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Autore: Le notti con Salem    15/09/2016    1 recensioni
Ancora una volta il Clan è sotto l'attacco dei suoi protetti e a Rigel e Saif non resta altra scelta: devono attivare ancora una volta il Faro e prepararsi al salto.
Un racconto liberamente ispirato alla canzone Talisman degli Amberian Dawn
Come al solito, è già stato pubblicato sulle mie pagine di DeviantArt e Lokee
Genere: Avventura, Fantasy, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Sbrigati, Saif! Non rimanere indietro!» Rigel era già a metà della scalinata mentre suo figlio arrancava molto più indietro.
«Scusami» le rispose Saif. «È solo che...» il ragazzo s'interruppe e sospirò sconsolato. «È già la quinta volta che attiviamo il Faro. Possibile che non sia mai quella giusta?»
La donna guardò a lungo il figlio mentre quello la raggiungeva. Sapeva come si sentiva e purtroppo non poteva farci niente. Ancora una volta il loro Clan era costretto a fuggire, e il motivo della loro fuga era lo stesso da secoli: la brama di potere dei loro protetti.
«Prima o poi troveremo il posto perfetto» disse Rigel per rassicurare il figlio e anche se stessa. «Dobbiamo solo fare un altro salto o due.»
Saif fece una smorfia poco convinta e fece per risponderle, ma in quel momento la terra tremò e un boato riempì l'aria. I due si dovettero aggrappare alle ringhiere che avvolgevano la scalinata per mantenere l'equilibrio. Molto più in basso, la luce del tramonto filtrò attraverso uno squarcio nelle pareti, illuminando la base della torre in cui si trovavano.
«Una cosa bisogna riconoscergliela: sono i primi che riescono ad attaccarci sul serio» commentò Rigel appena riuscì a raddrizzarsi. Aiutò il figlio, scivolato giù di qualche gradino, e ricominciarono la salita accelerando i loro passi. Quando arrivarono in cima alla scalinata, trovarono un muro ricoperto di simboli. Rigel ne sfiorò alcuni in un determinato ordine che Saif non riuscì a seguire e quelli cominciarono a brillare di una luce azzurra. Il loro bagliore disegnò i contorni incerti di un sole fiammeggiante sulla cima di una torre. Quando il disegno fu completo, nel muro si aprì un passaggio e oltre la sua soglia, dopo un ultimo gruppo di gradini, trovarono il cielo notturno ad attenderli. L'aria lì era diversa da quella che si respirava nel Palazzo del Clan, e non c'era da stupirsene: attraversando il passaggio nel muro, Rigel e Saif erano finiti su un piano d'esistenza diverso da quello in cui si trovavano prima. Un mondo dentro al mondo, dove il Clan custodiva il Faro, la sua fonte di potere e conoscenza.
Circondata da eleganti balaustre in ferro battuto, la piccola piattaforma del Faro dava l'impressione di essere sospesa in mezzo al cielo stellato, e nonostante il posto fosse avvolto da una notte perenne, ogni suo elemento, inclusi Rigel e Saif, era perfettamente visibile, come illuminato da una luce interiore, senza che quest'ultima offuscasse quella delle stelle sopra le loro teste. Al centro della piattaforma si ergeva un grosso piedistallo. Oltre la sua superficie di vetro si riusciva a vedere un intricato sistema di fili e ingranaggi incastrati gli uni negli altri. Ogni singolo pezzo di quel meccanismo era ricoperto dagli intricati simboli del codice segreto del Clan. Sulla sommità, in cima al piedistallo, c'era una grossa pietra blu a cupola. Saif non riusciva a vederla da dove si trovava, ma sapeva dalle sue visite precedenti che al centro la pietra aveva una cavità scolpita per accogliere qualcosa. Rigel si allontanò dal figlio e si diresse verso il piedistallo, tirando fuori da una tasca del camice un oggetto di metallo. Era un disco dorato simile a un sole, con lunghi raggi seghettati che circondavano una coppia di cerchi concentrici pieni di simboli. Al centro del disco era incastonata una pietra liscia e lucida di un bel blu scuro, identica a quella sul piedistallo. Rigel armeggiò con i cerchi del disco facendoli ruotare. L'oggetto ticchettò e poco dopo i suoi raggi si piegarono al centro e si abbassarono, finché non si unirono fra loro trasformando il disco in una specie di grosso chiodo con la pietra blu in cima.
La chiave per accendere il Faro.
Madre e figlio si scambiarono un cenno e la donna tese il braccio verso il piedistallo. All'improvviso un crepitio fece voltare entrambi verso la scala da cui erano arrivati. C'era qualcosa nell'aria, una macchia grigia trasparente che continuava a svanire e riapparire. Con uno schiocco la macchia diventò del tutto visibile e i due si trovarono davanti un uomo. Qualcuno li aveva seguiti!
«Dannato aggeggio!» sbottò il nuovo arrivato strappandosi di dosso il mantello in cui era avvolto. Saif fissò sorpreso l'indumento che si afflosciava al suolo.
Ma quella è la mia Cappa Mimetica!
Credeva di averla persa la settimana prima attivandola per errore. Una rapida occhiata al nuovo arrivato gli fece capire che in realtà gli era stata rubata, e da qualcuno che conosceva molto bene. Il giovane che si trovavano davanti non era molto alto, ma la sottile corazza metallica che indossava e il machete energetico appeso al suo fianco lo identificavano come un soldato, e sia Saif che Rigel sapevano a chi apparteneva il volto nascosto dentro l'elmetto rinforzato.
«Alfard. Speravo che ti dimostrassi più intelligente dei tuoi compagni, ma a quanto pare mi sbagliavo» la voce di Rigel suonava sinceramente delusa.
«Solo un idiota si lascerebbe sfuggire un'occasione del genere!» commentò sprezzante il soldato avvicinandosi a Saif «Avete abbastanza potere da dominare l'universo, ma non lo usate neppure per difendervi. Mi sembra evidente chi è l'idiota tra noi! Ora si allontani dal Faro e mi dia la chiave, se non vuole che affetti suo figlio.»
Alfard afferrò il machete e lo puntò contro Saif. Le microcelle lungo i fianchi dell'arma si attivarono e generarono un sottile campo energetico tagliente che riluceva di un bagliore bianco. Saif era troppo scioccato per opporre anche solo una minima resistenza. E pensare che era stato proprio lui a mostrargli il Faro! Avevano passato così tanto tempo lì insieme: gli aveva fatto conoscere le stelle e le costellazioni, avevano parlato del futuro... aveva anche finto di precipitare nel vuoto oltre la balaustra, facendogli quasi venire un infarto. Quando gli era sbucato alle spalle, Alfard per poco non era svenuto e per tranquillizzarlo aveva dovuto spiegargli che era impossibile lasciare la piattaforma, e accompagnarlo sulla faccia inferiore del Faro per mostrargli cosa intendeva. Al di fuori del Clan, lo considerava il suo migliore amico.
E adesso era lì, a puntargli un'arma alla gola per ottenere qualcosa che non poteva neppure iniziare a comprendere.
«Se questo è quello che pensi...» aveva ripreso nel frattempo Rigel «... è evidente che non hai ascoltato neppure una parola di quello che ho cercato di insegnare a te e agli altri. Neppure noi siamo in grado di...»
«La chiave, subito!» ordinò Alfard interrompendola e avvicinando la lama energetica al collo di Saif. Il viso del soldato era sfigurato dall'impazienza e dal disprezzo.
Andava sempre così. Ogni volta che facevano il salto, il Clan avvicinava un popolo che gli sembrava promettente, assumendo sembianze adeguate per non spaventarlo. Condivideva con esso parte delle sue conoscenze, lo incitava a sviluppare nuove idee, a superare i propri limiti. Ma alla fine i loro protetti non si accontentavano più di ciò che gli davano, volevano risultati più in fretta, e anziché impegnarsi per migliorare se stessi iniziavano a invidiare il Clan per ciò che aveva e a odiarlo per la sua decisione di tenere per sé il grande potere che custodiva.
Rigel rivolse uno sguardo al figlio. Saif non disse nulla, non ce n'era bisogno: sua madre sapeva cosa fare. La donna sospirò e si allontanò dal piedistallo col braccio teso verso Alfard, la chiave stretta nella mano.
Il desiderio prese il sopravvento sul volto di Alfard, che abbassò l'arma, fissando smanioso l'oggetto nella mano di Rigel. Fece un passo incerto in avanti, poi un altro più sicuro. Poteva quasi sfiorarla.
Proprio all'ultimo secondo, Rigel si ritrasse e con un gesto repentino conficcò la chiave nella pietra sul piedistallo.
«No!!!» urlò Alfard. Il soldato cercò di avvicinarsi al piedistallo, ma la pietra blu cominciò a emanare una luce abbagliante e l'aria attorno a loro vibrò con violenza. Il meccanismo nel piedistallo prese vita: gli ingranaggi ruotavano, i fili si tendevano, i simboli s'illuminarono...
Il Faro si era acceso.
Un'inquietante scricchiolio riempì le loro orecchie. Il cielo sopra le loro teste si riempì di crepe come vetro infranto e quasi tutte le stelle si spensero. Solo quelle che formavano le costellazioni disegnate dal Clan, le più luminose, erano ancora visibili, e brillavano più di prima. Alfard fissò sconvolto le crepe che si propagavano nel cielo, mentre Rigel e Saif rimanevano impassibili. Quando le crepe separarono ogni costellazione dalle altre, queste ultime cominciarono a tremare e i pezzi di cielo in cui erano prigioniere si staccarono dalla volta. Rendendosi conto che aveva fallito la sua missione, si voltò rabbioso verso Rigel.
«Maledetta!» sibilò prima di scagliarsi contro di lei con il machete alzato.
Alzò l'arma e la calò sulla donna, ma lei non fece nulla per evitarla. Proprio quando la lama energetica si trovò a un centimetro dal collo di Rigel, la pietra sul piedistallo mandò un altro bagliore accecante e l'arma di Alfard si dissolse in una nuvola di polvere insieme a lui.
Le schegge di cielo, colpite anche loro dal bagliore, cominciarono a ruotare attorno al Faro scivolando lungo sottili binari di luce. Era uno spettacolo affascinante osservare le loro costellazioni che turbinavano e si rovesciavano mentre scandagliavano i cieli di altri mondi alla ricerca di stelle che combaciassero col loro disegno.
«È colpa mia. Non avrei mai dovuto portare Alfard qui» fece mesto Saif ad un certo punto.
«Era inevitabile» lo consolò Rigel «A giudicare dal suo atteggiamento, le cose sarebbero andate comunque in questa maniera. Magari lui non ci avrebbe raggiunto qui, ma scommetto che ci avrebbero attaccato lo stesso, prima o poi»
Il ragazzo rimase per un po' in silenzio, poi chiese:
«Che ne sarà di lui?»
«In effetti è la prima volta che qualcuno che non fosse del Clan ha assistito al salto, ma non mi preoccuperei più di tanto. L'onda d'urto della nostra partenza l'ha solo sbalzato via dal nostro palazzo: a quest'ora i suoi compagni lo staranno già soccorrendo.»
Saif annuì, sapeva che sua madre diceva la verità. Ogni volta che erano costretti a fare il salto verso un nuovo mondo, il Faro generava un'onda d'urto che allontanava tutti coloro che non erano del Clan, distruggendo allo stesso tempo  parte delle conoscenze che avevano condiviso. Questa era l'unica forma di attacco che il Faro concedeva al Clan contro i suoi nemici: cancellare i loro ultimi progressi tecnologici e costringerli a ricominciare da capo.
Mentre i due se ne stavano in attesa, il movimento delle costellazioni cominciò a farsi sempre più lento. Quando le stelle si fermarono del tutto, i pezzi di cielo si rinsaldarono fra loro e la luce del Faro si spense. Ora le costellazioni erano in posizioni del tutto diverse rispetto a prima e nuove stelle riempivano il buio della notte. Rigel annuì soddisfatta. Si avvicinò al piedistallo ed estrasse la chiave dalla pietra. Saif la guardò mentre faceva tornare la chiave al suo aspetto originario e ripensò alle parole di Alfard. Con tutto il suo potere, perché il Clan si limitava a istruire popoli che si rivoltavano come bambini capricciosi appena non ottenevano quello che volevano, anziché sottometterli e dominare un mondo o due?
Perché non era possibile, ecco la risposta.
Se Alfard avesse prestato attenzione alle loro lezioni come aveva fatto Saif, avrebbe saputo che nel corso dei secoli il Clan, seguendo il pensiero di alcuni dei suoi membri più battaglieri, aveva già tentato quella strada in un paio di occasioni, e l'esito era stato sempre lo stesso: interi universi danneggiati in maniera quasi irreparabile e il Clan ridotto sull'orlo dell'estinzione. Era stato il Faro stesso a ribellarsi a quell'utilizzo e li aveva puniti in maniera esemplare. Il Clan non conosceva la vera portata del potere del Faro, e perfino le sue origini erano un mistero per loro: era così antico che aveva dimenticato se erano stati loro a crearlo o se l'avevano trovato, o magari ricevuto da qualcuno. L'unica cosa che sapevano era che avevano l'incarico di tenerlo lontano dalle mani sbagliate e usare il suo potere quel tanto che bastava per diffondere il suo sapere il più possibile, anche se questo significava dover fuggire di mondo in mondo ogni volta che qualcosa andava storto.
Saif guardò il nuovo cielo che avrebbe visto d'ora in avanti. Gli piaceva di più di quello di prima; per certi versi gli sembrava più “vivo”, più ricco di sfumature.
Spero di potermelo godere più a lungo del precedente.
«Saif? Tutto bene?»
Il ragazzo si riscosse dai suoi pensieri. Rigel lo stava osservando preoccupata. Aveva già cominciato a scendere la scalinata che lasciava il Faro, solo la testa e le spalle sbucavano ancora dal passaggio. 
«Sì. È solo un po' di tristezza, ma passerà» rispose scrollando le spalle. Non aveva voglia di cominciare la sua nuova vita in una terra sconosciuta lamentandosi, perciò le rivolse un sorriso, nella speranza che questo bastasse a chiudere la questione. «Andiamo a vedere la nostra nuova casa?»
Sua madre continuò a fissarlo. Alla fine ricambiò il suo sorriso. A quanto pareva, la risposta del figlio era sufficiente per lei.
«Non subito» disse lei. «Prima è meglio se raggiungiamo gli altri. Dobbiamo occuparci delle riparazioni e dei feriti, senza contare che ci sono da scegliere le nostre nuove sembianze. Chissà se questa volta avremo ancora una forma antropomorfa o diventeremo qualcos'altro!» La voce di Rigel si faceva sempre più lontana mentre scendeva le scale e si allontanava da quel piano d'esistenza, lasciandosi alle spalle il Faro per entrare in un nuovo mondo.
«Già, magari delle lumache» sghignazzò Sarif mentre la raggiungeva «Sarebbe divertente tornare a muoversi scivolando sulla bava...»
   
 
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