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Autore: Freaky_Frix    12/09/2016    0 recensioni
Un piccolo esperimento venuto fuori dopo aver letto un brano di Italo Calvino.
Buona lettura!
Frix
Genere: Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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L’alieno
 
Era una grigia mattina di febbraio, ventosa e fredda. Il cielo era carico di pioggia, pronto a rilasciare i suoi freddi proiettili in qualsiasi momento. In un asilo alla periferia della città i bambini, muniti di impermeabile e stivali di gomma, osavano sfidarlo, saltando nelle pozzanghere, tra risa e schiamazzi. Le maestre li osservavano da sotto il portico, braccia conserte, intirizzite dal freddo, con un leggero sorriso nostalgico.
Anche io li osservavo.
Anche io avevo freddo.
Sapevo che sarebbe stato meglio rimanere al coperto, ma non avrebbe cambiato di molto la mia condizione. Una raffica di vento frustò il terreno, travolgendomi e spingendomi contro il muro. Chiusi gli occhi, mentre di fronte a me i bambini continuavano con i loro giochi. Credo che stessero fingendo di essere esploratori sulla Luna, tutti in fila indiana, tutti a saltare da una pozza all’altra, come in una coreografia ben orchestrata. Riaprii gli occhi: avevo ragione. Tirai su col naso, e percepii chiaramente l’odore di una tempesta in arrivo. Dovevo mettermi al riparo, prima che fosse troppo tardi. Ma dove? Casa mia era troppo distante, non avrei fatto in tempo. Mi voltai verso l’ingresso della scuola: il bidello aveva aperto il portone e stava borbottando qualcosa alle maestre. Decisi di cogliere l’occasione e di intrufolarmi nell’edificio quando nessuno guardava. Il caldo mi accolse subito nel suo confortevole abbraccio, e mi fermai un attimo a godere della pace che si estendeva lungo il corridoio in penombra. Le lampade al neon erano spente, e il brusio che percepivo – altri bambini, presumo – era distante dalla mia posizione. Mi guardai intorno alla ricerca di un riparo, consapevole che di lì a pochi minuti un piccolo esercito di esseri urlanti mi avrebbe travolto. Mi guardai intorno freneticamente, e individuai uno spiffero proveniente da una delle aule: la porta non era stata chiusa.
Mi diressi in quella direzione, e feci appena in tempo a varcare la soglia che sentii il portone aprirsi e un coro di voci infantili farsi strada per il corridoio. Preso dal panico, mi nascosi nella cesta dei giochi, sperando che nessuno si accorgesse della mia presenza.
L’uscio fu spalancato, la luce fu accesa, e i bambini entrarono. Sperai con tutto il cuore che per qualche strana ragione stessero lontani dalla cesta, e cominciai a rimpiangere la mia scelta. Avrei potuto trovare riparo sotto gli stipi, se soltanto avessi riflettuto meglio.
Cercai di rimanere immobile, di non respirare, ma fu tutto inutile. La maestra diede loro il permesso di giocare, e in meno di un secondo erano tutti accalcati sulla cesta. All’inizio non fu male: sceglievano giocattoli ben mirati, lontani da me. Per un momento pensai che magari non si sarebbero accorti di me, ma poi una mano grassottella mi afferrò e mi trascinò via, stringendomi fino a farmi soffocare. A quel punto, vinto dal dolore, non potei non trattenere uno squittio. Il bambino mi avvicinò al suo viso per osservarmi e, quando capì che ero vero, mi lasciò cadere strillando come una gallina.
Io cercai di dileguarmi, mi infilai sotto gli stipi, mi misi a correre più veloce che potevo, ma alla fine dovetti arrendermi alla scopa della bidella, che prese a colpirmi ripetutamente, facendomi perdere conoscenza.
Pensai di essere morto, che la mia piccola ma soddisfacente esistenza fosse giunta al suo termine, però poi accadde qualcosa d’insolito: mi sentii rotolare, e sentii di nuovo freddo. Lo stridio di un qualcosa di metallico mi svegliò del tutto. Ero intontito, ma vivo, e di nuovo in mezzo alla strada. Mi avevano scaricato fuori dal cancello, come un sacco della spazzatura, come l’essere infimo che per loro rappresento. Tirai su col naso, e cominciai ad allontanarmi, mentre imperversava la tempesta.
Riuscii a raggiungere il mio rifugio, e vi rimasi per due giorni di fila.
Quello su cui voglio porre la vostra attenzione, miei cari signori, non è tanto il fatto che sono riuscito a sopravvivere a quelli della vostra specie, no.
È il trattamento che mi è stato riservato, che vorrei porre sotto analisi. Voi mi avete trovato, mi avete considerato una minaccia, un alieno, e mi avete punito per avere anche solo osato pensare che mi avreste accolto. Non come vostro pari: riconosco l’inferiorità della mia razza rispetto alla vostra. Ma mi aspettavo almeno un po’ di compassione, un po’ di pietà.
Non avendo ricevuto quest’impressione da parte vostra, vi avverto che ho deciso di farvi guerra. Ho radunato tutti i miei amici, e stiamo per dirigerci verso il luogo dove tutto è cominciato: la scuola dei piccoli umani. Confido che vi arrenderete senza protestare, e che ci lascerete essere membri più attivi della vostra comunità.
 
Un semplice topo di periferia
   
 
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