Libri > Il meraviglioso mago di Oz
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Autore: artemisia la fee    16/09/2016    0 recensioni
Vi siete mai chiesti come sarebbe il meraviglioso mondo del Mago di Oz, se Dorothy non fosse una tenera bambina che un ciclone ha portato lontano, ma una giovane donna scappata di casa e in cerca di un luogo che possa chiamare casa. Se il Leone Codardo, Lo Spaventapasseri e il Boscaiolo di Stagno, non fossero i ridenti personaggi di cui siete abituati a leggere. Perché questa Oz non è quella di cui siete abituati a leggere. Nessuna fiaba e nessuna magia, solo la cruda realtà di una città governata da bande e streghe, tra decadimento e lusso sfrenato, in cui nessuno è quello che sembra.
Pronti a seguire i mattoni gialli nei bassifondi di Oz?
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Boscaiolo di Latta, Dorothy Gale, Leone Codardo, Spaventapasseri, Strega dell'Est
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II

"I Munchkins"

 

Nella testa di Dorothy regnava il caos. Sembrava le fosse appena esplosa una bomba nel cervello. Le orecchie le fischiavano, la vista era offuscata da puntini bianchi, mani e piedi le formicolavano. Ma lentamente le cose e i suoni iniziarono a riacquistare un significato.

La prima cosa che sentì fu l'abbaiare incontrollato di Toto, poi sotto il fischio del vento un brusio indistinto.

Gocce fredde le cadevano sul viso, e quando allungò una mano per toglierle dagli occhi la ritrasse all'istante accecata dal dolore. Qualcosa di vischioso le copriva la fronte. Si guardò le dita e vide rosso.

“Toto” sussurrò Dorothy, cercando di allungare la mano verso il cane, ma qualcosa glielo impedì.

Voltò lentamente la testa e vide il grosso ramo di un albero, che dopo aver sfondato il parabrezza – ecco perché pioveva nell'abitacolo – si era conficcato tra i due sedili.

In un attimo ricordò tutto. La litigata con gli zii, la fuga da casa e la tempesta che imperversava per le strade, poi un terribile schianto.

Guardò alla sua sinistra dove le voci si erano fatte più intense. Davanti a se vedeva dei volti indistinti, dietro il finestrino punteggiato di gocce.

Qualcuno aprì di scatto la portiera e la trascinò fuori. Delle braccia la sollevarono e la portarono via dalla macchia scura che era la sua auto. I guaiti di Toto si spensero quando una porta si chiuse alle sue spalle.

“Toto” chiamò ancora, mentre qualcuno la stendeva sopra un divano.

Finalmente i sensi erano tornati al loro posto e poteva distinguere quello che la circondava.

Si trovava in un salotto vecchio stile, con ancora la carta da parati a fiori sulle pareti. Attorno a lei c'erano delle persone intente a sistemarle la testa sotto un cuscino o una coperta sulle gambe.

“Toto” sussurrò “Dov'è Toto? Dov'è il mio cane?”

“Stanno andando a prenderlo” la rassicurò un uomo con un ciuffo di capelli azzurri e una serie infinita di campanelli alle braccia, che tintinnavano ad ogni suo movimento.

“Sta bene, non preoccuparti” intervenne una donna, con corti capelli bianchi sul viso giovane e un campanello appeso al collo.

Si guardò intorno e notò che anche tutti gli altri portavano campanelli, chi alla cintura, chi al collo o al polso e tutti avevano gli stessi capelli bianchi o azzurri. Li trovò molto carini e le venne in mente quando a sedici anni era tornata a casa con i capelli blu e la zia Emma l'aveva messa in punizione per una settimana.

Ma quello che pensò subito dopo fu.... Dove accidenti era finita?

Cercò di sollevarsi ma la donna la trattenne sul divano.

“Non muoverti. Hai preso una bella botta, il dottore arriverà a momenti” cercò di tranquillizzarla mentre le asciugava il viso con un panno.

Nel mentre la porta si riaprì ed entrarono altre figure seguite da Toto che saltò letteralmente in braccio a Dorothy, leccandole la faccia.

“Oh, Toto” urlò stringendo a se il cane “Stai bene, per fortuna stai bene. Ero così preoccupata”

Il cane smise di leccarle la faccia e si acciambellò accanto a lei, con il muso sulla sua gamba.

“Dove sono?” chiese infine Dorothy.

Tutti si guardarono confusi, probabilmente domandandosi se la botta non fosse stata più forte di quanto pensassero.

“Sei ad Oz” rispose la voce di una donna.

Tutti si scostarono per farla passare, quasi con reverenza e lei camminò, con un ticchettio di passi verso il divano dov'era distesa Dorothy.

Era bellissima. La sua figura sembrava emanare un bagliore quasi magico. I capelli erano lunghi e di un biondo talmente chiaro da sembrare bianco, come le donne li attorno.

Calzava alti tacchi bianchi e la sua figura, dal seno prosperoso, era avvolta da un tailleur candido. Gli occhi erano di un azzurro limpido, mentre la bocca a cuore morbida e rosea.

Non era il tipo di donna che di solito Dorothy avrebbe guardato, eppure in lei c'era qualcosa che l'affascinava e da cui sembrava impossibile distogliere lo sguardo.

“Dove sono?” chiese ancora Dorothy, più confusa di prima.

“Oz” rispose la donna “Più precisamente nel quartiere est dei Munchkins” aggiunse indicando gli individui attorno a lei.

“Non ho mai sentito di una città chiamata Oz”

“Molto probabile. Siamo una comunità piuttosto riservata”

“Siamo ancora in Kansas almeno?” continuò Dorothy massaggiandosi la testa dolorante.

“No cara, temo che tu non sia più in Kansas”

Dorothy si lasciò andare esasperata tra i cuscini.

“Dio, come ho fatto a finire in questo casino” borbottò incazzata con se stessa.

Poco dopo arrivò finalmente il dottore che, come tutti li, indossava dei campanelli piccoli alle orecchie e ai polsi, con corti capelli di un azzurro scuro.

Le medicò la ferita alla testa, che per fortuna era superficiale e non avrebbe avuto bisogno di punti di sutura e le puntò una luce sugli occhi, per vedere se il suo cervello avesse subito danni.

Per fortuna, dichiarò, che a parte lo spavento e la botta presa, stava perfettamente bene e dopo una notte di riposo sarebbe già stata in grado di tornare alla sua vita.

Quando il dottore se ne fu andato i suoi soccorritori la circondarono ancora, porgendole un cuscino o un bicchiere d'acqua.

Dorothy non capiva il perché di tutte quelle attenzioni. Certo aveva appena fatto un incidente, ma quello le sembrava un tantino eccessivo.

Notò che la donna in tailleur bianco, comodamente seduta su una sedia con le lunghe gambe accavallate, continuava a fissarla con sguardo curioso e interrogativo.

“Come ti chiami?” le chiese infine.

“Dorothy. Dorothy Gale” rispose “E lui è Toto” aggiunse indicando il cane che sollevò la testa al suono del suo nome.

“Piacere di conoscerti. Io sono la Strega del Nord”

“La cosa?” chiese Dorothy alzando un sopracciglio.

“Strega del Nord” ripeté lei con un sorriso “Governo il quartiere a nord della città”

Dorothy annuì, anche se non ci aveva capito nulla. Le sembrava scortese insistere oltre. Probabilmente “Strega” era un nomignolo o un titolo che veniva usato da quelle parti. Chi era lei per ribattere sulle usanze locali.

“Dorothy, c'è una cosa che dovrei dirti e devi ascoltarmi molto attentamente, perché non so come tu possa accogliere questa notizia. Quindi ti prego, se riesci, di accoglierla come la bella notizia che è”

Dorothy la guardò interrogativa e sempre più confusa. Annuì e si domandò cosa avesse di così importante da dirle quella donna sconosciuta.

“La città di Oz è governata da quattro Streghe e un Mago. Al centro si trova la Città degli Smeraldi, governata dal Mago di Oz. Le Streghe, invece, governano i quartieri esterni della città.

Una a nord nel quartiere dei Gillikin, che sarei io e una a sud, Glinda nel quartiere dei Quadling. Io e la mia collega del sud, cerchiamo di governare i quartieri al meglio delle nostre capacità, nel rispetto e per la gioia dei nostri abitanti.

Diversamente le Streghe dell'est e dell'ovest, Elphaba Theodora nel quartiere dei Winkie, non sono come noi. Preferiscono un regno del terrore, in cui sfruttare a proprio vantaggio i cittadini, riducendoli a poco più di schiavi, per avere gloria e ricchezze.

Ora Dorothy, noi ci troviamo nel quartiere est, che è governato da Evanora Nessarose, la Strega dell'Est, ma lei non è qui. Sai perché Dorothy?”

Dorothy scosse la testa.

“Perché tu l'hai uccisa” concluse lapidaria la Strega del Nord.

“Cosa?” urlò Dorothy indignata. “Io non ho ucciso nessuno. Come osi insinuare una cosa del genere”

“Temevo avresti reagito così. Ma è la verità. Quando sei uscita di strada con la macchina l'hai investita uccidendola”

Dorothy scosse la testa incredula. Anche se la cosa poteva avere un senso. Cercò di ribattere ancora, ma fu interrotta.

“Grazie” disse la donna dai capelli bianchi che l'aveva aiutata, stringendole la mano commossa.

“Ci hai liberato” aggiunse un uomo dalla folla attorno al divano e così si susseguirono una serie di ringraziamenti verso di lei.

“Perché mi ringraziano?” chiese Dorothy alla Strega.

“Perché li hai salvati dalla tirannia della Strega dell'Est. Ora sono liberi. Liberi di vivere la vita come vogliono, senza il timore che la Strega li sbatta in prigione o li costringa ai lavori forzati”

Dorothy rimase pensierosa. Non sapeva come sentirsi. Tutti la guardavano con ammirazione, eppure aveva ucciso una donna secondo la Strega del Nord.

“Voglio vedere” decise infine “Se ho veramente ucciso una persona voglio vederlo con i miei occhi”

“Il dottore ha detto che devi restare a riposo” intervenne una donna.

“Non me ne frega un cazzo di quello che ha detto il dottore. Sto bene, voglio solo vedere”

“Lasciatela” ordinò la Strega e tutti arretrarono di qualche passo.

Dorothy lentamente si tirò su a sedere sul divano. La testa le girò un po, ma era determinata a vedere. Toto alzò il muso e la seguì, insieme a tutti gli altri.

“Lascia che ti aiuti” si offrì la Strega, porgendole il braccio. Dorothy lo accettò e uscirono sul portico.

La tempesta era passata, tirava solo un vento leggero che le scompigliava i capelli. Il cielo era ancora buio ma la strada sterrata su cui si affacciava la casetta era illuminata da lampioni.

La vide subito, la sua macchina, col cofano accartocciato contro il muretto di una baracca di legno. Poi vide anche la strega.

L'aveva presa in pieno e il suo corpo giaceva schiacciato tra muro e macchina, con il busto disteso sui rottami, le braccia aperte e il viso coperto da una gran massa di capelli scuri. Un corvo stava già cercando di banchettare, mentre gli altri aspettavano il loro turno appollaiati sul tetto della baracca.

Dorothy si portò le mani alla bocca, come per coprire le urla se mai fossero arrivate. Ma non arrivarono, era fin troppo shoccata persino per urlare.

“Cazzo” imprecò “Merda. Cazzo. Cazzo. Merda”

Si voltò, con le mani fra i capelli, verso la Strega del Nord. Si immaginò già ammanettata, seduta sul sedile posteriore di un'auto della polizia, pronta per essere sbattuta in una cella di cui avrebbero buttato la chiave. Già si immaginava le risate degli abitanti del paese e degli zii, che con i loro orribili sorrisi avrebbero detto che sapevo che avrebbe fatto quella fine, che probabilmente era ubriaca o drogata.

Ma non l'aveva uccisa apposta, cercò di consolarsi. Insomma, c'era la tempesta, non si vedeva nulla e l'auto era uscita fuori strada. Forse si sarebbe salvata. Forse le avrebbero creduto.

“No” pensò sconsolata “Non mi credono mai”

“Dorothy” la chiamò la Strega, risvegliandola dai suoi cupi pensieri.

“Dobbiamo chiamare la polizia”disse risoluta.

“No” ribatté dolcemente.

“Si, cazzo. Ho ucciso una donna”

“Hai ucciso una delle due Streghe più cattive di tutta Oz. Qui da noi non si finisce in prigione per aver ucciso i cattivi, al contrario si viene trattati da eroi”

Indicò gli abitanti presenti. Tutti le sorridevano. Nessuno sembrava guardarla male, nessuno l'accusava, puntandole il dito contro.

“Inoltre” aggiunse la Strega del Nord “La polizia qui era lei. Non c'è nessuno che puoi chiamare”

Dorothy guardò ancora il corpo della strega morta, ma questa volta non distolse lo sguardo.

Se nessuno degli abitanti avrebbe chiamato la polizia, forse non sarebbe finita in prigione. Non sapeva in che razza di città fosse finita ma era evidente che li le cose andavano in maniera diversa. La consideravano persino un'eroe. Lei non era un eroe, era solo una ragazza fallita che cercava di scappare … da dove? Casa? No, quella non era casa sua. Dorothy Gale non aveva una casa e forse non l'avrebbe mai avuta. Per lei casa era un posto in cui sorridere, circondata da persone che la capivano, le volevano bene e la facevano sentire apprezzata, non il rifiuto che qualcuno aveva deciso di scaricare sul tappeto d'ingresso.

Se gli abitanti di quella città avrebbero insabbiato tutto, allora era salva. Sarebbe riuscita a convivere con la consapevolezza di aver stroncato una vita? Forse si, ci sarebbe riuscita.

Sentì qualcuno tirarle la manica della giacca, abbassò lo sguardo e vide una bambina, anch'essa con i capelli bianchi legati da due campanelli a formare due lunghe trecce.

“Signora” le disse lasciandole andare la manica “Grazie signora”

“Di cosa?” le chiese Dorothy, anche se sapeva per cosa l'avrebbe ringraziata.

“La Strega dell'Est teneva prigionieri i miei genitori e ora che lei l'ha uccisa, possono tornare a casa. Grazie” aggiunse porgendo a Dorothy un fiorellino rinsecchito.

Dorothy lo accettò e cercò di sorridere alla bambina che scappò via imbarazzata.

“S-Strega del Nord” chiamò Dorothy “Va bene, niente polizia. Ma possiamo almeno toglierla da li?”

“Certamente” le rispose, poi fece un cenno ad alcuni abitanti che si affrettarono a raggiungere la macchina.

Quattro uomini robusti sollevarono e spostarono il veicolo, che con un cigolio sinistro si staccò dal muretto, trascinando con se il corpo senza vita della Strega dell'Est che rotolò a terra macchiando l'acciottolato di rosso.

Una donna recuperò il suo zaino dal sedile posteriore e glielo porse. Prese il cellulare e con non poca sorpresa constatò che era scarico e inutilizzabile. Dubitava comunque che qualcuno si sarebbe preso la briga di chiamarla.

Lo rigettò dentro e cercò qualcosa che le sarebbe stato molto più utile di un cellulare in quella situazione, il suo pacchetto di sigarette.

Vittoriosa e sollevata di trovarle ancora li sane e salve, ne accese una e dopo poche boccate sentì più calma e rilassata.

La Strega del Nord la guardò divertita e incuriosita allo stesso tempo. Dorothy non ci badò più di tanto, era abituata al modo strano con cui le persone la guardavano.

Intanto due uomini si erano avvicinati con un lenzuolo al cadavere della Strega, lentamente lo sollevarono e lo deposero dentro per portarlo via.

Ma mentre camminavano lungo la strada i suoi piedi scivolarono fuori dal lenzuolo e lasciarono cadere a terra un paio di meravigliose scarpe d'argento. Gli uomini non se ne accorsero e continuarono a camminare, sparendo dietro un vicolo.

Dorothy rimase a fissare con desolazione le scarpe, abbandonate tra sassi, sabbia e ciuffi d'erba secca, fino a che la Strega del Nord non entrò nel suo campo visivo e le raccolse.

“Era molto orgogliosa di queste scarpe” disse quasi con malinconia “Tra tutte quelle che aveva, queste erano le sue preferite. Erano il simbolo del suo potere” aggiunse invece con una nota dolente e di rabbia, poi le porse a Dorothy “Dovresti tenerle tu”

“Cosa?” chiese stupita “Perché dovrei?”

“Perché sei stata tu a ucciderla. Lascia che nelle tue mani diventino il simbolo della sua sconfitta e della libertà di questo quartiere”

Dorothy non sappe che fare, le sembrava una cosa morbosa e macabre tenere le scarpe della donna che aveva ucciso, ma la Strega la guardava con una tale intensità che alla fine accettò. Le mise in fondo allo zaino e cercò di non pensarci. Dopo tutto erano solo un paio di scarpe.

“Credo che ora sia meglio rientrare” le disse la Strega “Sarai stanca”

Dorothy annuì, spense la sigarette e la seguì all'interno della casetta, con Toto alla calcagna.

Andarono a sedersi sul divanetto di una stanzetta più piccola e appartata dove trovarono ad attenderle un vassoio di biscotti e tazze di tè fumante.

“Immagino tu ti stia domandando come tornare a casa” chiese la Strega del Nord, rompendo il silenzio.

Dorothy rimase immobile con un biscotto mezzo mangiato tra le dita. In realtà non ci aveva ancora pensato, neanche per un attimo da quando era li. Lei era scappata e questa volta sentiva che non sarebbe più potuta tornare. Che gli zii non l'avrebbero riaccolta come in passato e neppure lo voleva.

“Non so dove sia casa tua” continuò la Strega “Ma non sarà facile tornarci. Vedi, Oz è circondata da chilometri e chilometri di spoglie praterie e come ti ho già accennato qui non ci sono mezzi di trasporto...”

“Non preoccuparti” la interruppe Dorothy “Non voglio tornare a casa”

La Strega del Nord la guardò con occhi spalancati e sorpresi.

“Non ho una casa” disse Dorothy con un profondo respiro appoggiando la testa sullo schienale del divano “I miei genitori sono morti quando ero piccola e da allora vivo con i miei zii. Loro mi odiano, tutti in paese mi odiano. A quanto pare sono troppo diversa, sbagliata e stupida per vivere con loro. Quindi no, non ho un luogo che si può definire casa. Stavo scappando quando sono finita qui”

La Strega la guardò con un grosso sorriso luminoso e si appoggiò anche lei allo schienale del divano, per poter guardare meglio Dorothy.

“Non mi sembri per niente diversa, sbagliata o stupida. Forse non lo sei tu, ma loro. Oppure non hai ancora trovato il luogo giusto in cui stare”

Dorothy rimase a fissare gli azzurri occhi della Strega con ammirazione e meraviglia. Nessuno le aveva mai parlato così.

“Cosa pensi di fare ora?” le chiese.

“Non saprei” rispose alzando le spalle “La mia macchina è distrutta e dagli zii non voglio tornarci. Potrei restare qui, trovarmi un lavoro e una casa. Mi sembra una bella città e gli abitanti sono ospitali”

La Strega del Nord si fece pensierosa poi con con gioia le fece una proposta.

“Potresti andare dal Mago di Oz alla Città degli Smeraldi”

Dorothy la guardò interrogativa, con un sopracciglio alzato.

“Il Mago è una persona molto riservata ma potente, persone da tutta Oz vanno da lui a chiedere udienza per ricevere consiglio e aiuto per i motivi più disparati. Potresti provare. Vai, raccontagli la tua storia e se vorrà ti aiuterà”

Dorothy ci rifletté su. Non le sembrava un'idea così cattiva, se questo Mago poteva aiutarla o anche solo consigliarle, perché no? La Strega del Nord sembrava fidarsi di lui e anche se Dorothy non la conosceva che da qualche ora, sentiva che anche lei poteva fidarsi della Strega.

“Potrei provarci, infondo non ho nulla da perdere e un aiuto fa sempre comodo”

La Strega le rispose con un grande sorriso.

“Dove si trova la Città degli Smeraldi?”

“Al centro esatto della città, arrivarci è semplice basta seguire la strada di mattoni gialli”

“Non puoi venire con me?” le chiese Dorothy con un sorriso e solo dopo si chiese se non fosse stata un po troppo audace.

Lei e la Strega erano sedute talmente vicine che, se avesse allungato le dita, sarebbe riuscita a toccarle i lunghi capelli biondi che le ricadevano sulle spalle, ma che non riuscivano del tutto a nascondere la profonda scollatura della camicetta.

“Mi piacerebbe molto, ma i miei doveri di Strega vengono prima di tutto. Però posso darti qualcosa che ti aiuterà”

“Cosa?” chiese Dorothy sentendosi la bocca improvvisamente secca.

“Un bacio della Strega del Nord” rispose.

Dorothy le guardò istintivamente le labbra, ma vide che la Strega si portava le mani al collo e da sotto la giacca del tailleur estrarre una catenina d'argento con un ciondolo a forma di labbra bianche.

La Strega allungò le braccia e mise la collana al collo di Dorothy, poi talmente vicina da sentire il suo respiro sulle labbra e da poter distinguere le ciglia che orlavano i suoi occhi sussurrò: “Nessuno oserà far del male a chi è stato baciato dalla Strega del Nord” e posò le sue dolci labbra a cuore su quelle di Dorothy, che si lasciò cullare dalla loro morbidezza.

Poi la Strega interruppe il bacio e si rialzò camminando verso la porta.

“Tieni la collana sempre bene in vista” le disse “E ricorda segui la strada di mattoni gialli, non puoi sbagliare. Racconta la tua storia al Mago, Dorothy Gale e trova la tua casa”

Poi si voltò e si chiuse la porta alle spalle.

Dorothy rimase da sola in quella stanza, fatta eccezione per Toto che dormiva sotto il tavolo. Si sentiva stordita da tutto quello che le era successo in quelle poche ore, ma per la prima volta in vita sua si sentiva piena di speranza.

 

 

  
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