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Autore: Kuri    03/05/2009    1 recensioni
"In fin dei conti è possibile descrivere la differenza tra un'esplosione nucleare piccola e una più vasta con un metodo molto semplice. La caratteristica principale di una bomba nucleare è il bagliore, che è molto più accecante di qualsiasi altra luce sulla terra – più forte anche della luce solare – ed è dalla durata di questo bagliore che riusciamo a determinare la dimensione dell'arma. Dopo l'esplosione una palla di fuoco risale verso il cielo, risucchiando sotto di sé le macerie, la polvere e tutte le cose esistenti nell'area dell'esplosione, e mentre questa sale, è presto riconoscibile il formarsi della famigliare nuvola a fungo. Come dimostrato dai test di durata dei flash, proviamo a contare i secondi di bagliore emessi da una bomba piccola, poi di una di medie dimensioni, e infine di una delle nostre bombe più potenti."
[tratto e tradotto da Breathing, di Kate Bush]
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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QUATTRO: Sopravvivere



Il futuro era una nave tutta d’oro che noi pregavamo ci portasse via lontano.
Cosa rimane di noi.
Ora che ci siamo amati ed odiati e traditi.
E non c’è più limite.
[L'aeroplano, Baustelle]



Quando il gasolio nella jeep finì, scesi ed iniziai a camminare a piedi.
Avevo guidato tutta la notte tra strade appena visibili e prati e un'altra mattina tersa, splendente, inondava la terra.
Camminai per tanto tempo con i vecchi stivaletti militari, finché non sentii il cuoio indurito dal sudore sfregare contro la pelle nuda.
Nessuno mi inseguì. Né quel giorno, né quelli a venire. Stupida io a darmi tanta importanza quando poco lontano una città e i suoi abitanti non esistevano più. Ma lo compresi solo in seguito, quando era ormai troppo tardi per chiedere davvero perdono.
La forza della mia gente – l'unica vera radice che con il tempo ha avuto al tenacia di farsi sentire anche da una persona sorda come me – l'ho sentita dentro di me quel giorno, mentre impedivo ai miei piedi di fermarsi.
Giunsi alle alte colline boscose dell'entroterra. In quei luoghi tutti avevano sentito parlare della guerra, ma nessuno l'aveva mai vista. I contadini che incontravo lungo la strada osservavano i miei vestiti grigi di polvere con sbigottimento e con una trepida confusione. Avevano sempre visto i camion militari sfrecciare accanto ai loro villaggi. Ogni tanto i soldati avevano razziato le loro provviste e preso le loro capre, ma nessuno si era mai interessato davvero a loro.
Arrancai, finché il desiderio di morire, e di vivere, e di morire ancora fu così forte che le gambe cedettero e caddi al suolo, su una stradina di ciottoli ordinati che correva lungo la sponda di un fiume placido, sotto l'ombra fresca di un lungo filare di ciliegi frondosi.
Tutto era così bello che la guerra non sembrava essere mai esistita. Nella valle stretta che si apriva tra le colline quel mostro putrido non era riuscito ad infilarsi. Nessuno aveva mai pensato di sganciare una bomba sui piccoli paesini fatti di case di legno e bambù. Un po' perchè tra il rigoglio degli alberi non li avevano visti. Un po' perchè a gettare un ordigno lì non avrebbe ammazzato quasi nessuno, perciò non valeva la pena di sprecare così le granate.
Quando aprii gli occhi, una mano fresca mi stava toccando la fronte e due limpidi occhi chiari mi fissavano preoccupati. Sentivo anche una voce chiamarmi con dolcezza, ma non riuscii a risponderle. Credo forse di aver sorriso, per questo lei non pensò che fossi morta e corse a chiamare suo padre al tempio.
Così sopravvissi.
Quel giorno, e tutti quelli successivi.
Senza Yōko non è stato facile, come perdersi in un mare senza bussola e gli strumenti per leggere il cammino delle stelle. Non l’ho mai cercata, e lei non ha mai trovato me.
Sarebbe stato tutto troppo complicato da capire e da vivere, da masticare dopo aver perso il senso del gusto per un boccone troppo caldo.
Non riesco ad impedirmi di vivere come la vigliacca che sono. Ma sono sicura che ha avuto la vita meravigliosa che desiderava e che meritava. Sicuramente ha avuto l’onore di aver fatto parte di quegli uomini e quelle donne che successivamente i giornali e le radio hanno chiamato eroi. Ma io credo che non ci sia comunque una parola tanto grande per descrivere cosa hanno fatto.
Ogni tanto, però, sento ancora la voce di Shizuka. Dalla porta aperta di qualche locale che si affaccia sulla strada, oppure attraverso gli altoparlanti della mia vecchia radio.
La pancia di Shizuka non si muove più mentre canta. Dalla copertina dei suoi vinili, però, sorride ancora, anche se tutti sanno che Kanina Shizuka è morta a Hiroshima dopo diciotto giorni di agonia.
Quanto durano diciotto giorni? Diciotto giorni di urla che non sembrarono terminare mai, anche la notte, quando tutti sono troppo stanchi e ormai non ci fanno più caso.
Quando mi ritorna alla mente il ricordo di lei, mi ritrovo senza più pensieri, priva di giustificazioni e risposte.
Penso solo a quella voce stupenda straziata dalle grida e al suo viso portato via dall'alito caldo della bomba, e il mio senso di colpa che non vuole saperne di spegnersi.
Perchè quando fuori il sole splende e la città è inondata dalla luce e dai suoni della vita normale di tutti i giorni, ogni cosa appare normale e semplice, e la testa è vuota, libera per un attimo dalle memorie e dagli incubi e allora sembra che ricominciare sia possibile, e che il destino che ci è stato riservato non sia semplicemente quello di chi è sopravvissuto, ma di chi ha saputo rinascere, lasciandosi l'orrore alle spalle.
Oggi è il sedici ottobre millenovecentosessantasei. Sono qui al Peace Memorial, e ne approfitto per godermi l'aria tiepida.
Sono ai piedi di un arco di cemento. Sulla sommità ci sono una bambina e una gru dorata.[1] Spiccano il volo, anche se il cielo è gravato da quelle nubi sottili color perla tipiche delle giornate autunnali. Mi hanno detto che c'era anche lei quando accadde, persa da qualche parte in quella devastazione infinita.
Mi dispiace di non avere avuto occhi per guardare oltre me stessa. Sono stata una dei testimoni dell'orrore e non ricordo nulla. Faccio difficoltà a ricordare il viso sfregiato di Shizuka, e l'ultimo sguardo raccolto dagli occhi di Yōko.
L'essere umano è davvero meschino, smarrito com'è nel concentrarsi sul proprio dolore.
Ci ho provato a fare gli origami delle gru. Pensavo che anch'io avrei potuto portare la mia ghirlanda in questo luogo, un giusto tributo per ringraziare gli dei. Ma le mie dita non sono sottili e delicate, e mi annoio subito.
Ma a quel giorno penso spesso, cercando di riesumarne quanti più particolari possibili, e a tutti i giorni successivi di tutte le persone che hanno vissuto quell'istante.
È questo quello che faccio, anche adesso in questo parco dagli alberi tinti di rosso e arancio, con il vento autunnale ancora caldo che scuote i lembi delle giacche e il cielo che minaccia pioggia. Ci sono ragazzi che attraversano i vialetti in bicicletta, diretti all'università. Ridono e parlano a voce alta. Ci sono vecchini che si trascinano qui a stento. Molti di loro sono ammalati, a causa dell'eco di un'esplosione che non vuole spegnersi. Qualcuno mentre cammina canticchia una melodia, forse dei Beatles. Altri parlano della guerra che è scoppiata in Vietnam, della paura che gli americani trasmettono ancora, anche se adesso i nemici sono altri. O ancora qualcuno semplicemente cammina attraverso il parco, chi diretto a casa, chi al lavoro, chi di fretta per essersi soffermato troppo al tempio a pregare.
La vita ha avuto il coraggio di riempire il vuoto, come fa una pianta rampicante di rose quando viene potata.
Alzo gli occhi verso la figura della bambina.
Le dimensioni delle cose mi appaiono ancora più relative, all'ombra del monumento. Eppure continuano a scorrere, inesorabili, insieme al tempo. Un giorno, questo luogo forse non avrà più un significato. La gente saprà che esiste, ma non ne conoscerà il perchè.
E solo i desideri infinitamente piccoli avranno importanza e riusciranno a muovere le persone.
E la vita continuerà, facendosi beffe di ogni singolo essere umano.
Ogni giorno, ogni attimo, con in sottofondo il lieve frullio delle gru che si levano in volo.



Sfreccia in cielo un aeroplano.
Io ti amo e non ti penso mai.
Penso a quello che ci resta.

Vola l’aeroplano.
Va lontano.
Vola su Baghdad.

Noi voliamo invano.













[1] Il monumento a Sadako Sasaki al Peace Memorial di Hiroshima, bambina che, scampata alla furia di Little Boy, morì successivamente a causa dell’avvelenamento da radiazioni.

   
 
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