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Autore: FRAMAR    16/09/2016    29 recensioni
Fino a ieri avevo creduto che la vita, la mia vita, fosse soprattutto luce e calore: ora il freddo e il grigio stavano invadendo tutto, io, la casa, il mio futuro incerto. Mi ritrovavo solo, triste, come una donna fallita.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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L’amore che non può cambiare



 
Il caminetto era acceso e le fiamme crepitavano. Pensai che a poco a poco si sarebbero spente. Anche io a poco a poco mi sarei spenta.
La cenere che si spandeva al di qua degli alari mi ricordò i miei tanti morbidi capelli neri che, al di sopra della fronte, alcuni fili diventavano grigi.

Stavo seduta sulla seggiolina rustica. Tesi le mani sulle fiamme, poi mi guardai. Erano belle, sottili, mani aristocratiche.
Mia figlia Laura pareva acida, invece era una brava figliola, lavorava presso uno studio notarile. Bionda e focosa era la mia unica figlia e aveva preso marito. Io ero stata una madre-bambina perché avevo incontrato Giorgio che frequentavo ancora il liceo. Laura era nata appena compiuti i nove mesi dal si davanti al sindaco.

Il fuoco vicino a morire lampeggiava alto. Raccolsi le fascine dal secchio di legno e le fiamme tornarono a crepitare.

L’appartamento piuttosto piccolo. Due stanze da letto una era stata di Laura, il tinello e questo saloncino. Anni addietro Giorgio ci aveva fatto il caminetto e gli era costato un mucchio di soldi. Ma la casa era di nostra proprietà e avevamo speso con entusiasmo. La casa sboccava sopra una stradina stretta i cui edifici tutti alti, di pietra grigia, avevano portoncino e lunghe finestre. Lì presso , piazza Navona, tutta l’acqua delle fontane, le inesauribili corse dei ragazzetti, le chiacchierate ai caffè.

Amavo la mia casa e tutto quel mondo. Giorgio, baciandomi alla sua maniera, nel tepore del collo, sulla dolcezza delle labbra, dicevo che prima della casa, e della stessa Laura, c’era lui.

L’amore. L’amore tra me e mio marito, era stato come una sete inestinguibile.

E adesso? Perché, adesso?

Mi guardavo attorno smarrita, e tutte le cose lì dentro sembrava mi spiassero, o fossero lì, testimoni della presenza di lui. Eccola la poltrona nell’angolo, la poltrona dove Giorgio piegava il giornale e mi prendeva sulle ginocchia. A Giorgio piacevano le donne. Tutte. Diceva la figlia, sfavillando dagli occhi che lucevano: “Il padre eterno ti ha concesso una bella moglie, urli che l’adori e poi faresti lo scemo con tutte”.

Giorgio rideva, in fondo lusingato. A me però restava un gran freddo nel petto, freddo che si scioglieva la notte, nelle braccia di lui. Eppure ora che analizzavo ombre e luce, mi venne addosso, e fu una finestra che si apre, un giorno. Un giorno qualunque di una qualunque estate.

Ma no, era giugno. Nell’aria si disfaceva. Traditore, il profumo delle cose belle, cose buone, e sanno di giovinezza, di anni che camminano.
“Ciao Milena, che fai? Sei scesa a prendere il pane?”.

E io chissà perché arrossii e dissi di si, che ero scesa per il pane. Tutti e due lasciammo il panificio. Lui m’accompagnò. Nell’androne, il silenzio è improvviso, mi rese il cartoccio: “Come sta Giorgio? , sei sempre più bella”. Un po’ più vicino e mi baciò.

Perché mai mi tornava in mente?

Non l’avevo raccontato a Giorgio. Quel bacio era rimasto un bacio, e niente più.

Tornai a bruciare altre fascine, adesso le guance mi scottavano, ma le mani le sentivo fredde.

Era nato un nipotino, lo adoravo. La maternità aveva addolcito Laura. Adesso diceva che ero una nonna giovane, adorabile. Il piccolo dolce  con me. Mangiava tutta la pappa e faceva lunghe dormite. “Perché non fa la baby-sitter, mammina?”, e si faceva stringere dal marito, il marito rideva: “E’ troppo bella, Laura, sai i papà perderebbero la testa”.

Certo le cose erano migliorate, in famiglia. Malgrado i tempi difficili il lavoro di Giorgio, costruttore edile, andava bene. Anche per Gino, notaio, con studio bene avviato. Laura, sposandosi, aveva lasciato l’ufficio. “Tutto sommato mi scocciavo a battere sui tasti del computer, tutto sommato preferisco trafficare avanti ai fornelli, dietro al pupo e mio marito”. Quando Laura diceva mio marito, le si riempiva la bocca e gli occhi diventavano stelle.

Non era il leggero fumo della legna che mi faceva salire le lacrime, rade, brucianti lacrime che scivolavano sulle labbra. “Quando sorridi è come  sorridesse la vita”. E Giorgio mi baciava, come quando eravamo ragazzi.

Alzai lo sguardo e lo fissai sulla pendola. Erano le dieci. Usavamo mangiare alle otto e poi stavamo accanto al fuoco, la televisione, Giorgio la gustava poco. Più tardi “moglie”, diceva, “sono stanco, andiamo a nanna”. Io lo seguivo docile, docile e felice nel grande morbido letto. Non era cambiato niente fra di noi. Immagini felici si accavallavano.

Fino a ieri avevo creduto che la vita, la mia vita, fosse soprattutto luce e calore. Semmai freddo e grigiore venivano spazzati via da un vento guaritore, come un cielo gonfio di nuvole che ritorna terso.

Io sto impazzendo, qui rannicchiata al fuoco, mi butto a pensare al sole, al freddo, al cielo che ritorna terso.  Qui, accanto al fuoco, come una donna fallita. Mentre dovrei muovermi, fare, agire.

Agire, ma come? Chissà dov’era Giorgio. Sollevai gli occhi, ero bella, assai bella, anche sconvolta e con le guance accese. Puntai lo sguardo sulla corta pipetta poggiata sul posacenere vicino alla poltrona. Il tavolinetto che reggeva il posacenere l’avevamo comprato  insieme. Era grazioso, con le gambe arcuate e legno di noce chiaro.

Piccole cose mi portavano Giorgio lì, tramezzo le nostre cose. Invece era lontano, insieme a lei.

Ma chi era lei?

“Che stai a frugare nel mio portafoglio?”.

Mi aveva guardata mezzo ridente,  magro forte, con quei tanti capelli di un biondo caldo.  “Cerco una carta da cinque euro, io l’ho da cinquanta e al panificio non mi cambiano”.  Invece delle cinque euro avevo trovato un cartoncino con su scritto a pennellate svolazzanti: Fiorenza. Ero rimasta col biglietto in mano, tutta un gelo.

“Che fai lì impalata”. E sempre ridente, ripete: “Che fai?”.

Gli sbattei il biglietto in faccia. “Sei falso, falso sei! E chi è questa donna?”.

Si era messo a ridere divertito. “E  chi vuoi che sia, è Fiorenza, ci sta scritto qua! Una spilungona bionda che dipinge, sta in via del babbuino”.

“E tu ci sei stato con questa spilungona?”, le parole mi rotolavano in bocca.

“Piantala. Una conoscenza casuale. L’ho incontrata dal mio amico Gino e mi ha chiesto consigli per l’arredamento dello studio”.

“L’arredamento proprio, ti voleva in casa sua e tu sei stato con quella là”.

“Stupida, non è il mio tipo, le ho dato qualche consiglio tutto lì”.

Gli avevo dato uno schiaffo. Giorgio si accese d’ira e m’insultò: “Tu che fai tanto la santa, chi mi dice che in tutti questi anni non hai sgarrato. Io, invece, sono come un cane che abbaia e non morde! E sai che ti dico, mi sono stufato”.

Era andato, sbattendo la porta. Non prese la macchina, tanto via del Babbuino era vicina. Lo studio di Fiorenza stava in via  del Babbuino. Tempo addietro, una splendida giornata di sole: mi ero lasciata baciare e non mi era dispiaciuto. Allora Giorgio poteva prendere una sbandata. E se non tornava più?”.

Mi lisciai i capelli buttandomeli indietro, gli occhi un poco grigi sembrarono più grandi.

“Giorgio, sai come ti amo, e non voglio, non posso perderti”.

Ma no, no, non lo perdevo.

Mel silenzio melanconico della sera inoltrata, suonarono per le scale i passi pesanti, e poi si fermarono. E poi la porta venne aperta.  Io mi alzai, le fiamme mi tingevano la faccia bianca. Giorgio stava lì. Inquadrato sulla porta, magro, forte, con tanti capelli biondi. Ma il sorriso non si mutava in risata, il sorriso era incerto. “Milena”, disse con voce roca. Gli fui accanto, io ero di statura più piccola. Giorgio si curvò, mi baciò. “vieni, Milena, vieni moglie”. Mi prese in braccio e mi portò di là”.

Era caduto il silenzio per la stradina, e silenzio nella stanza.  Ci eravamo ritrovati con tutto l’amore di chi vuole bene, di chi, dopo una dolorosa baruffa, ritrova l’amore che non può cambiare.
 

   
 
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