«Dai, Soul…» ribadì Maka, voltando leggermente il capo di lato. Avrebbe voluto stringere la presa al candido lenzuolo dell'infermeria, ma la paralisi glielo impediva: per quanto si sforzasse, le sue mani intorpidite non rispondevano ai comandi, era come non averle. Perciò poteva solo tormentarsi di continuo le labbra, unico modo per soffocare l'enorme imbarazzo di quella situazione.
«Hai intenzione di morire di fame?» commentò la falce, sulla sedia accanto al letto, con una ciotola argentea ancora piena sulle ginocchia. «Su, non essere sciocca, non c'è bisogno di vergognarsi.»
“La fai facile, tu…” pensò la maestra d'armi, ancora un po' scarlatta nelle guance. Prese un respiro profondo, per poi semplicemente aprire la bocca con un lungo “aaah”. Soul non si lasciò sfuggire l'occasione e vi infilò un cucchiaio traboccante di zuppa di miso, aspettando che deglutisse, a occhi chiusi.
Mentre li riapriva timidamente, Maka si sentì schernire con un sorrisetto canzonatorio: «Visto? È stato così terribile?»
S'imbronciò per il suo orgoglio andato rovinosamente in mille pezzi, ma non disse niente, rassegnandosi a tenere ancora ben aperta la bocca in attesa di ricevere una nuova cucchiaiata di brodo caldo. Tanto c'erano solo loro due, in quella stanza resa luminosa dalla luce aranciata del tramonto: i loro amici se n'erano andati qualche ora prima, tutti per via di qualche missione e allenamento irrimandabile.
Il ragazzo non poteva evitare di soffermarsi sulla sua espressione buffa, un po' da bambina offesa – incentivata anche da quel pigiama a righe, seppur ammetteva di averne visti con fantasie peggiori e decisamente più infantili nel suo armadio. Era priva di difese: anche volendo non avrebbe potuto colpirlo, nemmeno se avesse detto la più inappropriata delle frasi. Sentiva l'incondizionato desiderio di starle accanto. Questo pensava, perdendosi nei suoi occhi. Sembravano un po' timorosi e sperduti, ma forse perciò ancora più incantevoli di quanto gli apparissero di norma, le rare volte che si concedeva di osservarli di sfuggita per qualche istante fugace, allo scopo d'imprimerli nei suoi ricordi. Nella mente avrebbe potuto passare in rassegna tutte le espressioni più disparate di Maka in meno di dieci secondi. Perché, se si metteva a osservarla e analizzarla minuziosamente proprio come stava facendo, a volte era capace di perdere anche la cognizione del tempo, rischiando di essere scoperto – e ciò non sarebbe stato per niente cool.
«A-Allora, ti muovi, o no?» la sentì borbottare, con lo sguardo rivolto alla finestra per evitare il suo, nella sciocca paura di scorgervi altra derisione. Se proprio dovevano farlo, era meglio che fosse veloce e indolore. Invece pareva che il signorino si divertisse a prolungare la sua agonia, dal momento che se n'era stato fermo almeno due minuti come un idiota, con la posata colma di liquido a mezz'aria, un aeroplanino immaginario di cui evidentemente l'agenzia di volo aveva ritardato la partenza senza preoccuparsi di avvisare i passeggeri. La curiosità la divorava: avrebbe dato tutto per sapere a cosa stesse pensando per incantarsi così.
A Soul scappò un ultimo sorriso e riprese a imboccarla piano, godendosi la vista di quell'impagabile rossore.
Alla prossima.