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Autore: tyger    13/09/2016    0 recensioni
Raccolta di brevi esperimenti nonsense. Perché a volte le storie sono semplicemente storie.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Battiti




Chiudo il rubinetto, mi sfilo i guanti di plastica gialla troppo grandi e li getto nel lavabo. Gocciola, l'acqua, sfalzata al ticchettio dell'orologio appoggiato contro il muro della cucina. Mi guardo intorno. Tasto i ripiani stretti e costellati di briciole, senza smettere di canticchiare a mezza voce, fino a sentire la stoffa sotto i polpastrelli. Asciugo le pentole con un panno scucito, le dita di un ricordo che mi solleticano l'ippocampo, un po' della mia scarsa e dispersa attenzione fuori dalla finestra allo zampettare impacciato di un uccellino sul prato.
Suoni. I tempi delle cose, come musica. Somme armoniche, accumuli d'onde per un attimo in fase, e che poi scivolano e grattano l'uno sull'altro, ma sempre tutte insieme - così percepiamo il mondo; e uniamo i puntini, tracciamo linee, sentiamo - che cosa? I cicli, le stagioni. I ritmi. Distesi come nervi stremati da una contrattura, che si stirano, esausti, prima di slacciarsi.
Non sono le parole giuste, tesoro, non lo sono per niente. E la musica non era questa, non era questa che si condensa adesso nella mia gola e risale alla bocca, si appiccica al gusto del caffè bevuto dopo pranzo, in una sinestesia di memorie e descrizioni mancate, o forse è soltanto l'ombra - è questa, forse, ci siamo detti, è questa la volta giusta, o è soltanto l'ombra alla periferia dello sguardo, in quell'area male illuminata con lo spazio di manovra per l'immaginazione. Ci siamo detti, e poi soffiati come vetro sottopelle. L'ultimo ritmo incompreso batteva più forte, allora, tachicardico.
Scuoto la testa. Come se potessi fisicamente sottrarre il cranio alla traiettoria inerziale dei pensieri che rotolano nello spazio lungo la mia rete neurale. Sciocco, no? Mi sento un po' bambina. Non smetto di cantare.
Allora, chi sei? Aspetto di ricordarne il nome; mi salirà alle labbra se la riavvolgo e la canto da capo, a piccoli pezzi, con le parole che riaffiorano a tratti un po' rimescolate, non più che lettere incollate l'un l'altra alla meglio, passi improvvisati su una musica nuova.
Forse neanche esiste a priori, forse si costruisce, istante dopo stonato istante. Fa differenza? Cosa sei? Un pentagramma sbavato che si rovescia su un suono metallico e va in frantumi di vapore quando appoggio l'ultimo pentolino asciugato sul ripiano di cucina, strofino le mani con lo straccio umido e lo lascio andare. Epifania bugiarda. Mi accorgo di uno schizzo di salsa di pomodoro rimasto incastrato in un'intercapedine alla giuntura del manico. Lo tolgo con uno strappo di scottex, poi risciacquo velocemente.
La canzone è sparita. Macbeth, dove cerchi le streghe? Ripescarla dalla memoria, se mai c'è stata, è difficile come camminare su un filo da ubriachi.
Ma t'aspetto, t'aspetto, t'aspetto. Chissà se sai che ti aspetto dietro ogni gesto, nei più insignificati. Che scorgo l'impressione dei tuoi lineamenti nelle architetture della realtà, ovunque.
Ripongo le pentole delicatamente. Mike mi si avvicina e mi annusa le caviglie lasciate scoperte dai vecchi pantaloni della tuta. Gli arruffo il pelo con una carezza rapida, poi ciabatto fino alla finestra.






 
   
 
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