Mein Herz Brennt
1. Solo per te, fratellino.
“Nun
liebe Kinder gebt fein acht
ich bin die Stimme aus dem Kissen
ich hab euch etwas mitgebracht
hab es aus meiner Brust gerissen”
«Kaki!»
«Cracker, sono io»
«Oh, Rosinante, meno male! Cominciavo a preoccuparmi… »
«Ho delle importanti informazioni da comunicarti e preparati perché sono brutte»
«Ti ascolto»
«Quel carico di armi rubato, i tuoi uomini non sono riusciti a recuperarlo, come saprai, ma adesso si trova qui, allo stoccaggio, pronto per essere piazzato nel mercato nero. Le scatole dell’imballaggio sono tracciate con la seguente sigla: C. O. M. A., sotto dicitura di industria farmaceutica. Non ho ancora identificato l’acquirente ma te lo comunicherò al più presto»
«Mi auguro che questa sia la notizia peggiore della lista»
«Aspetta di sentire il resto»
«Continua»
«L’isola… comincia a stargli stretta, mio fratello ha intenzione di allargare il contrabbando oltre la Reverse Mountain, in direzione sud-est. E si mobilita in fretta, tra pochi giorni la ciurma salperà»
«Negli ultimi mesi la Famiglia si sta facendo particolarmente attiva; ci creerà problemi. Rinforzerò il confine con nuove navi, avviserò il viceammiraglio Tsuru. C’è altro?»
«Sì, ne è arrivato uno nuovo. È giunto qui una settimana fa »
«È un bambino?»
«L’ennesimo»
«Sai come devi procedere, fallo desistere »
«Sì, ma questo non è come gli altri »
«Perché?»
«Te la ricordi quella città che, insomma… Lui proviene proprio da… »
«Cosa stai cercando di dirmi?»
«… »
«Rosinante, sei ancora in linea?»
«Ammiraglio Sengoku, purtroppo devo interrompere la nostra comunicazione»
«D’accordo, resterò in attesa di un tuo nuovo rapporto, ricorda di mettere tutto per iscritto. E per quanto riguarda quel bambino, chiunque egli sia e da qualunque posto provenga, tu cerca di rispedircelo, prima che diventi anche lui un elemento pericoloso, ne abbiamo già troppi a scorrazzare in libertà »
«… Ricevuto»
Terminata
la conversazione, il tenente colonnello Donquijote Rosinante
respirò profondamente. Un peso gli gravava sul petto: si
fidava ciecamente dell’Ammiraglio, eppure, il suo istinto gli
aveva suggerito di non rivelare nulla su identità e
provenienza del nuovo arrivato. Quel bambino non aveva né un
posto in cui tornare né il tempo per diventare pericoloso.
Pensò fosse meglio mantenerlo ancora segreto.
Il tenente
mise via il mini lumacofono e con uno schiocco di dita fece sparire lo
scudo fonoisolante che era intorno a lui; lo creava ogni volta che
doveva mettersi in contatto con la Marina, per non essere udito da
orecchie indiscrete – per non giocarsi la testa,
che se fosse stato scoperto gliel’avrebbero recisa e appesa
in bella mostra nel salotto di suo fratello – tale
abilità gli era stata donata dal frutto Taci Taci, ed era
ottima per svolgere la sua missione di agente infiltrato.
Sistematosi sulla testa il cappuccio di boia dalle punte penzolanti, e
ironicamente a forma di cuore, per il marine era tornato il momento di
calarsi nuovamente nel ruolo di Corazon: ufficiale della Famiglia
Donquijote, braccio destro del pirata Doflamingo.
***
La
zona portuale di Spider Miles, una località del Mare
Settentrionale, accoglieva una enorme discarica, in cui rottami e
pattume ne costituivano un’isola a sé: un
organismo vivente fatto di sporcizia, e dove nella sporcizia si
confondevano alcuni individui, anche loro scarti
dell’umanità, che lì si raccoglievano e
mimetizzavano.
Di notte il porto era poco illuminato, ad eccezione del faro che, col
suo occhio ciclopico, lanciava ad intermittenza un veloce raggio di
luce sui relitti abbandonati, e sbiancava il piccolo borgo situato
vicino alla costa; questo era un neo se veniva paragonato alle
dimensioni della discarica cresciutagli accanto, come un tumore.
Corazon attraversò il ponte che univa le due parti
limitrofe; l’acqua che scorreva sotto gli archi del viadotto
era inquinata: i liquami rilasciati dai rifiuti, che per negligenza
venivano gettati anche in mare, emanavano terribili zaffate, di un
odore simile a quello dello zolfo. Camminandovi in
prossimità, non si poteva non essere colpiti dal lezzo
nauseabondo.
L’Ufficiale era diretto verso i capannoni della DDF, una zona
off limits che sorgeva esattamente nel centro della discarica; la gente
normale se ne teneva alla larga, in paese tutti sapevano che era un
covo di pirati, e che sotto copertura veniva utilizzato come base e
punto di ricettazione.
Quest’odore non se ne andrà mai…
Pensò
il marine; oltre alla sporca acqua salmastra, pure l’aria era
appestata. Difatti, anche se gli inceneritori della discarica venivano
spenti dalle sei del pomeriggio, e già da tre ore non erano
in funzione, i fumi tossici di tutto quello che veniva bruciato in
giornata avevano da tempo contaminato l’atmosfera. E la puzza
non si attenuava nemmeno quando la brezza marina soffiava verso
l’entroterra.
Per questi spiacevoli aspetti, il porto di Spider Miles era poco
frequentato, isolato; e gli abitanti del borgo avevano tutti
un’espressione arricciata sul volto, complice proprio il
tanfo che si respirava. Non se ne faceva mai l’abitudine, o
al limite il naso.
In prossimità dell’ingresso del covo, illuminato solo da sbilenchi lampioncini, i quali innaffiavano di luce arancione l’area sottostante, e che pendevano come uomini impiccati, fissati male sulle mura della struttura; il marine avvistò Baby 5 e Buffalo: si stavano rincorrendo, giocavano, come era giusto che accadesse tra bambini. Entrambi erano bambini… Bambini disgraziati in mezzo ad una discarica, in un luogo che persino Dio, qualora fosse mai esistito e fosse stato un “buon” Dio, avrebbe preferito dimenticare.
«Cora-san,
ma dove sei stato?! Non sai che tra poco si cena! Jora sta facendo la
pizza con le acciughe! Mangeremo pizza col pesce stasera! Sei
contento?», quella che gli stava venendo in contro entusiasta
era Baby 5, una bambina che quando sorrideva lo faceva anche con gli
occhi.
Eccola, arrivava contenta, pronta a donargli un caloroso bentornato.
Un suono simile ad un colpo di frusta si librò
nell’aria. E baby 5 non correva più.
Con lo scatto di un nibbio, Corazon aveva calato su di lei uno schiaffo
crudele, arrestandone la corsa gioiosa, fatta di
quell’allegria che solo i bambini sapevano concedere.
Piume nere si staccarono dal cappotto indossato dal pirata. Danzarono
lente, poi, caddero delicate come carezze sul corpicino della bimba
stesa al suolo.
Baby 5
alzò a fatica lo sguardo, per cercare quello
dell’Ufficiale. Lei aveva occhi adoranti, la terra ad
imbrattarle il viso grazioso e una guancia tumefatta:
«Cora-san, mi dispiace, non volevo farti arrabbiare, scusami,
tu puoi venire a cena quando vuoi… Ti imbocco io se ti fa
piacere», la piccola gli era affezionata, e continuava ad
adorarlo; era una bambina completamente fuori di testa.
All’Ufficiale diede il voltastomaco. Non lei, ma la
consapevolezza che quella sua fragilità era al servizio di
chi ne faceva abuso, di chi ne ricavava piacere, di suo fratello
maggiore, di un orco.
Corazon le rifilò uno sguardo raggelante, ignorando anche la
mano che la piccola gli tese.
Aveva un aspetto truce il Tenente Colonnello, quando indossava i panni
di Corazon; aggravato dal trucco di clown che portava sul volto: col
cerone che lo impallidiva, donandogli il lucore della morte; le labbra
disegnate che si spingevano alle estremità del viso,
formando un finto ghigno rosso; e gli occhi, anche questi,
macchiati, con occhiaie bluastre che sull’occhio destro
abbozzavano una specie di stella.
Questa era la sua maschera, quella dell’Ufficiale Re di
Cuori: un affascinante Pierrot dall’aspetto tetro ma fedele.
Degno, per stare vicino al Joker.
Giusto, per camuffare la propria e vera identità…
che complottava di gettare ogni carta del mazzo, compreso il jolly,
nelle profondità più remote di Impel Down.
L’altro,
Buffalo, un ragazzino con l’aria da gonzo, si
precipitò verso la sua amichetta; non per soccorrerla, ma
per vedere quanto male le era stato inferto e farsi sopra grasse
risate, come grasso era lui del resto.
Egli s’accorse del sangue che le colava appena
all’angolo del naso; sorrise maligno; Corazon lo
picchiò, e col doppio della forza usata precedentemente.
I bambini dovevano smetterla di giocare a fare i pirati. A
costo di ridurli in fin di vita gli avrebbe fatto passare la voglia.
Li lasciò a terra, doloranti, e salì le scale
arrugginite che conducevano all’entrata del covo, per recarsi
nel ventre del male. La tana dell’orco.
***
«Visto,
Buffalo?! Ha dato una sberla anche a te, non vedo l’ora di
crescere e diventare adulta, così Corazon
smetterà di odiarmi» disse Baby 5, con aria dolce
e trasognata, mentre raccoglieva con minuziosa cura le piume nere
sparse a terra.
«Eh eh, ma io so perché stavolta ci ha picchiati.
È colpa di Law, lo ha fatto arrabbiare lui»
rivelò il bambino grassoccio, incrociando le braccia al
petto con espressione saccente.
«Davvero!? E perché?! Dimmelo dai! Dimmelo subito,
voglio saperlo!»
Il ragazzino le sorrise stirando le labbra e mostrando una fila di
dentoni da coniglio, alcuni cariati per via degli zuccherini che
mangiava in quantità industriali, e che riceveva
direttamente da 'Mingo: era così che il fenicottero del male
viziava i più piccoli del clan.
«Te lo dirò solo se mi comprerai una gelato
gigante, con otto gusti, più la panna »
«Vuoi che te lo compri?! Davvero posso?! Mi farebbe tanto
piacere esserti utile! Ma adesso è tardi, dove lo andiamo a
prendere?… Posso darti i soldi intanto! – la
bambina frugò nella tasca del suo grembiule –
Tieni, questi sono mille Berry!»
Buffalo acchiappò le banconote, stringendole tra
le sue dita unte e sudaticce; e dopo aver messo al sicuro il bottino
– precisamente nelle mutande – che aveva estorto
col ricatto venutogli facile grazie anche alla ingenuità di
Baby 5, il ragazzino si mise più eretto, con la carica di
chi era pronto ad annunciare l’avviso del coprifuoco, o
l’arrivo di un eminente cataclisma.
Borioso della verità di cui era a conoscenza, e la stava per
dire, il moccioso si schiarì la voce; Baby 5 era in
visibilio: attendeva ansimando, con le mani fortemente giunte.
«Oggi pomeriggio mi trovavo proprio qui, stavo tentando di
catturare una lucertola quando ho visto Law. Inizialmente, non avevo
capito cosa stesse facendo, ma aveva un’aria spaventosa, poi
ho seguito la traiettoria del suo sguardo, e mi sono accorto che stava
osservando Corazon, che invece leggeva il giornale, guarda, stava
seduto più o meno laggiù – e
indicò un punto in mezzo al mare di rifiuti – dopo
sono tornato a guardare Law e l’ho visto prendere la
rincorsa, aveva un coltello in mano, e sai che ha fatto?! È
andato da Corazon e lo ha colpito alle spalle!
Così!» rivelò Buffalo, concitato,
imitando la stilettata inferta da Law alla schiena
dell’Ufficiale.
«Cosa?! Ma è impazzito, non la conosce la regola
del sangue?!»
Baby 5, scandalizzata dal racconto, gettò a terra le piume
raccolte con tanta attenzione e si coprì la bocca con le
mani. La regola del sangue da lei accennata era una specie di codice a
cui tutti i membri della Famiglia dovevano attenersi: nessun ufficiale
doveva essere ferito, nemmeno alla sua dignità, sarebbe
stata un’offesa per l’intero clan; pena la tortura.
«Aspettiamo di vedere cosa accadrà quando il Capo
verrà a saperlo», negli occhi di Buffalo
brillò un sadico lumino: non aveva mai sopportato Law. Per
quanto lo riguardava, una punizione gli stava più che bene.
«Povero Law, sarà sicuramente torturato, mi
dispiace per lui» la ragazzina al contrario era un burro
scioltosi al sole.
«Naah, non verrà solo torturato, sarà
ucciso! Per aver riso di Pica, io ci ho quasi rimesso le penne. Ma ora
si tratta di Corazon, del fratello minore del Capo!»
«Oh, non voglio neanche pensarci, subirà una
punizione terribile! Ma… tu sei davvero sicuro che
Law sia riuscito a ferirlo?», baby 5 forse aveva un debole
per Law e sperava con tutto il cuore che Buffalo le stesse raccontando
solo bugie.
«Certo che sono sicuro, vogliamo andare a vedere se in quel
punto c’è rimasto del sangue?» la
invitò il moccioso, indicando un luogo lontano una ventina
di metri da dove si trovavano.
«No, non ci vengo, adesso è buio
laggiù!»
«Ah, sei una fifona Baby 5! Va bene, allora verifichiamo se
Corazon ha lasciato qualche macchia sulle scale»
***
Ed ecco il
salotto dei baccanali della Famiglia: un magazzino in mattoni di tufo,
tramutato in sala ricevimenti, ma arredato con un gusto ai limiti del
kitsch: dalle tende in velluto color porpora, aventi una
pesante e finemente decorata gualdrappa, alle preziose
porcellane, fino ai brillanti quadri ad olio raffiguranti regge e
castelli su scorci mozzafiato.
Solo un dipinto stonava con l’intera collezione, quello sulla
cui tela stavano immolate quattro persone raccolte intorno ad una
poltrona. Seduta su questa c’era una donna, che in braccio
aveva un neonato; accanto a lei un uomo in piedi le teneva la mano, e
vicino a lui, fiero di esserci, c’era un bambino. Indossava
un paio di occhiali scuri.
Sembravano l’immagine della serenità. Appunto,
sembravano: la cornice del dipinto era scheggiata, i bordi della tela
anneriti, come se avesse corso il rischio di andare in fiamme, e la
faccia dell’uomo era stata strappata via; al suo posto, la
trama e l’ordito del tessuto, completamente sfilacciato,
lasciavano un luttuoso spazio vuoto.
Tracce di tempi andati, che il Signorino gelosamente
conservava appese alla parete.
A
troneggiare nell’elegante sala, e a fare a pugni con
l’alta classe, uno stendardo nero, immenso, stava inchiodato
alla parete di fondo, coprendola interamente, e calava sui presenti
come una maledizione.
La bandiera era il personale Jolly Roger di Doflamingo, riconoscibile
dall’ inconfondibile simbolo: uno smile sbarrato.
Sì, perché quel jolly a molti avrebbe tolto il
sorriso.
I
componenti della Famiglia erano quasi tutti presenti: in un angolo
stavano Señor Pink,
Lao G e Gladius, impegnati a contare mazzette di banconote infilate in
otto sacchi di juta, alcuni di questi bucati o sporchi di sangue;
seduti attorno ad un grande tavolo quadrato, ma vicini,
c’erano Trebol e Diamante. Loro giocavano a carte.
Di tutta quella gente, nonché esemplari della più
disonesta pirateria, nessuno poteva abbinarsi al lusso sfrenato posto
lì ad ostentare opulenza.
Ogni volta che Corazon metteva piede in quel teatro del grottesco, si
rendeva conto dell’utopia scellerata e senza controllo che
stava mettendo in opera suo fratello maggiore: fuori una discarica,
dentro la corte di un principe, ma fatta di assassini, ricattatori,
ladri, psicopatici, i freak della peggior specie e bambini, quelli che
riuscivano a sopravvivere.
Attualmente, l’orco non stava occupando la poltrona a lui
riservata e piazzata in alto a tre gradini; un trono fatto apposta per
lui, il diavolo rosa, il fenicottero del male, il così detto
Joker dal perenne sorriso.
«Eeehi eeehi, Diamante, tu stai barando!» disse
Trebol, l’ufficiale di fiori, tirando su del moccio
disgustoso che gli colava dal naso.
«Non è vero, io ho solo carte vincenti!»
Il Diamante in questione, anche lui ufficiale, ma di quadri,
oltre ad essere uno spietato assassino, era un abile e scorretto
truffaldino.
«Tu hai sempre carte vincenti perché ti nascondi
gli assi nella manica! Eehi eehi, Corazon, sei qui!»
Trebol si accorse del suo arrivo. Per un breve momento si girarono
tutti verso di lui, mostrandogli un impercettibile saluto e il dovuto
rispetto.
«Corazon, come è andata con quelle scatole?
– gli domandò Diamante, abbassandosi gli occhiali
da sole e osservandolo meglio – Sono tutte pronte, le hai
già fatte smistare?»
L'ufficiale di cuori, non potendo parlare, alzò un pollice
affermativo. E sì, Corazon non parlava, si fingeva muto;
ogni componente del clan, compreso il fratello, pensava fosse dovuto ad
un grosso trauma accaduto durante l’infanzia. Così
raccontava Doflamingo, che aveva motivo di crederlo per un sostanzioso
elenco di cause. Queste, però, il fenicottero del male non
le specificava a nessuno, ne era a conoscenza solo Trebol.
«Bene, allora appena il Signorino concluderà
l'affare ti diremo a chi bisognerà spedirle»
l’ufficiale di quadri gli sorrise bieco, strizzando le
palpebre di due occhi minuti, occhi di topo.
«Riprendiamo a giocare Diamante, e tira fuori quegli assi, lo
so ce li hai! Eeehi eeehi!»
Corazon
aggirò il tavolo velocemente, aveva una certa urgenza:
doveva raggiungere la sua stanza e chiudersi una ferita che sentiva
stare sanguinando. Dopo che Law lo aveva accoltellato, non aveva avuto
il tempo di curarsi senza destare sospetti – il carico di
armi appena arrivato doveva essere controllato immediatamente
– si era passato un semplice giro di garze; la
ferita però continuava a sanguinare e andava ricucita; e
prima che i “compagni” se ne accorgessero,
altrimenti lo avrebbero tempestato di domande o, peggio, lo avrebbero
comunicato direttamente al fratello.
Il suo passo era svelto ma non così accorto:
inciampò sui suoi stessi piedi, travolgendo
l’ufficiale Diamante, con una impietosa carambola.
Volarono un cappello, piume nere e alcune carte da gioco.
«Eehi eehi, che sono quei due assi di fiori? Con quanti mazzi
stiamo giocando? Allora avevo ragione io, tu stai barando Diamante!
» gridò Trebol, dopo aver scoperto la magagna.
Il capitombolo aveva fatto uscir fuori le carte che
l’Ufficiale di quadri teneva davvero inguattate nella manica.
«Me li ha messi addosso Corazon, io non se so
niente!»
«Non prendermi in giro e restituiscimi subito i
soldi!»
Fortunatamente, i due ufficiali erano così presi a litigare
che non s’accorsero della macchia scura che stava sporcando
la camicia di Corazon. In fretta, lui afferrò i lembi del
suo cappotto corvino per celarsi e andar via.
Gli altri non fecero caso al trambusto, erano abituati a certe scene
demenziali, e poi, dovevano finire di contare il denaro, e farlo bene:
era l’introito ottenuto in tre mesi di ricatti , ricavato dal
pizzo richiesto a tutti i commercianti dell’isola.
***
La dimora di Doflamingo non aveva solo il salotto a rispecchiare i suoi estri di decaduta nobiltà e sfrenato capriccio, anche i corridoi erano ammobiliati con pezzi pregiati, addirittura con alcuni manufatti realizzati con il leggendario legno dell’albero Adam.
Ancora con questa robaccia! Ma quando la smetterà di sparpagliarla in giro?!
Pensò
l’Ufficiale, formulando un giudizio che però non
era rivolto ai mobili e soprammobili, ma ad una raccolta,
apparentemente innocente, che suo fratello maggiore aveva da poco
iniziato: Doflamingo collezionava gabbie vuote per uccelli. Le
appendeva ovunque, anche nei corridoi, facendone un uso improprio come
porta candele; e quando queste ultime venivano accese, la luce della
fiamma proiettava sul soffitto e sulle pareti le ombre delle
inferriate. Come stava accadendo in quel momento: la sensazione di
un’asfissiante claustrofobia attanagliava chiunque vi
camminasse, perché gli interni del covo assumevano
l’aspetto di una prigione, di condotti infernali, di una
voliera in cui ci si muoveva credendo di essere liberi.
L’Ufficiale sapeva benissimo cosa nascondeva
quell’inquietante ornamento: rispecchiava il terribile potere
posseduto dal fratello e da tutti temuto, e che accresceva a
dismisura l’empietà di cui il diavolo
rosa era già forgiato.
Siamo uccelli nella sua gabbia…
Rosinante inorridì. Nessuno era mai uscito vivo da quell’inferno fatto di fili.
Arrivato
davanti alla sua stanza, Corazon trovò la porta accostata.
Particolare di cui non si curò. Vi entrò diretto.
Completamente immerso nel buio, sapeva che sul
comò, dove stava lo specchio, ossia l’angolo per
il make-up, c’erano due lampade ad olio. Con
l’accendino che di solito usava per le sigarette, Corazon
girò la rondella avvicinandolo agli stoppini infiammabili.
Le lampade emisero un leggero bagliore, che andò
intensificandosi man mano che la fiamma prendeva corpo.
Stava per togliersi dalle spalle il mantello di piume nere, quando,
buttando uno sguardo distratto sullo specchio di fronte a lui,
scoprì di non essere solo: un volto puntuto, nascosto nella
penombra e illuminato appena dal baluginio tremolante delle lampade,
era riflesso nello specchio. Suo fratello Doflamingo era lì,
seduto sul letto.
***
«Ciao,
Corazon »
Esordì con voce sterile il Joker. Egli sembrava avere
un’espressione pacata, ma gli immancabili occhiali dalle
impenetrabili lenti rosse costituivano un muro che sbarrava la
fuoriuscita di ogni emozione da lui provata.
Del sudore si raccolse sotto le ascelle dell’Ufficiale,
complice l’adrenalina arrivata alle stelle per
l’inattesa sorpresa.
Cosa voleva suo fratello?
Doflamingo aveva con sé un libro, di cui teneva il segno col
dito indice, infilato nel mezzo delle pagine. Dalla copertina
spiegazzata, poteva leggersi distintamente un titolo: Flevance.
Corazon se ne accorse.
«Scusami l’improvvisata –
riprese ‘Mingo – non volevo disturbarti,
ma c’è una cosa importantissima che devo
annunciare e vorrei che tu fossi la prima persona a saperla»
Raccontare direttamente ogni cosa al fratellino era ciò che
il Joker faceva da quando lui era tornato a casa.
A parte un’eccezione: la missione di Vergo, un altro membro
della Famiglia, l’ex Corazon di cui Rosinante aveva preso il
posto; be’, l’Ufficiale non ne sospettava
nemmeno lo scopo, non era riuscito tuttora a scoprirlo.
Trovare il fratello nella propria camera, e con quel libro, non
lasciava presagire nulla di buono.
«Ho deciso che Law diventerà un membro ufficiale
del nostro clan… »
Il peggio
del peggio, Corazon se lo aspettava, e se conosceva bene da quale genio
del male il fratello era invaso, già sapeva che quel
bambino, diventando uno dei pirati Donquijote, sarebbe stato solo una
delle tante pedine che il fenicottero avrebbe manovrato con
divertimento, e sacrificato per i suoi diabolici scopi.
«Vedi… in quel moccioso, nei suoi occhi
rivoltanti, in essi ho riconosciuto bruciare la stessa rabbia che mi ha
nutrito, cullato come una madre affettuosa per tutti questi
anni» e quando il Jolly accennava il passato e inseriva nei
discorsi la parola madre, restava solo pregare e sperare di nuovo in
Dio, o in qualsiasi entità, purché fosse in grado
di fermare la sua irrefrenabilità.
Come Drago Celeste decaduto, che rivendicava la sua divina provenienza,
egli era destinato a diffondere il caos nel mondo; ragion per cui il
tenente colonnello Rosinante aveva il dovere morale e civile di
impedirglielo, come marine e soprattutto come fratello.
«Hai
visto da dove viene? – proseguì il fenicottero,
sventolando il libro che teneva stretto fra le lunghe dita affusolate
– Flevance! La città bianca, la città
dello splendore… Dello splendore della morte. Fu
fu fu! A causa dell'avvelenamento da piombo ambrato il Governo
Mondiale, temendo che il morbo potesse essere contagioso, prima li ha
messi in quarantena e poi li ha uccisi, ha sterminato tutta la
popolazione! Che peccato, mi sono perso uno spettacolo coi fiocchi:
esseri umani che uccidono altri esseri umani. Stasera ricordami di
brindare al massacro della plebaglia, fu fu fu!»
Il diavolo rosa si passò una mano tra i capelli, tirando
indietro lunghi ciuffi biondi, e sorrise pago. Gli occhiali erano
sempre lì, con le lenti rosse a proiettare
l’anarchia che, sovrana, governava il regno della sua
disumanità.
«E lui è l'unico sopravvissuto, anche se ha i
minuti contati… Una storia che ha dell'incredibile!
È un insignificante moscerino privo di speranza, ma lo
aiuteremo noi. Ho un piano per lui, se sarà fortunato. E ho
un piano anche per questo mondo, vedrai. Ce ne andremo da questa fogna
puzzolente, e li faremo inginocchiare uno per uno, costringendoli ad
ammazzarsi tra loro. Questa terra diventerà una valle di
lacrime, e farà inorridire anche i cani lassù,
che ancora si fanno chiamare Dei. Ti giuro che molto presto avremo pure
le loro teste! Fu fu fu… »
Corazon tremava, senza darlo a vedere; la terribilità di suo
fratello non aveva limiti, il rancore nei confronti di Marijoa pulsava
ancora vivo e ruggiva assetato di vendetta. E se la sarebbe
presa, senza scampo per nessuno.
Il piccolo Law era solo l’inizio di una escalation verso il
genocidio dell’umanità intera. Per il fenicottero
quel bambino rappresentava la preda perfetta, materia pregiata da
cesellare con lo scalpello della brutalità, terra fertile
dove impiantare il seme dell'odio.
So a cosa stai pensando fratello mio, io non te lo permetterò.
Rosinante
aveva capito: Law e suo fratello, entrambi avevano assistito e subito
atroci violenze, erano stati perseguitati, e tutti e due si ostinavano
a non morire. Ma una differenza
c’era, Doflamingo era un assassino, nato malvagio, sin da
bambino; Law era un innocente da preservare.
Il Tenente Colonnello ebbe chiara la sua missione: salvare quel
bambino, ad ogni costo, dalla malignità di suo fratello che,
altrimenti, ne avrebbe fatto un mostro a sua immagine e
somiglianza.
Ammaliato dall’orrore sviscerato da Doflamingo, e stando troppo vicino alla fiamma che alimentava una delle lampade ad olio, Corazon non si accorse che le piume del suo cappotto stavano prendendo fuoco. Appena vide del fumo andargli negli occhi e avvertì un calore troppo intenso sulla spalla sinistra, intervenne per spegnere l’incendio. Suo fratello, però, non si fece distrarre: Doflamingo non poteva pretendere dal fratellino una risposta, ma un cenno di approvazione sì, questo lo pretendeva e lo stava aspettando. Lo scrutò con l’accortezza clinica di uno psichiatra. Corazon si accorse di essere nel suo mirino, nonostante non potesse guardarlo direttamente negli occhi e, a parte preoccuparsi di non rendere troppo evidente la sua identità fedifraga, non mosse un muscolo. Gli girava la testa, a tratti vedeva doppio. Aveva un’emorragia in corso: la ferita dietro la schiena continuava a sanguinare. Sentiva che, oltre la camicia, il sangue gli stava colando giù, inzuppandogli anche i jeans.
‘Mingo
si alzò, seguito dal cigolio del letto. Chiamò il
fratellino: «Ros’… »
Un attimo dopo: Corazon sentì cadere il libro che trattava
la tragedia di Flevance, e il respiro di suo fratello vicinissimo a
sfiorargli l’orecchio. Il diavolo rosa gli era addosso, alla
distanza di un palmo e con l’alito caldo che odorava
di vino.
«Ros’ – ripeté nuovamente il
fenicottero – sai, non te l’ho mai detto,
ma ogni volta che lasci Spider Miles, durante una missione per esempio,
mi sembra che tu fugga da me, non so perché… ho
il timore perenne che tu possa girarmi le spalle, scomparire da un
momento all’altro, come accadde quattordici anni
fa…»
Doflamingo appoggiò le mani ad incorniciare il viso bello e
perfetto di Corazon e, spingendolo, lo costrinse ad indietreggiare e
sbattere contro il canterano che aveva alle spalle.
Forse Rosinante nemmeno respirava più: non gli piaceva
ciò che stava ascoltando, sapeva quanto suo fratello amasse
giocare col cervello delle sue vittime, e se la sua copertura stava
saltando, da come intuiva che fosse, non aveva scampo: doveva stare al
suo gioco.
«Fu fu fu, lo so, lo so che dopo torni sempre a
casa, non avresti mai il coraggio di voltare le tue zanne
contro di me. Fratellino»
Non lasciandogli spazio, Doflamingo lo abbracciò.
Per Corazon fu come essere cinto dalle spire di uno serpente
stritolatore: iniziava piano, faceva male alla fine. Si moriva alla
fine.
Le mani di suo fratello erano un vero problema, perché
quando iniziavano a toccarlo non stavano mai ferme, si intrufolavano
dove preferiva il diavolo rosa e senza chiedere permesso.
Fu inevitabile:
«Che cos’è?!»
‘Mingo si staccò da lui.
«Sangue? Rosinante, stai sanguinando… Sei
ferito?!»
Andato in stand-by a causa delle malvagità
pronunciate dal fratello, e dell’accusa di potenziale
tradimento, ma anche per le fusa che si trovava costretto a subire;
l’Ufficiale recuperò miracolosamente se stesso e
col palmo aperto fece capire al fratello di aspettare. Si
voltò, per cercare sul ripiano un pezzo di carta dove poter
scrivere. Là sopra trucchi da donna sparpagliati, una
vaschetta aperta che conteneva cerone seccato, pacchetti di sigarette
vuoti, con le rispettive cicche ammucchiate in un posacenere (che ne
conteneva troppe), libri, cartine arrotolate, ogni oggetto presente
lasciato in pieno disordine. Corazon strappò comunque
l’angolino di una carta nautica, e non avendo inchiostro
disponibile, afferrò un rossetto. La punta grassa e rossa
scivolò morbida sulla carta, consumandosi velocemente.
«È
stato... Un... Nemico» lesse Doflamingo.
«Spero che tu gliel’abbia fatta pagare…
»
Corazon annuì debolmente, immaginando cosa sarebbe potuto
succedere se suo fratello avesse avuto modo di scoprire la
verità, che era stato il marmocchio a pugnalarlo.
«Non
lo accetto. Non voglio che tu ti faccia ferire da qualcun altro
– gli disse ‘Mingo, a sottintendere che unicamente
lui ne possedeva il privilegio – Ros’ se ti fanno
del male, se qualcuno ti uccide, o ti sfregia soltanto, io gli faccio
vivere l'inferno », come c’era da aspettarsi.
Il diavolo rosa gli tornò addosso, spietato.
«Lo faccio a pezzi per te. Con la sua pelle mi ci acconcio un
abito e i suoi occhi me li porto incastonati in anelli da mettere su
ogni dito medio. Solo per te, fratellino»
Un respiro rabbioso, un ringhio per la precisione, fu il primo avviso
di ciò che stava per accadere: Doflamingo infilò
una mano sotto il cappuccio di Corazon, e gli accarezzò i
capelli della nuca, erano leggermente umidi. Glieli
tirò d’improvviso, indietro, violentemente,
obbligandolo a seguire quel movimento con la testa.
«Ah, fratellino, al folle che oserà toccarti
taglierò via la testa – soffiò fuori le
parole. Intanto, con una mano ancora sporca di sangue, il Joker gli
accarezzò il collo pulito, eccitandosi nel sentire
l’aorta pulsare sotto la pelle – ne farò
una coppa da cui bere il suo sangue. Il sangue di chiunque osi torcerti
un solo capello, perché il mio fratellino non può
toccarlo nessuno, non può averlo nessuno»
Il diavolo rosa era in delirio. Corazon ne riconobbe in volto
l’espressione di parricida. Non si era cancellata, non poteva
cancellarsi.
In un secondo, dalle mani del fratello, al suo collo, nelle sue vene,
fino alla sua testa, in un flusso diretto, il passato tornò
aggressivo, grattando via con unghie e denti la parete in cui era stato
murato vivo per essere dimenticato.
A Rosinante parve di sentire odore di bruciato, e non erano le sue
piume ad andare a fuoco.
Qualcuno stava gridando?
Sbagliato: quelle che sentiva erano le sue grida, mescolate a quelle
d’una folla di gente che urlava di massacrarli. Lui, suo
fratello Doflamingo, e c’era anche un’altra
persona. Lo scenario si stava orrendamente sovrapponendo a
ciò che aveva di fronte a sé: la luce delle
lampade gli ricordò quella di un rogo spaventoso. E suo
fratello stava impazzendo… no, lo era sempre stato pazzo,
anche quando aveva giurato vendetta a chi lo voleva morto.
Con gli
occhi, Rosinante osservava la follia di suo fratello. Col corpo ne
avvertiva la perversione farsi largo attraverso le mani… e
la lingua, che gli stava impastando il collo leccandolo quasi fosse
stato commestibile.
«Tu sei buono, fratellino, sei buono come la mamma »
La voce di Doflamingo sembrò vibrare sulle note del tritono
del Diavolo.
Corazon non poteva sottrarsi in alcun modo a lui: fu costretto con la
forza ad avvicinare il proprio viso contro quello del fratello; che con
la sua bocca avida e velenosa gli profanò le labbra colorate
di rosso.
Il rossetto si spalmò sulla pelle di entrambi.
Nella stanza si udirono i succhiotti, il rumore appiccicoso della
saliva che passava da una bocca all’altra, lo schiocco di una
lingua prepotente.
Corazon non era obbligato a ricambiare, bastava fargli
spazio… e resistere al sapore rancido di vino
rosso.
Continuando a strofinare il viso contro quello del fratellino, tentando
di fondersi con lui, Doflamingo riprese a parlare, muovendo le labbra
sporche e bagnate, facendole vibrare su quelle di Rosinante
«Oggi ho sognato, non accadeva da molti anni »; gli
tolse il cappotto di piume nere, per abbracciarlo meglio ed essere in
contatto diretto col suo corpo. «Ho sognato proprio lei, te
la ricordi la mamma? Era bella. E papà, lui l'ha fatta
morire. Papà, quell’idiota... –
Doflamingo gorgogliò qualcosa che però
restò impigliato nella profondità della sua gola
- Papà è morto, fu fu fu»
Perché mi fai questo? Smettila. Dofy, smettila… Ti prego!
Corazon era caduto in una sorta di ipnosi, i ricordi resuscitati erano vividi e gli sfilavano tutti davanti agli occhi in un corteo funebre. Non mancò quel giorno di molti anni fa.
Dofy, non sparare! È papà, non ucciderlo! È papà!
…
Papà è morto.
Un altro
bacio, gli venne strappato via con ferocia. Era sempre stato
così sua fratello, gli piaceva strappare tutto, anche la
vita degli altri.
Corazon, schifato, cercò di sottrarsi, provando a mettere le
mani avanti, con l’intenzione di spingere via anche il
passato; ma il fratello gli morse le labbra e mosse le mani su di lui,
con mire incestuose.
I fili, sarebbero arrivati i fili. Poteva usarli. Sulle pareti ancora
c’erano i segni di quella volta, e sulla schiena
l’Ufficiale di cuori aveva una cicatrice che raccontava come
si era risolta la questione.
Ma il fenicottero si fermò.
Doflamingo non sopportava la riluttanza, quando usciva fuori, detestava
essere rifiutato. E il suo fratellino lo stava rifiutando con
un’arma molto scorretta: le lacrime. Di odio, lo sapeva, e
che stavano sciogliendo il trucco del suo pagliaccio preferito.
A parte il pianto, muto pure questo, Rosinante mantenne
un’aria fredda e distaccata; aveva gli occhi appannati e il
trucco sfatto.
Quelle non erano più le lacrime di un bambino: Doflamingo
aveva d’innanzi un uomo, un marine per
l’esattezza, allevato e addestrato da Sengoku. Questo
ovviamente il fenicottero non lo sapeva.
Adorava il suo fratellino, perché era l’unico che
poteva capirlo e che aveva condiviso il suo stesso male, le stesse
botte, e lui aveva veramente visto cosa era capace di fare. Il
loro era un legame che andava oltre il sangue.
«Fu fu fu, ho esagerato, stavolta voglio darti
ragione»
Il diavolo rosa sorrise cinico e lasciò andare Corazon, che
si ritenne graziato.
Fanatico, Doflamingo si specchiò dandosi una sistemata ai
capelli e, con dei fazzoletti trovati sul mobile, in mezzo al casino,
si ripulì le labbra dal rossetto di suo fratello e
strofinò via il sangue che gli sporcava le mani.
Si puliva, appallottolava il fazzoletto e lo gettava sul pavimento,
andò così per tre volte, finché non
ritenne di aver tolto ogni macchia.
Corazon era abbandonato sulla sedia, perso a guardare il niente,
nell’attesa che suo fratello se ne andasse via. Si era acceso
una sigaretta nel frattempo, e la stringeva nervosamente tra le labbra
gonfie e dal rossetto consumato, di cui era rimasto un contorno roseo e
sbiadito a segnargli metà del viso.
«Non
sopporto sapere che sei ferito e che non ti stai curando – il
fenicottero si rivolse di nuovo a suo fratello – non mi sei
utile se non riesci a reggerti in piedi. Provvederò io a
te»
Dei fili uscirono direttamente dalle mani di Doflamingo. Era tremendo
assistervi.
«Togliti la camicia e voltati»
Corazon fece come gli era stato ordinato, rischiare di farlo
innervosire maggiormente era una mossa da evitare.
I bendaggi si presentarono rossi, intrisi, pieni, da strizzare;
‘Mingo li strappò via e iniziò a
muovere veloce la dita. Trapassò la carne aperta del
fratello, bucando le labbra della ferita da parte a parte, tirando e
ricongiungendo. Con dei movimenti oscillatori da sinistra a destra.
Uguale ad un ragno che tesseva la tela.
Eseguì un perfetto lavoro di sutura, aveva acconciato la
pelle di suo fratello con l’abilità di un sarto.
Corazon dovette solo stringere i denti. E per un attimo,
ripensò al malcapitato a cui il Joker avrebbe fatto la
pelle, e si rese conto della potenzialità di quelle parole,
che non erano affatto parole. Pensò anche a Law... ne
avrebbe fatto macinato per pescicani.
«Fatto.
Adesso va’ a farti una doccia e mettiti una camicia pulita,
questa è da buttare. Ti aspetto a cena, ma sbrigati che Jora
ha preparato la pizza per voi»
‘Mingo voltò le spalle al fratello, per andar via.
«Dimenticavo – si fermò davanti alla
porta, e si voltò verso Corazon – mi hanno
comunicato che Law oggi pomeriggio stava tentando di darsela a gambe,
l’hanno trovato nelle vicinanze del porto. Ho ordinato di
riportarlo subito qui»
L’Ufficiale rimase sorpreso e deluso dalla notizia: quel
ragazzino aveva provato a scappare, a mettersi in salvo,
epperò, non c’era riuscito.
Stava per chiedere a suo fratello che cosa gli era stato fatto, la fuga
era seconda al tradimento, ma si trattenne, ricordandosi che non poteva
parlare.
Il diavolo rosa osservò accuratamente la sua reazione, gli
apparve insolitamente sbigottito e dispiaciuto.
«Rosy, prima ti ho trattato male… Voglio
essere perdonato, stanotte dormirai con me. Fu fu fu»
Perfido e perverso, Doflamingo rise spalancando le labbra con una
smorfia che gli segava in due la faccia. Finito lo spettacolo,
sparì dietro la porta perdendo piume dal cappotto, come le
perdeva Corazon, ma le sue erano nere. Queste appartenevano al
fenicottero, erano rosa.
Le cose
stavano accadendo con troppa fretta, Rosinante si sentiva impotente.
Privo di controllo.
Nella sua camera non c’erano gabbie per uccelli a fare quel
terrificante gioco di luci; però, si sentiva ugualmente
prigioniero.
Doveva resistere, faceva parte della missione. Era suo dovere far
sparire la Famiglia. Una
finzione, la Famiglia, una creazione che
esisteva per puro capriccio del fratello. Doflamingo aveva inventato
dei ruoli, le persone erano interpretanti, morto un membro si
sostituiva tranquillamente con un altro. Nessun dolore, nessun
rimpianto. E il Drago Celeste non aveva mai provato rimpianti; neppure
dopo aver ucciso il proprio padre, Donquijote Homing.
Corazon chiuse gli occhi, sapeva di essere seduto su una polveriera, se
non vi avesse fatto più attenzione, il suo posto sarebbe
potuto tornare vacante.
Nello sforzo di rimettere a posto anche quei fantasmi che non sarebbero
dovuti uscire dal luogo in cui erano stati rinchiusi;
l’Ufficiale saltò in piedi, agitato.
Aprì con foga l’armadio e scelse abiti
nuovi.
Sistemata in fretta la sua personale uniforme, una camicia con cuori
stampigliati dappertutto, si coprì le spalle col cappotto di
piume nere e si ripassò veloce il rossetto che suo fratello
gli aveva precedentemente succhiato via dalle labbra.
Non aveva tempo di pensare a cosa lo avrebbe atteso nella notte,
perché s’era aggiunta un’altra
gravità a cui badare, da mettere avanti a tutte le altre, e
che il Tenente Colonnello non poteva ignorare.
Law,
ti farò uscire io dalla sua gabbia, non temere, fosse
l’ultima cosa che faccio prima di morire.
È una promessa.
“Mit
diesem Herz hab ich die Macht
die Augenlider zu erpressen
ich singe bis der Tag erwacht
ein heller Schein am Firmament
Mein Herz brennt”
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Da ascoltare assolutamente: LINK cliccate!
È
la canzone che ho scelto, struggente, drammatica nel testo e
nell’arrangiamento. È la Mein herz brennt dei
Rammstein, ma nella versione al pianoforte. Lindemann starebbe bene in
un teatro e guarda caso nel video è truccato un
po’ come Corazon! *__*
Io vi metto anche la versione normale, magari vi piace di
più e la potete ascoltare QUI.
Se il carattere del testo dovesse presentarsi troppo piccolo, abbiate
pazienza che sto facendo tutto dal tablet, comunque vi ricordo che EFP
dispone di tasti in alto a destra che ingrandiscono il carattere
automaticamente. Usufruitene!
Ora,
cominciamo con calma: nella conversazione lumacofonica tra Rosinante e
Sengoku, come ben sapete, voi lettori del manga cartaceo,
Kaki e Cracker sono parole in codice che usano per riconoscersi quando
i due sono in contatto. Chi legge il manga pubblico in rete, invece,
avrà letto altre parole, a seconda delle diverse traduzioni
che ci sono in giro. Stessa cosa per il frutto Taci Taci nella versione
cartacea, e sarebbe invece Nagi Nagi. Ma sorvoliamo, anche su come
vengono scritti i nomi propri: Rosinante/Rocinante; Do
Flamingo/Doflamingo (passatemi i soprannomi come diavolo rosa e
fenicottero del male) e su di lui ho scelto la forma
tutt’attaccata, perché Do Flamingo mi sa di
mafioso, anche se lo stile di vita non si allontana
dall’esserlo. Almeno qui però teniamo fuori la
mafia.
Ho deciso di aprire questa raccolta sulla Famiglia Donquijote, in
specie sul rapporto tra i due fratelli, per iniziare,perché
volevo provare ad immergermi nel dramma che li lega, e la parte un
po’ incestuosa, se vi è possibile, vedetela per
quello che è: non
un’attrazione tra i due (che trovo
davvero impossibile, ma c’è chi ci crede e lo
rispetto) piuttosto il controllo ossessivo di Doflamingo su suo
fratello. Per questo non volevo inserire
l’avvertimento di una Yaoi, perché non lo
è.
Comunque siete liberi di insultarmi.
Per quanto riguarda le gabbie per uccelli, il
fenicottero non le
colleziona, me lo sono inventato, ispirandomi
però a quella sua mossa, la gabbia che non lascia vie di
fuga. Ora mi sfugge il nome specifico… ma mi avete capito lo
stesso.
Il legno dell’albero Adam è quello che Franky ha
usato per la Sunny, e Tom per la Oro Jackson di Roger.
Mi sono presa anche la libertà ( me ne sono prese tante di
libertà) di fare sì che fosse il fenicottero a
curare la ferita che Law ha inferto a Corazon. Nel manga, in un
flashback vediamo che ‘Mingo se ne accorge passando
davanti alla camera del fratello(?) scoprendolo a curarsi,
nell’Anime invece ci fa caso mentre comunica a Law di volerlo
nella sua banda (era così, no?).
Io gliela faccio direttamente ricucire! Oh! È o non
è suo fratello maggiore, e così deve
comportarsi. Responsabilità! ^_^ ma non fatevi
ingannare…
E altra cosa, in proposito, mi sono immaginata che il Joker facesse
sapere la sua decisione prima al fratellino e poi al resto della Family.
Il sogno che poi gli racconta è quello che nel manga viene
usato per presentare il burrascoso passato di Dofy.
Preciso che in questo capitolo Corazon ancora non è a
conoscenza dell’intero nome di Law. Io più o meno
seguo la cronologia originale.
Il ritratto di famiglia descritto, rappresenta ovviamente la famiglia
Donquijote, per chi non ci avesse fatto caso. Mi piace pensare che
'Mingo se lo tenga tipo reliquia.
Il tritono del Diavolo esiste veramente, è una sequenza di
note, andatevelo a cercare se siete curiosi.
Attendo come sempre vostri pareri,
impressioni… insulti… contenuti però,
eh. ^^
Stavolta niente illustrazione, sono in pausa. Ma riprenderò.
Vi elenco le altre mie storie pubblicate:
Curami (Zoro/Perona/Mihawk)
NEW: pubblicato IV CAPITOLO!
Una convivenza forzata, un addestramento in corso e forse
un’attrazione accidentale che non vuole nessuno.
L’isola Kuraigana non è solo un luogo di morte; e
Perona e Zoro non sono soltanto una coppia di disgraziati spediti sulla
stessa macchia di terra.
Facciamo luce su due anni di buio.
Buona lettura.
III capitolo on-line
Pubblicata: 11/09/13 | Aggiornata:
31/08/16 | Rating: Arancione
Genere: Azione, Romantico | Capitoli: 4 | In corso
Tipo di coppia: Het | Note: Missing Moments | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Drakul Mihawk, Perona, Roronoa Zoro
LEGGI
Loverman…
Sanji non avrebbe mai dovuto provarlo, non avrebbe mai voluto
scoprirlo, non avrebbe mai dovuto desiderarlo. Anche la più
piccola mancanza di volontà verso se stessi è
ripagata con un tormento peggiore; a meno che si accetti la propria
natura.
Consiglio: lasciate perde’ sto trip di parole, buona lettura.
Pubblicata: 15/08/16 | Aggiornata: 15/08/16 | Rating: Arancione
Genere: Angst, Introspettivo | Capitoli: 1 | In corso
Tipo di coppia: Yaoi | Note: Nessuna | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Mugiwara, Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
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L’impensabile
inaspettato (Zoro/Sanji)
Sanji ha un urgente problema. Zoro… beh, lui fa quello che
può.
One Shot che disturba persino chi l’ha scritta, attenzione
alle note. E a voi la lettura.
Pubblicata: 03/11/13 | Aggiornata: 03/11/13 | Rating: Rosso
Genere: Angst, Introspettivo | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Yaoi | Note: Lime | Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Nico Robin, Roronoa Zoro, Sanji | Coppie:
Sanji/Zoro
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Ultime
previsioni prima di Dressrosa (Rufy/Nami/Trafalgar
Law)
Meno di un giorno all’arrivo sulla prossima isola. A bordo
della Sunny chi può si riposa, altri non dormono: si
incontrano casualmente, o per mistico volere.
Una One Shot breve e indolore, e con i personaggi IC; però
spetta a voi valutarlo.
Buona lettura.
Pubblicata: 20/10/13 | Aggiornata: 20/10/13 | Rating: Giallo
Genere: Sentimentale | Capitoli: 1 - One shot | Completa
Tipo di coppia: Het | Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Personaggi: Monkey D. Rufy, Nami, Trafalgar Law | Coppie: Rufy/Nami
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