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Autore: evelyn80    13/09/2016    4 recensioni
Luca è un giovane uomo di trentun'anni, chitarrista di una cover band. Nell'attesa che arrivi la sera per salire sul palco e suonare, si concede una passeggiata durante la quale incontra Micaela, giovane donna di cinque anni più vecchia di lui, lettrice volontaria per bambini, piena di complessi riguardo il suo aspetto e la sua vita affettiva. Luca si innamora subito della sua voce e decide di tentare un approccio. Le cose, però, saranno più complicate del previsto.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Luca'
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Capitolo 2
Barracuda


Il sabato mattina successivo Luca si stava preparando per scendere di nuovo al mare, da Micaela, quando il suo campanello trillò. Alla porta c’era Flavio.
«Bene, vedo che sei pronto! Non abbiamo un minuto da perdere!»
«Per fare cosa, scusa?»
«Ehi, pronto? C’è nessuno in casa?» chiese sarcastico il cantante, battendo con le nocche sulla testa del chitarrista. «Ti sei già dimenticato che abbiamo un concerto a trecento chilometri da qui?»
Luca cadde dalle nuvole: «Quale concerto?!»
«Quello alla Festa della Birra! Ci andiamo ogni mese!»
«Oh cazzo! Me ne ero completamente dimenticato!» esclamò il chitarrista. Preso com’era ad organizzare la sua visita a Micaela si era completamente scordato di quel concerto.
«Già… Ma per fortuna sono passato a prenderti. Andiamo, su!» e, senza ascoltare le sue lamentele, Flavio trascinò Luca fuori da casa sua, senza neanche dargli il tempo di prendere il suo cellulare che rimase abbandonato sul comodino.
 
* * *


Seduta a gambe incrociate sotto al pino marittimo Micaela leggeva una favola ai bambini, ma senza il consueto entusiasmo di sempre. Luca si era fatto sentire spesso durante il corso della settimana e lei aveva sperato di vederlo arrivare nella pineta proprio durante l’ora di lettura, come il fine settimana precedente quando si erano conosciuti. Ed invece oramai era quasi arrivata allo scadere del tempo e del chitarrista non aveva visto neanche l’ombra. 
Aveva persino controllato più e più volte il cellulare, che aveva messo in modalità silenziosa per non disturbare la lettura, nella speranza di ricevere una sua chiamata, magari per avvertirla del suo ritardo. Ma le sue speranze erano state disattese.
Al termine della favola i bambini si alzarono e raggiunsero i loro genitori, seduti sulle panchine poco lontano e la piccola Aurora, quando andò a salutarla come al solito con un bacio sulla guancia, le chiese se andava tutto bene.
«Stai bene, Micaela? Oggi non eri molto brava, a leggere.»
«Tutto bene, grazie piccola. Sono solo un po’ preoccupata perché aspetto notizie da una persona che non si è ancora fatta viva. La prossima settimana prometto che sarò una lettrice molto più brava!» rispose la giovane donna, abbozzando un sorriso tirato.
Una volta sola, prese in mano il cellulare per l’ennesima volta, tormentandosi con la domanda che si era posta quasi di continuo nel corso dell’ultima ora: “Lo chiamo o non lo chiamo?
Infine, dopo aver tratto un lungo sospiro tremolante, cercò in rubrica il numero del chitarrista ed avviò la chiamata. Dall’altro capo rispose una serie infinita di squilli che si concluse, infine, con un tristissimo segnale di occupato. Trattenendo a stento le lacrime, convinta che Luca le avesse dato una buca clamorosissima, Micaela decise di attendere ancora fino all’ora di cena prima di darsi definitivamente per vinta. Trasse un grosso romanzo dalla borsa di stoffa contenente i libri di favole e si rimise a leggere, con la schiena appoggiata al tronco. 
Rimase lì per due ore prima di decidersi ad andarsene, tornando a casa con passo lento e strascicato.
 
* * *


Luca si era accorto di aver dimenticato il cellulare soltanto un’ora dopo, quando ormai era impensabile tornare indietro al paese per recuperarlo. Maledisse più e più volte Flavio per avergli messo una fretta del diavolo e maledisse anche la tecnologia. Una volta, quando i cellulari non esistevano, spesso eri costretto ad imparare a memoria i numeri di telefono se volevi averli sempre a portata di mano. Ora, invece, con quelle dannatissime rubriche sui cellulari, bastava solo premere un tasto per averli tutti davanti agli occhi. “Se almeno lo avessi imparato a memoria!” pensò per l’ennesima volta. Allora avrebbe potuto farsi prestare il telefonino da uno dei suoi amici per avvertire Micaela di ciò che era successo, ma così poteva fare ben poco…
Fu più distratto del solito, sia durante il soundcheck sia durante il concerto, tanto che, ad un certo punto, Flavio decise di fare una pausa.
«Si può sapere che cazzo ti passa per la testa, stasera? Non sembri nemmeno tu!» esclamò il cantante alle orecchie del chitarrista, facendolo trasalire.
«Lo sai cosa mi succede! Se tu non mi avessi messo così tanta fretta…»
«Adesso basta con questa storia!» lo interruppe Flavio. «Non mi interessa se stasera avevi programmato di pucciare il biscotto al mare! Vedi di strimpellare bene quelle corde, altrimenti il prossimo ingaggio ce lo giochiamo! E poi, il biscotto lo puoi pucciare lo stesso: guarda quante pollastrelle che ci sono, in giro!»
Luca strinse le labbra per evitare di mandare il cantante a quel paese. In fondo aveva ragione: se volevano continuare a fare spettacoli dovevano farli bene. Annuì seccamente e tentò di impegnarsi al meglio nella seconda parte del concerto, anche se il pensiero di Micaela e del fatto di non averla chiamata continuò a tormentarlo per il resto della serata.
Lo spettacolo finì molto tardi e fu, come al solito, seguito da una cena abbondante innaffiata da generose dosi di birra, servita in boccali da litro. Per stordirsi e smettere così di pensare alla giovane donna che aveva miseramente abbandonato senza nemmeno una notizia, Luca ne scolò tre prima di essere assalito dai conati di vomito. Passò una notte d’inferno e la mattina successiva riuscì a svegliarsi solo dopo mezzogiorno, con la testa che gli pulsava come la grancassa di una batteria.
Il gruppo, quindi, fece ritorno al paese solo nel tardo pomeriggio. Il chitarrista corse subito in casa alla ricerca del cellulare: Micaela aveva provato a chiamarlo solo una volta. Premette immediatamente il tasto di chiamata, ma dall’altro capo della linea nessuno rispose. Non appena la comunicazione si interruppe provò una seconda volta, ma con lo stesso risultato. Guardò l’orologio: oramai erano le sei di sera e non avrebbe mai fatto in tempo ad arrivare da lei prima dell’ora di cena. Rassegnato si lasciò cadere sul divano, provando a chiamarla per altre tre o quattro volte durante la serata, sempre però senza ricevere nessuna risposta. Preoccupato che potesse esserle accaduto qualcosa andò comunque a dormire ma, anche se era esausto, i suoi timori gli impedirono di riposare bene.
La mattina successiva andò a scuola, deciso a chiedere al direttore un paio di giorni di vacanza. Immaginava già, però, che la risposta sarebbe stata negativa: non poteva permettersi di saltare nemmeno un’ora di lezione, non adesso che i suoi allievi erano così vicini al saggio finale del corso di musica.
Disperato, Luca fu costretto ad attendere il fine settimana successivo prima di poter scendere di nuovo al mare, senza aver mai ricevuto risposta da Micaela.
 
* * *


Micaela prese in mano il telefonino squillante per l’ennesima volta e, per l’ennesima volta, chiuse la comunicazione non appena vide che si trattava di Luca. Il chitarrista aveva provato a chiamarla a tutte le ore ma lei si era sempre negata. Era furibonda, con lui e con se stessa. Con lui, perché era stato un bugiardo e si era solamente preso gioco di lei; con se stessa, perché si era lasciata abbindolare un’altra volta nonostante dovesse avere ormai imparato la lezione, con tutte le volte che le era successo. Il sabato sera precedente quando, disperata, era tornata a casa dopo averlo atteso per ore, si era messa al computer ed era andata a guardare sul sito internet del gruppo. In quel momento aveva scoperto che Luca e gli altri erano in concerto in un paesino sperduto del nord. Concerto già pianificato da tempo, tra l’altro. Allora aveva capito che il chitarrista non sarebbe mai tornato. E lei c’era cascata come una stupida! Certo, non riusciva ancora a capire perché avesse preferito lei all’altra ragazza – decisamente più giovane e più bella – se aveva avuto soltanto voglia di una semplice avventura. Ma quello era solo un dettaglio che non modificava la sostanza dei fatti: Luca l’aveva bellamente presa per il culo.
Durante la settimana aveva tentato in tutti i modi di non pensarci, anche se le era stato quasi impossibile visto che quello stronzo continuava a chiamarla in continuazione. “Chissà perché, poi? Non potrebbe lasciarmi perdere e basta?” si era chiesta più volte. 
Il venerdì, tornando dal lavoro, incrociò per strada suo cugino Manrico. Da piccoli si erano frequentati spesso poi, crescendo, si erano persi di vista, anche perché Micaela non apprezzava molto il suo gruppo di amici e la brutta abitudine che aveva preso da ragazzo di ubriacarsi quasi ogni sera. Comunque non avevano mai smesso di volersi bene e per tale motivo la giovane donna non esitò a buttargli le braccia al collo quando lo vide.
«Manrico! Sei tornato al paese, finalmente!»
«Ciao cuginetta!» la apostrofò lui, di due anni più vecchio di lei e dalla figura tozza ma imponente. «Come ti va?»
«Al solito…» rispose Micaela con un sospiro, «e tu?»
«Alla grande! Sono tornato per aprire un bar in società con uno dei miei amici.»
«Fantastico!»
Stavano parlando di quest’ultima grandiosa novità quando il cellulare della giovane donna squillò. Le bastò una rapida occhiata per capire che si trattava, ancora una volta, di Luca, per cui senza esitazione premette il tasto rosso di spegnimento e ributtò il telefonino nella borsa.
«Come mai non rispondi?» le chiese stupito il cugino e Micaela raccontò a grandi linee cosa le era successo nei fine settimana precedenti.
«Se ti rompe ancora le palle dimmelo, che ci penso io a sistemarlo!» disse Manrico, facendo scrocchiare le enormi nocche.
«Grazie cugino, ma vive talmente lontano che non penso lo vedrò di nuovo.»
 
* * *


Non appena gli impegni scolastici lo lasciarono libero, Luca saltò in sella alla sua moto e prese l’autostrada come una furia, in direzione mare. Aveva una voglia matta di rivedere Micaela, nonostante la giovane donna non avesse mai risposto alle sue chiamate. Sapeva di essere in fallo e di doverle una spiegazione, così non se l’era presa troppo per i suoi reiterati rifiuti. Era convinto che, una volta l’uno di fronte all’altra, avrebbero potuto chiarire ogni cosa e sistemare tutto.
Arrivò al paese in riva al mare alle quattro e mezza di pomeriggio, perciò si diresse subito alla pineta dove sapeva che, mezz’ora più tardi, Micaela avrebbe letto le favole ai bambini. Si mise a passeggiare nervosamente intorno al grosso pino, fumando nel vano tentativo di allentare la tensione che sentiva aumentare esponenzialmente ogni minuto che passava. 
Finalmente la vide varcare il cancello di ingresso, con la sua solita enorme borsa di stoffa a tracolla. Non riuscì a trattenersi e le corse incontro.
«Micaela! Micaela!» gridò, sbracciandosi nella sua direzione.
La giovane donna si fermò di colpo non appena lo vide, guardandolo come si farebbe con un insetto nocivo.
«Cosa sei venuto a fare, quaggiù?» gli chiese, dura, non appena furono abbastanza vicini da non dover gridare.
Quella domanda smorzò l’entusiasmo del giovane chitarrista: «Sono venuto a cercarti, bambolina. Per spiegarti quello che è successo lo scorso fine settimana!»
«Lo so cosa è successo, non devi spiegarmi proprio niente! E smetti di chiamarmi bambolina!» ribatté lei, lasciando Luca ancora più perplesso. «Eri a fare un concerto. E magari, nel frattempo, ti sei anche divertito. Ti sei sbattuto una delle grupie che ti sbavano ai piedi? Oppure hai illuso un’altra ragazza perbene?»
Il chitarrista rimase a bocca aperta. Non si era certo aspettato una reazione del genere. Allora Micaela non aveva proprio capito niente?! Lui non era il solito Dongiovanni da strapazzo che aveva una donna sotto ad ogni palco! Se aveva fatto l’amore con lei era perché gli piaceva e se ne stava innamorando. Tentò di ribattere a quelle infamanti accuse, ma le parole gli morirono in gola quando vide avvicinarsi un uomo tarchiato, dal fisico taurino, che abbracciò Micaela.
«È questo il tizio che ti ha rotto le palle per tutta la settimana?» chiese il nuovo arrivato – che aveva assistito all’incontro da lontano – con voce minacciosa, senza staccare gli occhi da quelli di Luca.
«Sì, Manrico, è lui. E non riesco proprio a capire perché sia tornato!»
«Stammi a sentire, bamboccio: vedi di alzare i tacchi e sparire. Sono stato chiaro?»
Il giovane uomo fissò l’altro senza rispondere, poi si rivolse a Micaela.
«A quanto pare anche tu non hai impiegato troppo tempo per consolarti con qualcun altro» disse, la voce solitamente chiara e dolce resa dura dall’astio. «Hai ragione, non devo chiamarti bambolina. Tu sei un barracuda.»
E, con quelle ultime parole colme di furore e delusione, voltò le spalle ai due e si allontanò con passo fermo e deciso. Ma, invece di salire in sella alla sua moto ed andarsene, andò sulla spiaggia affollata, correndo tra i bagnanti stesi al sole che protestarono per la sabbia sollevata dal suo passo pesante. Giunto sul bagnasciuga si tolse con rabbia la maglietta e le scarpe e si buttò in acqua, mettendosi a nuotare come un forsennato, come a volersi lasciare tutto alle spalle e dimenticare, mentre le lacrime cominciavano a pizzicargli agli angoli degli occhi, mescolandosi con l’acqua salata.
 
* * *


«Perché non gli hai detto che sono tuo cugino?» chiese Manrico, guardando il giovane uomo allontanarsi.
Micaela si strinse nelle spalle: «Almeno così si deciderà a lasciarmi in pace una volta per tutte. Ora scusami, ma devo andare a leggere ai bambini.»
«Ancora a leggere favole? Non ti sei ancora stancata?» le chiese il cugino, prendendola in giro.
«No. Né mai mi stancherò di farlo. Ci vediamo, cugino!»
Convinta che Luca avesse alzato i tacchi e fosse tornato al suo paese, Micaela si rilassò completamente immergendosi nella lettura, i suoi piccoli ascoltatori che pendevano come sempre dalle sue labbra.
 
* * *


Una volta uscito dall’acqua Luca raccolse le sue cose e tornò verso la pineta, ravviando all’indietro i capelli nel frattempo. Durante la settimana aveva trovato il tempo di tagliarli, così la zazzera biondo scuro non gli ricadde sulla fronte ma rimase dritta come gli aculei di un porcospino. Nell’attesa che i suoi pantaloncini si asciugassero del tutto decise di concedersi un ultimo gelato – per quanto amaro avesse potuto essere – prima di partire. Una volta finito si diresse lentamente alla moto che aveva parcheggiato in un vicoletto scuro e sporco. La sera stava ormai scendendo e le prime ombre già si allungavano nella stretta viuzza deserta. Stava per mettere il casco quando una mano pesante gli batté due volte sulla spalla. Si voltò, sorpreso, giusto in tempo per ricevere un pugno in piena faccia che gli spaccò il labbro inferiore e lo fece barcollare come un ubriaco. Il casco gli sfuggì di mano e cadde rotolando fino al bordo del marciapiede.
Intontito dal colpo alzò lo sguardo sul suo aggressore e riconobbe il tale che gli aveva intimato di andarsene – Manrico, se ben ricordava – che ora lo guardava dall’alto in basso. Al suo fianco si trovavano altri due uomini, con la stessa espressione ostile.
«Mi pareva di essere stato chiaro, prima. Mia cugina non vuole più vedere la tua faccia» ringhiò l’uomo, le vene che si gonfiavano nel collo taurino.
Luca ebbe un brevissimo istante di sollievo. “Cugina? Ma allora questo tizio non è il suo ragazzo…” ebbe modo di pensare, prima che il conforto si tramutasse in paura. 
Con un cenno del capo, Manrico ordinò ai suoi compari di afferrarlo per le braccia e tenerlo fermo, mentre lui dava il via al pestaggio, colpendolo ripetutamente al volto ed al torace. Luca tentò di dimenarsi con tutte le sue forze per liberarsi da quella stretta ferrea, ma erano in tre contro uno e ben presto dovette soccombere alla violenza dei pugni.
«Micaela mi ha detto che sei un chitarrista» ringhiò ad un tratto Manrico e, mentre pronunciava quelle parole uno dei suoi compari, quasi come se si fossero già messi d’accordo, obbligò il giovane a stendere la mano sinistra a terra. «Come farai a strimpellare sulle corde con le dita fracassate?» gli chiese quindi l’uomo sarcastico, schiacciandogli le nocche con il tacco degli stivali e strappandogli un grido che fu subito azzittito dall’ennesimo pugno sulla bocca.
Infine, dopo quella che a Luca parve un’eternità, lo lasciarono agonizzante sull’asfalto ingombro di mozziconi di sigarette e lattine schiacciate, con uno zigomo fratturato, alcune costole rotte e le dita della mano sinistra ridotte in frantumi; senza contare le innumerevoli contusioni sparse su tutto il corpo. Aveva le labbra talmente gonfie da non riuscire nemmeno a parlare per chiedere aiuto e, ben presto, il dolore crebbe ad un livello tale da farlo sprofondare nell’abisso nero dell’incoscienza.
Fu trovato alcune ore più tardi, ormai a sera inoltrata, da una signora che stava portando a spasso il cane. L’animale aveva cominciato ad abbaiare ed a trascinarla verso il vicolo scuro dove, incredula, la donna aveva visto il corpo di un giovane uomo pestato a sangue, con i connotati talmente stravolti da essere pressoché irriconoscibile. La signora aveva subito chiamato un’ambulanza che, nel giro di pochi minuti, aveva prelevato il chitarrista portandolo all’ospedale più vicino, dove fu ricoverato in sala di rianimazione con prognosi riservata.
 
* * *


La domenica mattina Micaela scese molto presto. Le piaceva andare a passeggiare quando l’aria era ancora fresca e la brezza portava il profumo del mare. Passò davanti all’edicola proprio mentre il proprietario scaricava, dal furgone delle consegne, i pacchi del quotidiano locale. Il titolo in prima pagina, scritto a grosse lettere maiuscole nere, catturò la sua attenzione: “GIOVANE UOMO, PICCHIATO A SANGUE DA IGNOTI, IN FIN DI VITA ALL’OSPEDALE LOCALE”. Deglutendo a fatica Micaela ne acquistò una copia, correndo poi a casa già certa, nel profondo del suo cuore, che il giovane di cui si parlava doveva essere Luca.
I suoi sospetti furono subito confermati: oltre al nome, infatti, il giornale aveva pubblicato anche una recente foto del chitarrista scattata durante il concerto di due settimane prima. Mettendosi la mano sulla bocca per trattenere l’orrore che minacciava di travolgerla, Micaela fu fulminata anche da un’altra certezza. Il colpevole del pestaggio doveva essere Manrico.
Con le mani tremanti, la giovane donna prese il cellulare e compose il numero del cugino, che rispose al primo squillo.
«Io e te dobbiamo parlare!» esordì subito lei e Manrico capì al volo.
«Gli ho dato solo quello che si meritava» le rispose, crudo.
«Se l’hai ammazzato, giuro che poi io ammazzerò te!» gridò lei in risposta, chiudendo subito dopo la chiamata. 
Corse alla sua auto e guidò come una pazza fino all’ospedale, dove si scontrò contro il muro di gomma delle infermiere. I genitori di Luca, allertati dai Carabinieri, erano giunti nella notte ed ora a turno vegliavano al capezzale del figlio che i medici tenevano in coma farmacologico. Lei non era una parente quindi, gli dissero categoriche, non poteva assolutamente entrare nella sua stanza. Passeggiando nervosamente fuori dall’ingresso del reparto di terapia intensiva, Micaela non riusciva a darsi pace. Avrebbe dovuto correre dalle Forze dell’Ordine per denunciare suo cugino, ma non se la sentiva di compiere un tale passo. Era lacerata dal rimorso per aver trattato Luca a quel modo e per aver dato adito a Manrico di scatenare la sua furia ma, allo stesso tempo, il vincolo di sangue le impediva di agire con prontezza. 
Stava ancora arrovellandosi il cervello quando una coppia di mezza età uscì dalle porte dai vetri opachi che si trovavano alle sue spalle. La moglie era in lacrime ed era sostenuta dal marito che cercava in ogni modo di farle forza.
«Coraggio cara…» Micaela lo sentì sussurrare, «i medici hanno detto che la sua fibra è forte. Ce la farà, vedrai…»
«Il mio bambino… Il mio Luca…» ansimò la donna in risposta, lasciandosi trascinare verso una delle sedie.
Per molti minuti la giovane donna non ebbe il coraggio di avvicinarsi poi, attingendo ad una forza che non credeva nemmeno di avere, si decise.
«Voi siete i genitori di Luca?» chiese con voce tremante.
L’uomo si voltò a guardarla mentre sua moglie continuò a balbettare, dondolandosi sulla sedia e fissando vacuamente il pavimento.
«Sì. Tu sei Micaela?»
Sorpresa dal fatto che conoscesse il suo nome, la giovane donna riuscì solo ad annuire.
«Luca ci ha parlato molto di te in queste due settimane. Vorresti entrare a vederlo?»
Stava per rispondere affermativamente quando la madre si riscosse.
«Era venuto quaggiù per stare con te! Tu non eri con lui quando è stato aggredito? Perché? Chi è stato? Tu lo sai?» la assalì, subissandola di domande alle quali Micaela non poteva rispondere. 
La giovane donna si portò la mano alla gola, disperata per tutto quello che stava succedendo. Il padre di Luca, dopo aver calmato la moglie, le chiese nuovamente se voleva entrare a vederlo ma lei scosse la testa. Aveva finalmente preso la sua decisione.
«Tornerò da vostro figlio ma, prima, devo fare una cosa molto importante!» esclamò correndo via, lasciandoli soli.
Andò alla caserma dei Carabinieri e lì, senza mai esitare, raccontò ogni cosa al Maresciallo che raccolse la sua denuncia e che, alla fine del colloquio, le disse: «Lei sa che sta accusando suo cugino di un fatto gravissimo, non è vero? È certa di voler procedere?»
«Sì, come sono certa che l’uomo che amo, forse, sta per morire» rispose Micaela, lasciando la caserma e tornando di corsa in ospedale, temendo di non riuscire a fare più in tempo, di perdere Luca per sempre.
Quando arrivò al reparto trovò i genitori del chitarrista ancora seduti dove li aveva lasciati. La madre si era finalmente appisolata con la testa appoggiata al petto del marito, la tensione che infine si era sciolta in stanchezza. Il padre alzò lo sguardo su di lei e semplicemente annuì, dandole nuovamente il consenso ad accedere al capezzale del figlio.
 
* * *


Micaela trascorse molto tempo in ospedale, rimanendo in trepidante attesa di ogni nuova comunicazione da parte dei medici. Quando finalmente i dottori decisero di toglierlo dal coma, la giovane donna tirò un sospiro di sollievo grande come il mondo: il peggio era passato, anche se il calvario di Luca era tutt’altro che finito. Avrebbe dovuto, infatti, attendere a lungo prima che le sue ossa fossero tornate a posto, per non parlare della lunghissima riabilitazione all’uso della mano sinistra che avrebbe dovuto affrontare.
La giovane donna, a quel punto, fece un passo indietro, lasciando che fossero i genitori a prendersi totalmente cura di lui. Inoltre, aveva cominciato a temere che il chitarrista la incolpasse di quanto era successo, che credesse che l’ordine di picchiarlo fosse partito proprio da lei. Aveva paura di affrontarlo perché temeva di non essere in grado di guardarlo negli occhi, in quei pozzi di ghiaccio che tanto l’avevano colpita il giorno del loro primo incontro. Rimandò il momento della visita fin quando poté, fin quando la madre di Luca non venne a dirle che suo figlio chiedeva di lei.
Con il viso ed il corpo ancora coperti dai lividi che stavano pian piano assumendo una colorazione giallognola, vestito solo di un leggero pigiama e coperto dalle lenzuola candide, a Micaela il giovane uomo parve ancora più magro e smunto. La sua mano sinistra, ingessata, era posata sul letto, mentre nella destra stringeva forte il suo plettro – che teneva sempre con sé come una sorta di amuleto – quasi a voler promettere a se stesso che sarebbe presto tornato a suonare la sua amata Stratocaster color madreperla.  
Aveva il viso rivolto verso la finestra e Micaela fu costretta a deglutire più volte prima di riuscire a trovare la voce per chiamarlo.
«Luca…»
Lentamente, il chitarrista si voltò e, come lei aveva previsto, i suoi occhi di ghiaccio si incupirono alla sua vista.
«Sarai contenta, barracuda…» mormorò, la voce arrochita dai farmaci e dalla debolezza, «tuo cugino mi ha conciato proprio per le feste.»
«L'ho denunciato ai Carabinieri. È stato fermato ed ha confessato. L’hanno messo in galera tre giorni fa» gli rispose lei, atona. «Non volevo che andasse a finire così…» aggiunse poi, lasciandosi sfuggire un sospiro.
«Neanch’io. Lo sai, vero, che non potrò più suonare come prima?»
Micaela annuì, chinando lo sguardo sulla mano immobilizzata.
«Anche se potrò recuperare una buona mobilità non riuscirò più a fare gli accordi come si deve. La mia carriera di insegnante… e di musicista… è finita» riprese Luca, anche lui atono. La giovane donna si era aspettata che fremesse di rabbia ed invece in quel momento le parve tristemente svuotato di ogni sentimento.
«Mi dispiace…» balbettò ancora lei.
«A me ancor di più. Ora, se permetti vorrei restare da solo.»
Micaela annuì di nuovo poi, incapace di reagire, fece dietro front e lasciò la stanza. Riuscì a trattenersi solo per pochi passi poi scoppiò a piangere. Lasciò di corsa il reparto per non fargli sentire che piangeva, per fingere una forza d’animo che in realtà non aveva ma, non appena giunse alle scale, si appoggiò con la schiena al muro e si lasciò scivolare a terra, versando tutte le sue lacrime.
 
* * *


Nonostante Luca non avesse più chiesto di vederla, Micaela non mancò mai di andare ogni giorno in ospedale per avere sue notizie. Il chitarrista lo sapeva perché sua madre e suo padre lo informavano ogni volta in cui si presentava. 
Infine, fu trasferito all’ospedale del suo paese, dove tutti i suoi amici gli fecero visita.
Flavio, Marco e Tony furono coloro che gli stettero più vicino, cercando in ogni modo di consolarlo.
«Vedrai che le tue dita ritorneranno quelle di un tempo! Conosco un metodo infallibile per tenerle in allenamento!» gli disse Flavio uno degli ultimi giorni della sua degenza, durante la loro visita quotidiana, in cui tutti e quattro erano piuttosto allegri e desiderosi di scherzare.
«E quale?» chiese Luca, sinceramente incuriosito.
«Fare tanti ditalini!» gli rispose volgarmente il cantante, scoppiando poi in una risata sguaiata cui si unirono subito gli altri.
Anche il chitarrista rise, ma la sua fu una risata piuttosto forzata. Nonostante tutto quello che era successo, infatti, non riusciva ad odiare Micaela, che gli mancava terribilmente. Non riusciva a credere che fosse stata proprio lei a chiedere a suo cugino di vendicarla, eppure tutto lasciava presagire che fosse andata proprio così, anche se poi l’aveva denunciato ai Carabinieri. Fece un mezzo sospiro e si volse a guardare verso la finestra, da cui si vedeva parte del parcheggio. All’improvviso sussultò, correndo al vetro. Aveva appena visto passare una figura femminile che gli pareva incredibilmente somigliante alla lettrice dalla voce sensuale che tanto gli aveva infiammato il cuore. Aprì la finestra ma oramai la sagoma era svanita oltre il suo campo visivo.
No… Non è possibile, non può essere lei…” pensò, mentre la voce di Marco lo raggiungeva come un’eco lontana: «Che hai Luca? Sembra tu abbia appena visto un fantasma!»
Dopo alcuni minuti qualcuno bussò alla porta della stanza, che al loro arrivo Tony aveva chiuso alle sue spalle per mantenere un minimo di privacy.
«Avanti» disse Luca, con la voce che tremava impercettibilmente. 
La porta si aprì molto lentamente, rivelando al chitarrista che non era stata un’allucinazione, la sua. Era proprio lei, Micaela.
Flavio, Marco e Tony fissarono alternativamente prima l’uno e poi l’altra fermi ai due lati opposti della stanza, e subito si sentirono di troppo.
«Beh, noi ce ne andiamo, eh?» esordì Flavio, spingendo fuori gli altri due e lasciando Luca e la giovane donna da soli.
Si fissarono ancora per qualche istante, in silenzio, poi il chitarrista si azzardò a parlare.
«Cosa ci fai qui, barracuda?» chiese, tentando di parlarle rudemente ma senza riuscirci.
«Ti prego, non chiamarmi così. Non sono una bambolina, ma nemmeno un barracuda…» rispose lei, senza accennare minimamente ad avvicinarsi. «Sono venuta per chiarire ciò che è rimasto in sospeso tra di noi, perché non riuscivo a sopportare l'idea che ciò che c’è stato tra noi due finisse così malamente.» Trasse un lungo respiro e poi riprese: «Anche se tu di sicuro non mi crederai, voglio che tu sappia che non sono stata io a chiedere a quel debosciato di mio cugino di aggredirti. So che Manrico è un poco di buono, purtroppo, ma non credevo che potesse arrivare fino a questo punto. Pensavo che si limitasse semplicemente ad intimidirti. Scusami se ti ho lasciato credere che fosse il mio ragazzo… Ero ancora ferita perché mi avevi dato quella buca clamorosa e desideravo solo che tu te ne andassi e non ti facessi più vedere, per non soffrire ancora…» concluse con un ultimo sospiro.
«A proposito di ciò che è successo quel sabato» attaccò subito Luca, «forse neanche tu mi crederai, ma io avevo proprio dimenticato di avere quel concerto già programmato. Ero pronto per venire da te quando Flavio è passato a prendermi e mi ha messo tanta di quella fretta che mi sono dimenticato il telefonino a casa. Non ricordavo il tuo numero e così non ho potuto avvertirti, e non ho nemmeno potuto risponderti. Quando sono tornato a casa, la domenica pomeriggio, ho visto la tua chiamata, ma ogni volta in cui ho tentato di richiamarti tu non hai mai risposto.»
«Avevo paura che tu volessi prendermi ancora in giro» ammise Micaela, abbassando lo sguardo, «e quando ti ho visto arrivare il sabato successivo ho creduto che tu avessi solo voglia di una scopata facile…»
«Tu non sei stata solo una scopata facile! Io mi ero innamorato sul serio!» la interruppe con veemenza. «Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, visto che ai concerti sono sempre circondato da ragazze che sbavano per me, non sono un tipo che si porta a letto la prima che capita! Anche perché, allora, avrei potuto farlo con l’altra ragazza che mi aveva messo gli occhi addosso. Ed invece sono venuto a cercare te» ribatté il chitarrista, avvicinandosi di qualche passo.
«Come potevo crederlo?» replicò Micaela. «Nessuno si è mai innamorato di me, fino ad ora. Le mie sono state solo semplici avventure. Tutti i ragazzi che ho conosciuto non sono mai rimasti per più di qualche mese. Tu sei bello, sei un figo e forse lo sai pure, e sei giovane, soprattutto giovane! Come potevo credere che tu mi amassi davvero?»
Anche lei mosse qualche passo nella sua direzione, finché non si ritrovarono l’una di fronte all’altro. 
«Luca…» esalò Micaela, prendendo la mano sinistra del chitarrista tra le sue e sollevandola fino all’altezza delle sue labbra. «Voglio solo che tu sappia che, se solo potessi darti le mie dita pur di farti tornare a suonare come prima, lo farei» aggiunse accorata, baciando delicatamente i polpastrelli che facevano capolino dall’ingessatura.
Il chitarrista chiuse gli occhi, piegando lievemente la testa all’indietro e lasciandosi sfuggire un lungo sospiro mentre pareva assaporare il dolce contatto delle labbra di lei sulle sue dita. «A me basta solo che tu mi dia il tuo amore» le disse infine, «e non avrò bisogno di altro al mondo.»
Con un unico movimento fluido Luca le passò il braccio destro dietro la schiena, attirandola a sé, e la baciò teneramente. Micaela si abbandonò tra le sue braccia e lasciò che le loro anime si fondessero insieme.
Fu molto difficile per loro interrompere il bacio senza lasciarsi travolgere dalla passione. Morivano dalla voglia di fare l’amore, ma quello non era né il luogo né il momento adatto. Avrebbero avuto tutto il tempo, dopo.
Prima di lasciarla andare via, però, Luca meravigliò Micaela con una domanda a bruciapelo: «Vorresti diventare la nostra corista?»
La giovane donna lo fissò negli occhi, quei due pozzi di ghiaccio ardente e, senza nemmeno riflettere, gli rispose di sì.
 
* * *


Due mesi dopo essere uscito dall’ospedale Luca aveva stupito tutti riacquistando, contrariamente ad ogni aspettativa, una perfetta mobilità delle dita. Più volte, mentre si rotolavano insieme nel letto, lui e Micaela si erano chiesti, ridendo, se era stato davvero merito dello stupido suggerimento di Flavio che Luca aveva deciso di seguire alla lettera.
Nessuno aveva potuto tenerlo lontano dal palco troppo a lungo e quella sera si sarebbe tenuto il loro primo concerto con la nuova formazione della band.
La musica era talmente forte da penetrare nelle membra e faceva vibrare piacevolmente il palco sotto i loro piedi. Flavio, da ottimo animale da palcoscenico qual era, intratteneva il pubblico, facendolo rumoreggiare selvaggiamente ad ogni nuova canzone che attaccavano. Per Micaela era la prima volta che saliva su un palco ma, contrariamente al suo carattere schivo, si era sentita subito a suo agio, forse per via della presenza di Luca che riusciva sempre a rassicurarla, e forse anche perché gli altri tre membri della band l’avevano accolta benevolmente, trattandola come una sorella. Tenendo il microfono tra le mani, alla giovane donna pareva di essere nata proprio per quello. Il canto le scorreva nelle vene, proprio come succedeva a Luca con la musica della sua chitarra, e poco importava che dovesse solo limitarsi ai cori. Pian piano – Flavio le aveva promesso – avrebbero cominciato a lasciarle anche il suo spazio da solista, ma per il momento Micaela si godeva ciò che la vita le offriva di così straordinario.
All’improvviso Luca le si accostò: benché avesse anche lui il suo microfono a disposizione, a volte le si avvicinava per cantare nello stesso gelato, fondendo così le loro voci come già avevano fatto con le loro essenze.
«Ba-ba-ba bambolina, ba-ba-ba barracuda, ba-ba-ba ma dolcissima…» cantarono insieme, celebrando un po’ quella che era diventata la loro canzone – Bambolina e barracuda di Luciano Ligabue – per via dei due nomignoli che il chitarrista le aveva affibbiato. Prima di allontanarsi di nuovo e tornare al suo posto, Luca si voltò nella sua direzione e le sussurrò all’orecchio: «Ti amo, bambolina e barracuda…»
Lei sorrise semplicemente e lasciò terminare la canzone, poi si accostò a Flavio e parlottò con lui sottovoce. Il cantante lanciò un’occhiata al chitarrista, che lo fissò perplesso, poi annuì ed accostandosi al microfono proclamò: «Ed ora, ragazzi, cedo un attimo la parola alla nostra corista, che ha un annuncio da fare!»
Micaela prese un grosso respiro e disse con voce chiara e forte, guardando il chitarrista: «So che tu lo sai già, ma voglio che lo sappia anche tutto il resto del mondo: ti amo, Luca!»
Il giovane uomo rimase a fissarla stupito per alcuni secondi, poi posò a terra la chitarra e strinse Micaela tra le braccia, baciandola appassionatamente. Il pubblico esplose in un boato assordante che per loro – persi com’erano l’uno nelle vibrazioni dell’altra – rimase solo un brusio di sottofondo. 
 
Fine


 
Spazio autrice:
Ringrazio tutti coloro che hanno letto la storia, ed in particolar modo la carissima Jarmione che mi ha seguito con particolare interesse! 
Scusatemi se ho usato un po' di parole volgari, ma nella lingua parlata a volte ci stanno bene, no?
E scusatemi anche per la mia inguaribile romanticheria!
Evelyn

 
  
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