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Autore: Aniadellacqua    12/09/2016    0 recensioni
«Lei non sa nemmeno che esisto Angie.» Il grande problema, il salto che non riuscivo ad eseguire. Lei non sapeva che esistevo e non avevo idea di come fare per riuscire a farmi notare come qualcosa di più, di un semplice, mediocre pattinatore della sua stessa città. Come potevo far innamorare la fata della pista di uno come me?
Genere: Fluff, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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STRISCE PEDONALI

 

Doppio toe-loop. Triplo axel. Combinazione di passi e... ed eccola. La piroetta ad angelo. Il gran finale del programma corto. Eccola. Bellissima. Perfetta. Stupenda. Non una sola sbavatura, non una sola imperfezione. I segni sul ghiaccio quasi non si notavano, quasi non si vedevano, come se non avesse alcun peso. Una fata.
«Sai che se non fossi tua sorella, mi offenderei.» La voce di Angelina era tinteggiata dei colori ironici delle prese in giro. Le utilizzava sempre quando mi beccava a fissare, disperatamente innamorato, Hennie Clark, la migliore delle pattinatrici che la pista di pattinaggio di Huntsville avesse da offrire. Non pattinava in coppia Hennie, a nostra differenza, non c'era alcun principe che riuscisse a convincerla a cedere la propria mano. Specializzata tanto nei salti quanto nelle trottole, aveva iniziato con la danza classica per poi finire sulle affilate lame dei pattini. Ed io l'avevo amata con ogni fibra di me da che la vidi entrare sulla pista la prima volta tre anni prima, accompagnata dal suo allenatore personale. Hennie, la mia musa, la mia ragione per cercare di migliorarmi quanto più possibile come atleta, nella speranza d'essere notato. «Dan, mi stai ascoltando o no?» Non avevo mai preso troppo sul serio il pattinaggio, più una passione di mia sorella a cui non ho mai saputo negare niente, che qualcosa di davvero desiderato e sentito. Ma tutto era cambiato quanto Hennie fece la sua comparsa.
Una mano mi sventolava davanti la faccia, Angelina era sporta oltre il parapetto della pista al quale ero appoggiato. «Che hai detto Angie?» Ottenni un sospiro paziente, di commiserazione. «Scusami, davvero, ora ti ascolto.»
«Quanto pensi che resterà single? Appena andremo alle olimpiadi te la soffierà qualcuno. Dammi retta, smettila di fissarla come uno stoccafisso e va almeno a parlarle. Lo sai che cosa pensa? Che ti sta antipatica! A stento la saluti!» Non mi riusciva di parlarle. Ogni volta che me la ritrovavo davanti tutto quello che facevo era restare a guardarla, abbagliato... come un vero idiota. Il fatto è che mi sarebbe bastato rimanere in silenziosa contemplazione, o almeno così mi ero detto i primi tempi. Mi sarebbe andato bene poterla osservare per tutta la vita, continuare ad ammirare la sua bravura, quel suo modo di saltare e volteggiare come se nulla fosse, poter godere dei suoi sorrisi durante le esibizioni. Illudermi di esserne l'unico bersaglio. Ma avevo notato che da qualche tempo Hennie si incontrava spesso con qualcuno dopo gli allenamenti, qualcuno che non era del club. Nel momento in cui mi resi conto che un giorno sarebbe arrivato un uomo che avrebbe conquistato il diritto di camminarle al fianco, stringerle la mano, condividere con lei tutto quanto, l'idilliaca illusione di accontentarmi di viverla da lontano si era infranta.
«Lei non sa nemmeno che esisto Angie.» Il grande problema, il salto che non riuscivo ad eseguire. Lei non sapeva che esistevo e non avevo idea di come fare per riuscire a farmi notare come qualcosa di più, di un semplice, mediocre pattinatore della sua stessa città. Come potevo far innamorare la fata della pista di uno come me?
«Di sicuro non ti noterà mai se tutto quello che fai è stare a fissarla come un pesce lesso tutto il tempo. Tutti la fissano Dan, tutti quanti. Se vuoi che si accorga di te, devi fare qualcosa che nessuno farebbe.»
Per tutta la durata dell'allenamento, mentre accompagnavo Angelina negli esercizi, nella mia mente rimbombavano insistenti le parole di mia sorella. Fare qualcosa che nessun altro avrebbe fatto. Qualcosa di diverso, di spicco. Così da togliermi dalla marea di anonimi volti che acclamavano ad Hennie. A stento sentii Angelina quando mi disse che non sarebbe tornata a casa con me quel giorno, per quale ragione? Boh. Ero Troppo concentrato a cercare di elaborare un piano vincente per conquistare il cuore di Hennie. Ero al semaforo accanto al palazzo della pista, sospiravo, abbattuto. Mi serviva un'idea originale. Superlativa. Pensieri che si ghiacciarono nell'attimo in cui la fata comparve al margine della strada: aveva il borsone in spalla, i capelli non più stretti nello chignon, liberi, scompigliati. Ah, cielo, com'era bella. Come avrei mai potuto risultare degno a quei grandi occhi celesti. Dovevo fare qualcosa. Qualcosa che nessun altro si sarebbe sognato di fare, così aveva detto Angie ed Angie aveva sempre ragione. Misi la prima. Perché? Il semaforo era rosso. Perché avevo messo la prima?! Partii, i miei pensieri in tilt. Fare qualcosa che nessuno avrebbe mai fatto, per stupirla, per risultare speciale più di chiunque altro. Da quel punto in poi, ci fu solo caos: inchiodai l'auto prima di colpirla, Hennie si tirò indietro spaventata, le altre macchine in fila mi suonarono. Avevo quasi investito, apposta, Hennie Clark. La mia musa. La mia fata. Lei non piangeva. Non le avevo male, giusto? L'avevo spaventata? No. No, l'avevo fatta arrabbiare come una furia. Mi stava battendo ferocemente il pugno chiuso sul finestrino, mi gridava di abbassarlo. Mi aveva appena dato del coglione? Avevo appena, quasi, INVESTITO Hennie?! Hennie Clark che non era assolutamente un'eterea fata del ghiaccio, delicata e fragile come un elegante cristallo. Scoprii che aveva un carattere esplosivo, irruento, abbastanza da prendermi a pugni una volta liberata dell'impiccio del finestrino. Hennie Clark aveva anche una folle paura del sangue, quasi svenne quando si accorse di aver ferito e fatto sanguinare copiosamente il sopracciglio dell'imbecille che quasi le era passato sopra. Quell'imbecille andò al pronto soccorso, più che per se stesso, per Hennie che si sentiva svenire. Al pronto soccorso, per la prima volta in tre anni, parlai con la fata della pista, che un po' mi malediceva ed un po' si scusava.

 

«Papi... hai davvero investito la mamma?» La narrazione viene interrotta, Danny osserva Carmen, la sua primogenita, ha il visetto stupefatto e divertito allo stesso tempo. L'albero di natale le colora le guance ad intermittenza. Mancano ancora i regali che magicamente compariranno solo quando si sarà addormentata.
«Ma non le ho fatto niente!» Assicura con fervore. Ritrovarsi a raccontare certe cose, oggi, a distanza di dieci anni gli fa capire quanto assurdo debba sembrare quel suo tentativo di conquista. Hennie sghignazza senza trattenersi, accomodata contro di lui, infilata in un tremendo maglione rosso con ricamate sopra delle terribili renne marroni dai nasi luccicanti.
«Non mi ha fatto male ma mi ha spaventata a morte e per questo papino le ha prese.»
«Papi sei davvero uno stupido. La zia ti aveva detto di fare un gesto romantico!» Riprende la bambina, sette anni ed è già la copia di sua madre, un peperino saccente e dalla lingua tagliente. Vuole diventare una campionessa come Hennie ma danzando con qualcuno come fa lui. Il problema è che Carmen è una piccola, talentuosa tiranna con tutti i compagni che l'allenatore gli ha affiancato. «Mami ma come hai fatto ad innamorarti?» Carmen ha le braccia incrociate ed un'aria contrariata a circondarla. Semplicemente adorabile. Suo fratello, Thomas, sonnecchia al suo fianco appoggiato al bracciolo del divano, sotto la copertina preferita.
«E' una bella domanda sai?» Hennie e sua figlia, l'unica con cui sua moglie abbia mai accettato di danzare sul ghiaccio. Il duo perfetto, per il quale ogni volta non riesce ad impedirsi di commuoversi davanti agli occhi confusi di Thomas, che docilmente, gli permette di farsi stringere come consolazione. «Ma devi sapere, fatina, che oltre che ad essere uno stupidone, il tuo papà è davvero come i principi azzurri delle storie che ti leggo. Certo non è arrivato a prendermi a cavallo ma quasi mi investiva con la macchina però anche se quel giorno ero davvero arrabbiata con lui, dopo non ho mai smesso di essere felice. Papà mi fa ridere e fa tante cose romantiche anche se gli vengono per lo più male e combina un sacco di pasticci. Mi sono innamorata di papà» Si alza in piedi per raggiungere i due bambini davanti i quali si inginocchia. «perché non vuole danzare con me come mi chiedevano tutti gli altri. A lui andava bene guardarmi.» Scoprire che Hennie Clark fosse innamorata di lui proprio perché non aveva il fegato di fare altro che ammirarla da bordo pista fu la cosa più straordinaria, assurda e folle di tutta la sua vita. «e lo amo ancora di più, oggi, perché mi ha dato te e Thomas, fatina.» Carmen è concentrata, fissa la madre, forse indecisa su come reagire. Si conclude con un tendersi di braccia e Danny non può far altro che sentirsi un uomo fortunato come pochissimi altri al mondo.
«Mami, papi ha ricominciato a piangere.» Mormora la bambina, Hennie annuisce, non si volta, stringe con maggior convinzione la figlia.
«Papino è un frignone, non ci possiamo proprio fare niente fatina. Su, andiamo a letto, altrimenti Babbo Natale non arriva.» Carmen lascia la madre, scende dal divano mentre Thomas viene preso in braccio, assopito. Scaccia via due lacrime dalle guance, Danny, tira su con il naso sotto gli occhi della sua bambina che sospira, paziente. Gli si arrampica sulle ginocchia così da potergli prendere il viso tra le piccole mani.
«Papi ti voglio bene, non dicevo davvero quando ho detto che sei stupido. Non piangere. Buon Natale.» Danny Harrison stringe a sé la figlioletta, nasconde il viso contro il suo pigiama azzurro, non rosa, il rosa non le piace. La stringe e la bacia sulle guance, sulla fronte. Le sussurra che la adora. Che la ama. Proprio come ama la sua mamma ed il suo fratellino.
Quando Hennie torna in salone, la fissa, sorride nel guardarlo, le braccia incrociate sotto il seno. Sorride in silenzio, immobile, le labbra strette. «Sei il mio uomo bellissimo, Dan.» Anche se pensava di essere un signor nessuno, comune ed invisibile. «Sei il mio sciocchissimo marito.» Si avvicina, gli si siede in braccio, non smette mai di guardarlo. Nella sua immaginazione, ciò che osava sperare di più era di poterle parlare, avere una conversazione con lei, non certo di divenire quell'uomo degno di dividere la vita con lei, sposarla, creare una famiglia. Niente di simile rientrava nei suoi sogni. Troppo ardito. «Ed io ti amo, con tutta me stessa e non smetterò mai di pattinare finché tu sarai tra il pubblico a guardarmi.» Baciarla lo rimanda a quell'assurdo incidente, a quel suo gridargli contro in mezzo alla strada, ai pugni ed alla corsa al pronto soccorso. Lo trascina a qualche settimana dopo, fuori dal palazzo della pista, davanti a quell'amico, a quel rivale al quale dichiarò di essere perdutamente innamorato di lei, che doveva farsi da parte perché mai avrebbe rinunciato a corteggiarla. Solo per scoprire che quel ragazzo, Jason, tutto era meno che un rivale ma solo il cugino di lei. La sua dichiarazione, la sua confessione ad Hennie, piegata su se stessa a causa delle risate. «Anche se...» Mormora, stretta a lui. «mi toccherà smettere per un altro po'.» La mano destra gli viene posata sul ventre della moglie. L'occhiata esplicativa. «Buon Natale, Dan.»
«Sei...» Lei annuisce e lo bacia di nuovo e lui non può far altro che stringerla e silenziosamente ringraziare sua sorella, petulante bimbetta di sette anni che vuole fare la danza sul ghiaccio come le signorine alla televisione. Ringrazia il comando categorico di sua madre di farle da accompagnatore e le minacce di suo padre di non osare farla mai cadere. La ringrazia per la sua natura da impicciona e i suoi criptici consigli. Perché se oggi la donna dei suoi sogni gli ha potuto dire di aspettare il loro terzo figlio, è tutto merito di Angelina, il suo angelo custode.

   
 
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