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Autore: Taila    16/09/2016    1 recensioni
Trovare Matt accanto a sé in quel momento e dopo tutto quello che gli era capitato nelle ultime ore, gli fece provare la sensazione di qualcosa di caldo che gli si stava sciogliendo dolorosamente dentro. Ciò che stava sentendo era un crogiolo di emozioni contrastanti e così ingarbugliate che era impossibile dirimerle una dall’altra, che andavano ad alimentare quel qualcosa che aveva sempre covato dentro di sé e verso Matt. Gli piaceva avere l’amico in quel modo e così vicino a sé e se qualcuno, entrando in quella stanza, gli avesse domandato perché stava fissando il suo amico assopito con quel sorriso in viso, avrebbe potuto rispondergli soltanto che era perché era felice di averlo con sé.
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kelly Severide, Matthew Casey
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: I’m here
Autore: Taila
Serie: Chicago Fire
Genere: Sentimentale, generale
Tipo: Pre-slash, one-shot, what if…?
Pairing: Matt Casey x Kelly Severide
Rating: Verde
Disclaimers: I personaggi presenti in questa shot non appartengono a me, ma a tutti coloro che ne detengono i diritti. Io li ho presi in prestito senza scopo alcuno di lucro e solo per soddisfare i miei loschi fini (ovvero, vedere finalmente Casey e Kelly che si sprimacciano a vicenda *_*)
Ambientazione: Questa shot è ambientata alla fine della puntata 3x19, quella in cui si ha il primo cross con la serie spin-off “Chicago Med” e in cui Severide viene coinvolto nell’esplosione al pronto soccorso.
Note: Prima di lasciarvi alla lettura, permettetemi una piccola precisazione: ho detestato fin nel profondo delle ossa la storia della gravidanza di Gabriela. Questo non c’entra col fatto che shippo Matt/Kelly, ma proprio per come l’hanno gestita. Qualsiasi cosa pensi di lei, Gabriela è veramente innamorata di Matt, si vede lontano un chilometro e il nostro tenente la ricambia pienamente. Quei due si amano a vicenda: l’uno è il grande amore dell’altra e viceversa. È una cosa che rispetto e, proprio per questo, mi aspetto che la cosa venga gestita all’altezza dei sentimenti che si vogliono raccontare. Da slasher mi domando: se volevano davvero far ritornare insieme Matt e Gabby dopo la rottura, davvero non c’era altro modo che una gravidanza che, oltretutto, non le fanno nemmeno portare a termine? Facendo questo, è stato come se avessero inserito l’espediente che scatenava il maggior pathos, per poi rendersi conto di non avere il coraggio di portare la cosa fino in fondo e hanno eliminato il problema alla radice. Non sarebbe stato meglio mettere Gabby in situazione di serio pericolo, farle rischiare davvero la morte e, in questo modo, spingere Matt a rendersi conto che la ama infinitamente, che non può vivere senza di lei e non vuole più lasciarla andare via? È per tutti questi motivi che mi rifiuto di prendere in considerazione tutto il fattaccio della gravidanza e ho deciso di riscrive il finale della puntata in cui comincia tutto in chiave pre-slash, cercando di renderlo un punto di partenza per un ulteriore avvicinamento di Matt e Sev *_*
Ringraziamenti: Ringrazio la mia tessora BlackCobra che ha lasciato un commento a "Una Semplice Serata". Ringrazio Harryet che ha inserito "Una Semplice Serata" tra i preferiti. Ringrazio: Harryet che ha inserito "Una Semplice Serata" tra i seguiti. Ringrazio tutti coloro che hanno anche solo letto. Ringrazio tutti coloro che leggeranno e/o commenteranno questa shot.
Adesso la smetto e vi lascio alla lettura. Alla prossima Matt/Sev gente O/



I’m here



Con un bicchiere di plastica bianca in mano, Matt ritornò nella stanza in cui era stato ricoverato Severide e si lasciò cadere di peso sulla sedia che aveva spostato accanto al suo capezzale. Aveva promesso agli altri che li avrebbe chiamati in caso di necessità e li aveva mandati a casa, sicuro che invece si sarebbero ritrovati al Molly’s, perché al termine di giornate come quella avevano bisogno di avere accanto i propri fratelli. Lui invece aveva bisogno di rimanere lì, accanto al suo amico, per controllare che andasse tutto bene: quando i ruoli erano stati invertiti, Severide era stato al suo fianco, non lo aveva lasciato da solo e, ora, voleva fare altrettanto per lui e non per un debito da saldare, ma perché nemmeno lui voleva lasciare da solo il suo amico in un momento simile. Matt si sentiva letteralmente sfinito, sia a livello fisico che mentale e aveva decisamente bisogno di una doccia calda, abiti puliti e un letto su cui crollare, ma, nonostante questo, non voleva andarsene da quella stanza, non prima che Severide si sarebbe svegliato. Lui aveva rischiato grosso quella volta, ma, per fortuna, la dottoressa era riuscita a fermare l’emorragia e a ricucire le lesioni che aveva riportato, salvandogli la vita e, adesso, Severide stava riposando pacificamente, pensò Matt ascoltando il suono regolare del macchinario che monitorava la sua frequenza cardiaca.
Quella era stata una delle peggiori giornate che avesse avuto negli ultimi tempi: essere bloccati all’interno di un pronto soccorso che era stato appena devastato da un’esplosione e con la minaccia del possibile contagio con una malattia mortale, il tutto mentre si cercava di mantenere la calma tra persone spaventate e vicinissime a un crollo nervoso, era una delle cose peggiori che gli fossero capitate nella sua carriera. Era paradossale, ma dover trovare una soluzione per contenere e, possibilmente, spegnere l’incendio che si era sviluppato nel controsoffitto, gli aveva dato qualcosa di concreto su cui concentrarsi e lo aveva aiutato a tenere lontano lo spettro della paura per se stesso e i suoi amici. In quella manciata di ore che erano scivolate via in modo delirante, Matt aveva avuto bisogno di tutto il suo autocontrollo per mantenere la padronanza di quella situazione che si era fatta potenzialmente esplosiva e gestirla con polso fermo, quindi non aveva potuto permettersi di indugiare su pensieri, come che, in quegli stessi momenti, Severide stesse lottando tra la vita e la morte, che lo avrebbero fatto crollare su se stesso.
Matt sospirò e bevve un sorso del caffè che aveva preso dalla macchinetta, arricciando subito dopo le labbra in una smorfia disgustata perché sapeva di bruciato, ma, almeno, era riuscito a schiarirgli un po’ il cervello. Riportò lo sguardo sul viso ancora assopito di Severide e alla mente gli si riaffacciò prontamente l’immagine di lui steso incosciente sul lettino della sala emergenze, con le braccia della dottoressa infilate nel suo torace aperto e insanguinate fino ai gomiti, mentre Mills e Brent aiutavano nell’operazione. Rischiare la propria vita per salvare quella degli altri, era il rischio calcolato di chi faceva quel lavoro, lo sapeva, eppure ugualmente aveva provato una paura feroce all’idea che Severide non ce la facesse, che sarebbe stato semplicemente una foto appesa sul muro della caserma.
E, come se fosse stato il protagonista della peggior commedia romantica di serie B, era stato proprio quello specifico momento di paura ad aiutarlo a mettere le cose tra loro nella giusta prospettiva, a capire che tra di loro c’era qualcosa. C’era sempre stato qualcosa tra di loro, anche se entrambi avevano fatto del loro meglio per non vedere, visto che prima la loro relazione era già complicata così com’era. Ma ora che il loro rapporto era cambiato e si erano avvicinati in quel modo, non c’erano più scuse. A Matt piaceva Severide, gli piaceva l’uomo che aveva imparato a conoscere mentre passavano da una tesa collaborazione a una vera e propria amicizia, l’amico con cui spendeva il tempo anche fuori dalla caserma, con cui divideva casa e insieme a cui aveva scoperto che gli piaceva guardare stupidi film in televisione o anche semplicemente bere una birra al Molly’s, per godersi la vicinanza reciproca. Gli piaceva il rapporto che era riuscito a costruire con Severide, quella loro strana amicizia, fatta di sostegno e rispetto reciproco, che li aveva portarti in più di un’occasione a tendersi le mani per tirarsi fuori dai guai a vicenda e, la sola idea di perdere Severide, gli aveva fatto scoprire di non essere disposto a rinunciarci.
Matt buttò giù il resto del caffè in un sorso, sentendo il sapore amaro impregnargli fastidiosamente la gola e, poi, si passò le mani sul viso. Era così stanco che si sentiva le palpebre che si abbassavano da sole e i muscoli della schiena pesanti e doloranti, come quando il suo istruttore all’accademia gli faceva passare le ore a fare avanti e indietro con il manichino di traverso sulle spalle, per aumentare la sua velocità d’intervento. Inspirò e buttò fuori l’aria di colpo, quindi spostò lo sguardo sullo schermo che monitorava la frequenza cardiaca dell’amico. Severide stava bene, il suo cuore batteva regolarmente e stava riposando tranquillamente, presto sarebbe ritornato in forma e al lavoro. Andava tutto bene, poteva stare tranquillo e permettersi di chiudere un attimo gli occhi. Soltanto un attimo, giusto per riposarsi un pochino, perché ne aveva davvero bisogno e non riusciva più a tenere gli occhi aperti.
Matt si accomodò meglio contro la spalliera della sedia e, non appena chiuse gli occhi, tutto divenne nero. Si svegliò a causa di una fitta di dolore sul retro del collo, dopo quello che gli parve solo un misero minuto da quando aveva deciso di riposarsi per un po’. Ancora assonnato, sollevò le palpebre e, subito, la luce che colava dalla finestra gli ferì lo sguardo. Grugnì infastidito e poi si passò le mani sul viso, sfregando forte, nella speranza che gli si schiarisse la vista. Quando i suoi occhi ritornarono a funzionare in modo decente e mise a fuoco ciò che c’era davanti a sé, la prima cosa che vide fu il viso di Severide, finalmente sveglio, che lo stava guardando con espressione stropicciata e un sorrisetto divertito gli piegava appena le labbra.
- Hai davvero un aspetto fresco e riposato, amico.- prese in giro l’amico, la voce irruvidita dal sonno.
Matt si mosse contro la sedia e trattenne a stento un’imprecazione, perché aveva la schiena e il collo ancora più rigidi e doloranti di prima. Se non avesse avuto così tanto paura per lui e non fosse stato così sollevato di vederlo desto, nemmeno trovarsi in un letto d’ospedale avrebbe salvato Severide dalla sua rispostaccia.


§§§



Severide non ricordava perché si era svegliato in un letto d’ospedale.
Se si concentrava, riusciva a rammentare che avevano aiutato i paramedici a portare alcuni feriti al Chicago Hospital, ma, appena dopo aver varcato le porte del pronto soccorso, tutto diventava buio, come se qualcuno si fosse divertito a versare dell’inchiostro su un foglio, nascondendo tutto quello che c’era sotto. Con la mano libera dalla flebo, si era tastato un po’ il corpo, scoprendo una fasciatura sul torace che, unita a quella traccia di dolore che sentiva all’altezza dello sterno, non gli faceva propendere per niente di leggero. Era stato a quel punto che nella stanza era entrata April, per controllare i suoi parametri vitali.
- Che cos’è successo?- le aveva chiesto con voce rauca, quando i loro sguardi si erano incrociati.
- Niente.- aveva risposto lei.
Stranamente la sua voce era ugualmente arrochita e si era girata per leggere i suoi parametri sullo schermo, per segnarli poi sulla sua cartella clinica. La sua reazione aveva confermato il sospetto di Severide.
- April.- la richiamò, alzando, per quanto gli era possibile, un appena un po’ la voce, per attirare la sua attenzione.
L’infermiera però si portò l’indice della mano destra alle labbra e gli fece cenno di tacere.
- Non svegliarlo.- disse lei parlando a voce bassa.
- Chi?- replicò lui, in un rauco sussurrò.
April usò lo stesso dito per indicargli qualcosa che si trovava dall’altro lato della stanza. Incuriosito, Severide girò la testa sul cuscino e ciò che vide lo sorprese e lo fece sorridere. Matt era seduto su una sedia di metallo dall’aria molto scomoda, indossava ancora la tuta da lavoro, che era sporca di fuliggine. Stava dormendo con la testa piegata di lato, ciondolante e le braccia incrociate al petto e aveva i capelli un po’ arruffati come se ci avesse passato le dita dentro. Trovare il suo amico lì, in quel modo e del tutto inaspettatamente, gli diede la sensazione che qualcosa di caldo si fosse coagulato nel suo petto.
- Non ha voluto tornare a casa, neppure dopo che la situazione si è regolarizzata. Dal momento in cui ti hanno portato in stanza, è rimasto lì, penso che si sia allontanato solo per prendere un paio di caffè dalla macchinetta in corridoio. E quella sedia non è l’ideale per dormire. – il rumore del campanello di un paziente la interruppe – Deve essere stanchissimo: lascialo riposare.- gli disse l’amica prima di lasciare la stanza.
Mentre sentiva il rumore delle calzature ospedaliere di April allontanarsi nel corridoio, Severide rimase a osservare il collega, che, nonostante tutto, dormiva ancora profondamente. Trovare Matt accanto a sé in quel momento e dopo tutto quello che gli era capitato nelle ultime ore, gli fece provare la sensazione di qualcosa di caldo che gli si stava sciogliendo dolorosamente dentro. Ciò che stava sentendo era un crogiolo di emozioni contrastanti e così ingarbugliate che era impossibile dirimerle una dall’altra, che andavano ad alimentare quel qualcosa che aveva sempre covato dentro di sé e verso Matt. Gli piaceva avere l’amico in quel modo e così vicino a sé e se qualcuno, entrando in quella stanza, gli avesse domandato perché stava fissando il suo amico assopito con quel sorriso in viso, avrebbe potuto rispondergli soltanto che era perché era felice di averlo con sé.
A un certo punto, Severide vide la testa dell’amico inclinarsi ancora di più in avanti, arrivando a toccare con la punta del mento il torace e, subito dopo, sentì un cupo verso di protesta provenire dall’altro. Svegliato dal dolore che, evidentemente, gli era stato causato dai nervi troppo tesi del collo, Matt incominciò a muoversi e, al contempo, brontolare perché era stato destato. Severide lo vide arricciare il naso in una smorfia e grugnire irritato a causa della troppa luce nella camera, poi sfregarsi forte il viso con le mani e finalmente, al termine di tutta quella lunga operazione, risollevare le palpebre e metterlo a fuoco.
- Hai davvero un aspetto fresco e riposato, amico. - non riuscì a resistere alla tentazione di prenderlo in giro, nonostante avesse la voce roca e rasposa.
Come non riuscì a resistere alla tentazione di mettersi a ridacchiare all’occhiataccia che l’amico gli rivolse in risposta, nonostante nel farlo gli facesse male un po’ tutto nel torace.
- Se hai voglia di scherzare, vuol dire che stai meglio.- Matt ribatté e la sua voce suonò irruvidita dal sonno.
Casey si sporse in avanti e si appoggiò con i gomiti sulle sbarre metalliche del letto dell’amico.
- Mi sento come se mi fosse passato addosso un paio di volte un tir, ma sono vivo e questo deve voler pur dire qualcosa.- Severide continuò tra il serio e il faceto.
Matt scrutò l’amico dritto negli occhi che, nonostante tutto, lo stavano fissando carichi di divertimento e, nel rendersi conto di questo, avvertì la tensione che aveva provato per la sorte incerta del suo amico, sciogliersi dolorosamente dentro di sé.
- Questa volta ci hai spaventati davvero. Mi hai spaventato.- aggiunse dopo una piccola pausa, senza mai distogliere lo sguardo dal suo.
A quelle parole, l’espressione di Severide si ammorbidì ancora un po’, come se gli avesse fatto piacere che si fosse preoccupato per lui. A volte, soprattutto quando era felice, guardava gli altri con la stessa espressione di un animaletto di peluche, proprio la stessa che gli stava rivolgendo in quel momento e Matt non sapeva se dovesse mettersi a ridere o sospirare esasperato.
- Sfidiamo la morte ogni giorni, fa parte del lavoro che ci siamo scelti.- Severide disse, cercando di mitigare la sua azione e la preoccupazione dell’amico.
- È vero e ne siamo tutti consapevoli, tuttavia ciò non toglie che, pure se ci siamo abituati, soffriamo maledettamente quando perdiamo qualcuno d’importante.- replicò Matt.
Per tutto il tempo non aveva mai distolto lo sguardo da quello dell’altro, per mostrargli che era serio nel dire quelle cose. Non era il momento giusto per approfondire la questione, soprattutto perché lui stesso doveva capire alcune cose su stesso e l’amico, ma per lui Severide era importante, in più di un modo.
- La prossima volta starò più attento, contento tenente?- Kelly lo prese in giro.
- Facciamo che non ci sarà una prossima volta.- replicò Matt divertito.
- Agli ordini, capo.- Severide ribatté col suo miglior sorriso da schiaffi.
Matt sbuffò una breve risata, sentendosi davvero più leggero dopo quell’amichevole schermaglia con Kelly, perché aveva avuto la prova provata che non c’era più nulla di cui preoccuparsi, che presto sarebbe ritornato a capo della squadra tre e lui avrebbe avuto di nuovo il suo amico accanto. La sveglia sul suo cellulare iniziò a suonare e si tirò indietro per frugare nelle tasche del suo giaccone, che aveva appeso sulla spalliera della sedia, per recuperarlo e spegnere l’allarme, prima di disturbare gli altri pazienti, soprattutto vista l’ora.
- Devo andare: tra poco comincia il turno.- Matt disse, guardando l’amico.
Gli dispiaceva doversene andare così di corsa, ma non aveva neppure il tempo di tornare a casa prima di andare a lavoro: si sarebbe dato una ripulita con le docce della caserma e avrebbe adoperato gli abiti di ricambio che teneva lì, negli armadietti.
- Sappiamo bene cosa Boden pensi dei ritardi.- Severide ribatté, consapevole che il loro capitano non apprezzava affatto i ritardatari.
Matt si rimise in piedi e, mentre si alzava dalla sedia, sentì ogni muscolo e ogni osso del suo corpo dolere per la posizione infame in cui aveva trascorso la notte.
- Passo questa sera, alla fine del turno, per vedere come vai. Tu intanto cerca di rimetterti in piedi più presto possibile.- disse all’amico, guardandolo dritto negli occhi.
Severide annuì con un sorriso e Matt, prima di uscire dalla sua camera, gli batté piano una mano sopra il ginocchio sinistro, in segno di saluto. Non appena l’amico se ne fu andato via, Kelly cercò di accomodarsi meglio contro il cuscino e chiuse gli occhi: fisicamente, si sentiva uno schifo, ma aver trovato Matt accanto a sé al suo risveglio, per la prima volta dopo molto tempo non lo aveva fatto sentire solo e gli aveva dato la certezza che c’era qualcuno che si curava di lui e che per lui contava molto, qualcuno su cui avrebbe potuto fare sempre affidamento e questa consapevolezza lo fece sentire pacifico come non lo era stato dalla morte di Shay.

  
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