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Autore: smile_tears    10/09/2016    2 recensioni
C’erano tele, cavalletti, colori, pennelli, tutto l’occorrente per riprodurre al meglio i quadri. Appesi alle pareti c’erano molti dei suoi lavori e lei ne restò affascinata. Si avvicinò per osservarli più da vicino e il ragazzo la seguì passo passo, sorridendo intenerito. Amy sembrava una bambina in un negozio di dolci. «M-ma questo è “Ninfee Rosa” di Monet! E quello “Lezione di danza” di Degas! Sei pazzesco Clarke, dico davvero»
Il ragazzo sorrise, a metà tra in compiaciuto e l’imbarazzato. «Hai intenzione di chiamarmi per cognome a vita, per caso? Comunque sono sorpreso che tu conosca anche questi dipinti»
La ragazza si voltò verso di lui, il sopracciglio sinistro inarcato e le braccia incrociate sotto il seno, a dimostrare la sua disapprovazione verso quelle sue parole. «Con chi credi di avere a che fare? Non sarò una studentessa d’arte, ma le cose le so anche io, sai?»
Il ragazzo sapeva che stava scherzando, ma decise comunque di reggerle il gioco. «Ah, davvero? Vediamo un po’ cosa sai, allora»
One shot partecipante al contest "Art for Art's Sake" di Panda e xSophia
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Amy Woodstock era una ventenne originaria del Cheshire. Alta, mora e occhi azzurri, Amy era una studentessa di lettere moderne a Londra. Da sempre era stata affascinata dai racconti di grandi autori, in particolare amava Dickens. Il suo libro preferito era Due Città, in quanto parlava delle sue due città preferite in due periodi storici che adorava. Era anche una grande appassionata di Shakespeare; aveva letto ogni suo sonetto e ogni sua altra opera. Col passare degli anni aveva riletto più volte l’Amleto, finendo per innamorarsene. Ricordava ogni più piccolo particolare e ogni volta che rileggeva il libro finiva con trovarne di nuovi. Amava entrare nella psiche dei personaggi, analizzarla e chiedersi cosa avrebbe fatto lei al loro posto. Era questo che amava dei libri, immedesimarsi nei personaggi e vivere mille storie e avventure diverse.
Chiunque la conoscesse sapeva che ovunque andasse aveva sempre un libro in mano e gli occhiali da lettura dalla spessa montatura nera sempre poggiati sul suo nasino a punta.
Ma la lettura non era la sua unica passione. Amy adorava l’arte in tutte le sue forme, poteva passare ore e ore ad ammirare dipinti e sculture, cercando di comprendere i sentimenti degli artisti. Le piaceva perdersi in quel mondo fatto di sogni, sentimenti, avventure e denunce e capire l’origine di quelle opere. Non aveva un periodo storico preferito, spaziava dall’arte di Giotto a quella di Leonardo, Raffaello, per finire a Monet, Cézanne, Gauguin e Van Gogh.
Van Gogh. Per lei era un caso a parte, nutriva un amore immenso per lui e per le sue opere. Perdeva intere giornate ad osservare e spogliare con gli occhi quei capolavori, cercando di coglierne il significato, anche quello più nascosto. Era più forte di lei, non appena riconosceva un Van Gogh rimaneva ammaliata da tutta quella bellezza e doveva assolutamente fermarsi a contemplarlo.
 
Quella tiepida giornata estiva Amy passeggiava tranquillamente per le strade di Londra. I capelli erano legati in un’ordinata e stretta coda di cavallo, mentre i suoi occhi azzurri erano come sempre coperti dalle lenti degli occhiali. Indossava un semplice skinny jeans nero, con sopra una camicia bianca abbastanza larga.
Camminava lentamente, osservando minuziosamente tutto quello che accadeva intorno a lei, mentre stretta al petto teneva la sua immancabile copia di “La verità sul caso Harry Quebert”. Si stava infatti dirigendo verso un piccolo parco poco lontano da lì, pronta a passare almeno un paio d’ore a leggere quel libro che le aveva rubato il cuore.
Stava camminando tranquillamente, incurante del baccano proveniente dalle bancarelle intorno a lei, finché non fu costretta a fermarsi e fare alcuni passi indietro, avendo visto, anche se solo di striscio, qualcosa che le interessava e che non poteva trovarsi lì. Quando però si voltò verso la bancarella che aveva catturato la sua attenzione, capì di non essersi sbagliata. A pochi metri da lei troneggiava uno dei dipinti di Van Gogh che più amava: la Notte Stellata. Ma quello, le ricordò la sua mente, era impossibile. Il dipinto era un’opera d‘arte inestimabile, ed era custodito nel Museo d’Arte Moderna di New York, non poteva trovarsi davanti ai suoi occhi, nel mezzo di un piccolo mercatino londinese. Quella era di sicuro una riproduzione, ma era così ben fatta da sembrare l’originale. Si ripromise di fare i complimenti all’autore, era stato davvero bravo. Nel frattempo, però, si avvicinò per osservare il dipinto da vicino e, come prevedibile, si perse nei suoi pensieri.
 
Antony Clarke era un ventiduenne mezzo squattrinato originario del sud dello Yorkshire. Era un ragazzo molto alto, toccava la soglia di un metro e ottantacinque all’incirca; aveva i capelli castani,  lunghi fino alle spalle e mossi, tanto che spesso li portava legati in un bun dietro la testa. I suoi occhi erano verdi, ma di un verde particolare, che poteva essere associato solo ai prati che si trovavano in Irlanda. Era un ragazzo abbastanza timido e riservato, carattere che contrastava con il suo aspetto esteriore, che mostrava un ragazzo sicuro di sé e a tratti spaventoso. Al contrario quello che si spaventava era lui. Bastava un nonnulla per mandarlo in agitazione e terrorizzarlo. Chiariamo, non aveva paura di paura di animali, del buio o cose simili. Lui aveva paura di fare le scelte sbagliate, di essere giudicato male dalle persone che aveva intorno a lui e questo non faceva altro che farlo chiudere a riccio e renderlo ancora più schivo agli occhi della gente. Ma lui non era cattivo, al contrario metteva sempre la felicità del prossimo davanti alla sua, amava essere di supporto alla gente. L’unico suo difetto era credere troppo alle cose che gli diceva la gente. Qualunque cosa sentisse sul suo conto, buona o cattiva che fosse, iniziava a rimuginarci sopra per giorni, finché non si autoconvinceva di essere davvero come lo avevano descritto. Il che poteva essere un bene quando si trattava di complimenti, ma dato che la maggior parte delle volte si trattava di offese non era proprio il massimo. Però c’erano i suoi amici a tirarlo su e a fargli capire che erano tutte menzogne, così lui tornava –più o meno- a capire che persona magnifica era.
Antony era quello che poteva essere definito uno “spirito libero”. Odiava essere costretto in un posto per troppo tempo, voleva viaggiare, scoprire il mondo e tutti i suoi segreti. Questo era prima di Londra, però. Aveva lasciato la sua piccola casa nello Yorkshire a soli 18 anni. Era partito a bordo della sua sgangherata motocicletta blu notte ed aveva iniziato a girare l’intera Inghilterra. Aveva visato moltissime città: Liverpool, Manchester, Leeds, Birmingham, Stratford-upon-Avon, Oxford. Poi si era fermato a Londra. Aveva intenzione di restarci per non più di una o due settimane, per poi riprendere il suo tour per il Regno Unito e poi per il resto d’Europa, ma non aveva programmato di innamorarsi di quella splendida città, così le due settimane erano diventate tre, poi un mese, poi un anno. Così, dopo tre anni, si trovava ancora lì. Aveva trovato quella che definiva casa, gli piaceva stare lì. Questo non significava che avesse perso il suo lato avventuriero, anzi. Ogni volta che ne aveva l’occasione prendeva la sua moto, che ancora lo accompagnava nei suoi viaggi, e percorreva chilometri e chilometri, alla ricerca di nuovi posti da scoprire.
Avere una casa non significava smettere di viaggiare e scoprire il mondo, ma solo che dopo le sue avventure aveva un posto dove tornare. Poi nulla toglieva che avrebbe potuto trovare un posto che gli piacesse più di Londra, a quel punto se ne sarebbe andato e avrebbe continuato la sua vita da un’altra parte, ma per ora stava bene così.
Mentre il suo amore per l’avventura era risaputo da tutti, c’era una sua passione –o meglio un suo talento- che teneva nascosto. Era stata sua sorella maggiore Aylin a scoprirlo per puro caso. Era uno dei primi anni di scuola media, la professoressa di storia dell’arte aveva assegnato per casa un compito abbastanza complicato: cercare di riprodurre al meglio un’opera d’arte a scelta. Antony, che per quanto piccolo apprezzava già l’arte, non ebbe dubbi su cosa riprodurre: Giuditta che decapita Oloferne, di Artemisia Gentileschi. Forse un’opera un po’ cruda per un ragazzino e sicuramente difficilissima da realizzare, ma lui ammirava troppo la Gentileschi e il suo coraggio di volersi affermare nell’arte nonostante tutti le remassero contro perché donna, per potersi tirare indietro.
Non ricordava neanche quante settimane impiegò per svolgere quel compito, ma ricorda bene uno degli ultimi giorni, quando mancavano solo pochi dettagli per ultimare tutto il lavoro. Sua sorella entrò in camera sua spalancando la porta e urlando come una pazza, facendogli prendere uno spavento enorme. Aylin non era pazza davvero, solo che era un sacco di tempo che vedeva il suo fratellino chiuso in camera ore e ore, aveva paura si fosse cacciato in qualche pasticcio. Per questo quando entrò nella sua stanza e lo vide seduto alla scrivania con davanti matite, pennelli e colori rimase piacevolmente colpita. Si avvicinò a lui e guardò a cosa stava lavorando con così tanta passione. Non appena riconobbe l’opera sbarrò gli occhi e si voltò verso il fratello come se fosse stato un alieno. «Tu- come- cosa? Come sei riuscito a fare una cosa del genere?»
La ragazza era stupita, non credeva che il fratello fosse così bravo a disegnare. Fatto sta, che quel giorno lei rimase ad osservarlo disegnare finché, a notte fonda, non ebbe ultimato tutto il lavoro.
Da quel momento in poi quello era stato il loro piccolo segreto, finché, arrivato a Londra, Antony non decise di fare di quella oscura passione un mestiere. Iniziò a dipingere giorno e notte, un giorno sì e l’altro pure. Amava osservare le opere d’arte e ricopiarle, senza tralasciare alcun dettaglio. Sicuramente le sue copie non erano neanche lontanamente paragonabili agli originali, ma a lui andava bene così.
 
Quel giorno, come tutti gli altri da un anno e mezzo a quella parte, Antony si trovava per le strade di Londra, nel bel mezzo del mercatino che si teneva lì ormai da anni. Aveva uno spazio alquanto ridotto, ma si accontentava. Gli bastava poter esporre i suoi quadri e ricevere apprezzamenti dalla gente che passava di lì e spendeva un po’ del proprio tempo a guardare i suoi piccoli lavori.
Sembrava una mattinata come le altre: le persone passavano davanti alla sua bancarella, chi fermandosi a complimentarsi, chi passando dritto, senza neanche dare un’occhiata; la signora Mary era andata come sempre a portagli una fetta di torta ai mirtilli, perché a detta sua era sciupato e “Se non mangi adeguatamente finirai con il sentirti male!”.
A metà mattinata, però, era accaduto qualcosa di insolito. Una ragazza stava camminando tranquillamente con un libro stretto al petto. Era passata davanti a lui senza battere ciglio, ma poco dopo averlo superato si bloccò, per poi tornare indietro. La vide avvicinarsi alla sua bancarella, gli passò accanto e neanche lo vide, andò dritta verso la sua copia della Notte Stellata di Van Gogh. Si fermò lì e restò ad ammirarla per minuti interi. Aveva gli occhioni azzurri spalancati, che alla sola vista del dipinto sembravano essersi illuminati di luce propria, e un sorriso enorme le increspava le labbra sottili. Vedeva le sue dita muoversi spasmodicamente sulla copertina del libro, come se volesse toccare il dipinto, sentirlo ancora più da vicino, ma si stava trattenendo, perché sapeva di non poterlo fare.
Sapere di aver suscitato in una persona dei sentimenti così belli e forti gli scaldò il cuore, nel vero senso della parola. Sentì il calore uscire dal petto e invadergli tutto il corpo, donandogli una sensazione di gioia che lo fece sorridere come non mai.
A quel punto si alzò dalla sedia dove era pigramente seduto e si avvicinò alla ragazza, per vedere se aveva bisogno di qualcosa. Le poggiò una mano sulla spalla e quella si voltò spaventata. Si guardarono entrambi per molti secondi. Quella ragazza era così piccola in confronto a lui, sembrava una di quelle bambole con cui sua sorella giocava quando erano bambini, le mancava solo il vestito da principessa. «Hai- hai bisogno di qualcosa?»
Al solo sentire la voce di Antony, Amy arrossì. Un po’ per l’imbarazzo che tutta quella situazione aveva provocato, un po’ perché la voce del ragazzo era così roca e profonda da farle venire i brividi e ancora perché era talmente alto da farla sentire piccola e indifesa, le faceva quasi paura. Ma quando lui le rivolse un sorriso talmente dolce da far sciogliere persino le pietre capì che era tutt’altro che cattivo, così non poté fare a meno di ricambiare. «Si, vorrei prendere questo dipinto. A proposito, scusa se mi sono imbambolata, ma ho un debole per Van Gogh e tutte le sue opere»
Il Gigante Buono, come lei l’aveva ribattezzato, le sorrise ancora di più se possibile, e tolse la tela dal cavalletto su cui era poggiato. «Ma figurati. Mi fa piacere sapere che i miei lavori piacciano così tanto la gente da lasciarli ammaliati»
Mentre lui sistemava il dipinto il modo da trasportarlo senza rovinarlo, lei sbarrò letteralmente gli occhi e iniziò a balbettare. «A-aspetta. Vuoi dirmi che tutti questi quadri qui li hai fatti tu? A mano? C- cioè non hai fatto fotocopie o cose simili?»
Il ragazzo scoppiò a ridere genuinamente di fronte al volto esterrefatto della sua particolare cliente, era così piccola e tenera da far male. «Esatto. Tutto ciò che vedi è opera mia»
Amy era sbalordita, quel ragazzo doveva essere un mago, quelle copie erano praticamente perfette. «Sei bravissimo, dico davvero! Le hai riprodotte così bene da sembrare originali, infatti all’inizio ero rimasta interdetta, credevo di essere impazzita»
Antony arrossì all’inverosimile, rendendosi ancora più tenero agli occhi della ragazza, che sorrise dolcemente di fronte a quel bestione di ragazzo che  si imbarazzava come un bambino. «Grazie mille, davvero. Mi rende felice sapere queste cose, mi da maggiore autostima»
La mora sorrise ancor di più e prese la tela dalle mani grandi di lui. «No, grazie a te. E, credimi, con un talento come il tuo non devi avere problemi di autostima. Ora devo andare, spero di rivederti in giro ogni tanto»
Gli fece un occhiolino e se ne andò verso casa sua, decidendo che “La verità sul caso Harry Quebert” poteva aspettare ancora un po’ per essere letto, aveva altro da fare.
Dal canto suo Antony era rimasto pietrificato e felicemente colpito dalle parole della ragazza, aveva ricevuto molti complimenti, ma quella era la prima volta che qualcuno gli diceva una cosa così bella e in maniera così diretta.
Volente o nolente, quella ragazza avrebbe occupato un posto speciale nel suo cuore.
 
Erano passati due mesi da quella volta e Amy e Antony non si erano più rivisti.
Lui era sempre lì, sperando di vederla ancora, di poter sapere il suo nome; di sapere quali erano i suoi hobby, se amava l’arte come lui. Ogni volta che vedeva qualcuna che le assomigliava perdeva dieci battiti, si sentiva al settimo cielo. Quando poi si accorgeva che non era lei, beh, ci restava malissimo, ma cercava di non abbattersi. Sapeva che se non si era più fatta viva doveva esserci un motivo, in fondo era stata lei a dire di volerlo rivedere, no?
Antony, comunque, aveva ragione. Se Amy era sparita era stato a causa dell’università. Era nel mezzo della sessione estiva e quindi aveva passato mattina e pomeriggio di quei due mesi alternandosi tra casa sua e la biblioteca per poter preparare quel dannato esame. Ogni volta che finiva di studiare correva lì dove sapeva che doveva trovarsi il suo amico Gigante, ma arrivava sempre troppo tardi e lui se n’era già andato.
Quel pomeriggio pioveva. Amy quella stessa mattina aveva dato l’esame ed era finalmente sollevata di potersi concedere un po’ di relax.
Subito dopo pranzo aveva deciso di andare al mercatino, sperando di trovare quel ragazzo e poter scambiare due chiacchiere con lui, ma quando era arrivata non trovò altro che il nulla. Stava per tornare a casa e chiudersi in camera a leggere il libro che aveva comprato lungo il tragitto, quando iniziò a piovere. Lei, ovviamente, era senza ombrello, quindi iniziò a correre il più velocemente possibile, per poi infilarsi nel primo bar che si trovò davanti. Appena entrata rabbrividì per il forte stacco di temperatura, per poi guardarsi intorno e cercare un tavolino dove sedersi. Lo trovò subito, poco distante dalla porta d’ingresso, così andò ad accomodarsi, in attesa che qualcuno andasse a prendere la sua ordinazione. Dopo aver richiesto una tazza di the prese il libro e iniziò a leggere, cercando di ingannare il tempo nell’attesa che spiovesse.
Antony aveva deciso di prendersi il giorno libero. Era sempre al mercatino a cercare di vendere i suoi quadri, una volta tanto poteva concedersi di non lavorare e prendersi una meritata pausa. Per questo quel pomeriggio era andato a fare una tranquilla passeggiata per le strade londinesi, cercando di rilassarsi e non pensare troppo. C’era quasi riuscito, peccato che proprio quando si era deciso a fare una pausa al parco avesse iniziato a piovere. Si alzò dalla panchina sulla quale era seduto ed iniziò a correre fino al suo bar di fiducia. Appena entrato tirò un sospiro di sollievo, odiava quando la pioggia gli bagnava i vestiti e specialmente i capelli, era una sensazione orribile.
Si guardò intorno alla ricerca di un tavolo e fu a quel punto che la vide, seduta con una tazza vuota davanti e il naso sepolto il un libro. Dopo averla cercata per mesi l’aveva finalmente trovata, non riusciva a crederci. Si avvicinò al suo tavolo e sorrise ampiamente, richiamando la sua attenzione. «Ehi, appassionata di Van Gogh»
Al suono di quella voce la ragazza alzò subito lo sguardo dal libro e dopo aver riconosciuto il Gigante non poté fare a meno di mostrarsi sorpresa e anche estremamente felice. «Ciao. È da un po’ che non ci si vede, siediti qui con me»
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e si sedette. «Hai già ordinato?»
La ragazza arrossì e sorrise appena. «In realtà si- disse, guardando la tazza vuota accanto al libro ormai abbandonato- ma credo che un’altra tazza non mi farebbe male»
Il Gigante non poté fare a meno di sorridere, probabilmente anche lui aveva capito che Amy volesse ordinare solo per poter parlare con lui; a quel punto chiamò la cameriera e ordinò due tazze di the.
Appena soli i due si guardarono, erano un po’ in imbarazzo, ma non importava poi molto. La mora tossicchiò appena, cercando di spezzare il silenzio venutosi a creare. «Sai che non ci siamo neanche presentati, io e te? Io mi chiamo Amy Woodstock, tu?»
«Finalmente riesco ad associare un nome al tuo volto, Amy. Io sono Antony Clarke»
Al solo sentire quelle parole il volto della ragazza si rallegrò. «Hai lo stesso cognome di Louisa, la protagonista di “Io prima di te”!»
Antony scoppiò a ridere di gusto, quella ragazza era davvero unica. «Sei la prima che se ne è accorta, sai?»
La ragazza arrossì in maniera esorbitante ripensando a ciò che aveva detto e abbassò lo sguardo, ma ormai il danno era fatto. Il ragazzo, accorgendosene, decise di cambiare discorso. «Comunque, che fine hai fatto in questi due mesi?»
Amy rialzò gli occhi sul ragazzo che aveva di fronte e sorrise appena, capendo il suo tentativo di toglierla dall’imbarazzo in cui era finita con le sue stesse mani. «In realtà sono stata impegnata con l’università, avevo un esame difficile stamattina e quindi ho studiato tutti i giorni. Quando finivo passavo da te, ma arrivavo troppo tardi e tu eri già andato via. Avrei voluto contattarti, ma non sapevo come, non sapevo neanche il tuo nome! Mi dispiace tanto»
Il Gigante sorrise teneramente, più stava con Amy e più la trovava adorabile. «Non preoccuparti, davvero. È tutto a posto. Che università frequenti?»
«Lettere moderne- sorrise- E tu? Niente università?»
Il ragazzo rimase piacevolmente sorpreso, non si aspettava studiasse lettere. «Mi sorprendi. Credevo studiassi qualcosa riguardante l’arte, mi eri sembrata così appassionata l’altra volta! Comunque no, io non frequento alcuna università, non mi piace molto studiare»
«Io amo l’arte, è una delle mie più grandi passioni insieme alla lettura, ma la letteratura inglese ha la precedenza. Amo studiare le storie dei poeti e di come sono nate le loro opere. Piuttosto quella sorpresa sono io. Credevo che fossi tu quello che frequentava una facoltà d’arte»
Antony arrossì appena, grattandosi la nuca imbarazzato. «L’arte la studio per conto mio, quando ho voglia. Sono una persona che odia stare fermo troppo tempo, non riesco a concentrarmi sullo studio. L’unica eccezione sono i miei dipinti, per quelli posso stare fermo anche ore e ore nella stessa posizione se necessario»
«Sei una persona davvero affascinante, Clarke»
Il commento di Amy fece arrossire ancora di più il povero ragazzo, che continuò a grattarsi la nuca imbarazzato, al punto da disfarsi il bun. A quel punto emise un piccolo sbuffo e tolse l’elastico, lasciando ricadere i capelli ondulati sulle spalle.
Antony spostò lo sguardò sulla ragazza che aveva di fronte e la vide con gli occhi e la bocca sbarrati, le gote tinte di un rosso tenue. Non riusciva a capire cosa le fosse preso, si stava quasi preoccupando. «Ehi, che ti prende?»
La ragazza scosse la testa, come per riprendersi da una sorta di trance. «N-niente, è solo che non credevo che i tuoi capelli fossero così lunghi. Stai benissimo però, dovresti lasciarli sciolti più spesso»
Il Gigante buono arrossì come non mai e si alzò di scatto dalla sedia, facendo spaventare la ragazza, che credeva di aver detto qualcosa di sbagliato. «G-grazie, ci penserò. Ti va di venire a casa mia a vedere dove lavoro?»
Gli occhi della mora si illuminarono a quelle parole e annuì impercettibilmente con la testa. «Se non disturbo più che volentieri»
Il ragazzo sorrise e scosse leggermente la testa. «Certo che non disturbi, tranquilla. Aspettami qui, così ce ne andiamo»
«Aspetta ma io devo pagare-»
«Oggi offro io»
La ragazza gli sorrise e lo ringraziò, e dopo che lui ebbe pagato si avviarono entrambi verso la casa dell’artista.
Ci misero all’incirca un quarto d’ora per arrivare. Avevano camminato lentamente, approfittando del cielo che si stava lentamente schiarendo, godendosi la compagnia dell’altro. Si trovavano bene insieme, avevano molti interessi in comune e questo faceva si che tra i due ci fosse sempre dialogo. Il ragazzo abitava in un condominio, il suo appartamento era all’ultimo piano. Salirono  cinque rampe di scale e finalmente raggiunsero il piano giusto. Dopo che Antony ebbe aperto la porta e acceso la luce, Amy non poté far altro se non spalancare gli occhi e la bocca, in segno di sorpresa. Appena messo piede nella casa si entrava in quello che doveva essere un salotto, ma che il suo amico aveva trasformato in uno studio. C’erano tele, cavalletti, colori, pennelli, tutto l’occorrente per riprodurre al meglio i quadri. Appesi alle pareti c’erano molti dei suoi lavori e lei ne restò affascinata. Si avvicinò per osservarli più da vicino e il ragazzo la seguì passo passo, sorridendo intenerito. Amy sembrava una bambina in un negozio di dolci. «M-ma questo è “Ninfee Rosa” di Monet! E quello “Lezione di danza” di Degas! Sei pazzesco Clarke, dico davvero»
Il ragazzo sorrise, a metà tra in compiaciuto e l’imbarazzato. «Hai intenzione di chiamarmi per cognome a vita, per caso? Comunque sono sorpreso che tu conosca anche questi dipinti»
La ragazza si voltò verso di lui, il sopracciglio sinistro inarcato e le braccia incrociate sotto il seno, a dimostrare la sua disapprovazione verso quelle sue parole. «Con chi credi di avere a che fare? Non sarò una studentessa d’arte, ma le cose le so anche io, sai?»
Il ragazzo sapeva che stava scherzando, ma decise comunque di reggerle il gioco. «Ah, davvero? Vediamo un po’ cosa sai, allora»
La ragazza accolse quella provocazione con un sorrisetto arrogante, che Antony pensò non si addicesse affatto a quel tenero viso da bambina, e iniziò a parlare a raffica. «Lezione di danza, olio su tela realizzato tra il 1873 ed il 1875, oggi conservato al Musée d'Orsay di Parigi. Il dipinto rappresenta una normale lezione di danza; una ballerina sta provando dei passi sotto lo sguardo del maestro, mentre tutte le altre aspettano pazientemente il loro turno. Caratteristica importante di quest’opera di Degas è che l’autore vuole mostrare una scena quotidiana, quindi tutti i personaggi del dipinto sono dipinti in atteggiamenti naturali, come la ragazza in primo piano con il fiocco giallo, che si sta grattando la schiena con la mano sinistra. Altro elemento importante è-»
«Ok, ok. Fermati adesso»                                                                                                          
Il Gigante la interruppe ridendo e quella si bloccò, scoppiando a ridere anche lei. A quel punto Amy continuò ad ispezionare la stanza, mentre Antony, approfittando della sua distrazione, recuperò un vecchio tubetto di tempere quasi finito e si sporcò appena gli indici di entrambe le mani. Allora tornò a posizionarsi alle spalle della ragazza e la richiamò. «Ehi, Amy»
Quando quella si voltò le labbra di lui si tirarono in un sorrisetto divertito, poi portò le mani vicino al viso della ragazza e tracciò due linee decise sulle sue guance. La mora restò interdetta, ma passato lo smarrimento iniziale fulminò il ragazzo con lo sguardo. «Clarke, ti uccido. Se ti prendo ti distruggo»
Il ragazzo scoppiò a ridere, per poi iniziare a correre, subito seguito dalla Bambola. Continuarono così per un po’, finché lui, sbadato come sempre, non inciampò in un cavalletto, cadendo rovinosamente a terra. Lei ne approfittò subito e si fiondò sul ragazzo, iniziando a solleticargli i fianchi. Immediatamente Antony iniziò a ridere e a dimenarsi e Amy rimase perplessa. Davvero uno alto e grosso come lui soffriva il solletico? Continuò ancora finché il ragazzo non la implorò di smettere, essendo ormai a corto di fiato. Quella si fermò e gli sorrise ragazzo, per poi aiutarlo a rialzarsi. «Forse è meglio se vai a sciacquarti il viso, prima che la pittura si asciughi del tutto»
La ragazza annuì e dopo essersi fatta spiegare dov’era il bagno andò a lavarsi.
Quando tornò il ragazzo stava fissando il nulla, lo sguardo pensieroso, ma quando la sentì arrivare si voltò verso di lei. Non appena la vide l’espressione sul suo volto mutò, divenendo di puro stupore. A quel punto la ragazza si coprì il viso con entrambe le mani, come colta all’improvviso da una scioccante verità. «Tu- tu hai le lentiggini. Perché non le ho viste fino ad ora?»
La ragazza tolse le mani dal viso rassegnata e sospirò. «Non le hai viste perché cerco sempre di coprirle con il fondotinta. Io odio le mie lentiggini»
Il ragazzo le si avvicinò, scrutandole il volto con sempre più attenzione. «Come puoi odiare una cosa bella come avere le lentiggini? Sono bellissime e ti rendono ancora più bambina e ancora più bella di quanto tu sia già. Sembrano tante piccole stelle, chissà se unendole si riesce a trovare qualche costellazione»
La ragazza arrossì violentemente, per poi balbettare un “Grazie”, che il ragazzo fece fatica ad udire. Il ragazzo le sorrise dolcemente, per poi scompigliarle affettuosamente i capelli.
Passarono la serata così, scherzando e parlando di arte, finché, quando si era ormai fatto tardi, Antony riaccompagnò Amy a casa con la sua moto sgangherata.
 
Passarono i mesi e quella per loro era ormai diventata una routine. Amy andava all’università, seguiva i corsi e studiava, poi appena aveva un attimo libero scappava da Antony, al mercatino. Passavano molto tempo lì ad osservare i passanti e parlottare tra loro, finché non veniva la sera e, insieme, si dirigevano verso l’appartamento di lui. Dopo aver cenato il Gigante si metteva a dipingere, mentre Amy seduta accanto a lui -o stesa sul pavimento- leggeva un libro, buttando di tanto in tanto un occhio al ragazzo e dandogli qualche consiglio su come procedere.
C’erano delle sere, però, in cui entrambi si annoiavano di stare in casa e quindi andavano in giro nella città notturna, in sella alla moto di Clarke, e quelle, per Amy, erano le serate più belle. Passavano ore e ore a girovagare per le strade deserte, cercando nuovi posti da vedere e nuove avventure da vivere. Una volta avevano fatto addirittura l’alba, inutile dire che per la mora era stato un trauma andare in università, solo due ore dopo. Ma ne era valsa la pena, lei e il Gigante, dopo quasi due ore di viaggio in moto, erano giunti a Stratford Upon-Avon, la città di Shakespeare. E lei amava Shakespeare. Essendo notte non avevano potuto visitare chissà cosa, ma già sapere di essere lì, con Clarke, a vedere un lato di quella città che pochi avevano visto la rendeva felice. Sulla strada del ritorno Amy stava per crollare, ma Antony per evitarlo le parlava. Le raccontava della sua decisione di partire dallo Yorkshire, di tutti i posti che aveva visitato, di come si fosse innamorato della loro Londra e lei lo ascoltava e, poco a poco, riusciva a sentire il ragazzo sempre più vicino a sé. In quei mesi il loro rapporto era cresciuto molto, erano sempre insieme ormai e, probabilmente, entrambi erano consapevoli che giorno per giorno si stavano innamorando sempre più l’uno dell’altro, solo che nessuno voleva ammetterlo e per allora sembrava andare bene così.
Un giorno questa routine venne disfatta dal Gigante. Da quando si conoscevano non si era mai azzardato ad andare a cercare Amy a casa sua, per paura di distrarla dallo studio. Quindi quando quel giorno lei sentì suonare il campanello e se lo trovò davanti rimase molto sorpresa. «So che stai studiando, ma adesso ho bisogno che tu venga con me»
La ragazza annuì, anche se era un po’ sorpresa. In fondo non aveva molta voglia di studiare.
Non sapeva da quanto tempo fossero in viaggio, sapeva solo che erano partiti che c’era ancora il sole e che anche se ancora non erano arrivarti il sole era tramontato da un pezzo. Le gambe iniziavano a farle male a furia di stare ferma tutto quel tempo, ma non si azzardò a lamentarsi. Tuttavia Antony parve accorgersi del suo malessere, perché si premurò subito di rassicurarla. «Non preoccuparti, manca poco. Siamo quasi arrivati a destinazione»
La ragazza si limitò ad annuire e tornò a fissare il paesaggio intorno a loro. Poco dopo il ragazzo prese uno strano sentiero che sembrava condurre su di una collina. Dieci minuti dopo, finalmente, il Gigante spense il motore ed entrambi scesero dal motorino. Amy aveva le gambe indolenzite, ma questo non la fermò dal seguire il ragazzo che stava continuando a camminare tra gli alberi. Poco dopo Antony scostò un ramo che arrivava fino a terra e, sorridendo, le fece cenno di precederlo. Quello che vide la fece restare letteralmente senza fiato. Di fronte a lei si estendeva un cielo ricolmo di stelle e, al di sotto della collina su cui si trovavano loro, c’era un piccolo paesino. «È- è bellissimo, Clarke. Ma non capisco cosa vuole significare»
Il ragazzo sorrise, come si fosse aspettato quella domanda. «Vieni a guardare da dove sono io, così forse capirai»
La ragazza obbedì, anche se non del tutto convinta. «Ma Clarke, la chioma di quei cipressi copre parzialmente la visuale e- aspetta un attimo.» Si interruppe e indietreggiò appena, per osservare meglio. «I cipressi, il paesino, le stelle… Clarke, ma- ma questo paesaggio ricorda la Notte Stellata!»
Il Gigante sorrise, vedere Amy così felice e con gli occhi che brillavano era uno spettacolo bellissimo. «Non sarà Saint-Rémy-de-Provence, ma meglio di niente, no?»
La castana annuì, sorridendo felice. Aveva adorato quella sorpresa, era valsa la pena fare un viaggio così lungo.
Si sedettero entrambi sull’erba, contemplando lo splendido spettacolo intorno a loro. Erano in un posto bellissimo ed erano insieme, cosa poteva esserci di meglio?
Amy facendo questi pensieri sorrise e poggiò la sua mano destra su quella più grande del ragazzo.
Antony si voltò sorpreso e trovò il volto della Bambola poco distante dal suo. A quel punto era inutile negare o trattenersi, doveva semplicemente accadere. Si avvicinarono maggiormente l’uno all'altro, finché le loro labbra non si incontrarono per la prima volta, sotto un cielo macchiato di stelle, in un gesto che, poco a poco, sarebbe divenuto naturale. 






Hola! 
Buonasera (notte) a tutti. 
Niente da fare, per quanto mi impegni non riesco mai a pubblicare ad un orario decente. Comunque, lasciamo perdere. 
Dopo un'estate di completa inattività, ho finalmente scritto questa one shot, patecipante ad contest di Ani e Panda, che ringrazio infinitamente. 
Su questa storia non so cosa dire, se non che spero vi sia piaciuta e che le parti riguardanti le opere d'arte non vi abbiano annoiato. 
Dato che adesso sono le ventitré e io sto scrivendo dalle sette di questa mattina è meglio che vada a letto, sono stanca morta. Scusate se queste note fanno schifo, prima o poi le aggiusterò. 
Grazie ancora a chiunque leggerà.
A presto, 
Miky. 
  
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