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Autore: _Sherazade_    14/09/2016    5 recensioni
Jiliana venne salvata dal pronié, professore e alchimista, di nome Letuff quando era solo una bambina che vagava senza memoria nel grande deserto di Lasahrà Lashiashe.
L'uomo accolse la bimba, offrendole un posto nel suo mondo d'inventore, e la bambina fu ben lieta di aiutarlo, decisa a seguirne le orme.
C'è un grande mistero dietro l'amnesia e le origini di Jiliana, e il pericolo è dietro l'angolo.
Siete disposti ad imbarcarvi in questa lettura per scoprirlo?
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IV Classificata al contest: "AAA Genio cercasi! II edizione" indetto da M.Namie sul forum di EFP.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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L'eredità di Lut Shian
 
 
 
Erano già trascorsi cinque mesi dall'ultima volta che li avevo visti; di Jerome e di pronié Letuff, non avevo più avuto notizie, e il tempo era quasi scaduto.
Non vivevamo nella ricchezza, e, nonostante gli sforzi, Letuff non era più riuscito ad ottenere alcuna sovvenzione dai ferjilion, le famiglie altolocate della città di Duhn Seharon.
La gente non si fidava, la gente lo derideva perché lui parlava con gli antichi spiriti del Rilahon, che tutti ritenevano fossero solo delle semplici favolette per tenere buoni i bambini, e dicevano che aveva fuso il cervello a causa dei suoi fallimentari esperimenti.
Ma io, anche se non avevo mai visto un Rilahon, anche se era solo una favola, io gli credevo, perché Letuff era tutto per me, e il minimo che potessi fare era dargli fiducia.
Quando ero piccola, avrò avuto sì e no sei anni, mi ritrovai a vagare senza memoria fra le dune del grande deserto di Lasahrà Lashiashe, affamata e stremata. Ero sul punto di lasciarmi andare quando vidi in lontananza una cittadina. Ero giunta nella piccola oasi di Liberhon.
La gente mi scansava, mi fissava e passava oltre, io chiedevo solo un po' d'acqua e un tozzo di pane, ma nessuno voleva aiutare una povera mendicante, resa poco più di un fuscello dalla fame e dalla sete. Nessuno ebbe pietà per me, nessuno tranne Letuff, che già allora era ritenuto un uomo eccentrico, ma che aveva un cuore grande come tutta la Larh, la nostra meravigliosa e immensa terra.
Stavo male, e sentivo che le forze mi stavano venendo meno, avevo la vista offuscata e stavo per scivolare nelle tenebre. Ma qualcuno non mi lasciò affondare, mi prese con sé e mi riportò indietro. Quell'uomo era Letuff. Ricordo che mi prese in braccio e mi portò nella casa dove alloggiava, dandomi da bere e da mangiare.
Aveva lunghi capelli riccioluti  raccolti in una coda di cavallo; i suoi vestiti logori e sporchi non davano di lui un'ottima impressione, ma lo sguardo gentile e i suoi modi di fare, mettevano chiunque a proprio agio.
Dopo che mi rifocillai, Letuff mi chiese come mi chiamassi e da dove venissi, ma non potei rispondergli perché avevo la mente completamente sgombra. Lui disse che non poteva lasciarmi in mezzo alla strada, e mi adottò, dandomi un nome e una casa.
Non eravamo ricchi, e spesso ci ritrovavamo senza soldi per proseguire nei suoi viaggi o anche solo per comprare un frutto, ma lui metteva sempre me al primo posto, rinunciando a mangiare anche per una settimana, purché a me non mancasse nulla.
Non era una vita agiata quella che il destino mi aveva offerto, ma volevo bene a Letuff, e avrei accettato qualsiasi condizione pur di rimanere al suo fianco.
 
C'era un libro che Letuff portava sempre con sé, era il suo libro delle fiabe di quando era piccolo. Era appartenuto a sua madre, e prima ancora al nonno. C'erano tante illustrazioni, e ogni sera mi raccontava una storia diversa; quella che mi piaceva di più era quella dei Rilahon, gli spiriti del vento, timide creature che si mostravano solo a certe persone.
«Una volta io ho salvato la vita ad uno di loro,» mi disse lui, «e da allora riesco a vederli e a parlarci. Sono amichevoli una volta che li conosci, anche se a volte sono un po' dispettosi.» ridacchiò. Mi sarebbe tanto piaciuto vederne uno, lui diceva che erano grandi come la mano di un uomo adulto, fluttuavano nell'aria, avevano la pelle bluastra e le orecchie a punta.
«Un giorno potrò vederli anche io? E potremo farli vedere anche agli altri?» gli chiesi speranzosa. L'idea di avere per amico un potente spirito dell'aria mi elettrizzava, l'avrei fatta pagare a tutti quei bambini che deridevano Letuff e che lo umiliavano. Lui non reagiva mai, era buono e generoso con tutti... non meritava di essere trattato così. «Se la gente li vedesse, non la prenderebbe più in giro. Non le darebbero più del pazzo.» dissi con occhi lucidi.
«Mia cara, dolce Jiliana, la gente spenderà sempre parole contro chi non vede le cose in maniera convenzionale.» mi sorrise con calore. «L'importante è che tu non dimentichi mai chi sei, mia dolcissima principessa.»
 
Col passare degli anni decisi di rendermi utile, non potevo vederlo sfacchinare fra i libri o andare di città in città senza fare nulla per aiutarlo, così cominciai a supportarlo nel suo lavoro. Non ci fu ricerca alla quale non avessi partecipato.
Nonostante la terribile paura che avevo, acconsentii persino a provare anche il suo marchingegno volante; aveva ancora parecchi problemi, ma per quasi una trentina di secondi ero riuscita a librarmi in aria con esso.
Essere la sua spalla mi aveva dato moltissime soddisfazioni, perché ero diventata anche io una specie di pronié, sebbene se la gente si rifiutasse di ammetterlo.
«Un giorno, cara Jiliana, la gente vedrà anche il tuo genio.» mi diceva lui mentre testavamo un'altra delle sue invenzioni, una macchina che permetteva di scavare pozzi profondissimi, sostituendo così gli uomini che, armati di pala, ci avrebbero impiegato ore, se non giorni, per ottenere risultati così grandiosi.
Cominciai a svolgere anche io delle ricerche per conto mio, e Letuff fu subito pronto a sostenermi e ad appoggiarmi, ma la mancanza di sovvenzionatori, ci mise di fronte a un grosso, grossissimo problema: senza soldi non potevamo comprare del cibo.
I soldi non fanno la felicità, diceva Letuff, i soldi non sono tutto nella vita, ma senza di essi, saremmo finiti col morire di fame.
Lui era vicino a fare una scoperta sensazionale, così particolare che non mi aveva permesso di accedere alle sue ricerche, per la prima volta in tutti quegli anni. Io sentivo che dovevo fare di tutto per aiutarlo, e così decisi di trovarmi un lavoretto, in modo da poterci garantire almeno un pasto al giorno.
All'inizio non fu semplice, ma ero volenterosa, e, grazie a tutto quello che avevo passato col professore, ero in grado di fare di tutto, e questo mi aiutò. Cominciai come domestica in una casa, poi la voce si sparse e fu difficile trovare un buco libero per stare almeno una giornata a casa con Letuff e aiutarlo come meglio potevo.
«Perché non lasci perdere quel pazzo di Letuff e non ti stabilisci a casa mia?» mi chiese un giorno la signora Melhia, una ferjilian, moglie di uno dei più ricchi signori della città. «Ti possiamo offrire vitto e alloggio in condizioni nettamente migliori rispetto a quelle che lui potrà mai garantirti.» la signora mi si era molto affezionata, e così anche il resto della famiglia, ma io non avrei mai potuto abbandonare l'uomo al quale dovevo la mia vita.
Lavorai sempre sodo, senza mai perdermi d'animo, e Letuff mi promise che non appena fosse stato sicuro di tutto, mi avrebbe fatto partecipare attivamente al suo progetto.
Tutto questo avveniva due anni fa, prima che Jerome entrasse nelle nostre vite.
 
Stavo facendo il bucato, contenta per quel giorno di libertà, durante il quale, invece che fare le pulizie altrove, le avrei fatte in casa nostra.
Ero intenta con il mio lavoro, quando un giovane dalla pelle ambrata mi si avvicinò. Non avevo mai visto un ragazzo con la pelle color cannella, così chiara rispetto alla mia, o a quella di tutti gli altri abitanti di Duhn Seharon o delle oasi che avevo visitato. Aveva gli occhi color delle foglie delle palme, e i capelli come la corteccia dei solidi alberi bihriani, con la quale si fabbricava ogni genere di oggetto resistentissimo.
«Scusa, tu sei l'assistente di Letuff, non è vero?» mi chiese il ragazzo con modi garbati.
«Sì, immagino che tu sia qui per il pronié.»
«È esatto.» mi fissò aspettandosi che io lo conducessi immediatamente da Letuff.
«Tu chi sei?»
«Giusto... io mi chiamo Jerome, vengo dalla città di Lijai, parecchi giorni a nord rispetto alla vostra città. Ho fatto un lungo viaggio solo per vederlo, è importante.»
Dal suo sguardo intenso, capii che c'era davvero qualcosa di importante; appoggiai il cesto con la biancheria ancora da stendere e lo accompagnai in casa.
«Jiliana, Jiliana!» mi chiamò agitato Letuff, «Vieni, presto!»
Io e Jerome ci guardammo ed entrammo in casa, rimanendo a bocca aperta.
«Cosa state facendo lassù?» chiesi preoccupata.
«Sto provando la mia ultima invenzione, mia cara Jiliana.» disse lui orgoglioso. «Non è straordinario?» Letuff si stava librando in aria grazie a delle scarpe motorizzate.
«Scendete subito da lì, potreste farvi male!» cercai disperatamente la scala per aiutarlo a tornare a terra.
«Tu ti preoccupi troppo mia...» in quel momento il combustibile che aveva inserito nelle scarpe finì, e Letuff cadde rumorosamente a terra, sollevando un polverone.
«Ve lo avevo detto!» tossii.
Letuff si rialzò e si sprimacciò i vestiti, scacciando via tutta la polvere e la sabbia.
«Finché non sperimentiamo, non possiamo sapere se una cosa funzionerà, né quanto. Dovresti saperlo, Jiliana.» sorrise, accorgendosi solo in quel momento dell'intruso. «E tu chi sei?» chiese incuriosito.
«Mi chiamo Jerome,» il ragazzo si inchinò, la sua voce tremava lievemente per l'emozione, «sono venuto da molto lontano solo per vedervi.» Letuff si lisciò la barba fine e studiò silenzioso il nostro ospite.
«Da dove hai detto di venire?»
«Non ve l'ho ancora detto, la mia città natale è Lijai.» Letuff parve sorpreso nel sentire pronunciare quel nome. «Mio padre si chiamava Philip, mentre mia madre Medja.» non avevo mai visto il pronié così preoccupato.
«Ora capisco... Jiliana, portaci del tè per favore.» mi chiese gentilmente, ma non riuscì a nascondere quella tristezza che improvvisamente lo aveva colto.
Mi diressi velocemente in cucina, non volevo perdermi nulla della loro conversazione, c'era qualcosa di grosso che presto ci avrebbe investiti, e io volevo farne parte.
Quando tornai nello studio con la bevanda calda e dei biscotti, i due erano già al lavoro, stavano consultando alcuni vecchi tomi di Letuff, e altri libri che non avevo mai visto, probabilmente di proprietà del ragazzo. Non potei fare a meno di provare un moto di antipatia per lui, quel ragazzo era decisamente troppo vicino al mio pronié. Troppo!
«È pronto!» dissi poggiando le tazze sul tavolo in legno massiccio.
I due sembravano essere entrati subito in sintonia, ridevano e scherzavano, parlando di alcuni colleghi del pronié, e io non riuscivo a intromettermi nei loro discorsi.
«Jiliana,» finalmente il professore si ricordò di me, «riusciresti a preparare una stanza per Jerome?» io lo stavo fissando con la bocca spalancata. «Da oggi sarà nostro ospite. I suoi genitori ed io eravamo molto amici, abbiamo collaborato spesso in gioventù, anche se poi ci siamo persi di vista.» disse lui con una certa nota di rammarico. «Suo padre stava lavorando a un grosso progetto, ed è stato in occasione di una sua spedizione con la moglie che sono venuti a mancare entrambi. Jerome ha continuato il loro lavoro, ma da solo è difficile, ed è per questo che è venuto da noi.» se da una parte era ammirevole il comportamento di Letuff, dall'altro io provavo una grande rabbia.
Io ero costretta a lavorare fuori casa per permettere a noi due di tirare avanti, ma con un'altra bocca da sfamare come avremmo fatto?
«Pronié, sistemare una stanza non sarà un problema, ma io non so se riuscirò a guadagnare abbastanza per tutti, lo sapete bene che le vostre ricerche richiedono sovvenzioni di un certo rilievo, e oramai nessuno si fida più di noi.» il pronié però non voleva capire.
«Mia cara Jiliana, cosa ti dico sempre?»
«Che i soldi non sono tutto... lo so. Ma senza come faremo a vivere? Io posso fare da domestica, ma non riesco comunque a guadagnare moltissimo.» per quanto mi sforzassi, lui non riusciva a capire.
«Tu continua a fare quello che hai fatto fino ad oggi. Io ti sono grato per tutto quello che hai fatto per me, e per questo non ti chiedo di fare di più, stai facendo anche fin troppo.» mi accarezzò con delicatezza la spalla. «Vedrai che troveremo un modo. Ne sono sicuro.» sospirai, conscia che la discussione era finita e che non ne avremmo più parlato. Io avevo ragione, l'arrivo di Jerome avrebbe pesato non poco sulla nostra condizione di vita già precaria, ma una volta che il pronié si metteva in testa qualcosa, era impossibile fargli cambiare idea.
 
Dopo l'arrivo del ragazzo, il mio già scarso tempo da passare assieme a Letuff si ridusse ad attimi fugaci durante la cena. Quei due stavano sempre insieme durante la giornata, mentre io dovevo sfacchinare fuori casa, e quando tornavo dovevo preparare da mangiare.
Da spalla del professore mi ritrovai, come già avevo supposto, a diventare davvero una mera domestica in casa mia.
Odiavo Jerome, e lui doveva averlo capito... forse perché ogni volta che mi rivolgeva la parola lo ignoravo, a meno che non fosse stato presente anche Letuff; o forse perché, dopo che si era ferito durante un esperimento, lo avevo curato coi medicamenti più fastidiosi, quando avrei potuto invece usare una soluzione meno aggressiva.
Non ero io ad essere cattiva, era lui che mi aveva scalciata via da quello che era il mio ruolo. Stavo solo facendo ogni cosa in mio potere per riappropriarmi del mio posto.
Anche se ero fuori casa tutto il giorno, non avevo però mai smesso di studiare e di fare le mie ricerche, e, dopo svariati mesi, riuscii infine a completare il mio lavoro.
«Proniè, pronié!» lo chiamai nel cuore della notte. «Ce l'ho fatta finalmente!» Letuff stava dormendo, ma non potevo starmene buona quando, dopo tanto studio, ero arrivata là dove volevo arrivare.
Purtroppo anche Jerome ci sentì; non volevo condividere con lui quel momento, ma poi pensai che, di fronte al mio indiscusso genio, il ragazzo si sarebbe fatto da parte.
Li feci accomodare nella mia stanza, e gli mostrai una scatola in vetro aperta, con dentro dei sassi.
«Che cos'è?» mi chiese Letuff.
«Dovete solo guardare, lo capirete da soli.» sorrisi soddisfatta.
Presi la fiala col liquido dorato, lo versai sulle pietre e richiusi la scatola. Premetti il pulsante verde sul contenitore, e venne nebulizzata una sostanza all'interno dell'oggetto. I sassi cominciarono a splendere, illuminando tutta la stanza. Per completare la mia dimostrazione, premetti il pulsante blu, e nella scatola venne spruzzato un altro liquido, e i sassi non emisero più luce.
Letuff e Jerome erano stupefatti, il pronié non sapeva più cosa dirmi da tanto che era stupito e impressionato.
«Ottimo lavoro, mia cara. Non avrei mai potuto pensare a una cosa del genere!»
«I sassi vengono corrosi a poco a poco per via del liquido, ma la loro durata sarà piuttosto lunga.» il pronié mi chiese se non avessi preparato altre scatole, altri prototipi, e io glieli mostrai. Erano cinque scatole, di varia grandezza, con sassi più piccoli e anche di più grandi in base alle esigenze della stanza da illuminare. Tutto eccitato, Letuff li prese con sé, andando nelle stanze per valutare appieno la mia invenzione.
Non potevo che essere contenta per come il pronié aveva reagito, ma non fui per nulla soddisfatta dalla reazione di Jerome: lui si congratulò con me, ma non v'era punta di invidia nelle sue parole.
«Sei stata davvero brava, Jiliana. La tua invenzione farà scintille, presto tutti in città vorranno le tue scatole luminose.» io volevo che lui si sentisse in difetto di fronte al mio genio, invece lui era sinceramente sorpreso e contento.
«Lo so che non ti piaccio, ma non hai nulla da temere da me. Possiamo essere una squadra.» il suo tono era gentile, mi ricordava quasi Letuff, ma io non ci cascavo. «Una parte di te vorrebbe credermi, io lo so, ma l'altra è frenata, e non capisco perché.»
«Sei un po' troppo sicuro di te, Jerome.» lo guardai rabbiosa. «Tu sei venuto qui, scombinando le nostre vite. Non ho nulla da temere? Ma se grazie a te devo lavorare il doppio nelle case per poter assicurare a tutti e tre un pasto al giorno!» cercai di non alzare troppo la voce, non volevo che Letuff ci sentisse. «Riconosco che anche tu hai talento e che sei sveglio, ma il posto accanto al pronié è mio di diritto!» Jerome mi fissava immobile. «Io sono al suo fianco da più di dieci anni, l'ho sostenuto quando la gente ha smesso di credere in lui, quando si metteva a parlare col vento, quando io stessa ho cominciato a temere che potesse aver intrapreso la strada della follia... io non l'ho mai abbandonato. Ho sempre fatto di tutto per lui, anche abbandonare il mio posto al suo fianco per poterci assicurare qualche entrata... Poi arrivi tu e ti infili nella nostra casa, nelle nostre vite, e credi di poter capire me e lui.» buttai fuori tutto quello che mi ero tenuta dentro per tantissimo tempo.
Da parecchi mesi, da prima ancora che Jerome sconvolgesse le nostre esistenze, avevo notato un comportamento strano da parte del pronié, e proprio da allora lui si era allontanato da me, escludendomi dal suo ultimo lavoro. Diceva che lo faceva per me, ma vederlo parlare da solo mi aveva fatta preoccupare più del solito e, quando gli avevo chiesto spiegazioni, lui mi aveva detto che i Rilahon lo avevano chiamato perché c'era bisogno del suo intervento.
Da bambina potevo credere che lui parlasse con gli spiriti del vento, ma non potevo più avallare delle idee del genere. Eppure, quando guardavo in quei profondi occhi scuri, vedevo la sua sincerità, e finii con l'appoggiarlo.
Avevo forse sbagliato? Ma se lo avessi trattato come tutti in città, che ne sarebbe stato di Letuff?
Ma soprattutto, che ne sarebbe stato di me, se al fianco di Letuff c'era Jerome, e non io?
«Io son stato inviato qui per una ragione, Jiliana, e presto capirai anche tu perché.» allungò una mano verso di me, ma io mi ritrassi. «Se non vuoi farlo per me, fallo almeno per il professore. Lui ci tiene a questa nostra famiglia.» trovai ridicolo definire noi tre “famiglia”, ma Jerome aveva toccato l'unico tasto al quale io ero sensibile: Letuff.
«Solo per lui sopporto la tua presenza, e se è necessario continuare per non farlo soffrire, allora ti sopporterò ancora.»
Dopo quella sera, i rapporti fra noi non furono peggiori; cercai  sempre di ignorarlo, ma fu diverso da prima... In qualche modo, l'ostilità che provavo nei suoi riguardi, si era acquietata.
La mia invenzione era ancora da perfezionare, ma riuscii ad ottenere una piccola sovvenzione da uno dei ferjilian della città. Per sistemare la formula dei due liquidi ci voleva tempo, e ce ne voleva anche per poterne fabbricare un bel po'.
Continuai a lavorare come domestica ma, grazie alla somma che ci avevano dato, ridussi drasticamente le mie giornate di lavoro.
 
Passarono alcune settimane, uscii di casa come di consueto. Quella giornata avrei lavorato presso due delle famiglie che ancora servivo, non pensando che quella sera avrei maledetto con tutta me stessa quei due uomini di scienza.
Quando rientrai trovai infatti i due intenti a preparare i bagagli.
«Cosa sta succedendo qui?» chiesi con voce alterata.
«Ti stavamo aspettando.» per un istante sperai che, finalmente, dopo tutti quegli anni, il pronié avesse deciso di riportarmi in viaggio con lui. Avrei sopportato anche Jerome, l'importante era che Letuff avesse deciso di riprendermi al suo fianco nelle sue spedizioni.
«Io e Jerome partiamo per verificare una cosa. Mi è arrivata oggi una lettera dal vecchio Bojan, te lo ricordi?» il sorriso mi si era spento sulle labbra. Mi sentivo come ovattata mentre il professore continuava a parlarmi. Non capivo nulla, se non che ero stata accantonata per l'ennesima volta. «...quindi, capirai bene che non posso non rispondere alla chiamata. Bojan non mi avrebbe chiamato altrimenti.»
«Quello che io capisco è che non conto nulla. Per l'ennesima volta mi volete lasciar qui a marcire!» quella volta non riuscii a contenermi, scoppiai in lacrime e scappai in camera mia, sbattendo con forza la porta.
Singhiozzavo così forte che non sentii nemmeno che Letuff aveva più volte bussato alla mia porta, o che, preoccupato, era entrato nella mia stanza.
«Bambina mia, lo sai che se sto andando via, è solo perché devo. Stanno accadendo cose strane ultimamente, lo hanno detto anche i Rilahon. Fidati di me.» mi implorò lui, sedendosi sulla poltroncina accanto al mio letto. Io continuavo a singhiozzare e ad evitare il suo sguardo.
«Se non ti porto con me è solo perché voglio proteggerti.»
«Sono grande oramai, so badare a me stessa.»
«Lo so, ma tu sei così preziosa per me, che non posso permettermi di perderti.» incrociai allora il suo sguardo lucido.
«Permetta anche a me di accompagnarla.» chiesi implorante, lui però scosse la testa. «Che cos'ha lui che io non ho?» quella domanda lo spiazzò.
«Jiliana, tu sei come una figlia per me. Io voglio bene ad entrambi, ma a te non potrò mai rinunciare. Non posso impedirti di spiccare il volo, ma questa spedizione è troppo pericolosa, lo sai che fuori dalla città ci sono moltissimi pericoli.» vedendo che non ero ancora contenta, Letuff cercò un compromesso. «Facciamo così, quando torneremo, se dovremo di nuovo uscire dalla città, tu verrai con noi. Va bene?» lo guardai per capire se mi stava solo dando il contentino o se era sincero.
«È una promessa?»
«Lo giuro su tutta la Larh. Possano gli Shayal' Naahr rapirmi e portarmi nel loro regno infuocato, torturandomi per tutta l'eternità se ciò che dico è una menzogna.» giurare sugli Shayal' Naahr, era una cosa seria. Essi erano i demoni del fuoco, e a dispetto di tutte le altre creature delle fiabe, questi erano reali, e vivevano nel Regno del Fuoco, incaricati dal potente Lah Yarik'Sheaj, il nostro Dio, di punire tutti i malfattori, i bugiardi, i ladri e tutte le persone che non si dimostravano degne di raggiungere la Laj Krafij, la dimensione luminosa, dimora di Dio e dei virtuosi.
«Ti credo, Letuff, e non perderò occasione di ricordarti la tua promessa quando tornerai.» gli gettai le braccia al collo, sorridendo e promettendogli che non avrei più pianto, che li avrei attesi e che non mi sarei mai persa d'animo.
Lui e Jerome erano pronti per partire, ma io non potevo lasciarlo andare senza prima avergli dato una cosa importante.
Andai in camera e tornai con una collana: il ciondolo lo avevo ricavato da un unico pezzo di pietra Prija, non era una pietra preziosa in termini economici, ma per il suo significato e per il potere che molti sostenevano che avesse.
Si diceva che tutti quelli che portavano con sé un frammento di quella pietra, non importava il luogo in cui essi sarebbero finiti, avrebbero sempre trovato il modo per ritornare a casa.
«Così non ti perderai.» dissi mettendogliela al collo, mostrandogli orgogliosa anche la mia, ricavata dalla stessa pietra. Imbarazzata, lanciai a Jerome un'altra collana Prija.
«Di certo il nostro pronié avrà bisogno del tuo aiuto. Riportamelo indietro sano e salvo.» dissi senza guardarlo. Lui e il professore si scambiarono un'occhiata divertiti, ma io li ignorai, e augurai ad entrambi un buon viaggio.
Sapevo che sarebbe stato lungo, ma li avrei attesi rendendo onore alla mia promessa.
 
Passarono i mesi, e di loro alcuna traccia, alcun messaggio, neanche un segno che stessero bene.
Cinque mesi erano tanti, e cominciai a preoccuparmi seriamente per loro.
Giocherellavo spesso con il mio ciondolo, immaginando dove potessero trovarsi Letuff e Jerome; ero così in ansia che mi ritrovai a sentire la mancanza anche del ragazzo, e a pregare per la salvezza di entrambi.
Le mie giornate scorrevano lente, mi sentivo sola e anche se le signore per cui lavoravo mi avevano offerto una sistemazione migliore rispetto alla mia, non potevo abbandonare la mia casa: se loro fossero tornati e non mi avessero vista, si sarebbero preoccupati.
No, io sarei rimasta sempre alla mia postazione, aspettando, con una speranza che di giorno in giorno si faceva sempre più flebile. Il momento in cui quei due avrebbero fatto ritorno sembrava sempre più lontano...
Stavo stendendo i panni, la calda brezza mi scompigliò i capelli, e uno strano odore mi arrivò alle narici. Sembrava il profumo di Letuff, ma pensai che quella era solo una mia impressione. Qualcuno mi poggiò la mano sulla spalla, mi girai e lasciai cadere per terra tutta la biancheria appena lavata. Si sarebbe sporcata, ma non m'importava, le lacrime stavano già scendendo e mi ritrovai ad abbracciare Letuff e Jerome.
Non riuscivo più a staccarmi da loro, ero così felice e sollevata nel vederli finalmente a casa.
Li tempestai di domande, e le risposte più importanti, furono dure da digerire.
«Il viaggio di andata è stato molto tranquillo, a dire il vero. In un mese di cammino siamo riusciti a raggiungere la dimora di Bojan, a occidente.» la solita allegria e dolcezza del mio pronié, sembrava essere stata spazzata via. «Se tu lo avessi visto non lo avresti nemmeno riconosciuto, mia Jiliana.»
«Il pronié Bojan ha subito parecchie perdite, a causa dei...» Jerome però non riuscì nemmeno a concludere la frase. Quel viaggio aveva provato anche il suo spirito.
«Cominciate dall'inizio.» dissi io, e i due mi raccontarono la storia più strana che avessi mai avuto modo di udire. Non volevo nemmeno crederci, ma quando Jerome mi mostrò la zampa tagliata di quelle creature, recuperata dal loro viaggio, il mio cuore saltò un battito.
 
La leggenda dei Makrajut, le creature del mondo sotterraneo, era una di quelle storie che più mi avevano terrorizzata da bambina. Crescendo imparai che le leggende erano un modo fantasioso per raccontare alle persone determinati avvenimenti, e che, negli aspetti fantastici, non c'era nulla di reale.
Si narrava che queste creature dall'aspetto spaventoso, dal corpo ricoperto di rocce, con l'alito infuocato e lo sguardo profondo, fossero fuggite dal Regno del Fuoco governato dagli Shayal' Naahr; si diceva persino che questi ultimi ne avessero paura. I Makrajut erano esseri malvagi che avrebbero voluto conquistare il mondo di superficie, ma non ne erano mai stati in grado perché la luce del sole li prosciugava della vita e li trasformava in vere pietre, immobilizzandoli per sempre.
Una volta, l'eroe Lut Shian, un potente guerriero discendente dei Muhariban Lamjea, i Guerrieri della Luce alleati di Dio, decise di opporsi a quelle creature, e riuscì, dopo una sanguinosa lotta, a relegarle in un'area segreta, sotto al grande Lasahrà Lashiashe, esiliandoli per sempre grazie a un potente sigillo.
Da allora quelle bestie tramano vendetta, aspettando con ansia la morte del sole e del sigillo che li tiene sotto al deserto.
Quella era solo una leggenda, una storia raccapricciante che si raccontava ai bambini dicendo loro che se non avessero fatto i buoni, da sotto ai letti sarebbero usciti i Makrajut, e che li avrebbero portati nel loro regno per mangiarli.
 
«Il sigillo si era indebolito una quindicina di anni fa, e uno di loro riuscì a fuggire,» disse Letuff, «ma era ancora troppo debole per riuscire a resistere nel nostro mondo, e così attese, cercando di rinforzarsi così da liberare e punire i discendenti di Lut Shian... e lo ha fatto.»
Jerome mi guardò con aria preoccupata, e c'era qualcosa di grosso che Letuff non riusciva a dirmi, me lo sentivo.
«I  Muhariban Lamjea, non erano stati solo i potenti Guerrieri della Luce che lavoravano per Dio: essi stessi erano luce divina, ma quando uno di essi si innamorò di un'umana, cambiarono molte cose nel regno divino. Lusyfir, il nome di quel guerriero che aveva rinunciato a tutto per amore dell'umana 'Iifa, discese in terra, rinunciando all'immortalità, ma non ai suoi poteri, che riuscì a trasmettere a tutta la sua stirpe: il potere di generare luce.
Tutti i suoi discendenti sono in grado di costruire e maneggiare fonti luminose, nessuno escluso, e infatti è stata questa particolarità a permettere a Lut Shian di sconfiggere i suoi nemici, e così ha creato il suo sigillo. Ma i discendenti furono negligenti, e non curarono  a sufficienza tale sigillo, così si indebolì, e quella creatura malvagia fuggì, segnando poi la fine di quella gente. Il Makrajut sapeva che se non avesse estirpato quella gente, se avesse permesso anche solo a uno di loro di sopravvivere, nessuno della sua razza avrebbe mai potuto conquistare il nostro mondo.» lo sguardo di Letuff si fece così serio che sentii una fitta allo stomaco, mentre strane visioni di gente che gridava e piangeva, cominciarono a farsi nitide nella mia mente. Il racconto del pronié era vivido, ma quelle visioni sembravano talmente reali da farmi credere di averle vissute io stessa in una vita passata. «Solo un discendente di Lut Shian può sconfiggere per sempre quelle creature, realizzando la più grande fonte luminosa dopo il sole. Solo un Muhariban Lamjea potrebbe manipolare la luce, non un uomo normale.» I due uomini mi fissavano, in attesa di qualcosa. Li guardai e una strana idea si fece largo nella mia testa.
«No,» dissi scuotendo la testa. «No, è impossibile» Letuff mi prese la mano fra le sue.
«Quando ti trovai non lo sapevo, e quando i Rilahon mi dissero di prendermi cura di te, non capii quanto tu potessi essere preziosa, ma tu lo sei, e non perché sei come una figlia. Tu sei l'unica in grado di annientarli una volta per tutte.» Non potevo crederlo, ma guardai ancora una volta la zampa di quella creatura... quei mostri erano reali.
«Questo non significa nulla.» Jerome si alzò e andò a prendere la mia scatola luminosa.
«Questo dice il contrario...» sul suo volto leggevo solo un'immensa tristezza. «Mi dispiace.»
Ero felice del loro ritorno, ma non potevo immaginare che mi sarei sentita così a pezzi di fronte a quella rivelazione. Quando Letuff mi accolse, non avevo memoria del mio passato, c'era solo Letuff... non avevo mai pensato alla mia famiglia d'origine, se magari qualcuno si fosse salvato o se discendessi da una famiglia nobile. Non mi importava.
Scoprirlo però, e sapere quale responsabilità gravasse su di me, mi aveva lasciata con un enorme senso di nausea.
«Quando l'avete scoperto?» gli chiesi. «Quando avete capito cosa ero?»
«Quando hai realizzato le tue scatole luminose.» disse lui. «Cercai di mettermi in contatto con i Rilahon, e di capire se il mio intuito aveva avuto ragione un'altra volta. Avrei tanto voluto sbagliarmi, solo per quella volta.» il pronié sospirò.
«Già da tempo sapevamo dei Makrajut, tutti i pronié del calibro di Letuff lo sanno.» essere definito pronié, grande alchimista, non è solo un titolo che dovrebbe portare a una certa importanza a livello sociale; essere pronié significa mettere la propria vita a disposizione della comunità. La ricerca e la tutela del nostro mondo sono la priorità. «Anche i miei genitori lo sapevano, ed è per questo che sono rimasti uccisi dalla creatura mentre stavano svolgendo le loro ricerche nel tuo antico villaggio... in ciò che rimane dell'antica città di Nurhalla.» Jerome parlava con voce spezzata. Non mi ero mai fermata a pensare che anche lui, come me, aveva subito un'ingiusta perdita, e solo in quel momento, dopo tutti quei mesi che avevo passato insieme a lui, capii quanto sciocca ed egoista fossi stata.
«Quando i Rilahon confermarono i miei dubbi, scrissi a Bojan, per avere accertamenti da lui, e allora mi convocò, dicendomi che dovevo tenerti al sicuro e di lasciarti in città, dove la creatura non si sarebbe mai spinta.» Letuff mi spiegò che quel vecchio pronié aveva perso la sua famiglia nelle sue ultime ricerche, e che era stato proprio il Makrajut a sabotare il loro lavoro e a eliminare chiunque. «Il padre di Jerome si difese, riuscendo solo a tagliare la mano alla creatura.»
Letuff si alzò e andò a prendere una cosa dal suo studio. Quando tornò mi mostrò una specie di bomba, e una delle mie scatole luminose.
«Lavoravo a questo oggetto da molto tempo, e non ho mai voluto il tuo aiuto perché temevo per la tua incolumità, meno ne sapevi e meglio era; ma sapevo anche che questo oggetto sarebbe stato inutile contro quelle creature, così ho chiesto aiuto a Jerome quando lui arrivò a casa nostra, portandomi i resoconti della sua famiglia sui Makrajut.»
«Jiliana,» Jerome indicò la mia scatola, «Con la tua invenzione, e grazie anche all'aiuto di Bojan, la bomba del nostro pronié sarà presto pronta. Presto il Makrajut fuggito dal regno sotterraneo, proverà a liberare i suoi fratelli, e noi saremo lì per impedire che tale catastrofe si liberi sul mondo. Sei pronta a venire con noi?» lo guardai tremante, immaginando a quanti pericoli ci saremmo ritrovati ad affrontare.
«Quando siamo partiti, mi facesti promettere di portarti con me nella mia prossima missione, ma adesso devi scegliere tu cosa fare. Potremmo non tornare mai a casa.»
Io guardai prima l'uno e poi l'altro. Sapevo che c'era una sola cosa da fare, e che non avrei mai potuto lasciarli andare via senza di me.
«Abbiamo una bomba da finire, giusto?»
 
Avevamo solo due mesi per completare la bomba di luce che avrebbe per sempre distrutto i Makrajut, ma dovevamo prepararci ad ogni evenienza.
L'esplosivo avrebbe sì annientato le creature, ma avrebbe anche risucchiato il loro mondo, e tutto ciò che lo circondava, spedendo il tutto in una dimensione sconosciuta. Quella non doveva essere una missione suicida: dovevamo trovare anche il modo per salvarci, e per questo motivo Letuff mi affidò il compito di sistemare una sua vecchia invenzione: una macchina volante. La creatura del pronié era ancora in fase embrionale, ma grazie a Jerome riuscimmo a renderla funzionante e non solo: riuscimmo a migliorarla.
Con grande impegno da parte di entrambi, la macchina fu stabilizzata e resa molto più veloce rispetto a quelle che erano le aspettative di Letuff. Non si sarebbe librata in aria di molti metri, ma saremmo riusciti ad abbandonare le rovine della città in tempo.
Non mi ero mai sentita così eccitata e spaventata... lavorare con Jerome, inoltre, si era rivelato tutt'altro che spiacevole. Dopo la sera del loro arrivo e le loro rivelazioni, quell'aria di tristezza e pesantezza che aveva trincerato i loro cuori, sembrava essersene andata. Tra me e Jerome si stava instaurando un'amicizia che non avrei mai immaginato ci potesse essere.
Lavorando assieme alla macchina volante, mi resi conto, durante le prove, che Jerome riusciva a manovrarla alla perfezione, mentre io non riuscivo a mantenere la sua stabilità. Lui sembrava essere nato per guidarla, riusciva a sfruttarla appieno, senza sforzarla, e portarla al massimo delle sue prestazioni. Jerome riuscì persino ad installare un sistema di pilota automatico, che permetteva alla macchina di mantenere da sola la rotta per quasi una quarantina di secondi, purtroppo non di più. Non ero sicura che potesse realmente servirci, ma Jerome sembrava convinto dell'utilità di quella miglioria e, dato che lui sarebbe stato il pilota, decisi di affidarmi a lui e alla sua intuizione. Anche se c'erano stati degli attriti fra di noi, non potevo negare la sua bravura o il suo genio.
 
Nel frattempo, il pronié lavorò giorno e notte per ultimare la bomba. Spesso lo vedevo abbattuto, non riusciva a sistemarla come avrebbe voluto, e cominciai a preoccuparmi nel vederlo così. Letuff non si era mai lasciato scoraggiare da nulla; anche se molte delle sue idee non si erano mai concretizzate, il mio pronié non aveva mai mollato e non si era mai preoccupato, aveva sempre guardato avanti.
«Tutto bene, pronié?» chiesi entrando nel suo studio. Letuff si voltò di soprassalto, spaventato dal mio improvviso ingresso nella stanza.
«Manca poco tempo, e ancora non sono riuscito a sistemare il sistema di innesto. Ammetto che sono un po' preoccupato.» il suo volto rifletteva tutta la stanchezza arretrata. Da quante notti non dormiva? Da quanto tempo non usciva un po' all'aria aperta?
«Perché non va a riposarsi? Sono certa che dopo un buon sonno e un'abbondante colazione, il vostro genio ne gioverà, e presto troverete la soluzione al nostro problema.» Letuff mi sorrise dolcemente, annuendo e ringraziandomi per averlo rincuorato.
«Il dono più grande che ho ricevuto da questa vita, sei tu, mia cara Jiliana. Sono felice di essere nato in questo tempo e di avere avuto la fortuna di incontrarti.» disse con gli occhi lucidi.
«Pronié... anche io lo sono.» dissi baciandogli la fronte e costringendolo ad andare a coricarsi.
La bomba poteva aspettare qualche ora, Letuff era un genio, e sapevo che avrebbe trovato una soluzione. Ne ero convinta.
 
Passarono i due mesi e finalmente partimmo alla volta del villaggio di Lut Shian, il mio villaggio. Jerome aveva passato gli ultimi due giorni prima di partire ad allenarsi in modo da testare la velocità e la ripresa del nostro mezzo. Sapevo che in mano sua avremmo avuto successo. Letuff era riuscito a superare la tensione e, come avevo previsto, aveva ultimato la nostra arma.Il viaggio durò solo poche ore grazie alla nostra invenzione.
Quando atterrammo nell'antica piazza del paese, sentii come una morsa allo stomaco nel vedere quei luoghi, sebbene non avessi dei veri e propri ricordi dei pochi anni che vi avevo passato. Da quando avevo scoperto la verità, avevo spesso avuto degli incubi su ciò che era accaduto, ma non volevo lasciarmi intimidire dalle ombre di quei giorni lontani. Avrei reso giustizia alla mia gente, scacciando per sempre i Makrajut, e liberato il mondo dalla loro minaccia.
Ci nascondemmo dietro una delle case, e posizionammo sul retro la nostra macchina. Dovevamo avere pronta la via di fuga, e una visuale sulla piazza: Letuff ci aveva spiegato che era proprio sopra di essa che Lut Shian aveva compiuto il suo rito molti secoli prima. Secondo un antico calendario, quella stessa sera sarebbe passato un millennio dal rito compiuto dal mio antenato; e solo quando la luna avrebbe raggiunto il suo apice, il Makrajut avrebbe potuto spezzare l'antico sigillo e liberare i suoi simili.
Le ore si susseguirono con una lentezza innaturale, sembrava quasi che il tempo stesso si fosse fermato, ma era solo la mia ansia a rendermi le cose ancora più insopportabili.
Si fece buio e, quando la luna stava per raggiungere il suo picco, la creatura monca che era sfuggita al padre di Jerome, si fece avanti fra le macerie, raggiunse il centro della piazza e si mise a ballare. Da dietro la parete semi distrutta, noi lo osservavamo silenziosi, studiando i suoi movimenti e tendendo le orecchie mentre la bestia pronunciava parole a noi incomprensibili. La terra tremò e il raggio della luna si concentrò sul Makrajut, che fu come scosso da una forza sovrumana, da una scarica d'energia, e il suo corpo cominciò a fumare. La sabbia si ritirò, mentre la creatura ansimava dolorante. Non ce ne accorgemmo subito, ma quando sentimmo delle grida, notammo la voragine che si era aperta, al cui interno risiedeva il mondo dei Makrajut.
Sentii il cuore che mi batteva all'impazzata, dalla paura strinsi la mano a Jerome, che mi era sempre stato accanto.
«È il momento.» disse Letuff. Cercando di non fare troppo rumore, andammo sul retro della casa e azionammo la nostra macchina, pronti a sorvolare il mondo dei Makrajut.
La bestia immonda era discesa nella voragine e stava facendo uno strano discorso alla sua gente, probabilmente li stava incitando alla conquista delle nostre terre.
La macchina non faceva tanto rumore e i loro schiamazzi riuscivano un po' a coprirci, ma non potevamo rischiare, così sforzammo il mezzo, facendolo alzare in alto, spingendolo fino al suo limite.
Letuff stava preparando la nostra bomba, ci volevano un po' di secondi per poterla rendere attiva, mentre Jerome cercava di pilotare al meglio la macchina. I Makrajut erano davvero orribili, mi facevano ribrezzo solo a guardarli: vedere quelle zanne aguzze e quegli occhi malvagi, mi fecero tremare.
Confidavamo nelle tenebre, eravamo quasi pronti, ma uno di loro ci notò, e fummo investiti da una pioggia di pietre che le belve ci lanciarono addosso, destabilizzando la nostra macchina.
Alcuni di loro cercarono di formare una torre umana per poterci raggiungere e far ribaltare.
«Pronié, quanto manca per la bomba?» chiese Jerome che cominciò a muovere la macchina in tondo per evitare la pioggia di sassi e quella torre bestiale che stava per raggiungerci.
Letuff sospirò, e disse che era pronta, ma lo sguardo che lanciò prima a lui, e poi a me, fece scattare qualcosa nella mia testa.
«Non avere paura, mia piccola Jiliana, non ti faranno del male, presto sarà tutto finito.» il modo di fare del pronié era strano. Sembrava quasi che mi stesse dicendo addio. «Jerome, conto su di te!» disse lanciandogli un'occhiata che lui contraccambiò.
«Letuff, cosa sta accadendo?» lui guardò Jerome, come se fosse preoccupato.
«Devo saperlo anche lei, pronié.» Letuff scosse la testa con la stessa espressione che gli avevo visto fare nello studio. Qualcosa non andava.
«Jerome ha ragione, non posso più nascondertelo.» la macchina oscillò, i Makrajut ci avevano quasi fatti cadere. Jerome incitò il professore a dirmi tutto, o a lasciare che fosse lui a farlo. «No, è compito mio. Jiliana, so che tu avevi fiducia in me, ma non sono il genio che tu credi. Purtroppo non sono riuscito a creare un sistema per innescare la bomba a distanza... se avessimo avuto più tempo forse ci saremmo riusciti, ma non ho rimpianti. Qualcuno deve esserci per evitare che I Makrajut possano fermarla e distruggerla, vanificando tutti I nostri sforzi. Ti prego, perdonami per ciò che sto per fare. Jerome!» lo chiamò con fervore, «aziona il pilota automatico e bloccala.» Jerome fece come lui gli aveva ordinato, e mi afferrò tenendomi stretta, mentre la macchina si avviava lentamente verso sud. «Jiliana, grazie per tutto, e grazie anche a te, Jerome... il futuro ora è in mano vostra.» disse sorridendo, gettandosi con la bomba fra i Makrajut.
«No, padre!» gridai, cominciando a singhiozzare.
«Cosa fai? Possiamo ancora salvarlo!» gridai contro Jerome, che mi fissava con occhi lucidi.
Feci per liberarmi, ma Jerome non mollò la presa, riuscì a tenermi ferma con una sola mano, e con l'altra tolse il pilota automatico, spingendo la macchina a tutta velocità, lontano dal villaggio.
Letuff si era gettato fra quelle belve e quando tutti i Makrajut si avventarono su di lui, il nostro pronié si sacrificò, azionando la bomba.
Una luce così potente, come mai si era vista, irradiò non solo il regno delle bestie, ma anche tutto il villaggio; era così forte quella luce, che io e Jerome ci voltammo dall'altra parte, coprendoci gli occhi per non rimanerne accecati.
Fu questione di un attimo, la luce svanì, sentimmo un boato fortissimo e una misteriosa forza che cercava di riportarci indietro, ma la nostra macchina era molto più potente, e riuscimmo a salvarci.
Quel vento potente si esaurì, lasciando spazio alla fresca brezza notturna. “Forse è ancora vivo”, pensai stupidamente, “Forse lui non è stato risucchiato nell'altra dimensione.”
Jerome atterrò sulla sabbia, e io corsi indietro, cercando di scavare là dove fino a pochi istanti prima si estendeva il mondo di quelle creature.
«La bomba ha cancellato ogni traccia della loro esistenza, ma ha portato via anche Letuff. Lui si è sacrificato per noi.» disse Jerome, sedendosi al mio fianco, cercando di consolarmi, ma io lo allontanai.
«Non doveva finire così. Non doveva gettarsi per farli sparire, dovevo farlo io. Io sono la discendente di Lut Shian,» i singhiozzi mi fecero quasi soffocare, e Jerome mi offrì dell'acqua. «Sarei dovuta morire io...»
«Lui ti amava così tanto, che si è sacrificato per te, per noi, per tutti noi. Per poterci offrire un futuro migliore. Devi essere fiera di lui.» mi disse accarezzandomi la testa.
Quella notte, restammo insieme seduti sulla fresca sabbia del deserto senza dirci nulla, cullati solo dal vento e dal ricordo di Letuff, il pronié più grande dei nostri tempi.
 
 
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Dopo il sacrificio di pronié Letuff, Jerome e Jiliana tornarono a Duhn Seharon, raccontando al Jariff, il Signore assoluto della città, tutto quello che era accaduto, portandogli in prova la zampa del Makrajut.
All'inizio era incredulo, non voleva dar loro retta, ma finì col cedere di fronte alle prove. Insieme decisero che non potevano divulgare al popolo tutta la verità, ma lo Jariff, offrì ai due ragazzi tanti soldi per poter mandare avanti non solo i progetti di Letuff, ma anche per poter realizzare un altro sogno del pronié: aprire una scuola per i pronié del domani.
Jiliana e Jerome lavorarono sodo, erano molto affiatati, e Jiliana si fece coraggio e chiese a Jerome di sposarla. Avrebbe voluto proporsi lui per primo, ma lei era così testarda e concentrata sul lavoro, che il ragazzo temeva che lei lo avrebbe rifiutato, così lasciò a lei ogni decisione.
Passarono molti anni felici insieme, e crebbero molti ragazzi straordinari, inclusi i loro gemelli.
Ma come è naturale in ogni storia, anche la loro ebbe una fine: prima Jerome, e poi anche Jiliana, lasciarono la terra dei loro padri, per riunirsi nella terra divina.
 
Nijar e Mekrom, i loro figli, rimasero da soli a contemplare la tomba della madre.
Come lei e come il padre, loro si sarebbero presi cura della scuola, ma il vuoto nei loro cuori, era grande e incolmabile.
«Sono certo che vostra madre non vorrebbe vedervi così.» disse un uomo che i due non avevano mai visto.
«Siete un suo amico?» chiese Nijar.
«Sì, anche se son passati molti anni dall'ultima volta che ci siamo visti.» disse lui con un sorriso malinconico. «Hai i suoi stessi occhi, ma i capelli e la carnagione sono quelli di tuo padre.» disse lo sconosciuto, e si rivolse poi a Mekrom, «Tu invece sei la copia di tuo padre. Sono certo che entrambi fossero fieri di voi.» l'uomo si tolse la collana che portava al collo e la depose sulla tomba di Jiliana. «Non dovete piangere per loro, ovunque si trovino, loro penseranno sempre a voi e vi staranno sempre vicini.»
«Quella è come la collana di mamma e papà. Ve l'ha regalata lei?» Nijar mostrò all'uomo che anche lei ne portava una al collo, e così anche il suo gemello. Sua madre le aveva raccontato di come le pietre Prija erano in grado di riportare chiunque si fosse perso sulla strada di casa. Molti anni prima, infatti, Jiliana ne aveva fatta una per il suo amato e per lo stimato pronié Letuff; per quanto l'attesa fosse stata lunga, i due uomini erano tornati sani e salvi da lei, per questo aveva realizzato una copia anche per i loro amati figli.
«Sì, è un suo dono. Me lo ha fatto tanto, tanto tempo fa, e io sono tornato per restituirglielo.»
All'improvviso si levò una folata di vento, e l'uomo guardò in direzione della stessa. Sorridendo, aprì la mano, come se qualcosa di piccolo e fragile fosse calato sopra di essa. Il vento si fece più forte, e i due gemelli dovettero coprirsi gli occhi per la sabbia. Quando il vento si placò, riaprirono gli occhi, notando con stupore che l'uomo era sparito.
«Dici che...» Mekrom fissò negli occhi la sorella.
«La Prija troverà sempre il modo di riunire tutti i suoi cari. Non importa dove tu ti trovi, non importa se hai smarrito la strada... tu troverai sempre la via di casa.»

 
Fine
 
L'angolo di Shera♥

Eccoci di nuovo qui con un nuovo contest! Devo ringraziare il giudice per avermi dato l'opportunità di mettermi alla prova con questo genere:
AAA Genio cercasi - II Edizione 

Manca ancora molto alla data di scadenza, un mese e mezzo, ma, per fortuna, son riuscita a pubblicare con largo anticipo, anche perché vado piuttosto fiera di questo lavoro.
Son stata parecchio tempo a pensare a cosa scrivere, all'ambientazione, ai personaggi e alle loro storie, e, dopo molto pensare, sono finalmente riuscita a scrivere.
Lo confesso, all'inizio ero immersa nella nebbia più totale, non riuscivo proprio a scrivere. In un primo momento avevo in testa una storia stile Frankenstein, ambientata in Europa, ma poi ho capito che dovevo distaccarmi e creare una mia storia, un mio genio.
Ci ho pensato solo poi, il vero genio in questo storia, l'assoluto protagonista è Letuff o Jiliana?
Doveva esserlo Letuff, ma Jiliana è sulla buona strada per essere il VERO genio del mio racconto. Sono affezionata ai tre protagonisti della storia, anche se Jerome è stato l'ultimo a nascere nel mio cervellino bacato, non per questo mi è meno caro.
Fin da quando mi sono iscritta, Letufff - che non aveva ancora un nome, e Jiliana - che è sempre stata tale -, erano già nel mio cuore. Jiliana doveva essere solo una cameriera che cercava di rimediare ai pasticci di Letuff, ma poi è diventata qualcosa di più.

Immagino che avrete notato i nomi strani. Per alcuni, come nel caso di Pronié, mi sono ispirata al francese, storpiando e fondendo nomi: Professeur e génie; mentre per gli altri ho sfruttato l'arabo, fondendo e storpiando. Sono molto contenta, mi piacciono tantissimo, in particolare adoro il nome delle creature "Makrajut", e degli spiriti del vento "Rilahon". Con questo contest mi sono davvero messa alla prova e sono MOLTO contenta del risultato.

Spero possa piacere anche a voi.
Come sempre i vostri pareri, consigli e critiche, sono bene accette.
Vi ringrazio per essere passati, un abbraccio

Shera♥

 
  
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