla televisione. Erano le undici e mezzo, mi svegliai di soprassalto al suono del telefono. Alla televisione, lo ricordo ancora, davano un vecchio film in bianco e nero.

Beckwith, allora?” chiesi con un filo di voce.

“Esattamente come ci aveva detto lei, Comandante… credo che non abbia niente a che fare con i Mangiamorte…” rispose assonnato Troy. Per lui, infatti, le mie paranoie del suo capo erano relative solo alla convinzione che Lavanda Brown nascondesse il ricercato ed evaso Evan McKay. Certamente non poteva pensare che le mie paranoie fossero invece sul fatto che Lavanda si vedesse con il mio ragazzo. E anche per Troy doveva essere sembrato strano che io chiedessi quel pedinamento. Lavanda, almeno per quel tipo di sospetto, ne era decisamente al di sopra.

“Questo lo lasci decidere a me…” replicai acida “Mi dica per filo e per segno che cosa ha fatto e dove è stata…”.

Sentii Troy sospirare leggermente, trattenendosi a malapena da uno sbuffo di impazienza, mentre mi raccontava tutto.

Non sentii molto, a dirla tutta.

Dopo che mi disse, scandendo perfettamente l’ora 20 e 22, che Lavanda aveva incontrato nel suo appartamento Ronald Weasley, per poi uscirne due ore dopo, non ascoltai più nulla.

I miei sospetti erano perfettamente fondati.

Con voce gelida, dissi che non era sufficiente ed ordinai alla mia squadra di fare un sopralluogo nella sua casa, approfittando del fatto che Lavanda fosse uscita. Con Ron.

Chiusi la conversazione e appoggiai la cornetta sul ricevitore.

Non ricordo di averci pianto, allora.

Rimasi immobile, raggomitolata per terra, le braccia strette attorno alle ginocchia. Appoggiai la fronte sulla gamba ed aspettai. Aspettai la nuova chiamata di Troy che mi disse che aveva requisito del materiale.

Gli dissi di portarmelo immediatamente a casa.

Esaminai le cose prese a Lavanda e le gettai subito via. Non c’era niente di compromettente in quei fogli e in quei documenti. Aprii la sua piccola agenda di cuoio rosso e chiaramente da lì emerse tutto. Date, ricorrenze, compleanni, incontri… tutte cose che esulavano da me e dalla mia conoscenza. Quelle scritte fiammeggiavano nel loro rosso acceso tra i miei pensieri, le scrutavo con ingordigia, le leggevo con insolito masochismo e ad ogni nuovo incontro mi chiedevo dove fossi io in quel momento, che cosa stessi facendo o pensando. Riscontrando che stavo lavorando, o che ero uscita con Ginny, o ancora ero da Harry, un piccolo sorriso mi curvava le labbra, che stringevo a sangue per non piangere.

Non ci volevo piangere, davvero. Strinsi i pugni, spaccai un vaso, mi misi ad urlare, ma le lacrime non scesero dai miei occhi. Tra quelle cose, trovai anche la collana in questione. All’inizio, non capii che cosa volesse dire la dedica “Alla mia Eloisa”, che era, un soprannome di dubbio gusto di Lavanda? Io ne avrei suggeriti degli altri con un rating abbastanza alto… comunque, quando mi ricordai che cosa mi avesse detto Ron solo una settimana prima, davvero realizzai che quella cosa era davvero successa.

Ron mi aveva chiesto di fargli un breve riassunto di un’opera di Jean Jacques Rousseau. Guarda caso, Giulia o la Nuova Eloisa. Protagonista? Un’allieva che si innamora del suo precettore. Che lui facesse il precettore di Lavanda, credo che fosse un debole eufemismo, oppure un’esagerazione presuntuosa, se ci riferiamo alla sua capacità didattica; insomma, l’aveva chiamata così perché si erano… non posso dire, innamorati, mi farebbe schifo… insomma, quella cosa che era successa, ci era stata perché lui le dava ripetizioni.

Gettai le cose di Ron in un cartone e le recapitai all’indirizzo dell’appartamento di Lavanda, assieme alle cose che avevano requisito nella sua casa. Tranne la collana, ovviamente, che ho ancora io. Lavanda non la indossava solo perché aveva il gancetto di chiusura rotto, che ne so, magari sul suo collo taurino non ci stava; per questo, l’aveva lasciata a casa. Poi, chiusi casa mia a chiave, presi le mie cose e salii sul primo aereo che passava.

Non ho mai fatto una cosa del genere, ne sono cosciente, di solito sono molto razionale, ma allora non ci capivo decisamente niente. Se avessi visto Londra anche in cartolina, mi sarei messa ad urlare. Insomma, l’unico posto libero era su un volo per l’Italia, Firenze precisamente, ed è lì che stetti tre settimane, incurante del cellulare, del portatile e del cercapersone pieni di messaggi. Fu anche lì che scialacquai tutti i risparmi che avevo.

Tre settimane dopo, non avevo intenzione di tornare, non avevo ancora pianto e mi rimanevano trentacinque sterline.

Fu Dean a raggiungermi. Fu lui a convincermi a tornare indietro. E fu anche con lui che finalmente piansi.

Era l’unica persona con cui effettivamente me lo sarei concesso, perché era l’unica persona al mondo che provava la stessa cosa che provavo io. Piansi per due ore tra le sue braccia, lui che se ne stava in silenzio, accarezzandomi di tanto in tanto la testa come si fa con un cucciolo di cane.

Le cose peggiorarono quando tornai a Londra.

Troy aveva capito che avevo sfruttato la squadra solo per far pedinare l’amante del mio fidanzato. Non che fosse difficile… insomma, pensare che Lavanda Brown fosse in contatto con i Mangiamorte, cretina come è. Da mesi, Troy ambiva al mio posto, aveva dieci anni più di me, riteneva disdicevole farsi comandare a bacchetta da una ragazzina. Approfittò dell’occasione insperata della mia follia per denunciarmi all’Ufficio sull’Uso Improprio della Magia per abuso di potere. Accolsero la sua richiesta e indissero una causa giudiziale, in cui avrebbero espresso un responso sul mio operato. Peccato che la causa si tenne dieci giorni prima che io decidessi di tornare. Isolata dal mondo, non ne seppi nulla e ovviamente, per la mia assenza, decisero per il massimo della pena.

Non solo mi revocarono l’incarico, ma mi spezzarono la bacchetta, togliendomi i poteri magici per cinque anni. Tre ne sono già passati, ne mancano altri due. Certo per molti altri maghi, questo poteva essere un dramma maggiore; essendo babbana di origine, certamente non mi potevano spaventare un paio di anni da vivere come una normale ragazza. Il problema era che, da babbana, io non sono nulla. Hogwarts non ha mai pensato di convertire il suo titolo di studio in uno babbano, ciò significa che, anche avendo delle competenze magiche decisamente superiori alla media, da babbana sono al pari di un’analfabeta che non è mai andata a scuola. 

Insomma, le cose erano decisamente gravi. I primi tempi mi aiutarono molto Harry e Ginny, che mi ospitarono anche a casa loro. Ma io odio dover dipendere da qualcuno, quindi tornai a casa mia ed inizia tutta una serie di rocamboleschi lavoretti per pagarmi le spese e l’affitto. Ovviamente la situazione non era per niente rosea, anzi… quando non avevo i soldi per prendermi da mangiare, me ne andavo da Ginny, ma per il resto dovevo fare i salti mortali per far quadrare in qualche modo miracoloso i conti.

E, allo stesso modo, mi sembrò un miracolo, quando Dean mi disse che, se ero d’accordo, poteva venire a vivere da me.

Non tutte le donne sono imbecilli come me, che mi ero fatta tradire per chissà quanto tempo dal mio ragazzo e non l’avevo ucciso, rifiutandomi solo di vederlo e sentirlo nominare… Lavanda, che adesso poteva fare coppia fissa con Ron, pensò bene di cacciare Dean di casa. Lui, che non poteva tenere un appartamento da solo, mi fece quella proposta.

“Da amici, ovviamente, Herm! È un accordo non vincolante!” rise lui nel dirmelo una mattina di dicembre di due anni fa.

“E’ un accordo anche molto vantaggioso!” risposi io, accettando.

Questo è il motivo per cui Dean vive, o perlomeno fino a stamattina, viveva con me. Per dividere le spese.

Il motivo per cui stiamo assieme, quello è un po’ più complicato. Un anno fa, la sera di S.Valentino, ci ubriacammo come due spugne; lo so che non è da me, e di solito a me l’alcol fa arricciare il naso anche solo a sentirne il fetido odore. Ma quale donna tradita, fosse anche una Grifondoro di ancestrale memoria ed un’eroina del mondo magico, non si ubriacherebbe la sera di S.Valentino, se ha come sola compagnia un ragazzo che è legato da un accordo non vincolante di divisione delle spese, e un gatto rosso con il muso schiacciato? Bevvi la bellezza di cinque Mojito, tre Cuba Libre, una Pina colada e qualche bicchiere di sangria. Tutto nell’arco di tre ore. Dean bevve, se possibile, più di me.

Il risultato fu un’emicrania da panico la mattina seguente. Quando mi risvegliai nel letto di Dean. Ovviamente con Dean.

Sarebbe stato un episodio isolato e probabilmente ci avremmo anche riso su, se non mi accorsi con terrore che l’esperienza non mi era affatto dispiaciuta. Cominciò il periodo più estenuante della mia vita; io e Dean vivevamo assieme, ma ci ignoravamo per tutto il tempo, salvo ricercare contatti forzati nel ricordo di quello che era successo tra noi per qualche bicchiere di troppo. Arrossivamo e scappavamo via in un circolo vizioso ed infinito.

Cedemmo un mese dopo.

Poi ci prendemmo decisamente gusto E ci mettemmo assieme.

Però, come ho già premesso, io non sono innamorata di lui. Il nostro vivere assieme adesso è un accordo ampiamente vincolante, questo sì, ma per il resto... è esattamente come quando vai in gelateria e chiedi una bella coppa con cioccolato e panna, e il gelataio ti risponde che lo stanno preparando e che ci vuole qualche minuto. Ti siedi ad un tavolino e, nell’attesa, magari ti prendi un ghiacciolo al limone. Dean è il mio ghiacciolo al limone, declassato nell’attesa della coppa dei miei sogni. Sono molto affezionata a lui, gli voglio un bene dell’anima e, devo ammetterlo, mi piace anche parecchio, ma da qui a quello che provavo per Ron… c’è un oceano tra le due cose… spesso Ginny mi dice che, secondo lei, è questione di tempo, che magari sono solo spaventata da quello che mi è successo ed esito a legarmi con qualcuno in via seria. Le posso anche dare ragione, considerando quel bastardo di suo fratello; ed è allora che mi metto mentalmente a battere i piedi in attesa del giorno in cui se ne andrà questo blocco del cavolo, e mi riuscirò ad innamorare davvero di Dean. In fondo che cosa gli manca? Ha un fisico da paura, è carino, è dolce, non sarà il massimo dell’intelligenza, ma quale ragazzo lo è, mi vuole davvero bene e ha un bel lavoro al Ministero.

Sospiro, è esattamente questo il problema, sembra che stia facendo la reclame di un aspirapolvere. O di un ottimo marito, e non so davvero che cosa ci sia di peggio.

Sin da bambina, sognavo l’amore senza aggettivi, quello passionale, intenso e, per una come me, assolutamente illogico. E non importa se mi dovesse mandare in corto circuito il cervello, con mia grande ansia ed angoscia, ma basta che sia così grande, bello e meraviglioso che io non possa rimpiangere nulla di quello che ho fatto o che sto per fare. L’amore di cui si parla nelle fiabe, tanto per intenderci… lo so che è estremamente immaturo, ma una potrà sognare no? Dopo Ronald Weasley, avevo ovviamente interiorizzato l’idea che i principi azzurri fossero una razza in via d’estinzione da questo pianeta, ma adesso ho maturato anche la considerazione che la vita non è una bellissima passerella di occasioni meravigliose e dorate, permeate del tessuto dei sogni e del velluto delle ambizioni. La vita spesso ti dà poco quanto niente, devi sgomitare per avere un po’ di più e soprattutto aggrapparti con le unghie e con i denti a quello che hai. E, al momento, quello che ho è Dean Thomas.

Questo, per ritornare al principio, è la contemporanea spiegazione al fatto che sto piangendo e al fatto che non sono però innamorata di Dean. Ed è anche la spiegazione al fatto che, dopo aver fatto il mio solito giro alla ricerca di un lavoro più redditizio che non comprenda l’idea di spogliarmi, lo chiamerò e gli chiederò scusa.

Alcuni dicono che non possono vivere senza una persona. , io allo stadio attuale non posso decisamente vivere senza Dean. Chiamatelo convenienza, opportunismo o comodità nel non voler rimanere da sola… ma adesso le cose stanno proprio in questa maniera.

 

   
 
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